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Giurisprudenza

 

Rassegna delle sentenze della Corte di Cassazione Art. 674

 

“Getto Pericoloso di Cose"

(a cura di Leo Stilo e della red. di AmbienteDiritto)

 

 

Tutti i nuovi aggiornamenti sono inseriti nella categoria inquinamento atmosferico e nel nuovo sito

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Indice per argomenti:

Sequestro preventivo Competenza - Requisiti

Cassazione sentenza n. 15717 del 2002 

Cassazione sentenza n. 33414 del 2001
 

Art. 674 c.p. Superamento dei limiti fissati in leggi speciali

Cassazione Sentenza n. 760 del 2003

Autorizzazione amministrativa

Irrilevanza ai fini della commissione del reato:


Cassazione sentenza n. 3919 del
1997

Cassazione sentenza n. 6216 del 1994
Cassazione sentenza n. 3204 del
1992
Cassazione sentenza n. 8754 del 1991

Cassazione sentenza n. 4497 del 1988
Cassazione sentenza n. 7907 del 1986
Cassazione sentenza n.10406 del 1984
Cassazione sentenza n. 5705 del 1983
Cassazione sentenza n. 6006 del 1977
Cassazione sentenza n. 4681 del 1977
Cassazione sentenza n. 3993 del 1976
Cassazione sentenza n 11292 del 1976
Cassazione sentenza n. 2796 del 1975

Rapporto art. 844 del codice civile e art. 674 c.p. Definizione di “emissioni maleodoranti di gas, vapori e fumo” - Diffusione di polveri - Soglia di tollerabilità:


Cassazione sentenza n. 42924 del 2002

Cassazione sentenza n. 3531 del 1998

Cassazione Sentenza n. 678 del 1996

Cassazione sentenza n.11868 del 1995
Cassazione sentenza n. 3919 del
1995
Cassazione Sentenza n. 771 del 1995
Cassazione Sentenza n. 138 del 1995

Cassazione Sentenza n. 6598 del 1994

Cassazione sentenza n. 6216 del 1994

Cassazione sentenza n. 447 del 1994

Cassazione Sentenza n. 10336 del 1993
Cassazione sentenza n. 3669 del 1992
Cassazione sentenza n. 4539 del 1991

Cassazione sentenza n. 10663 del 1984

 

Rapporto articolo 20 della legge 13 luglio 1966 n. 615 e art. 674 c.p.

Autonomia delle fattispecie


Cassazione Sentenza n. 6932 del
1992

Cassazione sentenza n. 7765 del 1985
Cassazione sentenza n. 6249 del 1985
Cassazione sentenza n. 9826 del 1983
Cassazione sentenza n. 2081 del 1983
Cassazione sentenza n. 5145 del 1977
Cassazione sentenza n. 4870 del 1977
Cassazione sentenza n. 5679 del 1975
 

Rapporto legge n. 319 del 1976 e art. 674 c.p.
Cassazione sentenza n. 2338 del
1992

Cassazione sentenza n. 17573 del 1989
Cassazione sentenza n. 11329 del 1982

 

Rapporto con l'art. 15 legge n. 36 del 2001

Cassazione sentenza n. 10475 del 2002

 

 

Art. 674 c.p.

Misure cautelari - Reato permanente - Altrui uso - Reato di mero pericolo:
Cassazione sentenza n. 2598 del 1998

Cassazione sentenza n. 3919 del 1997

Cassazione sentenza n. 8148 del 1996

Cassazione sentenza n. 1360 del 1995

Cassazione sentenza n. 12428 del 1994
Cassazione sentenza n. 714 del 1993
Cassazione sentenza n. 3669 del 1992

Cassazione sentenza n.5312 del 1990
Cassazione sentenza n. 1483 del 1990
Cassazione sentenza n. 6939 del 1990

Cassazione sentenza n. 10663 del 1984

Cassazione sentenza n 11680 del 1986

 

Definizione di “Nei casi non consentiti dalla legge”


Cassazione sentenza n. 11292 del 1976

 

 

 

Errore sul fatto
Cassazione sentenza n. 1476 del 1986.

 

 

Errore sul fatto determinato da autorizzazione amministrativa


Cassazione sentenza n. 1476 del 1986

Deposito in luogo privato di detriti
Cassazione sentenza n. 9458 del 1986

 

 

Prova testimoniale

Cassazione sentenza n. 739 del 1998
Cassazione sentenza n. 6141 del 1998

 

Campi elettromagnetici


Configurabilità
Cassazione sentenza n. 8102 del 2002
Cassazione sentenza n. 15717 del 2002 
Cassazione sentenza n. 23066 del 2002

Radio Vaticana
Cassazione sentenza n. 22516 del 2003

Cassazione sentenza n. 5626 del 1999
Cassazione sentenza n. 5592 del 1999

 

Vedi anche: Elettrosmog  - Getto pericoloso di cose

 

 


 


Oggetto della rassegna.
“AmbienteDiritto” vuole offrire ai suoi lettori, attraverso una rassegna sintetica e cronologicamente ordinata, un approfondimento sull’art. 674 c.p. “getto pericoloso di cose” attraverso un esame delle principali sentenze in materia che la Corte di Cassazione ha pronunciato dal 1975 ad oggi.
Perché l’art. 674 c.p. ?
La scelta di approfondire questo argomento nasce dalla constatazione che l’applicazione giurisprudenziale del suddetto reato ha rappresentato, nel corso degli ultimi decenni, un modo per soddisfare, quasi catarticamente, l’esigenza di tutelare la persona, direttamente, e l’ambiente, in modo mediato, contro tutte quelle forme di attività proprie del progresso industriale e tecnologico avvertite dalla società come pericolose e, in senso ampio, “inquinanti”.
Schema adottato.
Si procederà ad un’analisi sintetica e cronologicamente orientata delle diverse sentenze cristallizzando in una breve massima i punti che si riterranno di maggiore interesse, soffermandosi in modo più diffuso solo sulle pronunce più recenti e significative ed, infine, stilando un indice organizzato per argomenti con cui ricercare, in modo rapido, i diversi precedenti giurisprudenziali.
La pubblicazione delle massime, i cui diritti sono riservati all’autore, avverrà in quattro tempi:
1. le sentenze pronunciate dal 1975 al 1988;
2. le sentenze pronunciate dal 1990 al 1995;
3. le sentenze pronunciate dal 1996 al 1999;
4. le sentenze pronunciate dal 2000 al 2003.
Al termine della rassegna sarà pubblicato uno scritto che analizzerà in modo organico l’evoluzione giurisprudenziale in precedenza solo analiticamente osservata.

 

2003 ^

Cassazione penale (III sez.)
Sentenza del 13-01-2003, n. 760
[Pres. Fabbri - Rel. Pepino - PM Galasso]


Il superamento dei limiti fissati in leggi speciali attraverso l'immissione di gas, fumi, vapori e simili non è condizione da sola sufficiente per la configurazione del reato di cui all'art. 674 c.p.
Per la venuta in essere di quest'ultimo è necessario, infatti, che le predette immissioni abbiano carattere effettivamente molesto e dannoso per le persone interessate dall'evento.
In caso contrario, non si avrà la perfezione dell'illecito di cui all'art. 674 ma quello relativo alla legge speciale posto a tutela dei limiti fissati.

Cassazione penale (I sez.)
Sentenza del 21.05.2003, n. 22516
[Pres. Teresi - Rel. Gemelli - PM Fraticelli]



La sentenza in esame ha ad oggetto la nota vicenda che ha visto come protagonista "Radio Vaticana".

Il primo dato da cui partire è quello relativo ad uno degli argomenti centrali dell'intera sentenza : l'art. 11 del Trattato fra l'Italia e la Santa Sede dell'11 febbraio 1929, reso esecutivo in Italia con legge 27 maggio 1929 n.810: " Gli enti centrali della Chiesa cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salvo le disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali), nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili" ( l'articolo in esame è stato oggetto nel passato di due interessanti pronunce a Sez. Unite da parte della Cassazione - Cass. n .2291 del 1991 e Cass. n.4909 del 1989).

La sentenza in esame, infatti, puntualizza che ai sensi del predetto articolo per annoverare un ente o istituto ecclesiastico tra gli "enti centrali della Chiesa" non è sufficiente che esso sia dotato di personalità giuridica, ma accorre anche che rientri fra gli organismi che, come le Congregazioni, i Tribunali e gli Uffici, costituiscono la Santa Sede in senso lato. 
In questa prospettiva la Corte dichiara che si deve escludere che Radio vaticana possa essere intesa come "ente centrale" della Chiesa, sebbene dotata di personalità giuridica e patrimoniale.

Il secondo punto da mettere in rilievo è quello relativo alla constatazione che l'obbligo di ingerenza dello Stato italiano nelle attività degli "enti centrali della Chiesa", così come indicato nel più volte citato art. 11 Trattato, non può, e non deve, giungere sino alla creazione di una "immunità" in campo penale. 


Tuttavia, la complessità della vicenda alla base della pronuncia in esame induce a riportare integralmente il testo della sentenza della Suprema Corte.


TESTO DELLA SENTENZA


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

A seguito di citazione diretta R. T., P. B. e C. P. sono stati sottoposti al giudizio del Tribunale di Roma in composizione monocratica per rispondere di concorso nella contravvenzione di cui all'art. 674 c.p. "per aver diffuso, nella qualità di responsabili della gestione e del funzionamento della, Radio Vaticana, tramite gli impianti siti in Santa Maria di Galeria, radiazioni elettromagnetiche atte ad offendere o molestare persone residenti nelle aree circostanti, in particolare a Cesano di Roma, arrecando alle stesse disagio, disturbo, fastidio e turbamento". 
Si sono costituiti parte civile: V. V. A. E. S., C. - Tribunale dei diritti del malato Onlus, Codacons, Legambiente Onlus, Coordinamento dei Comitati di Roma Nord, nonché A. R. e M. A., anche quali esercenti la potestà di genitori sui figli minori F. e F.; R. M. e P. S., anche quali esercenti la potestà di genitori sui figli minori E. e D.; V. Z. e L. P. anche quali esercenti la potestà di genitori sui figli minori M. e S.. 
Con sentenza del 19 febbraio 2002 il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per difetto di giurisdizione atteso che, dovendosi qualificare la Radio Vaticana quale Ente centrale della Chiesa cattolica, la stessa, a norma dell'art. 11 del Trattato fra la Santa Sede e l'Italia, stipulato l'11 febbraio 1929 e reso esecutivo con la legge n. 810 del 27 maggio 1929, era da considerarsi esente da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salvo le disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali), nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili. 
Ad avviso del Tribunale, la norma in questione avrebbe sancito una "cessione di sovranità" dello Stato italiano che ha pertanto assunto l'obbligazione pattizia di "non ingerenza", nei termini su indicati, con conseguente assenza di tutela giurisdizionale per i cittadini anche di fronte ad una lesione di una norma penale dell'ordinamento giuridico interno, a causa di eventi dannosi o pericolosi verificatisi nel territorio dello Stato, ricollegabili a condotte poste in essere nell'ambito spaziale della Santa Sede. 
Ha sottolineato, in particolare, il giudice di merito che non si possa parlare di violazione dei principi supremi dell'ordinamento costituzionale nel caso di difetto di giurisdizione ricollegato a privilegi ed immunità derivanti da una consensuale e consapevole cessione di sovranità, prevista, codificata ed attuata nel rispetto dei principi generali di diritto internazionale e per di più dotata di garanzia costituzionale. A maggior ragione, poi, nel caso che ci occupa, non è sostenibile tale violazione se solo si rifletta sul fatto che la Costituzione italiana è entrata in vigore il 1° gennaio 1948, ossia 19 anni dopo la stipula dei Patti Lateranensi che, quindi, non possono non essere stati recepiti in modo giuridicamente consapevole dal Legislatore costituzionale. Tutto ciò non significa ovviamente che le situazioni di fatto e di diritto siano immutabili, ma che i mutamenti necessari dettati dall'evoluzione sociale ovvero sopravvenuti dalle conoscenze scientifiche vanno realizzati in modo rituale, seguendo cioè i meccanismi di revisione previsti dall'ordinamento internazionale e/o dall'ordinamento interno. 
Avverso la su indicata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma e le parti civili V. A. E. S., R., A., M., S., Z. e P.. 
Il P.M. censura l'interpretazione che dell'art. 11 ha dato il Tribunale. Secondo il ricorrente, il divieto d'ingerenza non può essere interpretato come rinunzia dello Stato italiano ad esplicare la propria potestà punitiva nei confronti di chi nel suo territorio viola la legge penale, pur se rappresenti (o comunque il suo comportamento sia espressione di) un Ente centrale della Chiesa cattolica. Il divieto d'ingerenza dello Stato italiano negli affari degli Enti su indicati si riferisce infatti all'attività patrimoniale svolta sul territorio italiano, in particolare per gli effetti civili rilevanti per l'ordinamento statuale. Sotto altro profilo, poi, deve essere pacificamente riconosciuto, nel più ampio rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza, il divieto di intromissione nello svolgimento dell'attività istituzionale di detti Enti centrali - posto che tra gli stessi possa annoverarsi Radio Vaticana per la sua struttura, la personalità giuridica e l'autonomia patrimoniale di cui è dotata - avuto riguardo all'innegabile svolgimento di un'attività direttamente funzionale alla missione spirituale della Santa Sede nel mondo e quale indispensabile, principale veicolo di trasmissione e amplificazione del linguaggio evangelico nonché di diffusione della parola del Sommo Pontefice. 
In tale contesto, ritiene il P.M. non pare possa ammettersi che l'attività istituzionale della Radio Vaticana ricomprenda la (eventuale) diffusione di radiazioni elettromagnetiche in misura anomala e molesta (o addirittura pericolosa o dannosa) per i cittadini italiani, in violazione della legge penale italiana. L'ambito senza limiti del divieto di ingerenza accolto dalla sentenza impugnata non implicherebbe solo immunità penale dei responsabili a qualsiasi titolo di un Ente centrale della Chiesa cattolica ma comporterebbe vera e propria deroga totale alla giurisdizione dello Stato italiano. 
Optando per tale interpretazione, nel senso cioè di un'esenzione illimitata dalla giurisdizione italiana prevista dall'art. 11 citato, il Tribunale, che pur ha intravisto "l'assenza di tutela per i cittadini di fronte ad una presunta lesione di una norma penale dell'ordinamento giuridico interno", ben avrebbe dovuto porsi il dubbio di costituzionalità della norma pattizia introdotta con la citata legge n. 810 del 1929 nell'ordinamento giuridico italiano. L'art. 7 co. 2 della Costituzione, riconoscendo allo Stato e alla Chiesa cattolica una reciproca posizione d'indipendenza e di sovranità, non può avere la forza di negare i principi supremi dell'ordinamento costituzionale dello Stato (Corte Cost. sent. n. 30 del 1° marzo 1971). Dunque, non sottraendosi l'art. 11 del Trattato lateranense, immesso nell'ordinamento, al sindacato di costituzionalità seppur limitato e circoscritto al solo accertamento di conformità o meno ai principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale (C. Cost. sentenze n. 18 del 2 febbraio 1982 e n. 26 del 30 gennaio 1985), il ricorrente, che in via principale chiede l'annullamento della sentenza impugnata, in subordine chiede che la Suprema Corte dichiari non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 del Trattato lateranense in riferimento - tenuto anche conto del reato contestato - agli artt. 1 co. 2, 2, 3 co 1. 7 co. 1, 24, 25, 32 co. 1, 102 e 112 della Costituzione. 
La parte civile V. deduce la violazione dell'art. 6 c.p. che ha accolto il principio di territorialità della legge penale: nel caso in esame il reato di cui all'art. 674 c.p., nella specie permanente, è stato (rectius si considera) commesso nel territorio dello Stato, essendosi ivi verificato l'evento. In conseguenza, ha errato il Tribunale nel ritenere il difetto di giurisdizione sulla base dell'art. 11 del Trattato fra Italia e Santa Sede, poiché la non ingerenza prevista dalla norma attiene alle guarentigie di carattere reale contenute nei successivi articoli 13, 14, 15 e 16 e non concede pertanto immunità personali. L'art. 7 della Costituzione, poi, sancisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, sicché il primo è vincolato a non ostacolare la libera esplicazione dei poteri della seconda, ma tale obbligo sussiste solo in quanto l'attività ecclesiastica non esuli dal campo spirituale e religioso e non invada la sfera di sovranità dello Stato italiano, toccando interessi riconducibili all'ordine proprio di quest'ultimo. 
Censura, infine, la ritenuta qualifica della Radio Vaticana quale Ente centrale della Chiesa cattolica. Chiede annullarsi l'impugnata sentenza. 
Le parti civili R., M. e Z., premesso che le onde elettromagnetiche emesse dall'impianto di Radio Vaticana sulle loro abitazioni hanno provocato molestie continue e persistenti, compromettendone la tranquillità anche per la non ingiustificata preoccupazione per la salute propria e dei figli minori, si dolgono della negativa incidenza della sentenza sul loro diritto di agire in giudizio per il risarcimento dei danni per la lesione del diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare, costituzionalmente presidiato. Sottolineano che erroneamente non è stato ritenuto che la "specialità" del diritto di origine concordataria non produce deroghe a norme costituzionali, cui rimane sottordinato (v. artt. 2, 3, 7 co. 1 e 24 della Costituzione). 
A fronte della specifica previsione (art. 7 Cost.) della sovranità e indipendenza reciproca dello Stato e della Chiesa nei rispettivi ordini, la corretta interpretazione dell'art. 11 del Trattato lateranense non può estendere il principio della non ingerenza al punto tale da sottrarre ogni attività degli Enti centrali ecclesiastici a qualunque controllo e sindacato giurisdizionale dello Stato italiano, fornendo immunità assoluta a tutti i soggetti che con quell'Ente entrino in rapporto stabile od occasionale, si da rinunciare alla potestà di reprimere reati ravvisabili nella condotta posta in essere da tali soggetti. 
Per altro verso, si prosegue, non è accettabile l'assunto del Tribunale circa la rilevanza per l'ordinamento italiano di disposizioni precettive unilateralmente emanate da organi costituzionali dello Stato della Città del Vaticano, Stato estero, miranti a svolgere una funzione di interpretazione autentica additiva della norma dell'art. 11 del Trattato e tese a limitare l'esercizio di una funzione tipica della sovranità dello Stato italiano: quella giurisdizionale. 
L'espressione "Enti centrali" non ha rispondenza nell'ordinamento canonico e in quello italiano anteriore al 1929 e l'art. 11 cit. non indica specificamente quali siano gli organi centrali garantiti dal divieto d'ingerenza e nemmeno rimette ad una diversa fonte normativa di derivazione pattizia l'onere di specificarli. Né sembra legittimo un mero rinvio "per relationem" alle norme dello Stato della Città del Vaticano, piuttosto che all'emanazione di norme attuative, con l'indicazione analitica degli Enti che fruiscono del divieto di ingerenza, ovvero, all'applicazione di parametri certi, oggettivamente valutabili. Un rinvio "per relationem" si traduce pertanto in una norma in bianco la cui applicazione risulterebbe suscettibile di variazioni a seconda delle determinazioni unilaterali dello Stato estero, con conseguente violazione della sovranità e indipendenza dello Stato italiano. 
Chiedono, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata e, in subordine, eccepiscono l'incostituzionalità dell'art. 11 della Legge n. 810/1929 in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 24 della Costituzione. 
Con memoria del 31 marzo 2003 la difesa degli imputati, nel sottolineare la corretta interpretazione dell'art. 11 del Trattato lateranense data dal Tribunale di Roma, ne condivide l'impostazione argomentativa, evidenziando tra l'altro l'immunità funzionale configurata dalla norma in questione quale espressione del principio consuetudinario di diritto internazionale generalmente riconosciuto e inserito dal legislatore nell'art. 10 della Costituzione. 
Una memoria è stata altresì depositata dalle parti civili (non ricorrenti) Codacons e Coordinamento dei Comitati di Roma Nord, con la quale si sostiene che chiaramente la non ingerenza di cui all'art. 11 riguarda la sola autorità amministrativa e non l'autorità giudiziaria, in particolare modo in campo penale, regolato da norme inderogabili. L'interpretazione data dal Tribunale alla norma in discorso comporta di conseguenza un conferimento d'immunità di carattere personale a tutti coloro che agiscono in nome della Chiesa cattolica contrario ad ogni norma di diritto e in violazione dei Trattati internazionali sui diritti dell'uomo e dell'art. 2 della Costituzione che pone a base dell'ordinamento la sovranità del popolo italiano e quindi dello Stato. Immunità penale personale nella specie non sorretta da valide argomentazioni giuridiche né specificamente individuata pattiziamente. 
Con memoria dell'8 marzo 2003 le parti civili R., A., M., S., Z. e P. esplicitano quanto dedotto col ricorso in maniera più articolata. In particolare, con riferimento a norme costituzionali e alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, evidenziano l'imprescindibile possibilità di "un'attività giudiziaria minima finalizzata alla realizzazione concreta di posizioni sostanziali giuridicamente garantite e, in primo luogo, di quelle... inviolabili", così prospettando una interpretazione dell'art. 11 costituzionalmente orientata sicché lo "ius singulare" che caratterizza la natura delle norme della legge di esecuzione dei Patti lateranensi non ha capacità di derogare alle norme costituzionali, cui è sottordinato. Conseguentemente, la non ingerenza non può che limitarsi alle attività istituzionali degli Enti centrali della Chiesa ma non può comportare la rinuncia alla tutela giurisdizionale per fatti penalmente rilevanti si da impedire il perseguimento di condotte contrastanti con l'ordinamento e pregiudizievoli dei diritti fondamentali dei cittadini. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. Va premesso che la contestazione in oggetto attiene all'esistenza o meno di fatti (da accertare) eventualmente produttivi di eventi di pericolo o di danno nel territorio dello Stato italiano (art. 6 c.p.) ad urta generalità di persone e, in caso positivo, all'accertamento di responsabilità a carico di tutti o di alcuni degli imputati cui il reato (art. 674 c.p.) è stato ascritto con riferimento a specifiche posizioni di garanzia. La precisazione è importante onde escludere "ictu oculi" che la contestazione attinga materie riservate all'autonomia decisionale della Chiesa cattolica in quanto inerenti alla sua missione d'insegnamento e di evangelizzazione. 
L'esame va, dunque, svolto in direzione della violazione o meno dell'obbligo di non ingerenza che lo Stato si è assunto nei confronti degli Enti centrali della Chiesa cattolica ai sensi dell'art. 11 del Trattato lateranense, per stabilire, nel caso concreto, se l'Autorità giudiziaria italiana abbia il potere/dovere di intervenire a tutela di diritti e interessi lesi da condotte poste in essere nel territorio della Santa Sede ma i cui effetti si siano prodotti nel territorio italiano con eventi costituenti illecito penale. 
2. Il Trattato stipulato l'11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e l'Italia è stato reso esecutivo, unitamente ai quattro allegati annessi e al Concordato di pari data, con la legge n. 810 del 27 maggio 1929. Le successive modifiche al Concordato sono intervenute con l'Accordo del 18-2-1984 (reso esecutivo con la legge n. 121 del 25-3-1985) che all'art. 13 n. 1 stabilisce che - salvo le specifiche eccezioni di cui all'art. 7 n. 6 - le disposizioni del Concordato non riprodotte nel testo sono abrogate. 
L'art. 11 del Trattato prevede che "gli Enti centrali della Chiesa Cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato (salvo le disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali), nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili". 
S'impone di stabilire pertanto se lo Stato italiano, che pur all'interno si è riservato il monopolio in materia penale (art. 25 co. 2 e 3 Cost.), circoscrivendone le fonti alla legge o agli atti aventi forza di legge, abbia pattiziamente abdicato alla propria sovranità nei confronti della Chiesa, con la conseguente esclusione della tutela giurisdizionale di situazioni sostanziali dei cittadini (diritti e interessi protetti, anche a livello costituzionale, quali la salute, la famiglia, l'ambiente (artt. 2, 3, 9, 24, 29, 30, 31, 32 Cost.) attinte da comportamenti illeciti i cui effetti si siano verificati sul suolo italiano. 
3. La norma in esame ha il suo referente storico nell'art. 8 della "legge delle guarentigie" (legge 13 maggio 1871 n. 214 poi abrogata dall'art. 26 del Trattato lateranense) che sanciva il divieto di procedere a visite, perquisizioni o sequestri di carte, documenti, libri o registri negli "uffizi" o "Congregazioni pontificie" rivestiti di attribuzioni meramente spirituali. Il divieto, secondo la lettera della legge, riguardava ingerenze di carattere civile o amministrativo dello Stato italiano ed era finalizzato alla tutela dell'indipendenza e dell'autonomia della Chiesa da intromissioni statuali. 
Con l'espressione "Enti centrali della Chiesa cattolica", che figura nell'art. 11 cit., la Santa Sede ha chiaramente inteso, d'accordo con lo Stato, di non limitare il privilegio" della non ingerenza ai soli Enti spirituali, estendendola anche agli Enti centrali temporali e a quelli misti: ma, anche alla luce del citato referente storico, nulla autorizza a ritenere - contro la lettera e lo spirito della norma - che pattiziamente lo Stato italiano abbia rinunziato alla giurisdizione, in particolare a quella penale, in relazione ad eventi illeciti verificatisi sul suolo nazionale e causati da condotte poste in essere in spazi extraterritoriali della Santa Sede. 
Come la più attenta dottrina ha posto in evidenza, la denominazione "Enti centrali della Chiesa cattolica" non ha rispondenza nel diritto canonico: trattasi di una figura civilistica introdotta dal citato art. 11 che ha il fine di ampliare, appunto, l'incidenza delle garanzie della legge n. 214/1871. Gli stessi vanno individuati nelle Congregazioni, nei Tribunali e negli Uffici che costituiscono la Santa Sede in senso lato e hanno personalità giuridica. Per converso, non ogni Ente che abbia personalità giuridica e autonomia patrimoniale è classificabile come Ente centrale (arg. anche dalla legge 20 maggio 1985 n. 222). Gli Enti centrali sono organismi che costituiscono la Curia romana e provvedono al governo supremo, universale della Chiesa cattolica nello svolgimento della sua missione spirituale nel mondo. 
Un Ente, sia pur dotato di personalità giuridica e di autonomia patrimoniale qual è la Radio Vaticana, creato nell'anno 1932 con funzione meramente strumentale di comunicazione al servizio del ministero della Chiesa, il cui messaggio evangelico soprattutto attraverso la parola del Sommo Pontefice diffonde nel mondo, non pare possa essere qualificato "Ente centrale" nel senso accennato, proprio sulla base di quanto esplicitamente proclama la Costituzione Apostostolica Pastor Bonus sulla Curia romana emanata dal Papa Giovanni Paolo Il (28.6.1988). 
Nella citata Costituzione la Radio Vaticana è indicata come un istituto collegato con la Santa Sede, che non fa parte della Curia romana ma è solo connesso "in qualche modo" alla stessa e "presta" un servizio necessario ed utile al Sommo Pontefice, alla Curia e alla Chiesa universale (art. 186), allo stesso modo del servizio prestato dal Centro televisivo vaticano, dalla Biblioteca apostolica, dalle diverse Accademie pontificie, dalla Tipografia poliglotta, dalla Libreria editrice vaticana e da varie pubblicazioni tra cui "l'Osservatore romano". Entità tutte dipendenti dalla Segreteria di Stato (che l'art. 39 della normativa indica come coadiutrice del Pontefice nell'esercizio della sua missione) o da altri Uffici della Curia romana secondo le rispettive leggi (art. 191). Deve, dunque, prendersi atto che è la legislazione della Chiesa che non comprende la Radio Vaticana fra gli Enti centrali, sicché tale conclusione già esclude in radice l'applicabilità della disciplina dell'art. 11. 
4. Un'esegesi più penetrante dell'art. 11 consente di pervenire, comunque, a conclusioni diverse da quelle alle quali è pervenuta la sentenza impugnata col ritenere che lo Stato italiano si sia spogliato della giurisdizione nei confronti degli Enti centrali della Chiesa cattolica. 
Si è già fatto cenno ai precedenti tentativi di risolvere la "questione romana". Con i Patti lateranensi del 1929 (e col successivo Accordo del 1984) le parti hanno stabilito la non intromissione dell'Italia nella sovranità e nella giurisdizione esclusiva della Santa Sede sulla Città del Vaticano e in generale sui territori - quali sono le aree di S. Maria di Galeria e di Castel Romano in cui sono installati gli impianti della Radio Vaticana - appartenenti a tale Stato estero. Ma che lo Stato italiano non abbia inteso in alcun modo abdicare alla propria sovranità giurisdizionale ma solo al controllo dell'attività patrimoniale degli Enti centrali della Chiesa, come l'eccezione relativa agli acquisti e il richiamo delle norme sulla conversione dei beni immobili contenuti nell'articolo in esame eloquentemente confermano, (v. anche l'art. 7 n. 5 dell'Accordo), è stato chiaramente espresso all'epoca dei Patti lateranensi dall'allora Guardasigilli (v. Atti della commissione mista, 211) che ha in maniera inequivoca puntualizzato come l'esenzione da ogni ingerenza dello Stato si riferiva all'amministrazione dei beni della Chiesa, senza che potesse invocarsi l'obbligo negativo assunto come una rinuncia statuale comportante la dispensa dall'osservanza delle norme penali e di diritto pubblico in genere, la cui indisponibilità resta sempre assoluta in conseguenza della loro obbligatorietà e inderogabilità sul territorio dello Stato. Ciò ha poi avuto la consacrazione costituzionale nel principio d'indipendenza e sovranità dello Stato italiano nel proprio ordine (art. 7 co. 1 Cost.) a condizione di reciprocità con la Chiesa cattolica. Corollario di tale principio è che ove sussista una potestà d'imperio dello Stato è esclusa ogni sovranità e indipendenza della Chiesa, alla quale d'altra parte resta riconosciuta l'assoluta autonomia nell'esercizio del suo alto ministero, ovunque si esplichi. 
Ne consegue che la specialità del diritto di origine concordataria che però non ha la forza di negare i principi supremi dell'ordinamento statuale, lo fa essere necessariamente sottordinato alle norme costituzionali, come ripetutamente ha affermato il giudice delle leggi, che ha ammesso la possibilità del sindacato di costituzionalità delle norme di derivazione pattizia rese esecutive in Italia e di conseguenza inserite nell'ordinamento interno, pur limitandone il giudizio di conformità in relazione ai soli valori essenziali dell'ordinamento costituzionale (sentenze 30, 31 e 32/1971, 16, 17 e 18/1982). 
Ineludibile conclusione, considerando il caso in esame, è che non subisce limitazione alcuna l'intervento statale nella repressione dei fatti illeciti conseguenti a condotte poste in essere da soggetti che non godano di immunità e che siano produttive di eventi verificatisi in territorio italiano rilevanti per il diritto penale. 
Qualunque atto di rilevanza esterna comunque riconducibile agli Enti centrali citati che interferisca con la vita di relazione e con gli interessi protetti dei cittadini deve, pertanto, assumere il connotato del giuridicamente lecito per l'ordinamento italiano: su ciò concorda la dottrina pressoché unanime. 
5. La contraria interpretazione dell'art. 11 equivale a riconoscere l'esistenza di "immunità" personali generalizzate in capo ai rappresentanti e funzionari degli Enti centrali della Chiesa cattolica che i Patti lateranensi e le consuetudini internazionali non contemplano. 
E' errata, insomma, l'equazione "non ingerenza = immunità". 
La non ingerenza (artt. 11 del Trattato, 2, 19 del Concordato modificato dall'art. 3 n. 2 dell'Accordo, 27, 30, 39 del Concordato, 7, n. 4 dell'Accordo in riferimento allo stesso art. 2 del Concordato) si traduce nell'obbligo di non intervento dello Stato, assunto per garantire l'esercizio sovrano, autonomo di attività inerenti all'alto magistero della Chiesa; ma non comporta affatto una rinunzia generalizzata alla sovranità e, quindi, alla giurisdizione. 
L'immunità, invece, e una prerogativa di carattere personale (o reale) dettata da ragione di necessità o da opportunità di carattere politico, limitativa dell'efficacia obbligatoria della legge penale sancita dall'art. 3 c.p. 
La dottrina, in verità, è divisa nel ritenere l'immunità come una vera e propria causa di esclusione della pena (e delle misure di sicurezza) per rendere esenti da ogni conseguenza soggetti titolari di funzioni rilevanti in campo costituzionale o internazionale, ovvero nel ritenerla solo come causa di esclusione della giurisdizione, conservando il fatto il carattere dell'illiceità - con ovvie conseguenze ai fini della risarcibilità dei danni prodotti. 
Sul punto, peraltro, non appare necessario prendere posizione in questa sede: quel che rileva è che, sia che si attribuisca all'immunità carattere sostanziale sia che si attribuisca alla stessa carattere meramente processuale, il risultato che ne consegue e che lo Stato italiano che la riconosca rinuncia all'esercizio della giurisdizione, contrariamente a quanto avviene nell'ipotesi di assunzione dell'obbligo di non ingerenza. 
Nei Patti lateranensi sussistono cause di riconoscimento di immunità personale (artt. 8, 10 co. 3, 12 co. 1 e 2, 19 del Trattato) - e casi di immunità reali (artt. 15, 16, 17 del Trattato, artt. 9 del Concordato, e, poi, art. 5 dell'Accordo del 18-2-1984) -. 
Non è da omettere, inoltre il richiamo all'art. 10 co. 1 della Costituzione entrato in vigore successivamente ("l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute"); nonché alla Convenzione di Vienna del 1961 di cui la Santa Sede e l'Italia sono parti. 
Le prerogative dell'immunità sono previste da specifiche norme che in maniera tassativa limitano la sovranità dello Stato e non sono in alcun modo estensibili a casi non contemplati, vigendo in materia di accordi internazionali il criterio dell'interpretazione restrittiva di impegni che comportino per uno dei contraenti l'accettazione di limiti della propria sovranità (Corte Costituzionale sentenza 169/1971; v. anche art. 31 della Convenzione di Vienna per l'interpretazione di un trattato internazionale anche nel contesto generale dell'accordo e tenendo conto dell'oggetto e dello scopo). 
6. La sentenza impugnata ha considerato la non ingerenza come obbligo includente oltre ogni limite privilegi e immunità conducenti alla cessione della sovranità, quindi anche della giurisdizione, da parte dello Stato italiano, riportandosi al precedente giurisprudenziale più significativo (Cass. Sez. V. Pen. 17.7.1987 ric. Marcinkus e altri) col quale è stata annullata l'ordinanza del Tribunale di Milano confermativa del mandato di cattura per fatti di bancarotta. E' stato affermato in quell'occasione che gli imputati non potessero essere giudicati in Italia avendo operato non come privati individui ma nella veste di dirigenti ed amministratori dello I.O.R. , qualificato Ente centrale della Chiesa cattolica e come tale immune dalla giurisdizione italiana per il principio di non ingerenza secondo l'accordo contenuto nell'art. 11 cit. col quale il contraente assuntore dell'obbligo si sarebbe autodelimitato pattiziamente in favore della controparte di "tutte le pubbliche potestà" tra cui della giurisdizione. 
Questo Collegio, sulla base delle plurime argomentazioni esposte in precedenza, ritiene di doversi meditatamente discostare da quest'ultima conclusione cui la Suprema Corte è all'epoca pervenuta senza un significativo approfondimento della tematica, interpretando la non ingerenza come una sorta di riconoscimento pattizio di immunità di coloro che funzionalmente operassero per conto degli Enti centrali della Chiesa. 
Altrettanto non condivisibile si palesa la soluzione allora adottata dal giudice di legittimità che, pur avendo evidenziato gli effetti derivanti dall'indicata valutazione della portata dell'art. 11, ovverosia la possibile lesione di norme penali dell'ordinamento giuridico statuale, inopinatamente non ha sollevato di ufficio la questione di legittimità costituzionale di detta norma, quanto meno in riferimento all'art. 7 della Costituzione. 
7. Conclusivamente il Collegio ritiene che lo Stato italiano, assumendosi pattiziamente l'obbligo di non ingerenza nei termini e nei limiti suesposti e riconoscendo l'assoluta sovranità e l'indipendenza della Chiesa cattolica in ordine all'attività spirituale e di evangelizzazione (artt. 7 co. 2 Cost., 2, 3, 4, 11, 26 del Trattato e poi 1 e 2 dell'Accordo), ha peraltro conservato la propria sovranità nell'ordine temporale, in particolare non subendo limiti all'esercizio della giurisdizione penale per fatti illeciti i cui eventi si verifichino in territorio italiano e siano legati da rapporto di causalità con condotte poste in essere in territorio appartenente alla Santa Sede. 
Con la conseguente possibilità di tutela giurisdizionale (civile e penale) di diritti e interessi dei cittadini, giuridicamente garantiti da norme ordinarie o costituzionali, lesi da soggetti il cui operato sia funzionalmente riferibile agli Enti indicati dall'art. 11 del Trattato lateranense. 
La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio, affinché il Tribunale di Roma provveda a quanto di competenza nel rispetto dei principi di diritto sopra enunciati. 

P.Q.M. 

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma per il giudizio.

 

2002 ^


Cassazione penale (I sez.)
Sentenza del 27.02.2002 , n. 8102 
[Pres. La Gioia - Rel. Cancheri - P.M. Geraci ] 


In questa pronuncia la Corte di Cassazione dichiara che la propagazione di onde elettromagnetiche da impianti di radiodiffusione non possa integrare la fattispecie di cui all'art. 674 c.p. (Getto pericoloso di cose). 
Due le conclusioni, in estrema sintesi, su cui è necessario soffermarsi:
1. l'affermazione del principio che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 674 C.P., è necessaria la prova della effettiva nocività, per la salute delle persone, delle onde elettromagnetiche;
2. "l'astratta possibilità di inquadramento della condotta di chi genera campi elettromagnetici nella fattispecie penale di cui all'art. 674 C.P. è, alla stregua della vigente legislazione, da escludere, in quanto la suddetta norma descrive due ipotesi di comportamento materiale che differiscono in maniera sostanziale da quello consistente nella emissione di onde elettromagnetiche: l'azione del "gettare in luogo di pubblico transito... cose atte ad offendere, o imbrattare o molestare persone" è ontologicamente, oltre che strutturalmente, diversa dal generare campi elettromagnetici" (testo estratto dalla motivazione).


Cassazione penale (I sez.)
Sentenza del 12.03.2002 , n. 10475 
[Pres. Sossi - Rel. Chieffi - P.M. Fraticelli ] 

L'interesse della sentenza in esame risiede innanzitutto nell'aver ulteriormente specificato il confine tra l'art. 15 legge n. 36 del 2001 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ) e l'art. 674 cod. pen. Affermando che tra esse non sussiste un rapporto di specialità trattandosi di norme dirette alla tutela di beni giuridici diversi.
Inoltre, le modalità stesse attraverso cui viene attuata la tutela è diversa:
1. con l'art. 15 legge 36 del 2001 la condotta è punita con una sanzione amministrativa solo se sono superati i limiti previsti dalla legge;
2. con l'art.674 c.p. la condotta è punibile a prescindere dal superamento dei predetti limiti per il solo fatto di aver cagionato offesa o molestia alle persone.


Cassazione penale (I sez.)
Sentenza del 24.04.2002 , n. 15717 
[Pres. Gemelli - Rel. Siotto] 


L'emissione di onde elettromagnetiche, oltre i limiti stabiliti dalla legge in materia, può configurare gli estremi del reato di cui all'art. 674 c.p. quando risulti accertata la potenziale nocività dell'emissione per la salute umana.
La Corte di Cassazione giunge a questa considerazione argomentando che "…(omissis)…la giurisprudenza di questa Corte, infatti, da un canto, ed in sede di applicazione della previsione contravvenzionale, ha operato una generale quanto sostanziale "smaterializzazione" delle parole "cosa" e "getto" (cfr. Cass. Pen. sentenze 1a sez. n. 739/98 - 3a sez. n. 6141/98 - 1a sez. n. 12497/99), dall'altro canto, ed in sede civile, ha ripetutamente configurato l'emissione di onde elettromagnetiche nella ripetizione di segnali televisivi come specifici oggetti della relazione materiale qualificata come possesso, relazione tutelabile in via interdittale nell'ipotesi di indebita interferenza (cfr. Cass. Civ. sentenze n. 4355/89 - n. 4243/91 - n. 9511/91 - S.U. n. 549/94 - n. 7553/00). Da tale condivisibile orientamento discende, pertanto, che non paiono sussistere ostacoli all'applicazione dell'ipotesi contravvenzionale in esame alla emissione di onde elettromagnetiche ingeneranti un campo (la risultante complessiva della pluralità di emissioni) nocivo per la salute della popolazione esposta (altra essendo la questione, che sarà affrontata appresso, della individuazione dei soggetti alla cui condotta deve essere ascritta la produzione di valori di campo eccedenti i limiti consentiti e nocivi)".

Il secondo punto da analizzare è quello relativo ai requisiti necessari per emettere un provvedimento di sequestro. Infatti, mentre per la venuta in essere dell'elemento strutturale della fattispecie di cui all'articolo 674 c.p. si deve verificare la concreta possibilità che il campo prodotto dalle onde elettromagnetiche sia nocivo per la salute delle persone esposte alla sua azione, per quanto riguarda i requisiti del sequestro preventivo questa certezza non rileva.
"Per la sua adozione, infatti, non è necessario che il Giudice valuti la sussistenza di gravi e specifici indizi di colpevolezza, essendo di contro sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire la astratta sussumibilità del fatto nella fattispecie di reato (cfr. ex multis Cass. 6a sez. n. 2672/99 e n. 741/99)." 


Cassazione penale (I sez.)
Sentenza del 14-06-2002, n. 23066
[Pres. Fazzioli - Rel. Campo - PM Galati] 


Nell'ipotesi di emissione di onde elettromagnetiche generate da ripetitori radiotelevisivi la configurabilità del reato di cui all'art. 674 cod. pen. è subordinata al superamento dei valori indicativi dell'intensità di campo fissati dalla normativa specifica vigente in materia.

Cassazione penale (III sez.)
Sentenza del 19-12-2002, n. 42924
[Pres. Toriello - Rel. Grillo - PM Fraticelli] 


La Corte di Cassazione, in piena sintonia con alcuni suoi precedenti, dichiara che "…(omissis)…nel concetto di gettare o versare di cui all'art. 674 cod. pen.," si deve fare "rientrare anche quello di diffondere, comunque, polveri nelle aree circostanti (così, in un caso simile: Sez. I, 22 settembre 1993, n. 447)."

Nel caso in esame una ditta era stata ritenuta responsabile di aver provocato una "emissione in atmosfera di polveri, derivanti dal carico e scarico di sabbia, senza adottare misure idonee ad evitare un peggioramento delle emissioni".


2001 ^

Cassazione penale (I sez.)
Sentenza del 5.09.2001 , n.33414 
[Pres. Sossi - Rel. Mocali ] 


La necessità di disporre un sequestro preventivo si può verificare in ogni fase e grado del processo; tuttavia, la relativa competenza spetta:
1)al GIP prima dell'esercizio dell'azione penale (art. 321, primo comma, c.p.p.);
2) al giudice della cognizione negli altri casi.

Nel caso specifico esaminato dalla Suprema Corte, l'esigenza di evitare ulteriori conseguenze dannose, dopo la consumazione del reato di cui all'art. 674 c.p., si è palesata dopo la pronuncia della sentenza di primo grado. 
Di conseguenza la Corte di Cassazione ha indicato nel Tribunale giudicante l'organo competente. 

 

1999  ^

 

Cassazione (I sez.)
Sentenza del 11.11.1999, n. 5592


La sentenza in commento si presenta di estrema utilità per iniziare a delineare i punti nevralgici del rapporto tra la produzione di campi elettromagnetici e il reato di getto pericoloso di cose (art. 674 c.p.). La pronuncia in oggetto trae spunto da un’indagine tesa ad accertare l’esistenza di fenomeni di inquinamento da campi elettromagnetici. Durante tale indagine venne accertato, tramite analisi peritale, che alla sommità del trampolino di lancio con l’elastico di un noto “parco dei divertimenti” era posto un radioripetitore che produceva dei valori superiori a quelli normativamente tollerati per i campi elettromagnetici.
Il PM, ipotizzando la realizzazione dei reati di cui all’art. 674 e 675 c.p. e quindi di un grave pericolo per quanti avessero frequentato la predetta attrazione, richiedeva, non attenendolo dal GIP, il sequestro preventivo dell’impianto.
A seguito dell’ordinanza negativa il PM proponeva appello al Tribunale, il quale confermava il provvedimento impugnato.
Le motivazioni addotte dallo stesso Tribunale possono essere così riassunte:
1. appare dubbia la possibilità di configurare le predette fattispecie criminose in relazione alla classificabilità come “cose” dei campi elettromagnetici;
2. non si individuano con certezza gli estremi di una molestia percepibile ed apprezzabile in termini di pericolo;
3. i limiti che sono stati superati sono dettati da una legge regionale e devono essere considerati non «come indici positivi di pericolosità ma come dati di valenza negativa».
Naturalmente il PM si presentava di contrario avviso in quanto «l'elemento materiale della prima ipotesi contenuta nell'art. 674 (gettare o versare cose) particolarmente per quanto concerne il "gettare" è di ampia portata e non ne sono prefissate le modalità, cosicché vi era ricomprensibile l'emissione di onde magnetiche attraverso impianti del genere qui contemplato. Né pareva che non potessero qualificarsi come "cose" (termine, questo, utilizzato dal legislatore con voluta genericità) i campi elettromagnetici, visto che il requisito principale appariva l'attitudine ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che, comunque, l'energia elettromagnetica ha una sua fisicità, essendo suscettibile di misurazione e utilizzazione. E poiché studi recenti avevano individuato la pericolosità del cosiddetto inquinamento elettromagnetico, l'effetto - giuridicamente rilevante - dell'"offendere" poteva ravvisarsi tanto nel danno all'integrità fisica, quanto in quello del decoro personale, cioè nell'attitudine a cagionare lesioni, ma ancor più a determinare una molestia, ovvero una situazione di disagio e turbamento della persona. »
Tuttavia, la Cassazione decide di rigettare il ricorso confermando la correttezza dell’ordinanza impugnata nel punto in cui viene espressamente indicato che «non ricorrono nella fattispecie le condizioni normative per l'emissione della misura cautelare richiesta».

 

Cassazione (I sez.)
Sentenza del 29.11.1999, n. 5626
[Pres. Losana - Rel. Rossi]


La sentenza in esame si presenta di estremo rilievo scientifico nella parte relativa alle argomentazioni logiche utilizzate dalla Suprema Corte per verificare, a prescindere dal dato dell'idoneità lesiva (in concreto mancante nella fattispecie oggetto della pronuncia), la correttezza giuridica della riconduzione delle onde elettromagnetiche emesse dagli elettrodotti nella definizione di “cose” contenuta nell'art. 674, c.p.
E’ ovvio, aggiunge la Corte, che il legislatore del 1930 non ha dettato l’art. 674 c.p. pensando alle onde elettromagnetiche, ma “l’intenzione del legislatore” (art. 12 disp. sulla legge), in sede interpretativa « …va, oggi, intesa come volontà della legge obiettivamente considerata, indipendentemente, cioè, dal pensiero di chi l'ha materialmente redatta. Ma poiché un altro articolo delle disposizioni medesime, il 14, statuisce che le leggi penali "non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati" (art. 25 Cost.; art. 1. cp.), è compito dell'interprete di accertare se la "volontà", che pretende di attribuire alla norma, sia interna o esterna alla stessa, nel senso che possa ricavarli dalla norma stessa, pur dando al testo un significato più ampio di quello che apparentemente risulta da essa (interpretazione estensiva), ovvero debba essere mutuata da una norma diversa o anche dai principi generali dell'ordinamento giuridico (interpretazione analogica)». In questa visione, così come era avvenuto per l’energia elettrica nell’ipotesi di furto, «non sembra arbitraria, dunque, la conclusione che tra le "cose" di cui parla la norma incriminatrice debbono farsi rientrare anche i campi elettromagnetici, per la loro stessa essenza considerati da A. Einstein altrettanto reali "della sedia su cui ci si accomoda", o, più esattamente, i treni di onde, che si disperdono in tutte le direzioni a somiglianza di quelle generate nell'acqua dal lancio di un sasso, quale effetto delle variazioni dei campi medesimi prodotte dalle oscillazioni delle cariche elettriche». In secondo luogo per quanto riguarda la riconduzione semantica del verbo propagare (proprio delle onde elettromagnetiche) all’interno del più ampio significato del verbo “gettare” (proprio dell’ipotesi di cui all’art. 674 c.p.) la Corte dimostra come sia facilmente e consequenzialmente attuabile.
«Il principio di diritto che, in conclusione, può enunciarsi è che il fenomeno noto come inquinamento elettromagnetico è astrattamente riconducibile alla previsione dell'art. 674, cp., il quale, tuttavia, risulta in concreto inapplicabile per la mancanza di uno degli elementi essenziali della fattispecie criminosa».
 

 

1998  ^

 

Cassazione (I sez.)
Sentenza del 21.01.1998, n. 739
[Pres. Saccucci B - Rel. Mocali]


L’interesse della sentenza in esame si manifesta nella rilevanza data al problema dell’accertamento dell’attitudine delle emissioni, di cui all’art. 674 c.p., ad offendere o molestare le persone. In particolare la Corte ammette la sufficienza, in carenza di un accertamento peritale, delle dichiarazioni testimoniali su fatti oggettivamente percepiti. L’attitudine della condotta ad offendere le persone può essere accertata dal giudice anche attraverso dichiarazioni testimoniali. Inoltre, la Corte ribadisce il principio per cui la realizzazione della contravvenzione ex art. 674 c.p. si ha anche quando le emissioni prodotte non siano espressamente vietate da specifiche norme giuridiche in quanto appare sufficiente che le stesse siano percepibili come moleste.
 


Cassazione (I sez.)
Sentenza del 27.02.1998, n. 2598
[Pres. Saccucci B - Rel. - Rel. Bardovagni]


In questa sentenza la Corte di Cassazione affronta il problema della decorrenza del termine prescrizionale per il reato di cui all’art. 674 c.p. La Suprema Corte puntualizza che il reato di “getto pericoloso di cose” ha «…di regola carattere istantaneo e solo eventualmente permanente (cfr. Cass., Sez. 1, 19.10.1985, Ferrofino; 25.2.1989, Mazzoni); la permanenza va ravvisata quando le illegittime emissioni siano connesse all'esercizio di attività economiche e legate al ciclo produttivo (cfr. Cass., Sez. 1, 20.6.1986, Screstani; 30.8.1995, Zanforlini)» (Cass. sentenza n. 1483 del 1990; sentenza n.1360 del 1995).

 

Cassazione (III sez.)
Sentenza del 21-03-1998, n. 3531
[Pres. Tridico - Rel. Morgigni]


In materia penale, in argomento di getto pericoloso di cose, i criteri di normale tollerabilità, così come indicati nell’art. 844 c.c. (Cass. sentenza n. 4539 del 1991; sentenza n. 6216 del 1994), e della priorità d’uso non possono essere utilizzati in quanto attengono rapporti di natura civilistica. La Corte puntualizza che «…in materia penale l'osservanza del precetto non può essere piegato alle esigenze individuali dell'una o dell'altra parte ma va considerato in riferimento alla rigorosa osservanza del dettato normativo. La fattispecie tipica configura un'ipotesi di reato di pericolo, rappresentato dall'idoneità potenziale della cosa versata a molestare o imbrattare le persone in modo percepibile anche se minimo. Ne deriva che un dilavamento di materie oleose, defluenti in un laghetto - in modo da alterare le condizioni delle sponde, divenute melmose, e da creare presenza di sostanze grasse in acqua - rende impraticabile i luoghi proprio per la possibilità d'imbrattamento e di molestia nell'uso della res comune: si determina, infatti, una difficoltà di accesso e la concreta impossibilità di un qualsiasi uso delle acque medesime».
La Suprema Corte, rispondendo sul punto del ricorso in cui il ricorrente si lamentava della carenza di motivazione sull’elemento soggettivo del reato, rileva infine che la descrizione da parte del magistrato dello stato dei luoghi, gravemente e palesemente deturpati, è di per sé sufficiente a motivare la presenza dell’elemento soggettivo.


 

Cassazione (III sez.)
Sentenza del 26.05.1998, n. 6141
[Pres. Senofonte - Rel. Franco]


La Corte riafferma il principio espresso nella sentenza del 21.01.1998, n. 739 per il quale il giudice può fondare il proprio convincimento in merito all’attitudine delle emissioni ( di gas, vapori o fumi) a molestare le persone non solo attraverso la perizia di un esperto, ma anche attraverso delle dichiarazioni testimoniali tese a descrivere quanto gli stessi testimoni hanno effettivamente percepito.
 

 

1997  ^

 

Cassazione (I sez.)
Sentenza del 28.04.1997, n. 3919
[Pres. Carlucci G - Rel. Santacroce G]


La Corte di Cassazione ritorna su un argomento che nel tempo ha generato un elevato volume di sentenze: l’interpretazione dell’inciso “casi non consentiti dalla legge” nell’art. 674 c.p..
La Suprema Corte puntualizza che il legislatore penale con l’art.674 c.p., « …nel punire determinati comportamenti molesti al di fuori dei casi consentiti dalla legge, tende ad operare un bilanciamento di opposti interessi, consentendo l'esercizio di attività socialmente utili, purché ciò avvenga nel rigoroso rispetto dei limiti fissati dalla legge, superati i quali riacquista prevalenza l'esigenza di tutela dell'incolumità pubblica. In quest'ottica, l'inciso "nei casi non consentiti dalla legge" comprende l'esercizio di attività industriali che, pur autorizzate, producono molestie che eccedono i limiti di tollerabilità e sono eliminabili con accorgimenti tecnici opportuni. Ciò è stato evidenziato dalla stessa Corte costituzionale, che, con riferimento alla disciplina sull'inquinamento idrico ed atmosferico, dichiarando la non fondatezza della questione di costituzionalità del combinato disposto degli artt. 674 c.p. e 2 n. 7 d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 in riferimento agli artt. 32 comma 1 e 41 commi 1 e 2 Cost., ha avuto modo di precisare che il limite massimo di emissione inquinante consentito dalla legge non può mai superare quello assoluto ed indefettibile, rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana e dell'ambiente in cui l'uomo vive».
In sintesi: quando l’attività industriale produce delle emissioni che eccedono i limiti di tollerabilità è l’esigenza di tutela dell’incolumità pubblica a prevalere anche se la predetta attività è esercitata con un’autorizzazione amministrativa. (Cass. sentenza n. 6216 del 1994, sentenza n. 3204 del 1992; sentenza n. 8754 del 1991; sentenza n. 4497 del 1988; sentenza n. 7907 del 1986; sentenza n. 10406 del 1984 ; sentenza n. 6006 del 1977; sentenza n. 4681 del 1977; sentenza n. 3993 del 1976; sentenza n. 11292 del 1976; sentenza n. 2796 del 1975)

 

1996  ^

 

Cassazione (I sez.)
Sentenza del 22.01.1996 , n.678
[Il Presidente VALENTE - il Relatore CAMPO]



Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ribadisce che le emissioni maleodoranti prodotte da escrementi di animali tenuti in gabbie o in altri luoghi di ricovero concretizzano le molestie di cui all’art. 674 c.p. quando sono idonee ad offendere le persone che vivono vicino ad esse, turbandone la vita di relazione. Appare, infine, interessante la puntualizzazione interpretativa che la stessa Corte effettua in merito ad una sentenza citata nel ricorso che solo in apparenza sembra confutare il principio in precedenza espresso: «Infine va precisato che la sentenza citata nel provvedimento impugnato (Cass. Sez. I, 24.4.1991, ric. G.) soltanto in apparenza contraddice con il principio sopra enunciato, atteso che nella specie ivi esaminata le esalazioni maleodoranti o comunque sgradevoli non erano prodotte da allevamenti di animali, la cui produzione di escrementi in quantitativi apprezzabili ineluttabilmente produce i "gas" di cui parla il più volte citato art. 674 c.p., sicché la stessa è stata impropriamente indicata per il caso in esame». (Cass. sentenza n. 4539 del 1991; sentenza n. 3669 del 1992; n.10336 del 1993; sentenza n. 138 del 1995; sentenza n. 771 del 1995).



Cassazione (I sez.)
Sentenza del 15.05.1996 , n. 4880
[Pres. De Lillo – Rel.Silvestri]


«Con sentenza del 24-1-1995, il Pretore di Bologna assolveva C. G. e S. M., rispettivamente legale rappresentante e direttore dello stabilimento della s.p.a. F., con sede in Crevalcore, dalle seguenti imputazioni: a) reati di cui all'art. 674 c.p. per l'emissione di polveri atte ad offendere, imbrattare e molestare persone in misura superiore ai limiti di normale tollerabilità (capi A e B); b) reato di cui all'art. 659, comma 2 c.p. per l'esercizio di attività rumorosa in violazione delle prescrizioni di cui al D.P.C.M. 1-3-1992 (capo F); c) violazioni dell'art. 25, comma 1 e 2 d.P.R. n. 203-88 per l'emissione in atmosfera di polveri e di idrocarburi policiclici aromatici con inosservanza dei limiti stabiliti dalla delibera della Regione Emilia Romagna n. 3527 del 12-7-1989 (capi C, D e F). A giustificazione della pronuncia assolutoria, il Pretore rilevava che per i reati di cui ai capi A e B risultava provato il superamento dei limiti di normale tollerabilità ma non sussisteva l'elemento psicologico della fattispecie contravvenzionale; che, quanto al capo F, non era certa l'eccedenza dei rumori ai valori fissati col D.P.C.M. 1-3-1992; che, per i restanti reati, non era stato superato il limite di liceità delle emissioni previsto dalle vigenti disposizioni normative.»
La sentenza in esame è stata impugnata deducendo l’erronea valutazione da parte del Pretore dei risultati dell’accertamento tecnico e la sua non corretta applicazione dei principi giuridici in tema di colpa. La Suprema Corte, però, non ha ritenuto fondati i predetti motivi del ricorso condividendo la posizione del Giudice di merito: «..il giudice di merito ha osservato che dalle risultanze processuali emerge che il C. e lo S., rispettivamente legale rappresentante della s.p.a. F. e direttore dello stabilimento industriale, hanno adottato, anche con notevole anticipo rispetto alle ditte concorrenti e con dispendio di notevoli risorse in termini economici, tecnologie di intervento altamente qualificate per prevenire le immissioni. Alla luce di tali rilievi, dopo avere esattamente precisato che per la punibilità non è sufficiente il nesso causale tra condotta ed evento offensivo, ha riconosciuto che nel caso di specie non può configurarsi quel coefficiente di riferibilità psicologica, che valutato in riferimento alle regole di diligenza prudenza e perizia inerenti all'esercizio di una data attività professionale, concretano la categoria della colpa».
In estrema sintesi il principio di diritto ricavabile dalla sentenza in commento è il seguente: non è configurabile l’elemento soggettivo della colpa, per quanto riguarda la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., quando il titolare di uno stabilimento industriale si è adoperato con tempestività ed impiego di ingenti risorse economiche e tecnologiche a predisporre idonee misure tecniche per prevenire le immissioni di gas, fumi e vapori nocivi provenienti dal suo stabilimento.

 


Cassazione (I sez.)
Sentenza del 30-08-1996, n. 8148
[Presidente De Lillo- Rel.Campo ]


In questa sentenza la Cassazione si sofferma ad analizzare, nel risolvere il ricorso, la struttura dell’art. 674 c.p.
In primo luogo è analizzato l’elemento materiale del reato ribadendone la natura di reato di pericolo in quanto «…è sufficiente che la realizzazione della condotta prevista dalla norma sia idonea a mettere in pericolo l'interesse protetto».
In secondo luogo è analizzato l’elemento psicologico puntualizzando che «…non hanno alcuna rilevanza i motivi e il fine perseguiti dal soggetto, essendo soltanto necessario che la realizzazione della condotta sia attribuibile all'agente quantomeno sotto il profilo del comportamento colposo». (Cass. sentenza n. 714 del 1993; sentenza n.5312 del 1990; sentenza n. 12428 del 1994).
 

 

1995  ^

 

Cassazione (sez. I)
Sentenza del 10.01.1995, n. 138
[Pres. De Lillo - Rel. Sabatini - P.M. Albano]


Un impianto di depurazione che provoca delle esalazioni maleodoranti determina la venuta in essere del reato di cui all’art. 674 c.p. quando provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo atti a offendere, imbrattare o molestare persone.
Nel caso in cui l’impianto sia di proprietà di un Comune l’eventuale responsabilità del Sindaco per inosservanza del dovere di vigilanza dovuto a negligenza deve essere provato attraverso la dimostrazione di un “quid pluris”, cioè di fatti ulteriori rispetto alla semplice constatazione dell’esistenza del problema (tra i diversi possibili, un ruolo principe è rivestito dalla prova dell’effettiva conoscenza della situazione).



Cassazione (sez. I)
Sentenza del 24.01.1995, n. 771
[Pres. Accinni - Rel. Postiglione - P.M. Carlucci]


La Corte di cassazione, nella sentenza in esame, si sofferma ad analizzare le caratteristiche necessarie per far rientrare entro la fattispecie di cui all’art. 674 c.p. (getto pericoloso di cose) le esalazioni maleodoranti.
Le emissioni dovrebbero:
1. avere un carattere non eccezionale e di conseguenza una certa continuità temporale;
2. essere di intensità tale da arrecare un serio e tangibile disturbo fisico;
3. essere idonee ad influenzare la vita e le relazioni dei soggetti da esse offese.
(Cass. sentenza n. 4539 del 1991; sentenza n. 3669 del 1992; n.10336 del 1993; sentenza n. 138 del 1995)



Cassazione (sez. I)
Sentenza del 10-02-1995 n. n. 1360
[Pres Valiante - Rel. Schiavotti - P.M. D'Ambrosio]


La Suprema Corte ha ritenuto il reato di cui all’art.674 c.p. di natura permanente quando per la continuità delle emissioni di fumo, dovuto allo smaltimento di rifiuti, l’attività si era protratta senza sostanziali e rilevanti interruzioni. (Cass. sentenza n. 1483 del 1990).



Cassazione (sez. I)
Sentenza del 11.04.1995 n. 3919
[Pres De Lillo - Rel. Tardino]


La previsione dell’articolo 674 c.p. (getto pericoloso di cose) deve essere inteso come comprensiva anche delle ipotesi di diffusione di polveri nelle aree circostanti. (Cass. sentenza n. 447 del 1994)



Cassazione
Sentenza del 04-12-1995 n. 11868
[Pres La Cava - Rel. Macrì; P.M. Albano]


Per la venuta in essere del reato di cui all’art. 674 c.p. è sufficiente l’attitudine delle polveri emesse da un’attività industriale ad imbrattare e molestare le persone senza la necessaria presenza di conseguenze dannose per la salute delle stesse. (Cass. sentenza n. 3919 del 1995; sentenza n. 447 del 1994)
 

 

1994  ^

 

Cassazione (sez. I)
Sentenza del 19.01.1994, n. 447
[Pres. FRANCO - Rel. BELFIORE - P.M. FIORE]


Nella previsione dell’art. 674 c.p. “Getto pericoloso di cose” rientra anche l’ipotesi di diffusione di polveri nell’atmosfera causate dalle operazioni di sbarco di farina da una nave in quantità e con modalità tali da arrecare pregiudizio od imbrattare le persone.



Cassazione (sez. I)
Sentenza del 19.01.1994, n. 477
[Pres. FRANCO - Rel.CHIEFFI - P.M. DI CICCIO]


L’art. 674 c.p. non vieta in modo esclusivo le emissioni espressamente indicate in specifiche norme; piuttosto tale contravvenzione è diretta a sanzionare tutte quelle emissioni che, superando la soglia di tollerabilità, si rivelano pericolose per la salute pubblica.



Cassazione (sez. I)
Sentenza del 26.01.1994, n. 781
[Pres. De Lillo - Rel. Valente - P.M. TOSCANI]


Con la sentenza in commento la Corte di cassazione si sofferma ad analizzare l’ipotesi di reato prevista nell’ultima parte dell’art.674 c.p.: «Chiunque…(omissis)… nei casi non consenti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori e di fumo, atti a cagionare tali effetti».
La fattispecie in oggetto, causalmente orientata, può essere perfezionata sia da una condotta attiva che da una omissiva. purché sia idonea ad offendere, imbrattare o molestare persone. Il parametro di riferimento per la determinazione del limite di legalità della condotta, per la Suprema Corte, deve desumersi dal tenore dell’art. 844 c.c.

 


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 27-05-1994, n. 6216
[Pres. FRANCO - Rel. GEMELLI - P.M. SCARDACCIONE]


La sentenza in commento si presenta di particolare interesse per il fatto di:
1. ribadire il principio per il quale l’esistenza di un’autorizzazione amministrativa per l’esercizio un’attività insalubre non è da sé sufficiente a fugare una eventuale responsabilità ex art. 674 c.p. quando tale esercizio superi i limiti di tollerabilità ( Cass. sentenza n. 3204 del 1992; sentenza n. 8754 del 1991; sentenza n. 4497 del 1988; sentenza n. 7907 del 1986; sentenza n. 10406 del 1984 ; sentenza n. 6006 del 1977; sentenza n. 4681 del 1977; sentenza n. 3993 del 1976 ; sentenza n. 11292 del 1976; sentenza n. 2796 del 1975);
2. per distinguere i limiti di stretta tollerabilità (sufficienti ad integrare la venuta in essere del reato di cui all’art. 674 c.p.) da quelli di normale tollerabilità (indicati nell’art. 844 c.c.) (Cass. sentenza n. 4539 del 1991).

 


Cassazione (sez. III)
Sentenza del 03-06-1994, n. 6598
[Pres. Glinni - Rel. Postiglione - P.M Gastaldi ]


Il punto di partenza dell’intero ragionamento è quello di scindere il parametro di riferimento della venuta in essere dell’offesa penalmente sanzionata dall’art. 674 c.p. “Getto di cose pericolose” dagli standards indicati nei diversi testi normativi fonte necessaria per determinare l’esistenza di una fonte di inquinamento. Con tale presupposto la Corte, che già in precedenti sentenze aveva puntualizzato l’autonomia del giudizio da compiere per valutare l’irrogazione della contravvenzione ex art. 674 c.p., ha voluto indicare ancor più nel dettaglio che tale parametro, essendo legato alla persona che subisce l’offesa o la molestia, può essere superato anche nei casi in cui non sia stato violato il parametro legale fissato da specifiche norme dirette a tutelare dell’ambiente.

 


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 17.12.1994, n. 12428
[Pres. Pirozzi - Rel. Sabatini - P.M. Esposito]

 

L’art. 674 c.p. prevede nella seconda parte dell’articolato la sanzione per chi, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo atti a offendere, imbrattare o molestare persone. La Suprema Corte prendendo in considerazione la predetta fattispecie ne delinea il carattere definendo la stessa come un reato di pericolo (Cass. sentenza n. 714 del 1993; sentenza n.5312 del 1990).

 

1993  ^

 

Cassazione (sez. I)
Sentenza del 26.01.1993, n. 714
[Pres. VALENTE - Rel. POMPA - P.M. ESPOSITO]


Due spunti contenuti nella motivazione della sentenza appaiono di estremo interesse al fine di delineare l’aspetto particolare della responsabilità che la Suprema Corte ha inteso intravedere nella contravvenzione “Getto pericoloso di cose” (art. 674 c.p.):
1) l’esistenza e la rilevanza di una presunzione di pericolo per talune attività lavorative il cui esercizio è di per sé pericoloso senza bisogno di provarne in concreto l’entità ( nel caso concreto il mestiere di carrozziere di autoveicoli);
2) il fatto che la responsabilità penale ai sensi dell’art. 674 c.p., per eventuali emissioni di gas e vapori nell’esercizio della professione, non è legata alla presenza o meno di impianti di sicurezza che in astratto dovrebbero essere idonei a mantenere tali emissioni entro dei limiti tollerabili, ma all’effettiva prova dell’esistenza di tali emissioni dannose.


Cassazione (sez. I )
Sentenza del 15.11.1993, n. 10336
[Pres. FRANCO - Rel. BELFIORE - P.M.MARTUSCIELLO]


L’art. 674 c.p. oltre ad emissioni di fumo, gas e vapori tende a punire tutte quelle emissioni che arrecano molestie od offesa a persone. Nel caso concreto la Corte ha ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 674 c.p. una persona che mantenendo numerosi cani in un terreno adiacente alla propria abitazione e a quella di altre persone aveva provocato delle emissioni maleodoranti atte ad offendere questi ultimi. [Cass. sentenza n. 4539 del 1991; sentenza n. 3669 del 1992].

 

 

1992  ^

 

Cassazione (III sez.)
Sentenza del 03.03.1992, n. 2338
[ Pres. GLINNI - Rel. RAIMONDI - P.M. MARCHESIELLO]


In questa sentenza la Corte di cassazione esamina il rapporto intercorrente tra le norme della legge 10 maggio 1976 n. 319 e la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. nel caso in cui la fonte dell’inquinamento delle acque sia uno scarico di deiezioni solide di animali. La legge 10 maggio 1976 n. 319 ha natura di fonte speciale rispetto all’ipotesi “Getto pericoloso di cose” prevista dal codice penale, in quanto è diretta a tutelare le acque contro ogni forma di inquinamento, sia esso cagionato da sostanze allo stato solido o liquido.( Cass. sentenza n. 17573 del 1989)



Cassazione (I sez.)
Sentenza del 18.03.1992, n. 3204
[Pres. SIBILIA - Rel. BUOGO - P.M. DI ZENZO ]


L’autorizzazione amministrativa all’esercizio di una attività, come più volte puntualizzato in numerosi precedenti, non è sufficiente ad escludere la configurabilità della contravvenzione prevista dall’art. 674 c.p. Infatti, se l’esercizio di tale attività provoca delle emissioni che vanno oltre i limiti della normale tollerabilità a nulla vale la preesistente autorizzazione in quanto la stessa implicitamente intende autorizzare un’attività esercitata predisponendo idonee misure atte a prevenire eventuali offese.
Nello stesso tempo, però, la prova del superamento dei limiti di tollerabilità diviene una condizione necessaria per ritenere sussistente la venuta in essere di una condotta sanzionabile ai sensi dell’art. 674 c.p. (Cass. sentenza n. 8754 del 1991; sentenza n. 4497 del 1988 ; sentenza n. 7907 del 1986 ; sentenza n. 10406 del 1984 ; sentenza n. 6006 del 1977 ; sentenza n. 4681 del 1977 ; sentenza n. 3993 del 1976 ; sentenza n. 11292 del 1976 ; sentenza n. 2796 del 1975)


Cassazione (I sez.)
Sentenza del 11.06.1992, n. 6932
[Pres. CARNEVALE - Rel. PINTUS - P.M. IANNELLI ]


L’emissione di fumi, gas atti ad offendere o molestare le persone nell’esercizio di un’attività industriale perfeziona il reato previsto all’art. 674 c.p. “getto pericoloso di cose” e non la violazione della legge n. 615 del 1966.
La Corte ricorda che quest’ultima violazione è commessa da chi omette di apprestare impianti, installazioni o dispositivi tali da contenere entro i più ristretti limiti che il progresso della tecnica consenta la emissione di fumi o gas o polveri o esalazioni che, oltre a costituire comunque pericolo per la salute pubblica, possono contribuire all'inquinamento atmosferico. (Cass. sentenza n. 7765 del 1985; sentenza n. 6249 del 1985; sentenza n. 9826 del 1983; sentenza n. 2081 del 1983; sentenza n.5145 del 1977; sentenza n. 4870 del 1977).



Cassazione (sez. I)
Sentenza del 10.11.1992, n. 3669
[Pres. VALENTE - Rel. SACCUCCI - P.M. D’AMBROSIO]


La Suprema Corte affronta il problema relativo alla legittimità dell’applicazione di una misura cautelare in rapporto a condotte configuranti il reato di cui all’art. 674 c.p.; nel caso specifico la Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di una stalla con più di sessanta ovini, i cui escrementi producevano delle esalazioni maleodoranti. La necessità di procedere all’applicazione di tale misura derivava dal fatto che la situazione in esame costituiva un serio pericolo per la salute e l’igiene degli abitanti di una contigua abitazione.


 

1991  ^

 

Cassazione (I sez.)
Sentenza del 24-04-1991, n. 4539
[Presidente VELLA - Rel. BARONE - P.M. IANNELLI]


In questa sentenza viene tracciato uno dei confini esterni dell’art. 674 c.p.; in particolare quello relativo ai limiti con l’ipotesi prevista dall’art. 844 del codice civile.
L’emissione di odori sgradevoli, infatti, non costituisce offesa penalmente rilevante ai sensi dell’art. 674 c.p. se non perfeziona tutti gli elementi dell’illecito. Con questo, però, la Corte non vuole dichiarare che ci sia, nel caso specifico, un vuoto di tutela, ma semplicemente tende ad affermare che le caratteristiche intrinseche dell’offesa non rilevano ai fini della contravvenzione lasciando impregiudicata, nel caso in cui eccedano i limiti posti dall’art. 844 c.c., una eventuale responsabilità civile.



Cassazione (I sez.)
Sentenza del 05.09.1991, n. 8754
[Pres. AIELLO - Rel. LUBRANO DI RICCIO - P.M. FRANGINI]


Come più volte indicato in numerosi precedenti la Corte di Cassazione riafferma il principio secondo cui non è sufficiente l’autorizzazione amministrativa a svolgere un’attività industriale per non incorrere nella contravvenzione di cui all’articolo 674 c.p.; poiché è necessario svolgere tale attività, con la conseguente e inevitabile emissione di gas, fumi e vapori, entro limiti di tollerabilità. Per questo motivo il responsabile deve tenere in estrema considerazione tutte quelle misure tecniche che secondo l’esperienza, i moderni accorgimenti tecnologici e le caratteristiche stesse della suddetta attività consentono di limitare i rischi legati al superamento dei limiti imposti. (Cass. sentenza n. 4497 del 1988 ; sentenza n. 7907 del 1986 ; sentenza n. 10406 del 1984 ; sentenza n. 6006 del 1977 ; sentenza n. 4681 del 1977 ; sentenza n. 3993 del 1976 ; sentenza n. 11292 del 1976 ; sentenza n. 2796 del 1975).

 

 

1990  ^

Cassazione (VI sez.)
Sentenza del 11.04.1990 , n.5312
[Il Presidente VISALLI - il Relatore DE VINCENTIIS - P.M. CIAMPANI]


La fattispecie delineata dal legislatore nell’art. 674 c.p. “Getto pericoloso di cose” rientra nella categoria dei reati di mero pericolo. Per tale motivo il giudice è sollevato dalla necessità di riscontrare l’esistenza di un danno effettivo, essendo sufficiente la semplice propensione, desunta da regole di esperienza e/o scientifiche, delle emissione di gas, vapori o fumo ad arrecare un’offesa secondo quanto indicato nel medesimo articolo 674 c.p. (Cass. sentenza n. 11680 del 1986).


Cassazione (I sez.)
Sentenza del 15.05.1990 , n. 6939
[Il Presidente AIELLO - il Relatore POMPA - P.M. SCOPELLITI]


La Suprema Corte, nella sentenza in esame, si sofferma ad analizzare cosa il legislatore penale abbia voluto indicare con l’espressione di “altrui uso” del luogo privato contenuta nell’art. 674 c.p.. (Chiunque versa, in luogo di pubblico transito o in un luogo privato di comune o di altrui uso, cose atte...). Il significato, per la Corte, è da rintracciare nell’esercizio di una legittima facoltà di utilizzo del luogo privato che spetta ad un soggetto diverso dal soggetto attivo del reato. Tale facoltà può essere originata o dipendere dall’esercizio di un diritto soggettivo esclusivo, da una obbligazione o da qualunque altra fonte legittimata a concederla.


 

1989  ^


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 19-12-1989, n. 17573
[Pres. AIELLO - Rel. LA PENNA - BIMONTE - P.M. PIANURA]


La sentenza in esame affronta l’argomento del rapporto tra la sopravvenuta legge Merli, in particolare dell’art. 26 che espressamente abroga la disciplina previgente in tema di scarichi e di inquinamento idrico e il preesistente art. 674 c.p.. La Corte si esprime a favore della sopravvivenza di quest’ultimo e dell’eventuale possibile concorrenza tra le diverse fattispecie.

 

 

1988  ^


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 12-04-1988, n. 4497
[Pres. MODIGLIANI - Rel. TRICOMI - GALLI - P.M. (CONF)SCOPELLITI]


L’autorizzazione amministrativa non elimina gli obblighi posti in capo al titolare dell’impresa di predisporre tutte le misure idonee ad impedire l’emissione di polvere o vapori idonei ad offendere le persone; infatti, se viene in essere il predetto evento offensivo siamo nel campo operativo dell’art. 674 c.p.
(Cassazione sentenze: n. 7907 del 1986, n. 10406 del 1984; n. 6006 del 1977; n. 4681 del 02.04.1977; n. 3993 del 1976; n. 11292 del 29-10-1976 e n. 2796 del 11.03.1975)


 

1986  ^


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 14-02-1986, n. 1476
[Pres. PICCININNI - Rel. PIANURA - MINGHINI - P.M. APONTE]


Con la sentenza in oggetto la Corte di Cassazione si sofferma ad esaminare l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 674 c.p. “Getto pericoloso di cose”.
Nelle contravvenzioni, così come per i delitti, vi deve essere un legame psicologico che unisce l’autore al fatto punito come reato. Un coefficiente psicologico minimo deve essere presente altrimenti, non si discuterebbe più di elemento psicologico ma di semplice legame causale - materiale tra un fatto e un soggetto.
Nel momento in cui il soggetto agisce in virtù di un provvedimento amministrativo che gli consente di svolgere una data attività industriale, e questa venga svolta nei limiti di tale autorizzazione, il legame psicologico tra fatto e autore viene viziato da un errore così determinante da rompere ogni tipo di legame soggettivo.
L’agente è tratto in inganno da un atto della pubblica amministrazione, in altre parole da un soggetto istituzionalmente delegato a determinare attraverso accertamenti tecnici quali attività industriali possano o meno essere esercitate in base a dei parametri ben definiti.
Il soggetto che ha richiesto, ottenendola, l’autorizzazione amministrativa ad avviare un’attività industriale si è affidato, senza colpa alcuna , ad un giudizio dell’amministrazione e di conseguenza non può essere punito per il reato di getto pericoloso di cose poiché anche se l’evento lesivo oggettivamente si è realizzato, quello che in realtà manca, a causa di un errore sul fatto, è la partecipazione psicologica del soggetto al fatto di reato e in particolare all’antigiuridicità del comportamento punito.
 


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 08-08-1986, n. 7907
[Pres. FLETZER - Rel. MOLINARI - MORANDIN - P.M. MANZILLO]


La Corte puntualizza, appoggiando la sua argomentazione su numerosi precedenti, che la concessione di una autorizzazione amministrativa per l’esercizio di un’attività industriale non esclude, nell’ipotesi che la stessa attività produca fumi, vapori o gas atti ad offendere le persone, dalla responsabilità penale per aver commesso il reato di cui all’art. 674 del codice penale. Il caso in questione aveva ad oggetto un’attività industriale per la lavorazione del legno.
(Cassazione sentenze: n. 10406 del 1984; n. 6006 del 1977; n. 4681 del 02.04.1977; n. 3993 del 1976; n. 11292 del 29-10-1976 e n. 2796 del 11.03.1975 )

 


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 16-09-1986, n. 9458
[Pres. PICCININNI - Rel. POMPA - MAISTRO - P.M. MANZILLO]


Il deposito in un luogo privato di detriti di tipo calcareo, nonostante la loro quantità ed idoneità a mutare il profilo morfologico del suolo, non perfezionano gli estremi della condotta dell’art. 674 c.p.

 


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 23-10-1986, n. 11680
[Pres. FLETZER - Rel. LA CAVA - COLOMBO - P.M. SCOPELLITI]


Il reato di cui all’art. 674 c.p. è un reato di mero pericolo in quanto non è necessaria la verifica in concreto dell’esistenza di un danno. Quello che appare necessario, e allo stesso tempo sufficiente, è l’attitudine del fumo, del gas o del vapore, ad offendere o imbrattare le persone.


 

 

1985  ^


Cassazione (sez. III)
Sentenza del 24-06-1985, n. 6249
[Pres. RADAELLI - Rel. POSTIGLIONE - BONI - P.M. CIAMPANI]


La Corte ritorna, ancora una volta, sul rapporto esistente tra l’art. 674 c.p. e l’art.20 della legge del 13 luglio del 1966, n. 615 puntualizzando che le due norme possono concorrere non escludendosi vicendevolmente.
Le due fattispecie sono poste a tutela di diversi beni giuridici:
1. L’art. 20 della legge del 1966 (legge antismog) ha come scopo precipuo la tutela del bene “aria”, quale bene in sé, contro particolari modalità offensive che si concretizzano in quello che può essere definito, in ampio senso, “inquinamento atmosferico”;
2. L’art. 674 del codice penale è volto alla tutela della persona contro le offese e le molestie derivanti dal getto pericoloso di cose o da emissioni di gas, vapori e fumi.
In altre parole, l’art. 20 rientra, imponendo a determinate attività industriali di utilizzare puntali accorgimenti tecnici atti a prevenire eventi dannosi, in quegli strumenti predisposti dal legislatore italiano contro l’inquinamento atmosferico.
L’art. 674 c.p., invece, è diretto a tutelare contro fenomeni in ampio senso inquinanti e molesti.
(Cassazione sentenze: n. 6249 del 24-06-1985, 9826 del 1983; n. 2081 del 17-03-1983; n. 11329 del 1982; n.5145 del 20-04-1977; n. 4870 del 09-04-1977)
 


Cassazione (sez. III)
Sentenza del 26-08-1985, n. 7765
[Pres. MARTUSCELLI - Rel. DE MAIO - DILIBERTO - P.M. FERRI]


L’autonomia più volte affermata dalla stessa Corte dell’ipotesi prevista all’art. 20 della legge n. 615 del 1966 deriva dal fatto che la fattispecie è diretta a punire, in modo specifico, soltanto l’omessa predisposizione di tutte quelle misure tecniche idonee, alla luce della migliore scienza possibile, a ridurre il rischio di inquinamento. La violazione dei parametri previsti dalla legge o da disposizioni amministrative non rilevano ai sensi della predetta norma costituendo semmai elementi per la perfezione dell’ipotesi di reato prevista all’art. 674 c.p. “ Getto pericoloso di cose”.
(Cassazione sentenze: n. 6249 del 24-06-1985, 9826 del 1983; n. 2081 del 17-03-1983; n. 11329 del 1982; n.5145 del 20-04-1977; n. 4870 del 09-04-1977)

 


1984  ^


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 20-11-1984, n. 10406
[Pres. PICCININNI - Rel. FRANCO - FRANCHI - P.M. SCOPELLITI]


L’autorizzazione ad esercitare una industria insalubre non vuol dire autorizzazione ad esercitare l’attività industriale senza osservare i limiti di una normale tollerabilità e senza l’adozione di tutte quelle misure che l’esperienza e la tecnica reputano idonee a scongiurare eventuali pericoli o semplicemente delle molestie. In altre parole la predetta autorizzazione, nel caso in cui si verificano eventi offensivi non è una “scriminante” idonea a non far venire in essere l’eventuale reato.
Nel caso in questione l’autorizzazione era stata concessa dal sindaco e il reato commesso era quello prvisto all’art. 674 c.p.
(Cassazione sentenze: n. 4681 del 02.04.1977; n. 11292 del 29-10-1976 e n. 2796 del 11.03.1975)
Cassazione (sez. III)
Sentenza del 27-11-1984, n. 10663
[Pres. RADAELLI - Rel. NARDI - MIGLIANTI - P.M. PAGLIARULO]

La Suprema Corte in questa sentenza si sofferma ad analizzare la definizione di “emissioni di gas, vapori o fumo” contenuta nell’art. 674 c.p. e rappresentanti il cuore del reato di getto pericoloso di cose.
Nel caso in specie la Corte ha ritenuto che le esalazioni insalubri di un ovile possano rientrare nella predetta definizione.

 

 

1983  ^


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 17-03-1983, n. 2081
[Pres. REMASCHI - Rel. BOSCHI - AMERIO - P.M. COTRONEI ]


L’emissione di fumi, gas atti ad offendere o molestare le persone nell’esercizio di un’attività industriale perfeziona il reato previsto all’art. 674 c.p. “getto pericoloso di cose” e non la violazione prevista all’art. 20 della legge n. 615 del 1966.
La Corte ricorda che quest’ultima è commessa da chi omette di apprestare impianti, installazioni o dispositivi tali da contenere entro i più ristretti limiti che il progresso della tecnica consenta la emissione di fumi o gas o polveri o esalazioni che, oltre a costituire comunque pericolo per la salute pubblica, possono contribuire all'inquinamento atmosferico .
(Cassazione sentenze: n. 5145 del 20-04-1977 e n. 4870 del 09-04-1977)
 


Cassazione (sez. III )
Sentenza del 15-06-1983, n. 5705
[Pres. PINNARO' - Rel. IANNACCONE - BIONDANI - P.M. MONTELEONE]


Ancora una volta la Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza del reato di cui all’art. 674 c.p. commesso nell’esercizio di un’attività industriale insalubre munita di autorizzazione.
L’autorizzazione non esclude la configurazione dell’art. 674 c.p. in quanto quest’ultima si limita a permettere l’esercizio dell’industria non determinando le modalità attraverso cui tale attività si attui.
Si deduce da quanto esposto che è consentito l’esercizio di quelle industrie insalubri purché i titolari siano muniti di autorizzazione e le stesse attività non producano versamento di rifiuti o emissioni di gas o vapori idonei a recare molestie o offese alle persone.
(Cassazione sentenze: n. 4681 del 02.04.1977; n. 11292 del 29-10-1976 e n. 2796 del 11.03.1975)
 


Cassazione (sez. I)
Sentenza del 19-11-1983, n. 9826
[Pres. BARBA - Rel. BUOGO - GUZIO - P.M. ANTONUCCI]


La Corte, in sintonia con la giurisprudenza degli anni precedenti in tema di rapporto tra l’art. 674 c.p. e l’art.20 della legge n. 615 del 1966, puntualizza che tra le due norme non può esistere un rapporto di specialità poiché sono diversi gli eventi offensivi puniti.
L’art. 674 c.p tutela le persone contro le molestie e le offese derivanti dall’emissione di fumi, gas…, mentre l’art. 20 della legge n. 615 del 1966 tutela l’ambiente contro il comportamento di chi, omette di apprestare impianti, installazioni o dispositivi tali da contenere entro i più ristretti limiti che il progresso della tecnica consenta la emissione di fumi o gas o polveri o esalazioni che, oltre a costituire comunque pericolo per la salute pubblica, possono contribuire all'inquinamento atmosferico.
(Cassazione sentenze: 9826 del 1983; n. 2081 del 17-03-1983; n. 11329 del 1982; n.5145 del 20-04-1977; n. 4870 del 09-04-1977;)
 

 

1982  ^


Cassazione (sez. III)
Sentenza del 25-11-1982, n. 11329
[Pres. DE MARTINO - Rel. POSTIGLIONE - MARZADURI - P.M. FURINO]


La Corte affronta il problema della concorrenza dei reati previsti dalla legge n.319 del 1976 con quello previsto all’art.674 del codice penale “Getto pericoloso di cose”. La Suprema Corte afferma in modo chiaro il possibile e legittimo concorso dei predetti reati alla luce di un esame dei diversi beni giuridici presi in considerazione. La legge n. 319 del 1976 ha come fine la tutela dell’acqua, del suolo e del sottosuolo contro l’attività inquinante mentre l’art. 674 del codice penale tutela le persone da particolari offese derivanti dal getto o dal versamento di cose o da emissioni di gas, di vapori o di fumo.
Dopo aver ammesso ed argomentato la possibile concorrenza dei predetti reati la Corte soffermandosi sulla vicenda concreta sottoposta al suo giudizio afferma che commette il reato di cui all’art.674 c.p., ed eventualmente quelli diversi previsti dalla legge n.319 del 1976 che nella situazione particolare verranno accertati, chiunque versi delle sostanze inquinanti (liquami), idonee ad imbrattare, molestare o offendere persone attraverso emissione di odori nauseabondi.

 

 

1977  ^


Cassazione (VI sez.)
Sentenza del 02.04.1977, n. 4681
[ Pres. PERRETTI - Rel. FOLINO - TASSARA - P.M. PAGLIARULO ]


La Corte, in particolare la VI sezione, riafferma quanto già indicato nelle sentenze del 11.03.1975, n. 2796 e del 29-10-1976, n. 11292: non è sufficiente l’autorizzazione amministrativa a svolgere un’attività industriale per non incorrere nel reato di cui all’articolo 674 c.p.; poiché è necessario svolgere tale attività con la conseguente e inevitabile emissione di fumo e pulviscoli entro limiti di tollerabilità atti a non offendere le persone e tenendo in estrema considerazione tutte quelle misure tecniche che secondo l’esperienza e i moderni accorgimenti tecnologici consentono di limitare i rischi legati al superamento dei predetti limiti.
 


Cassazione (VI sez.)
Sentenza del 09-04-1977, n. 4870
[Pres. MONGIARDO - Rel. SPIZUOCO - CAMPANINI - P.M. LOMBARDI ]


La Corte riafferma in questa sentenza due linee interpretative più volte confermate nei suoi recenti precedenti in argomento di corretta interpretazione dell’art. 674 c.p. “Getto pericoloso di cose”.
Il primo punto che la Suprema Corte affronta è quella del coordinamento e dell’esatta individuazione dell’ambito operativo dell’art. 20 della legge del 13 luglio 1966 n. 615 e l’art. 674 c.p..
Dopo aver riconosciuto la stretta relazione esistente tra le suddette norme sottolinea che:
1. l’art. 20 della legge n. 615 del 1966 (come in precedenza affermato nella sentenza del 24.05.1975, n. 5679) pone l’obbligo a carico del titolare dell’attività industriale di disporre degli impianti tecnici atti a contenere l’emissione di fumi e polveri;
2. l’art. 674 c.p. si riferisce, nel caso in oggetto, a tutte quelle attività che, nonostante la presenza di una licenza di esercizio della fabbrica, producono, attraverso l’immissione di gas, vapori, fumi o cose, un’offesa alle persone.



Cassazione (VI sez.)
Sentenza del 20-04-1977, n. 5145
[Pres. MONGIARDO - Rel. FOLINO - LEVRINI - P.M. SCOTTI]


L’art. 20 della legge n. 615 del 1966 impone dispone «Tutti gli stabilimenti industriali, oltre agli obblighi loro derivanti dalla classificazione come lavorazioni insalubri o pericolose, di cui all'articolo 216 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, devono, in conformità al regolamento di esecuzione della presente legge, possedere impianti, installazioni o dispositivi tali da contenere entro i più ristretti limiti che il progresso della tecnica consenta la emissione di fumi o gas o polveri o esalazioni che, oltre a costituire comunque pericolo per la salute pubblica, possono contribuire all'inquinamento atmosferico.»
Quest’articolo, quindi, è diretto a punire l’eventuale omissione nell’installazione di impianti che consentono di cautelare l’ambiente circostante da emissioni inquinanti.
L’art. 674 del codice penale, invece, è diretto a punire il l’emissione di fumi o gas idonei ad offendere le persone (sentenze: n. 4870 del 09-04-1977; n. 4681 del 02.04.1977; n. 5679 del 24.05.1975)
 


Cassazione (VI sez.)
Sentenza del 12-05-1977, n. 6006
[Pres. MONGIARDO - Rel. FACCINI - PATRUNO - P.M. SCOTTI]


La Corte, rifacendosi ai suoi recenti precedenti, mette in evidenza che in tema di esalazioni provenienti da industrie insalubri la stessa autorizzazione a svolgere tale attività è subordinata ad un corretto esercizio della stessa. Si vuole mettere così in evidenza che l’attività industriale, sebbene autorizzata, deve porre in essere tutte le misure preventive, dettate dalla particolarità dell’attività produttiva e dal contesto in cui si trova ad operare, idonee secondo l’esperienza e la tecnica più avanzata. Il rischio per il titolare dell’industria è quello di incorrere con la sua condotta nella realizzazione del reato di cui all’art. 674 c.p. “Getto pericoloso di cose” nel momento in cui si accerta che le esalazioni provenienti dalle industrie insalubri sono idonee ad offendere o molestare persone.


 

1976  ^


Cassazione (II sez.)
Sentenza del 25.03.1976, n. 3993
[Pres. PISANO GIUNTA - Rel. LOMBARDI - D'ALESSIO - P.M. CAPECELATRO]


La Corte puntualizza che l’autorizzazione per l’esercizio di una attività insalubre non solleva l’industria dal dovere di svolgere tale attività tenendo gli effetti negativi da essa derivanti entro un ambito di tollerabilità idoneo a non provocare danni a terzi.
Se questi limiti vengono superati si realizza, nonostante l’esistenza di un’autorizzazione amministrativa che consente l’attività industriale insalubre, il reato di cui all’art.674 del codice penale.


Cassazione (VI sez.)
Sentenza del 29-10-1976, n. 11292
[Pres. D'OTTAVI - Rel. GIORGIONI - CASARA - P.M. AMOROSO]


La VI sezione della Cassazione con questa sentenza conferma l’indirizzo seguito nella sentenza del 11.03.1975, n. 2796: nell’ambito della fattispecie di reato “getto pericoloso di cose”, disciplinato all’art. 674 del codice penale, l’inciso “nei casi non consentiti dalla legge” deve essere interpretato considerando punibile anche il comportamento di chi, sebbene dotato di autorizzazione per svolgere un’attività industriale, produce delle molestie che vanno oltre i limiti di tollerabilità e che le stesse siano eliminabili attraverso degli accorgimenti tecnici.
 

 

 

1975  ^


Cassazione (VI sez.)
Sentenza del 11.03.1975, n. 2796
[Il Presidente D'OTTAVI - il Relatore IANNACCONE - CARRARA - P.M. SISTI]


Commette il reato di cui all’art. 674 c.p. chiunque, nei casi non consentiti dalla legge provoca delle immissioni ( gas, vapori o fumo) atti a offendere o imbrattare o molestare persone.
Tuttavia, puntualizza la Corte, commette il suddetto reato anche chi, autorizzato all’esercizio di un’attività industriale, genera con tale industria dei fastidi che vanno oltre i limiti della normale tolleranza eliminabili attraverso degli idonei strumenti tecnici.

 


Cassazione (VI sez.)
Sentenza del 24.05.1975, n. 5679
[Pres. LEONE - Rel. FOLINO - VINCON - P.M. LAPICCIRELLA]


Non commette il reato previsto all’articolo 20 della legge 13 luglio 1966 n. 615 ma quello di getto pericoloso di cose (674 c.p.) il titolare di una industria che, fuori dei casi consentiti dalla legge, provoca emissioni di fumo o polveri idonee ad offendere, imbrattare o molestare persone. L’articolo 20 della suddetta legge dispone, infatti, a carico dei titolari delle attività industriali degli accorgimenti tecnici contro l’inquinamento atmosferico e punisce la conseguente eventuale omessa adozione degli stessi. La sentenza tende, così, a ritagliare per ciascuna delle due suddette fattispecie il proprio ambito operativo distinguendo in modo netto i loro diversi elementi costitutivi.