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Origine ed evoluzione del diritto internazionale ambientale. Verso una governance globale dell'ambiente.
Federico Antich
Linee evolutive del diritto internazionale dell'ambiente. Verso un modello di protezione ambientale a livello mondiale
I principali strumenti internazionali di tutela dai rischi ambientali globali. Dal Vertice sui problemi ambientali di Stoccolma al summit mondiale sullo sviluppo sostenibile di JohannesburgIl Vertice sui Problemi Ambientali di Stoccolma (UNCHE, United Nations Conference on Human Environment)
La Conferenza su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development)
L'Agenda 21
La Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC, United Nations Framework Convention on Climate Change)
La Convenzione sulla Diversità Biologica (BD, Convention on Biological Diversity)
La Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta contro la Desertificazione nei Paesi gravemente colpiti dalla siccità e/o desertificazione, con particolare urgenza in Africa (UNCCD, United Nations Convention to Combat Desertification in Countries Experiencing Serious Drought and/or Desertification, particularly in Africa)
Il Protocollo di Kyoto
Il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg (WSSD, Word Summit on Sustainable Development)
La Dichiarazione Politica sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg (The Johannesburg Declaration on Sustainable Development from our origins to the future)
Il Piano d'Azione sullo Sviluppo Sostenibile ("Plan of Implementation of the World Summit on Sustainable Development")
LINEE EVOLUTIVE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE DELL'AMBIENTE. VERSO UN MODELLO DI PROTEZIONE AMBIENTALE A LIVELLO MONDIALE
di Federico Antich
Negli ultimi trent'anni, a fronte del degrado dello stato di salute del pianeta, del crescente inquinamento e dei sempre più frequenti disastri ecologici, la protezione dell'ambiente è divenuta un'esigenza sempre più sentita dalla comunità internazionale, la quale ha progressivamente riconosciuto il valore dell'ambiente naturale, preoccupandosi di stabilire linee programmatiche da seguire per garantirne la salvaguardia ed arginarne il deterioramento1.
Davanti ai danni causati dall'inquinamento, fenomeno che non conosce confini geografici, la legislazione nazionale adottata nei vari Paesi e la protezione riconosciuta all'ambiente anche a livello costituzionale si è dimostrata ben presto insufficiente e l'equilibrio dell'ecosistema è divenuto oggetto di preoccupazione generale2. Gradualmente si è constatata l'insufficienza delle misure ambientali end-of-pipe (misure che intervengono a posteriori) e la necessità di intervenire a monte, nella consapevolezza che qualcosa dovesse cambiare nel rapporto uomo-ambiente e che fosse necessario definire, anche a livello mondiale, una politica ambientale ed una regolamentazione giuridica ad essa ispirata3.
Ciò ha indotto gli Stati a stipulare convenzioni multilaterali, regionali, bilaterali ed a predisporre strumenti volti a proteggere l'ambiente in ogni sua forma. Così, a partire dagli anni '70, la tutela ambientale ha via via assunto un peso maggiore nella considerazione della comunità internazionale che ha cominciato a guardare ad essa come ad una questione globale. In particolare, la Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano (UNCHE, United Nations Conference on Human Environment), tenutasi a Stoccolma nel 1972, ha segnato l'inizio di una presa di coscienza a livello globale ed istituzionale dei problemi legati all'ambiente. Si legge nella relativa dichiarazione finale: "Siamo arrivati ad un punto della storia in cui dobbiamo regolare le nostre azioni verso il mondo intero, tenendo conto innanzitutto delle loro ripercussioni sull'ambiente". Da quel momento la protezione ed il miglioramento dell'ambiente sono divenute, nelle intenzioni delle Nazioni Unite, priorità di capitale importanza, in quanto presupposto del benessere dei popoli e del progresso del mondo intero. Una priorità che obbliga tutti, dai cittadini alle collettività, dalle imprese alle istituzioni, ad assumersi le proprie responsabilità.
Nei due decenni successivi questa presa di coscienza ha dato avvio a numerosi studi e ricerche scientifiche sullo stato di salute del pianeta, anche in virtù dell'istituzione di tre organismi fondamentali: l'UNEP (United Nations Environment Programme - Programma Ambiente delle Nazioni Unite), che insieme all'UNDP (United Nations Development Programme - Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo), alla FAO, all'UNESCO ed alla IUCN (International Union for Conservation of Nature - Unione Internazionale per la Conservazione della Natura), costituisce uno dei riferimenti più importanti per lo sviluppo sostenibile a livello mondiale, la Commissione Brundtland su Ambiente e Sviluppo (WCED, World Commission on Environment and Development) e il Panel scientifico intergovernativo per lo studio dei cambiamenti climatici (IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change). Dalle problematiche direttamente connesse alla salvaguardia dell'ambiente, a partire dagli anni Ottanta l'attenzione è andata gradualmente estendendosi anche ai risvolti sociali della questione ambientale, facendo emergere con sempre maggior evidenza le contraddizioni insite in un modello di sviluppo attento solo alle implicazioni prettamente economiche4.
Ciò nonostante, fino agli anni '80, l'approccio all'ambiente ha avuto una connotazione prevalentemente settoriale e riparatoria, nel solco di una politica ambientale non preventiva, volta perlopiù al rimedio del danno prodotto. Solo a partire dai primi anni '90, si è fatta strada una nuova prospettiva improntata alla prevenzione e riduzione degli ecodisastri: durante la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development), tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, hanno preso forma soluzioni in grado di rispondere all'esigenza di un nuovo approccio, più sensibile alla dimensione sociale, ed alla necessità di creare nuovi strumenti, attraverso i quali avviare un processo di sviluppo sostenibile, nella consapevolezza della stretta interconnessione esistente tra ambiente e sviluppo. È cioè divenuto chiaro che, essendo l'ambiente un problema globale, la sua tutela non poteva più essere perseguita a livello locale e che alla stessa si sarebbe dovuto guardare come ad un presupposto imprescindibile nel pianificare lo sviluppo economico e sociale futuro5.
Il summit di Rio ha rappresentato una svolta: finalmente veniva risolto il dualismo sviluppo-ambiente con la formula dello sviluppo sostenibile; si è parlato di cooperazione tra le Nazioni, tra il Sud e il Nord del mondo, le grandi potenze hanno riconosciuto la propria responsabilità nella produzione dell'inquinamento e si sono convinte di dover collaborare per sostenere i Paesi in via di sviluppo e per raggiungere un maggiore equilibrio tra lo sfruttamento delle risorse naturali e la tutela delle stesse.
Tuttavia, sebbene la conferenza del 1992 abbia condotto all'elaborazione di principi - tuttora - importanti, riuscendo, da un lato, a far maturare nei Paesi industrializzati la consapevolezza di dover prevenire con maggior determinazione i fenomeni di inquinamento, e, dall'altro, a delineare le linee guida essenziali di una politica ambientale per i Paesi in via di sviluppo ancora privi di una legislazione di settore, purtroppo, i risultati cui ha condotto non sono stati del tutto soddisfacenti.
Dal punto di vista pratico, infatti, il piano programmatico dell'UNCED, Agenda 21, che formalizzava alcuni progetti di sviluppo sostenibile nell'intento di creare le basi per i successivi piani di sviluppo, non ha avuto il seguito sperato. Anzi, a dieci anni di distanza, in occasione del successivo summit mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD, World Summit on Sustainable Development) tenutosi a Johannesburg dal 26 agosto al 4 settembre 2002, si è dovuto prendere atto degli scarsi passi avanti fatti sulla strada dello sviluppo sostenibile. Anche le altre Convenzioni internazionali che, fino al Protocollo di Kyoto del 1997, si sono succedute dopo Rio, sono state per lo più occasione di lunghe discussioni e di mere dichiarazioni di intenti.
Ad oggi, purtroppo, la situazione ambientale è tutt'altro che migliorata, come del resto emerge con sempre maggior evidenza dalle numerose ricerche condotte sul tema.
IL VERTICE SUI PROBLEMI AMBIENTALI DI STOCCOLMA (UNCHE)
Tra i diversi tentativi avviati a livello internazionale per pianificare uno sviluppo futuro rispettoso dell'ambiente, occorre far menzione del vertice delle Nazioni Unite sui problemi ambientali tenutosi a Stoccolma dal 5 al 16 giugno 1972 (UNCHE, United Nations Conference on Human Environment) cui hanno partecipato 113 capi di stato e di governo per discutere quali soluzioni adottare su scala planetaria per la tutela dell'ecosistema6.
La Conferenza si è conclusa con la redazione di un Piano di azione contenente 109 raccomandazioni ed una Dichiarazione di principi sull'ambiente umano, in cui si affermava la necessità di intraprendere uno "sviluppo compatibile" con la salvaguardia delle risorse naturali e si fissavano alcuni principi fondamentali sulla relazione tra benessere sociale e tutela del patrimonio ambientale, secondo un criterio di equa distribuzione delle risorse anche di fronte alle generazioni future.
Presupposto della Dichiarazione, approvata il 16 giugno 1972 dai capi delle delegazioni presenti alla Conferenza, era la presa di coscienza dei problemi dell'ambiente e del progressivo deteriorarsi delle sue condizioni, in un momento nel quale, con gli shock petroliferi degli anni Settanta, sono emersi i primi segnali allarmanti degli stretti legami tra ecosistema e crescita economica e si sono resi evidenti i danni all'ambiente causati da uno squilibrato sviluppo industriale.
Di fronte a tale situazione e nella consapevolezza che "la difesa e il miglioramento dell'ambiente è una questione di capitale importanza che riguarda il benessere dei popoli e lo sviluppo economico del mondo intero", emergeva l'esigenza di "regolare le (proprie) azioni verso il mondo intero, tenendo conto innanzitutto delle loro ripercussioni sull'ambiente", di approfondire le conoscenze ed agire più saggiamente in modo da "assicurare (…) condizioni di vita migliori in un ambiente più adatto ai bisogni ed alle aspirazioni dell'umanità".
Allo scopo di salvaguardare e migliorare l'ambiente per le generazioni presenti e future, divenuto per l'umanità un "obiettivo imperativo, un compito da perseguire insieme a quelli fondamentali della pace e dello sviluppo economico e sociale mondiale", la Dichiarazione ha affermato 26 principi su diritti e responsabilità dell'uomo in relazione all'ambiente che ancora oggi rappresentano valide linee guida dell'agire umano e delle politiche di sviluppo. Tra essi figurano:- il diritto fondamentale dell'uomo alla libertà, all'uguaglianza ed a godere di adeguate condizioni di vita, "in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere";
- la responsabilità dell'uomo in ordine alla protezione ed al miglioramento dell'ambiente davanti alle generazioni future;
- la protezione delle risorse naturali della terra, attraverso una loro appropriata pianificazione e gestione, a beneficio delle generazioni presenti e future;
- il mantenimento, e ove possibile il miglioramento, della capacità della terra di produrre risorse rinnovabili vitali;
- l'utilizzazione delle risorse non rinnovabili in modo "da evitarne l'esaurimento futuro e da assicurare che i benefici del loro sfruttamento siano condivisi da tutta l'umanità";
- l'adozione da parte degli Stati di un approccio integrato e coordinato allo sviluppo in modo da assicurarne la compatibilità con l'ambiente e di una pianificazione razionale in grado di conciliare i diversi bisogni dello sviluppo sociale e dell'ambiente naturale;
- la necessità di indirizzare le politiche ecologiche degli Stati "ad elevare il potenziale attuale e futuro di progresso dei Paesi in via di sviluppo" e di giungere ad un accordo tra gli Stati e le organizzazioni internazionali al fine di "far fronte alle eventuali conseguenze economiche e internazionali delle misure ecologiche";
- la messa a disposizione di "risorse atte a conservare e migliorare l'ambiente, tenendo particolarmente conto dei bisogni specifici dei Paesi in via di sviluppo, dei costi che essi incontreranno introducendo la tutela dell'ambiente nel proprio programma di sviluppo e della necessità di fornire loro, se ne fanno richiesta, aiuti internazionali di ordine tecnico e finanziario a tale scopo";
- la destinazione di appropriate istituzioni nazionali alla pianificazione, all'amministrazione ed al controllo delle risorse ambientali dei rispettivi Paesi;
- la cooperazione per mezzo di accordi internazionali o in altra forma allo scopo di "impedire, eliminare o ridurre e controllare efficacemente gli effetti nocivi arrecati all'ambiente da attività svolte in ogni campo".
La Dichiarazione dell'ONU sull'Ambiente Umano, chiedendo ai governi ed ai popoli di cooperare per preservare e migliorare l'ambiente nell'interesse dell'umanità presente e futura, ha segnato un momento importante nel processo di protezione dell'ambiente, in quanto la comunità internazionale ha con essa ufficialmente riconosciuto l'importanza fondamentale dell'ambiente naturale, preoccupandosi di fissare dei principi guida da seguire per consentirne la salvaguardia e ridurne la devastazione. Per la prima volta veniva messo in discussione uno sviluppo economico senza limiti e si palesava, a livello internazionale, il conflitto tra il Nord del mondo, economicamente e tecnologicamente sviluppato, ed il Sud sottosviluppato o in via di sviluppo. Emergeva con chiarezza che i Paesi poveri non potessero più accettare i limiti al loro sviluppo economico imposti dai Paesi ricchi per motivi di tutela ambientale.
Si era dunque alla ricerca di un Nuovo Ordine Economico Internazionale (New International Economic Order, NIEO), ossia di un sistema basato sul diritto dei PVS di ricevere assistenza nel loro sviluppo, sul principio della sovranità permanente di ogni Paese sulle proprie risorse naturali7 e della paritaria partecipazione dei Paesi sottosviluppati alle relazioni economiche internazionali8. Al contempo, si dava vita ad un nuovo approccio alle problematiche ambientali: da allora, infatti, la comunità mondiale si è attivata per la difesa ed il recupero dello stato dell'ambiente e delle sue risorse.
In particolare, a seguito del vertice di Stoccolma è stato istituito, l'anno successivo, l'UNEP (United Nations Environment Programme), un organismo delle Nazioni Unite avente un rilevante ruolo propositivo e di guida nella battaglia per la salvaguardia dell'ecosistema terrestre. Inoltre, coerentemente con quanto stabilito nel quadro dell'UNCHE, ove veniva prevista l'adozione di una serie di azioni volte al monitoraggio delle condizioni dell'ambiente, nel 1977 è stato redatto, per conto dell'ONU, il "Rapporto Leontief"9 inteso a valutare i possibili scenari di fine secolo rispetto al binomio sviluppo-ambiente, mentre, nel 1987, la Commissione mondiale sull'Ambiente e lo Sviluppo (WCED, World Commission on Environment and Development, istituita nel maggio 1984 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite allo scopo di fornire raccomandazioni per un'agenda globale per il cambiamento) ha prodotto il cd. "Rapporto Brundtland" ("Our Common Future")10.
L'importanza di quest'ultimo documento è nota: in esso si è riconosciuto il connubio tra esigenze di sviluppo e protezione dell'ambiente e si è pervenuti a quella definizione di sviluppo sostenibile - quale "sviluppo che soddisfa i bisogni della presente generazione senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri" - che ancora oggi è ritenuta condivisibile. Constatato che il mondo si trovi di fronte ad una "sfida globale" a cui si può rispondere solo attraverso l'assunzione di un nuovo modello di sviluppo, nel Rapporto Brundtland si è formulata una strategia che consentisse di raggiungere uno sviluppo sostenibile: a tale scopo sono stati fissati 22 nuovi principi con la raccomandazione che gli stessi venissero incorporati sia nelle leggi nazionali che in apposite convenzioni internazionali. Questi gli obiettivi cui si sarebbe dovuta indirizzare la politica ambientale degli anni a venire:
- l'intensificazione della crescita economica ed il miglioramento della sua qualità, assicurando scelte giuste ed equilibrate dal punto di vista sociale ed ambientale, e venendo incontro alle esigenze di occupazione, cibo, energia, acqua e sanità ed igiene pubblica;
- la conservazione ed il miglioramento dello stock di risorse naturali;
- il riorientamento della tecnologia ed una migliore gestione del rischio;
- l'integrazione degli obiettivi riguardanti l'ambiente e l'economia nei processi di decisione;
- la ristrutturazione delle relazioni economiche internazionali;
- il rafforzamento della cooperazione internazionale.
Finalmente, con la diffusione del Rapporto Bundtland, si ufficializzava la relazione tra sviluppo e ambiente e la necessità di considerarli come due fattori assolutamente inscindibili nella pianificazione di qualsiasi strategia mirante al progresso dell'intera umanità. Non si poteva più guardare all'ambiente come ad un diritto: era ormai chiaro che si trattasse invece di un dovere dell'uomo, una dimensione essenziale della sua salute, del suo progresso e della sua stessa esistenza, un fattore imprescindibile da integrare nella valutazione dello sviluppo e della ricchezza. Da tale indissolubilità di rapporti emergeva chiaramente la consapevolezza che uno sviluppo duraturo non potesse avvenire in un ambiente depauperato delle sue risorse e che si dovesse passare da un'economia incurante dei suoi nefasti effetti sull'ambiente ad un'economia improntata all'etica della responsabilità, alla conservazione ed all'uso prudente delle risorse naturali 11.
È proprio in tale ottica che pochi anni dopo si è organizzato il summit sulla Terra a Rio de Janeiro (UNCED), in occasione del quale si è cercato di dare effettiva attuazione a questa nuova concezione trasferendola nella prassi politica ed istituzionale del mondo inter12.
LA CONFERENZA SU AMBIENTE E SVILUPPO DI RIO DE JANEIRO (UNCED)
La conferenza su Ambiente e Sviluppo (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development), tenutasi a Rio de Janeiro tra il 3 ed il 14 giugno 1992, rappresenta una tappa fondamentale nel cammino verso la promozione di modelli di sviluppo sostenibile a livello mondiale13. L'obiettivo prioritario dei 183 Paesi che, dopo due anni di intensi lavori preparatori, vi hanno partecipato, era quello di instaurare "una nuova ed equa partnership globale, attraverso la creazione di nuovi livelli di cooperazione tra gli Stati, i settori chiave della società ed i popoli", procedendo attraverso la conclusione di intese internazionali dirette a rispettare gli interessi di tutti gli abitanti della terra ed a tutelare l'integrità del sistema globale dell'ambiente e dello sviluppo.
In tale ottica, in occasione dell'Earth Summit, sono stati raggiunti importanti accordi sul futuro del pianeta ed in particolare:
- la Dichiarazione di Rio (Rio Declaration on Environment and Development14, che ha posto l'accento sul legame tra protezione ambientale e sviluppo, sulla necessità di sradicare la povertà e di tenere conto delle esigenze dei Paesi in via di sviluppo; sull'urgenza di trovare alternative ai modelli di produzione e consumo non sostenibili, di aumentare le capacità autoctone di affrontare le problematiche ambientali (capacity-building), e di promuovere un sistema economico internazionale aperto che fosse di supporto allo sviluppo sostenibile. In tale ottica e nella consapevolezza che occorresse unire gli sforzi per il conseguimento di alcuni obiettivi prioritari - quali la garanzia di un'equità intergenerazionale, il soddisfacimento dei bisogni dei Paesi più poveri, la cooperazione tra Stati, l'obbligo di compensare i danni ambientali, l'accesso alle informazioni ambientali, la valutazione di impatto ambientale -, la Dichiarazione enunciava in forma solenne i principi (27) cui doveva attenersi la futura strategia di sviluppo sostenibile: tra questi il principio secondo il quale, avendo tutti gli individui uguale diritto alle risorse naturali, ogni generazione ha il dovere di lasciare alle generazioni future una natura intatta, il principio precauzionale e il principio "chi inquina paga";
- l'Agenda 2115, consistente in un piano d'azione per specifiche iniziative economiche, sociali ed ambientali e mirante alla definizione di una vera e propria strategia di integrazione tra ambiente e sviluppo, da attuarsi con un impegno coordinato dell'intera comunità internazionale;
- la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC, United Nations Framework Convention on Climate Change)16, contenente le linee guida e le azioni da intraprendere per non compromettere ulteriormente l'atmosfera;
- la Convenzione sulla diversità biologica (Convention on Biological Diversity), con cui si è inteso promuovere un accesso equilibrato alle risorse biologiche degli ecosistemi (in primis le foreste tropicali), incentivando l'assistenza ai Paesi in via di sviluppo ed il trasferimento delle biotecnologie.
Ma il summit di Rio è stato anche l'occasione per altre importanti iniziative, quali l'istituzione della Commissione sullo Sviluppo Sostenibile (Commission on Sustainable Development), nata al fine di incoraggiare e verificare i progressi nell'attuazione degli accordi assunti a Rio da Governi, Agenzie ONU, organizzazioni non governative e da altri settori della società civile, ed il potenziamento del fondo per l'Ambiente Global Environmental Facility (GEF). Inoltre, avendo sancito la necessità di promuovere la "democratizzazione dei processi di formazione delle politiche internazionali", evidenziando l'importante ruolo delle ONG a livello internazionale e dei "gruppi portatori di interesse"17 e sottolineando la necessità di facilitare al massimo l'accesso alle informazioni, la Conferenza di Rio ha avviato una nuova fase della politica internazionale in materia di tutela dell'ambiente, incentrandola sulla costituzione di nuove forme di collaborazione in vista di una nuova società globale18. e sull'integrazione tra le questioni economiche e le questioni ambientali, in una visione intersettoriale ed internazionale ed in un connubio, finalmente, tra azione globale ed azione locale, come testimonia lo slogan allora coniato, "Think globally, act locally"19.
Certamente si può ritenere che il Vertice sulla Terra di Rio, dopo vent'anni da quando la Dichiarazione di Stoccolma aveva stabilito che "la protezione deve avvenire coordinando e coniugando la conservazione della natura con la pianificazione dello sviluppo economico delle popolazioni coinvolte", abbia "risvegliato" la comunità internazionale dal torpore fino ad allora dimostrato ed abbia innescato un atteggiamento più proattivo nell'affrontare le problematiche connesse con l'ambiente. La tutela dell'ambiente, almeno negli intenti, era divenuta un elemento integrato di altre politiche, nel pieno rispetto del concetto di "sviluppo sostenibile". Così, dopo Rio numerosi Paesi hanno preparato delle Agende 21 a carattere nazionale20 e più di 6.000 città in tutto il mondo hanno creato la loro "Agenda 21 locale" per la pianificazione di lungo periodo21.
L'Agenda 21 ha poi trovato attuazione nell'ambito di settori specifici, in relazione ai quali in occasione di diverse conferenze che hanno fatto seguito al Vertice sulla Terra, quali la Conferenza su Popolazione e Sviluppo (Cairo, 1994), il Vertice sullo Sviluppo Sociale (Copenhagen, 1995), la Conferenza Internazionale sulla Donna (Pechino, 1995) e la Conferenza Habitat II (Istanbul, 1996), sono stati adottati dai partecipanti precisi piani d'azione. E ancora, come testimoniato dal DPI (Dipartimento per la Pubblica Informazione) delle Nazioni Unite22, dopo il Vertice sulla Terra sono state intraprese altre iniziative per accrescere la sostenibilità della produzione e dei consumi: tra queste, la previsione di incentivi economici e regolatori (tasse ambientali; multe contro l'inquinamento; piani per la gestione degli scarti, con restituzione dei depositi; codici volontari di condotta; tasse di non conformità e garanzie dell'esecuzione); l'introduzione da parte di numerose imprese di processi produttivi ecocompatibili; il ricorso sempre più diffuso da parte del pubblico ai prodotti biologici e meno inquinanti23.
Tuttavia, nonostante la rilevanza di alcune delle azioni intraprese e sebbene i principi espressi in quella sede rivestano tuttora grande importanza - risolvendosi nella consapevolezza della necessità di promuovere uno sviluppo "ecologicamente saggio e socialmente equo" -, la Conferenza di Rio si è rivelata fallimentare sotto diversi aspetti24.
Innanzitutto, contrariamente all'intento iniziale, non si è pervenuti all'adozione della Carta della Terra, ossia di una dichiarazione universale sulla tutela dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile, che esponesse con chiarezza i diritti e i doveri degli esseri umani nei confronti dell'ambiente naturale, con il fine di porre le basi per un diritto internazionale dell'ambiente. Inoltre, il summit di Rio si è rivelato infruttuoso in relazione alla Convenzione sulla Biodiversità, la quale è stata praticamente invalidata sul nascere dalla mancata adesione degli USA che, in aperta polemica riguardo alla ripartizione dei costi e dei benefici fra Paesi detentori e Paesi utilizzatori, preservando verosimilmente gli interessi del proprio sistema industriale, non l'hanno sottoscritta25. E lo stesso dicasi per la Convenzione sui Cambiamenti Climatici, la cui adozione è stata ostacolata dall'opposizione statunitense a stabilire uno scadenzario preciso per la riduzione delle emissioni ed un'entità precisa di tale riduzione26. Oltre a ciò, non si è dato vita alla Convenzione delle Foreste, in ragione delle enormi fratture emerse tra i Paesi del Sud e quelli del Nord27 e si è dovuto attendere il 1994 per addivenire alla Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione.
Ma è soprattutto dal punto di vista dei risultati concerti sulla salute del pianeta che il vertice di Rio è rimasta una premessa senza seguito: dal 1992 ad oggi la situazione dell'ambiente è decisamente peggiorata, soprattutto in ordine all'equità intragenerazionale - ovvero tra le generazioni presenti - ed all'equità intergenerazionale - ovvero tra generazioni presenti e future. Come osservato da Kofi Annan28, dopo il summit di Rio "si sperava che la protezione ambientale non sarebbe più stata considerata come un lusso o un ripensamento (...), che i fattori ambientali sarebbero stati integrati nelle tematiche economiche e sociali e sarebbero divenute una componente essenziale nel processo di realizzazione delle politiche", che i Paesi ricchi "avrebbero aiutato i Paesi in via di sviluppo a combattere la povertà e ad evitare di percorrere il medesimo cammino inquinante". Tuttavia, tali speranze non hanno trovato riscontro nella realtà: da allora, infatti, i progressi sono stati più lenti di quanto auspicato e la situazione dell'ambiente mondiale è ancora molto lontana dall'essere soddisfacente: "nelle discussioni sulla finanza e sull'economia globale, peraltro - rileva Annan - l'ambiente viene ancora trattato come un ospite a malapena tollerato. Stili di vita caratterizzati da consumi elevati continuano a gravare sui sistemi che supportano la vita naturale del pianeta. Ricerca e sviluppo rimangono desolatamente limitati a causa di finanziamenti insufficienti, e trascurano i problemi dei poveri. Le nazioni industrializzate, in particolare, non si sono spinte sufficientemente avanti nel mantenere le promesse che avevano fatto a Rio, tanto per quel che riguarda la protezione del proprio ambiente naturale, che nell'aiutare i Paesi in via di sviluppo a sconfiggere la povertà"29.
Certamente, un limite della Dichiarazione di Rio è rappresentato dal fatto che essa, così come quella di Stoccolma, si è sostanziata in norme di soft law, ossia nella semplice enunciazione di principi, che non si risolve in uno strumento vincolante per gli Stati che hanno convenuto di aderirvi e che non implica per questi diritti o doveri: il ricorso al soft law, ovviamente, se da un lato favorisce la partecipazione di più Nazioni e la raccolta di un consenso pressoché generalizzato sul riconoscimento dell'esistenza di un problema condiviso e sulla necessità di avviare forme di cooperazione internazionale, dall'altro, trattandosi di uno strumento di natura raccomandatoria, non giuridicamente vincolante, e dunque non direttamente applicabile come regola di diritto, si rivela inidoneo ad indurre effettivamente i partecipanti a rispettare standard ed obblighi specifici30. E lo stato di salute dell'ambiente non fa altro che confermare i limiti di un simile approccio.
Del resto, l'incapacità della comunità internazionale di assumere decisioni in grado di scavalcare interessi specifici a favore del benessere dell'umanità è emersa anche nel giugno del 1997, quando si è tenuto a New York un vertice convocato dall'Assemblea generale dell'ONU ("Rio +5")31 allo scopo di valutare la situazione dopo Rio e di verificare l'attuazione dell'Agenda 21 e degli altri impegni assunti in quell'occasione.
L'AGENDA 21
L'Agenda 21, elaborata in occasione della Conferenza su Ambiente e Sviluppo (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development), tenutasi a Rio de Janeiro tra il 3 ed il 14 giugno 1992, consiste in un vero e proprio piano d'azione da adottare a partire dagli anni '90, strutturato in 40 capitoli dedicati a tutti i campi (sia specifici, quali foreste, oceani, clima, deserti, aree montane, che generali, come demografia, povertà, fame, risorse idriche, urbanizzazione, che intersettoriali, come i trasferimenti di tecnologie) nei quali si riteneva necessario adottare un modello di sviluppo sostenibile e per i quali si definivano le strategie e le misure atte a ridurre l'impatto ambientale delle attività umane ed a fermare il degrado in atto. Pur non contenendo alcun vincolo sul piano giuridico, l'Agenda 21 rappresenta un programma d'azione ad ampio spettro che mira a realizzare, in più di cento aree, una più equilibrata coesistenza tra ambiente e sviluppo in un ambito di generale cooperazione internazionale.
Tra le linee direttrici per uno sviluppo sostenibile, l'Agenda 21 ribadiva i principi basilari del progresso - la partecipazione democratica, l'eliminazione della povertà, la cooperazione internazionale, la conoscenza - e prevedeva tra le necessità più impellenti l'integrazione delle problematiche ambientali ad ogni livello istituzionale e di governo per assicurare una maggior coerenza tra le politiche settoriali; la previsione di un sistema di pianificazione, controllo e gestione per sostenere tale integrazione; l'incoraggiamento della partecipazione pubblica e dei soggetti coinvolti, con piena possibilità di accesso alle informazioni; il trasferimento di risorse finanziarie dal Nord al Sud del mondo, attraverso la destinazione dello 0,7% del PIL di ogni Paese agli aiuti allo sviluppo - ODA, Official Development Aid -.
LA CONVENZIONE QUADRO SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI
Con la Convenzione quadro sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change - UNFCCC) si è fissato l'obiettivo di stabilizzare la concentrazione in atmosfera dei gas serra dovuta all'impiego di combustibili fossili, ad un livello tale da impedire pericolose conseguenze per il sistema climatico. Palesata la massima responsabilità della crescita delle emissioni climalteranti in capo ai Paesi industrializzati, proprio a questi ultimi veniva richiesto "il maggior sforzo economico" ed assegnato "l'onere dell'avvio delle misure" che avrebbero dovuto condurre alla riduzione, nei successivi dieci anni, delle emissioni di anidride carbonica ai livelli del 199032.
La UNFCCC ha inoltre istituito un organismo negoziale, l'INC (International Negotiating Committee), che, dopo la firma del documento, ha proseguito nel suo lavoro preparatorio, riunendosi in altre sei sessioni per discutere le questioni inerenti agli impegni da assumere, ai meccanismi finanziari da predisporre, al sostegno tecnico ed economico da accordare ai Paesi in via di sviluppo ed agli aspetti procedurali ed istituzionali. Tra i suoi compiti anche la determinazione dei meccanismi, dei regolamenti e delle sottostrutture della Conferenza delle Parti (Conference of the Parties - COP), Organo Supremo sul clima che, una volta sciolto l'INC dopo la sua undicesima sessione, tenutasi nel febbraio del 1995, è divenuto la massima autorità della Convenzione. La Conferenza dei Parti, riunitasi per la prima volta a Berlino nel marzo 1995, è stata da allora convocata annualmente per verificare l'effettivo rispetto degli impegni assunti dai Paesi firmatari della Convenzione.
Ad oggi vi sono state già nove Conferenze delle Parti (Berlino, Ginevra, Kyoto, Buenos Aires, Bonn, Aja, Marrakech, Nuova Delhi, Milano). Dalla prima sessione, tenutasi a Berlino nel 1995, ove la COP, incaricata di verificare se l'impegno assunto dai Paesi industrializzati per intraprendere misure volte a riportare le proprie emissioni inquinanti ai livelli del 1990 entro l'anno 2000 fosse adeguata al raggiungimento degli obiettivi della Convenzione, ha rilevato l'inadeguatezza degli oneri da questa imposti ed evidenziato il pericolo che fossero danneggiati gli interessi dei PVS, non responsabili della crescita della concentrazione di anidride carbonica fino ad allora registrata, sono emerse le difficoltà di addivenire ad una soluzione effettiva delle questioni legate al clima: a complicare le intese in quell'occasione è stata in particolare la posizione assunta da USA, Canada, Australia e Nuova Zelanda, che pretendevano di assegnare parte dell'onere ai Paesi poveri; la reazione dei Paesi asiatici (tranne la Corea del Sud), del neo costituito African Group e dell'America Latina (in particolare, la Cina e l'India hanno paventato l'intenzione di produrre tutto il loro fabbisogno di energia a carbone) ha costretto gli Stati Uniti a desistere, convenendo sulla decisione di iniziare la stesura di un protocollo attuativo della Convenzione.
Ma anche le Conferenze successive hanno visto lunghe e travagliate trattative sul problema del clima: una volta adottato, nel corso della terza Conferenza delle Parti a Kyoto nel 1997, il Protocollo di attuazione (cd. Protocollo di Kyoto), nelle sessioni successive di Buenos Aires (1998), Bonn (1999) e l'Aja (2000), gli sforzi sono stati tutti rivolti alla ricerca di una base comune al fine di ratificare il Protocollo stesso e di darvi concerta attuazione. La fuoriuscita degli Stati Uniti, e la reticenza di Paesi come la Russia, il Canada, il Giappone, hanno tuttavia ostacolato il raggiungimento del numero minimo di Paesi (55 Nazioni che rappresentino il 55% delle emissioni mondiali di gas serra del 1990) dai quali il Protocollo di Kyoto deve essere ratificato per entrare in vigore33.
Attualmente, dopo la COP9 tenutasi tra l'1 e il 12 dicembre 2003 a Milano, sono Parti della Convenzione 187 Stati più una organizzazione regionale, mentre 120 hanno ratificato il Protocollo di Kyoto (particolarmente significativa l'adesione di un Paese arabo, lo Yemen). Tuttavia, sebbene numerosi, tali Paesi generano solo il 44,2% delle emissioni totali, per cui ancora non si è raggiunto il quorum del 55% necessario per l'entrata in vigore del trattato: resta evidente che senza la ratifica da parte degli Stati Uniti (che da soli rappresentano il 36,1% delle emissioni di anidride carbonica), sarà molto difficile che l'accordo divenga vincolante per tutti. Anche il rifiuto che la Russia (rappresentativa di un 17%) ha opposto alla ratifica del Protocollo di Kyoto continua ad impedire la sua entrata in vigore.
LA CONVENZIONE SULLA DIVERSITÀ BIOLOGICA
La Convenzione sulla Diversità Biologica (Convention on Biological Diversity), elaborata in occasione della Conferenza su Ambiente e Sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro tra il 3 ed il 14 giugno 1992, mirava a promuovere un accesso equilibrato alle risorse biologiche degli ecosistemi ed invitava alla cooperazione internazionale gli Stati, le organizzazioni intergovernative ed il settore non governativo per lo sviluppo di piani e programmi diretti alla conservazione della biodiversità ed all'uso durevole dei suoi componenti.
Partendo dalla consapevolezza del valore fondamentale della diversità biologica, la CBD ha posto la vitale necessità di conservare in situ gli ecosistemi e gli habitat naturali e di mantenere e ricostituire le popolazioni di specie vitali nei loro ambienti naturali, lasciando alla discrezionalità dei singoli Paesi la determinazione delle modalità di applicazione dei principi ivi contenuti. Essa si è limitata ad indicare una serie di obiettivi sulla base dei quali elaborare opportune strategie per un'efficace conservazione della biodiversità, per la valutazione degli effetti ambientali delle politiche nazionali di sviluppo, per l'accesso alle risorse genetiche ed il trasferimento delle biotecnologie, per la sensibilizzazione delle popolazioni, per la ricerca e la formazione, per lo sviluppo di mezzi scientifici, tecnici ed istituzionali atti a fornire le conoscenze di base necessarie all'elaborazione di misure appropriate ed alla loro attuazione34.
LA CONVENZIONE DELLE NAZIONI UNITE PER LA LOTTA CONTRO LA DESERTIFICAZIONE NEI PAESI GRAVEMENTE COLPITI DALLA SICCITÀ E/O DESERTIFICAZIONE, CON PARTICOLARE URGENZA IN AFRICA
La convenzione delle Nazioni Unite per la lotta contro la desertificazione (UNCCD, United Nations Convention to Combat Desertification in Countries Experiencing Serious Drought and/or Desertification, particularly in Africa)35, adottata a Parigi il 17 giugno 1994, ha l'obiettivo dichiarato "di combattere la desertificazione e mitigare gli effetti dell'aridità in Nazioni che stanno soffrendo a causa di gravi siccità e/o desertificazioni, particolarmente in Africa". A tal fine, la Convenzione ha invitato i contraenti alla massima cooperazione, secondo un approccio di tipo associativo, di partnership, ed ha auspicato il miglioramento della produttività delle terre coltivate, il loro recupero, la loro conservazione, e la loro gestione sostenibile, anche nell'ottica di prevenire le conseguenze a lungo termine della desertificazione, comprese migrazioni di massa, estinzione delle specie animali, cambiamento climatico.
Soprattutto la Convenzione ha chiamato le Nazioni industrializzate ad un nuovo impegno solidale nei confronti delle popolazioni più povere affinché offrano un sostegno concreto ai Paesi in via di sviluppo partecipanti alla Convenzione fornendo loro "effettive risorse finanziarie", promuovendo la mobilitazione di risorse finanziarie adeguate da tutte le fonti istituzionali e private, facilitando l'accesso alle tecnologie ed alle conoscenze. Essa ha stabilito altresì il dovere delle Nazioni colpite dalla desertificazione e dalla siccità di dare prioritaria importanza alla lotta contro tali problemi allocando risorse adeguate in rapporto alle proprie possibilità ed agendo a monte, sui fattori socio-economici determinanti le crisi, promuovendo la consapevolezza e la partecipazione delle popolazioni locali, sviluppando piani di azione locale per combattere la desertificazione mediante una partecipazione delle zone rurali del Paese, e segnatamente di quelle persone che vivono dell'agricoltura. Come si vede, la Convenzione per combattere la desertificazione ha previsto un approccio realmente partecipatorio ai problemi delle terre colpite dalla siccità. Tuttavia, le risorse disponibili per la sua attuazione sono limitate36.
IL PROTOCOLLO DI KYOTO
Il Protocollo di Kyoto, approvato dalla Conferenza delle Parti (COP) nella sua terza sessione plenaria tenuta appunto a Kyoto dall'1 al 10 dicembre 1997 ed aperto alla firma il 16 marzo 1998, contiene le prime decisioni sull'attuazione operativa di alcuni degli impegni stabiliti durante il summit di Rio de Janeiro e formalizzati nella Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC - United Nations Framework Convention on Climate Change), del 199237.
Con l'adozione del Protocollo si è pervenuti ad un importante risultato soprattutto perché esso costituisce nella storia il primo esempio di trattato globale legalmente vincolante. In particolare, applicando alle possibili conseguenze dell'effetto serra il principio precauzionale - in forza del quale si interviene preventivamente, contro minacce potenziali, ipotetiche ed incerte, e dunque contro minacce sulle quali non sussiste alcuna prova tangibile in merito alla possibilità che il disastro ecologico avrà effettivamente luogo-, il Protocollo ha individuato una serie di azioni prioritarie per la soluzione delle problematiche dei cambiamenti climatici globali, imponendo in particolare ai Paesi sviluppati ed a quelli ad economia in transizione dell'est europeo di avviare un processo di collaborazione mondiale su base consensuale, improntato sulla centralità dei problemi del clima globale nello sviluppo socio-economico mondiale.
Con esso la comunità mondiale si è determinata a fissare alcuni obiettivi in termini di riduzione delle emissioni dei gas di cui sono responsabili soprattutto i Paesi sviluppati: l'impegno assunto è stato di ridurre complessivamente le emissioni di anidride carbonica e degli altri gas che provocano il cd. effetto serra del 5,2% rispetto ai livelli del 1990 (per quanto riguarda CO2, CH4, N2O) ovvero rispetto ai livelli del 1995 (per HFCs, PFCs, SF6) nel periodo compreso tra il 2008 ed il 2012 (art. 3)38.
In alcuni settori prioritari (energia, processi industriali, agricoltura e rifiuti) i Paesi sviluppati e quelli ad economia in transizione sono stati chiamati ad elaborare ed attuare politiche ed azioni operative specifiche: essi si sono impegnati, in particolare, ad incrementare l'efficienza energetica nei più rilevanti settori economici e ad elevare le capacità di assorbimento dei gas serra rilasciati in atmosfera (attraverso, ad esempio, azioni di forestazione); dal punto di vista politico economico, si è concordato di eliminare quei fattori di distorsione dei mercati (quali incentivi fiscali, tassazione, sussidi, ecc.) che favoriscono le emissioni di gas serra ed incentivare riforme finalizzate, invece, alla riduzione delle emissioni; con particolare riferimento al settore dell'agricoltura, si sono raccomandate la ricerca e l'adozione di nuove fonti di energia rinnovabile.
Inoltre, gli stessi Paesi sono stati sollecitati a cooperare fra di loro, soprattutto nello scambio delle rispettive esperienze, informazioni e conoscenze acquisite nell'attuazione delle rispettive politiche e misure operative.
Proprio per favorire l'attuazione degli obblighi ed incentivare la cooperazione internazionale, il Protocollo di Kyoto ha introdotto alcune novità rispetto alla Convenzione UNFCCC: oltre alla "joint implementation", che consiste nell'attuazione congiunta di obblighi individuali, ossia nella possibilità di guadagnare crediti investendo in progetti di riduzione delle emissioni nei Paesi sviluppati che hanno accettato gli obiettivi di Kyoto, sono stati stabiliti due nuovi strumenti attuativi: la "emission trading", con la quale si legittima, nella esecuzione dei propri obblighi, il trasferimento dei propri diritti di emissione o l'acquisto dei diritti di emissione di un altro Paese, e il "clean development mechanism", finalizzato a guadagnare crediti investendo in progetti di riduzione delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo, favorendo la collaborazione internazionale e la cooperazione tra Paesi industrializzati e PVS su programmi e progetti congiunti.
Nessuna limitazione alle emissioni di gas ad effetto serra è stato invece previsto per i Paesi in via di sviluppo, in ragione del fatto che l'imposizione di un vincolo, ripercuotendosi sui consumi energetici, sull'agricoltura, sull'industria e sugli altri settori produttivi, avrebbe rallentato il loro cammino verso lo sviluppo socio-economico.
Il Protocollo di Kyoto rappresenta certamente un buon punto di partenza nel percorso verso il recupero di un equilibrato ecosistema, soprattutto perché con la sua entrata in vigore le disposizioni ivi contenute diverranno legalmente vincolanti per tutti: l'uso del futuro è purtroppo d'obbligo visto che i Paesi che finora hanno ratificato il Protocollo raggiungono il 44,5% delle emissioni globalmente generate contro il 55% richiesto per la sua entrata in vigore39. A bloccare il processo sta soprattutto la reticenza degli Stati Uniti40, che contribuiscono ad oltre il 36% delle emissioni globali e senza la firma dei quali mancano perciò le premesse indispensabili per garantire che gli obiettivi intermedi e finali fissati vengano effettivamente raggiunti a livello mondiale41.
IL SUMMIT MONDIALE SULLO SVILUPPO SOSTENIBILE DI JOHANNESBURG (WSSD)
Le aspettative di miglioramento e di avvicinamento al modello così agognato di sviluppo sostenibile che i diversi interventi della comunità internazionale negli ultimi anni del decennio scorso avevano suscitato si sono purtroppo infrante. Come emerso nel corso del recente summit mondiale sullo sviluppo sostenibile (Word Summit on Sustainable Development - WSSD), tenutosi a Johannesburg dal 26 agosto al 4 settembre 200242, con lo scopo - dichiarato dall'Assemblea Generale dell'ONU - di verificare lo stato di attuazione degli impegni assunti a Rio dieci anni prima e degli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite nella Millennium Declaration del settembre 200043, i progressi raggiunti negli ultimi anni in termini di miglioramento dell'ambiente e di sviluppo sostenibile sono stati minimi.
A dieci anni di distanza dal primo summit di Rio, si è dovuto constatare che, pur avendo quest'ultimo provocato una presa di coscienza globale sulle priorità ambientali ed innescato una quantità di processi istituzionali di successo, aprendo la strada verso uno sviluppo compatibile con l'ambiente, comunque esso non abbia prodotto tangibili risultati globali: l'equilibrio ecologico si è deteriorato (si pensi al continuo aumento della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera che da 316 parti per milione in volume nel 1960 è arrivata a 370 ppmv nel 2001, o alla inesorabile diminuzione delle foreste, il cui ritmo nell'ultimo decennio è stato mediamente pari 140.000 Kmq/anno), la povertà mondiale è aumentata44 e il bisogno fondamentale di cambiare radicalmente i modelli di produzione e consumo - un concetto basilare del summit di Rio - è stato pressoché ignorato45.
Di fronte a questa realtà, che porta i segni evidenti di come siano aumentate la pressione sulle risorse naturali e la produzione di inquinamento, è parso chiaro che gli sforzi fino ad allora profusi per evitare e prevenire i rischi e le violazioni in materia ambientale non abbiano purtroppo raggiunto l'obiettivo in modo soddisfacente. "È un mondo molto diverso da dieci anni fa, quello che ha fatto da sfondo al Vertice delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile (…). Il pianeta ed i suoi abitanti soffrono oggi più che mai le conseguenze dell'aggravamento della crisi ambientale globale, dell'aumento del divario tra elite ricche e masse povere, dell'11 settembre, della guerra ormai diffusa, globale e permanente"46.
Con tale consapevolezza i capi di Stato e di Governo dei 191 Paesi partecipanti al vertice di Johannesburg, con l'adesione di numerosi rappresentanti di enti locali e di oltre 700 organizzazioni non governative, hanno ribadito formalmente il loro impegno a conseguire uno sviluppo sostenibile adottando un documento che di tale intento riassume l'oggetto e le modalità di attuazione.
Il documento finale (Risoluzione A/CONF. 199/20, adottata il 4 settembre 2002), in particolare, si compone di una Dichiarazione politica ("The Johannesburg Declaration on Sustainable Development from our origins to the future"), in cui gli Stati firmatari hanno espresso la volontà di raggiungere gli obiettivi fondamentali dello sradicamento della povertà, del cambiamento dei modelli di consumo e produzione insostenibili e della protezione e gestione delle risorse naturali, e di un annesso Piano di azione sullo sviluppo sostenibile ("Plan of Implementation of the World Summit on Sustainable Development"), diretto a colmare alcune delle importanti lacune che hanno ostacolato l'attuazione dell'Agenda 21 e ad affrontare tematiche non adeguatamente discusse in occasione del Vertice sulla Terra, quali l'energia e i modelli di produzione e consumo.
Con il vertice sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg si è cercato di affrontare il nodo centrale di come raggiungere oggi lo sviluppo economico e sociale, ma soprattutto di come renderlo sostenibile rispetto all'ambiente e al futuro del genere umano. Si è tentato cioè, in riferimento alle tre dimensioni dell'economia, dell'ambiente e della società, di trovare un equilibrio umano tra crescita economica, sviluppo sociale e protezione dell'ambiente a partire dall'applicazione dell'Agenda 21. Nei documenti prodotti a Johannesburg non si è più affermata la priorità della crescita economica, bensì quella di intraprendere uno sviluppo sostenibile, uno sviluppo cioè fondato su tre pilastri parimenti importanti e strettamente collegati: quello economico, quello ambientale, con la tutela delle risorse naturali, e quello sociale, con lo sradicamento della povertà47.
Tale era del resto l'aspettativa delle Nazioni Unite alla vigilia del vertice: come affermato da Kofi Annan, così come si può ritenere che "l'Agenda 21 e tutto quello che ne è derivato ci abbia fornito il "quale" - qual'è il problema, quali principi debbono guidare la nostra risposta -, altrettanto si deve auspicare che Johannesburg fornisca il "come" - come provocare i necessari cambiamenti nella politica statale; come impiegare le politiche tributarie e gli incentivi fiscali per trasmettere il giusto segnale al mondo degli affari e dell'industria; come offrire delle scelte migliori ai singoli consumatori e ai produttori; ed infine come "far fare le cose"" 48.
Nonostante l'importanza degli obiettivi fissati nel summit di Johannesburg, tuttavia, la sua preparazione ed il suo svolgimento sono avvenuti in un clima di forte scetticismo. L'obiezione che più ha motivato tale atteggiamento è consistita nell'osservazione che "il disimpegno degli Stati Uniti e di altri Stati industrializzati su questi temi renderà sempre le dichiarazioni, sottoscritte in questi megavertici, una vuota proclamazione di intenti"49.
Anche dopo la chiusura, in effetti, sono state forti le perplessità avanzate sulla sua efficacia: "il vertice di Johannesburg si è chiuso in modo apparentemente deludente, con molti discorsi e pochi accordi concreti "50. Ma soprattutto sembra estremamente scarsa la volontà dei governi nazionali, che pure hanno dichiarato tutti il proprio stato d'allarme per la piena conferma della diagnosi di Rio, di impegnarsi attivamente su temi come quelli dibattuti al vertice di Johannesburg.
Già Rio aveva dimostrato i suoi limiti: le troppe aspettative che aveva sollevato erano state disattese proprio da quei Paesi che più degli altri avrebbero dovuto attivarsi. E ciò ha minato in partenza la credibilità del summit di Johannesburg: ancora una volta, a dieci anni di distanza, si sono manifestate lodevoli intenzioni e si sono assunte inconsistenti decisioni, cui non si è dato finora troppo seguito. "Le scelte internazionali, necessarie per segnare un'inversione della tendenza alla insostenibilità dell'attuale sviluppo, superando almeno alcuni degli insuccessi della Conferenza di Rio, non sono state fatte" - ha osservato Edo Ronchi -. Certo, non ci si poteva aspettare miracoli, ma, prosegue Ronchi, "bastava anche solo un pò più di coerenza fra enunciati generali e impegni concreti, fra diagnosi e terapie, fra consapevolezza della globalizzazione dei problemi e capacità di uscire dai vecchi schemi che alimentano visioni ormai obsolete e riduttive degli interessi nazionali. Abbiamo invece ascoltato e letto interventi dei leaders politici, in generale, salvo poche eccezioni, pieni di buone analisi e di enunciati condivisibili, al punto di essere indotti a ritenere che a quel summit vi fosse un'ampia maggioranza disponibile ad avviare nove e impegnative scelte che poi, invece, al dunque, non si sono viste"51.
L'esito del vertice sullo sviluppo sostenibile poteva risultare scontato considerando che si è inserito in un momento, quale quello attuale, improntato alla globalizzazione e governato dalle leggi di mercato e dal mito del benessere; un'era nella quale difficilmente si riesce ad intravedere uno spazio per una reale tutela della natura, la quale non solo non produce profitto, ma anzi rappresenta un suo seccante impaccio.
Ma il vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile ha acceso anche molte speranze ed elevato il livello di sensibilità verso i problemi ambientali: è infatti innegabile che con esso il tema ambientale abbia acquisito una valenza diversa. La preoccupazione per lo stato di salute dell'ambiente comincia ad essere un'esperienza di massa oltre che una convinzione scientifica ormai altamente condivisa. Il rilievo mondiale assunto dal vertice costituisce certamente un aspetto positivo: esso è stato il summit che ha raccolto maggiore partecipazione, con circa 22 mila presenze tra rappresentanti dei Governi e dei Parlamenti di tutto il mondo, rappresentanti di enti locali e di istituzioni scientifiche, associazioni non governative, sindacati ed imprese. Ed anche l'opinione pubblica mondiale ha seguito ampiamente l'evento, cui erano presenti circa 4.000 membri della stampa. Anche se con ciò non si vuole dire che, visto il successo riscontrato a livello di affermazione e diffusione nel mondo di una nuova consapevolezza, si possa prescindere dall'adeguatezza dei documenti approvati e delle decisioni assunte, bisogna comunque considerare che l'impegno necessario non è solo quello dei politici, dei governanti, degli Stati, delle multinazionali, ma anche e prima di tutto quello di ogni singolo cittadino.
E allora ben venga una maggiore e generalizzata consapevolezza.
Le grandi questioni affrontate a Johannesburg - l'impatto sulla capacità di carico del pianeta dell'attuale sviluppo ad alto spreco di risorse dei Paesi industrializzati, l'esistenza di "global commons", ossia di beni comuni di interesse globale, da rispettare tanto quanto l'ambiente prettamente locale, la consapevolezza che anche localmente si subiscono conseguenze di crisi globali, la presa di coscienza che l'attuale crescita economica sta distruggendo le basi naturali per lo sviluppo futuro e che le risorse primarie per la nostra sopravvivenza non possono essere distrutte per esigenze economiche contingenti, ma anzi che, essendo ormai divenute scarse, e quindi di grande valore, esse vanno conservate per le presenti e per le future generazioni - hanno ormai raccolto ampia condivisione e tale risultato non può non considerarsi significativo52.
Innegabile è poi il fatto positivo che, a differenza di quanto avvenuto a Rio, ove si erano denunciati i problemi e si era suscitata l'attenzione del mondo scientifico, a Johannesburg è emerso che il vero problema da affrontare è di natura politica: si è cioè resa evidente la necessità di instaurare una governance mondiale, la necessità di dare più peso al multilateralismo, coinvolgendo nelle decisioni di rilievo l'intera comunità mondiale53. Ci si è cioè avveduti di dover superare quell'istinto per così dire innato a comportarsi opportunisticamente e dunque a divenire, anche per i global commons, dei free-rider: la cooperazione internazionale si palesa come lo strumento indispensabile al fine di una implementazione globale dello sviluppo sostenibile, il quale, "lungi dall'essere un peso, rappresenta un'opportunità eccezionale economicamente, per costruire i mercati e creare fonti di lavoro; socialmente, per coinvolgere le persone ai margini; e politicamente, per ridurre le pressioni sulle risorse che potrebbero portare alla violenza, oltre che per dare a ogni uomo e ad ogni donna l'opportunità di far sentire la propria voce, e la possibilità di decidere sul proprio futuro"54.
LA DICHIARAZIONE POLITICA SULLO SVILUPPO SOSTENIBILE
La Dichiarazione politica sullo Sviluppo Sostenibile ("The Johannesburg Declaration on Sustainable Development from our origins to the future")55, firmata dagli Stati in occasione del summit mondiale sullo sviluppo sostenibile (Word Summit on Sustainable Development - WSSD), tenutosi a Johannesburg tra il 26 agosto ed il 4 settembre 2002, ribadisce gli impegni sottoscritti nei precedenti vertici sullo sviluppo sostenibile evidenziando le interdipendenze tra i problemi ambientali e quelli sociali e sottolineando l'importanza di ridurre "il profondo contrasto che divide la società tra ricchi e poveri ed il crescente divario tra i mondi sviluppati e quelli in via di sviluppo", al fine di assicurare la stabilità e la prosperità globali.
La Dichiarazione si compone di una trentina di punti divisi in sei paragrafi:
- "Dalle nostre origini al futuro", ove si afferma la necessità improcrastinabile di conciliare il progresso economico e civile delle popolazioni con le esigenze di protezione dell'ambiente;
- "Da Stoccolma a Rio de Janeiro a Johannesburg", in cui si rievocano i principi e gli obiettivi fissati nei tre vertici fondamentali sullo sviluppo sostenibile;
- "Le sfide da raccogliere", ove si sottolineano le interdipendenze tra i problemi ambientali e quelli sociali;
- "Il nostro impegno verso lo sviluppo sostenibile", in cui figura, tra gli obiettivi prioritari da raggiungere, lo sradicamento della povertà;
- "Multilateralismo", ove si in cui si afferma la necessità di istituire organismi di controllo dei progetti;
- "Che si avveri!", in cui auspica la concreta attuazione delle dichiarazioni di intenti pronunciate a Johannesburg.
Per raggiungere l'obiettivo della sostenibilità, a conclusione della Dichiarazione si è affermato solennemente l'impegno di tutti i Paesi ad agire insieme, uniti dalla comune determinazione di salvare il pianeta e di promuovere lo sviluppo umano, in "un processo onnicomprensivo, che coinvolge tutti i maggiori gruppi e governi che hanno partecipato allo storico Summit di Johannesburg" e che tende ad assicurare che la collettiva speranza di sviluppo sostenibile delle popolazioni del mondo e delle generazioni future sia realizzata.
IL PIANO D'AZIONE SULLO SVILUPPO SOSTENIBILE
Il Piano d'azione sullo Sviluppo Sostenibile ("Plan of Implementation of the World Summit on Sustainable Development"), adottato in occasione del summit mondiale sullo sviluppo sostenibile (Word Summit on Sustainable Development - WSSD) di Johannesburg ed annesso alla Dichiarazione politica sullo Sviluppo Sostenibile ("The Johannesburg Declaration on Sustainable Development from our origins to the future"), definisce concretamente alcuni obiettivi prioritari del più ampio processo verso il conseguimento di uno sviluppo sostenibile. I più significativi riguardano:
- la cooperazione, per cui si è deciso di destinare ad un fondo per la solidarietà lo 0,7% del prodotto interno lordo dei Paesi ricchi e si sono stabiliti ben 562 progetti bilaterali tra Paesi industrializzati e Paesi poveri relativi a diverse aree di intervento (tra queste povertà, energie rinnovabili, purificazione delle acque), per la cui attuazione, prevista nell'arco di dieci anni, sono stati stanziati inizialmente 1500 milioni di euro56;
- le risorse idriche, in relazione alle quali si è assunto l'impegno di dimezzare, entro il 2015, il numero di persone (attualmente 2,4 miliardi) che non hanno accesso all'acqua potabile ed ai servizi igienici57;
- l'energia, per la quale gli Stati aderenti si sono impegnati genericamente ad un "sostanziale incremento" dell'uso di fonti rinnovabili di energia (eolica, solare, biomasse ecc.)58;
- la protezione della biodiversità, attraverso una significativa riduzione, entro il 2010, del ritmo di estinzione della varietà delle specie viventi, ed il mantenimento dell'abbondanza e della varietà delle specie ittiche, mediante messa al bando di tecniche di pesca devastanti ed imposizione del rispetto dei periodi di riproduzione59;
- l'eliminazione delle sostanze chimiche tossiche e nocive (in particolare dei pesticidi in agricoltura) entro il 2020;
- il clima, in relazione al quale sono stati ribaditi gli impegni assunti nella Convenzione di Rio sui cambiamenti climatici60, e si è fatto appello per la ratifica del Protocollo di Kyoto a quei Paesi che ancora non lo avessero fatto61;
- la collaborazione, con e tra i Governi, la società civile e il settore privato, quale strumento integrativo dell'azione governativa diretta a perseguire lo sviluppo sostenibile62.
L'UNEP
L'UNEP (United Nations Environment Programme) ha la sede principale a Nairobi, in Kenya, ed altre sedi e uffici di rappresentanza amministrativa a Bangkok, Bonn, Ginevra, Manama (Bahrain), Città del Messico, New York, Osaka, Parigi, Montreal e Vienna. I suoi organi di direzione sono il Governing Council (composto da 58 governi di 5 regioni geografiche eletti dall'Assemblea Generale per un periodo di 4 anni), il Committee of Permanent Representatives (Comitato dei rappresentanti permanenti) e l'High-Level Committee of Ministers and Officials; l'UNEP collabora poi con altre agenzie delle Nazioni Unite, comunità internazionali scientifiche e professionali, organizzazioni non governative, la società civile e, soprattutto, governi.
Ad esso infatti spetta il compito di promuovere le iniziative ONU sulle questioni ambientali, sollecitando la massima collaborazione e coordinando le politiche ambientali delle organizzazioni ONU e dei vari governi; di supervisionare le problematiche ambientali ed indirizzare la coscienza mondiale stimolando la pubblica consapevolezza sulle questioni che riguardano l'ambiente mediante la diffusione di informazioni sulle principali problematiche e sulle possibili soluzioni63; di agevolare lo scambio di informazioni sulle tecnologie ecologicamente compatibili e di fornire ai Governi consulenza tecnica, legale ed istituzionale; di coordinare le azioni delle comunità scientifiche ed economiche e delle associazioni ambientaliste, nonché di partecipare ad importanti programmi di ricerca.
Il mandato dell'UNEP si sostanzia nel favorire la realizzazione di partnership per lo sviluppo di progetti di tutela del patrimonio naturale, la diffusione di informazioni sullo stato dell'ambiente, sulle principali problematiche e sulle possibili soluzioni64, contribuendo a porre le condizioni affinché gli Stati e i popoli di tutto il mondo sappiano e vogliano migliorare la qualità della propria vita senza compromettere quella delle generazioni future.
IL PRINCIPIO PRECAUZIONALE
Il principio precauzionale, in forza del quale, in caso di rischio grave e irreversibile per l'ambiente, l'assenza di una certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per rinviare l'adozione di misure adeguate ed efficaci per prevenire il degrado ambientale65, figura tra i 27 principi che la Dichiarazione di Rio de Janeiro (Rio Declaration on Environment and Development) ha sancito come basilari per implementare una strategia di sviluppo sostenibile66.
Esso trova altresì esplicito riferimento nell'art. 174 del Trattato di Amsterdam, in base al quale "La politica ambientale della Comunità in materia ambientale (…) è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga"...".
Lo stesso principio e la necessità di ricorrervi sono stati poi ribaditi, su invito del Consiglio europeo del 13 aprile 1999, dalla Commissione europea nella Comunicazione presentata al Parlamento europeo, al Consiglio e agli Stati membri il 2 febbraio 2000 (COM/2000/0001 def.). In essa si afferma che il principio precauzionale possa essere invocato quando gli effetti potenzialmente pericolosi di un fenomeno, di un prodotto o di un processo sono stati identificati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, che però non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza. Il ricorso al principio di precauzione, che può pertanto essere invocato in presenza di tre fattori - l'identificazione degli effetti potenzialmente negativi, la valutazione dei dati scientifici disponibili e l'ampiezza dell'incertezza scientifica - deve essere improntato su tre principi specifici:
- l'attuazione del principio dovrebbe fondarsi su una valutazione scientifica la più completa possibile che sia in grado, nella misura del possibile, di determinare in ogni istante il grado d'incertezza scientifica;
- qualsiasi decisione di agire o di non agire in virtù del principio di precauzione dovrebbe essere preceduta da una valutazione del rischio e delle conseguenze potenziali dell'assenza di azione;
- non appena i risultati della valutazione scientifica e/o della valutazione del rischio sono disponibili, tutte le parti in causa dovrebbero avere la possibilità di partecipare allo studio delle varie azioni prevedibili nella maggiore trasparenza possibile.
Oltre a questi, come ribadito dalla Commissione, valgono i principi generali di una buona gestione dei rischi, ossia: la proporzionalità tra le misure prese e il livello di protezione ricercato; la non discriminazione nell'applicazione delle misure; la coerenza delle misure con quelle già prese in situazioni analoghe o che fanno uso di approcci analoghi; l'esame dei vantaggi e degli oneri risultanti dall'azione o dall'assenza di azione; il riesame delle misure alla luce dell'evoluzione scientifica.
IL PRINCIPIO "CHI INQUINA PAGA"
Il principio "chi inquina paga", fondato sull'idea che i costi per evitare e riparare i danni all'ambiente debbano essere sostenuti dai soggetti responsabili dei danni e non posti a carico della società nel suo complesso, figura tra i 27 principi che la Dichiarazione di Rio de Janeiro (Rio Declaration on Environment and Development) ha sancito come basilari per implementare una strategia di sviluppo sostenibile. In base al Principio 16, infatti, è previsto che "Le autorità nazionali dovranno tentare di promuovere l'"internalizzazione" dei costi per la tutela ambientale e l'uso di strumenti economici, considerando che l'inquinatore dovrebbe, in principio, sostenere i costi del disinquinamento con il dovuto rispetto nei confronti dell'interesse pubblico e senza danneggiare il commercio e gli investimenti internazionali"67.
Analogo principio è enunciato anche nel Trattato costitutivo della Comunità europea: in linea con quanto affermato nel Libro Bianco sulla responsabilità ambientale, pubblicato nel febbraio 2000 al fine di analizzare come attuare il principio "chi inquina paga", il Parlamento Europeo in data 14 maggio 2003 ha approvato la proposta di direttiva sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale presentata dalla Commissione il 23 gennaio 2002 (Com (2002) 17 def.), che prevede, tra i suoi principi fondamentali quello per cui chi inquina sia responsabile e quindi "paghi": si legge infatti nella proposta di direttiva che "l'operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà tenuto finanziariamente responsabile, sino ad un limite determinato, in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale in modo da ridurre la loro esposizione a tale responsabilità".
LA COMMISSIONE SULLO SVILUPPO SOSTENIBILE
La Commissione sullo Sviluppo Sostenibile (CSD, Commission on Sustainable Development), istituita in occasione del summit di Rio de Janeiro, funge da guida politica, promuovendo il dialogo e la costruzione di rapporti associativi tra i gruppi, istituzionali e non, che svolgono un ruolo chiave nel raggiungimento di uno sviluppo ecocompatibile a livello mondiale.
La CSD è costituita dai rappresentanti di 53 Governi eletti dagli Stati Membri dell'ONU in base a criteri di equilibrio geografico68 ed ha il compito di esaminare le strategie nazionali di attuazione dell'Agenda 21 progettando, laddove necessario, nuove strategie ed avanzando le proprie raccomandazioni per le future azioni da intraprendere. I temi intersettoriali da essa periodicamente esaminati comprendono i modelli di produzione, commercio e consumo, la lotta alla povertà, le dinamiche demografiche, le risorse ed i meccanismi finanziari, la ricerca ed il trasferimento di tecnologie eco-compatibili, la cd. "capacity-building" e le attività dei gruppi principali69.
IL GEF
Il Global Environmental Facility (GEF) è un fondo creato nel 1991 da Banca Mondiale, UNDP e UNEP per finanziare interventi di difesa in quattro aree prioritarie: riduzione delle emissioni dei gas serra; protezione della biodiversità; protezione dall'inquinamento delle acque internazionali; protezione dello strato di ozono. Esso è destinato a finanziare principalmente due tipologie di attività: progetti di investimento, trasferimento di tecnologie, riconversioni di impianti e progetti di assistenza tecnica, formazione e addestramento del personale, rafforzamento istituzionale, preparazione dei progetti. Dal punto di vista dimensionale i progetti finanziati dal fondo possono essere distinti in progetti globali o regionali su proposta comune delle strutture di implementazione del GEF e degli organismi nazionali responsabili, e progetti di media dimensione, che prevedono un contributo non superiore a 1 milione di dollari, proposti da soggetti privati o pubblici.
I soggetti che possono beneficiare del sostegno finanziario del fondo sono imprese, operatori pubblici, banche multilaterali di sviluppo, ONG, Università ed enti di ricerca. Dal punto di vista territoriale, i finanziamenti sono destinati ai PVS e ai Paesi dell'Europa Orientale in quanto economie in transizione.
In linea generale i finanziamenti finora emessi dal GEF (durante il primo decennio di attività, il fondo ha fornito 4,2 miliardi di dollari per il finanziamento di progetti, e ha raccolto più di 11 miliardi di dollari in co-finanziamenti) sono andati perlopiù a sostengo di iniziative per lo sviluppo, applicazione e commercializzazione di impianti ad energia solare per uso domestico, per la creazione e installazione di impianti che prevedono l'uso combinato di diverse fonti energetiche rinnovabili, per iniziative pilota di valutazione della fattibilità tecnica e commerciale di tecnologie energetico-efficienti, per la realizzazione e installazione di impianti energetico-efficienti per fini edilizi, per iniziative di teleriscaldamento e produzione di biomassa e per la produzione e commercializzazione di impianti che utilizzano combustibili a ridotto impiego di carbonio.
L'intenzione di rafforzare il GEF è emersa da ultimo in occasione della Conferenza Internazionale sui Finanziamenti per lo Sviluppo, tenutasi a Monterrey, in Messico, nel marzo del 2002, ove i Governi hanno riaffermato il proprio impegno in favore dello sviluppo sostenibile, e i Paesi donatori hanno promesso un totale di 30 miliardi di dollari in risorse aggiuntive fino al 2006.
LA CARTA DELLA TERRA
L'adozione della Carta della Terra (The Earth Charter), ossia di una dichiarazione universale sui diritti e doveri degli esseri umani nei confronti dell'ambiente naturale, è stata proposta nel Rapporto Brundtland, del 1987, dalla Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNWCED), al fine di consentire di "consolidare ed estendere principi legali rilevanti", creando "nuove norme necessarie per mantenere i mezzi di sostentamento e la vita sul pianeta che condividiamo e per guidare i comportamenti delle nazioni durante la transizione verso uno sviluppo sostenibile". La Commissione raccomandava inoltre che la nuova carta fosse "successivamente ampliata per diventare una Convenzione, stabilendo i diritti sovrani e le responsabilità reciproche di tutte le nazioni riguardo alla tutela ambientale e allo sviluppo sostenibile"70.
In realtà, già la Carta Mondiale per la Natura, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1982 affermava il rispetto della natura come principio fondamentale di tutela ambientale e conteneva una visione progressista delle strategie e delle politiche necessarie per realizzare il benessere ambientale. Tuttavia, in essa non venivano approfonditi a sufficienza i legami tra degrado ambientale e problemi quali la povertà e lo sviluppo umano equo; inoltre essa venne redatta prima che venisse formulato il concetto di sviluppo sostenibile.
L'appello a stilare la Carta della Terra era stato accolto dalla Conferenza di Rio, in occasione della quale vari Governi avevano presentato le loro raccomandazioni e molte ONG, tra cui gruppi che rappresentavano le principali fedi religiose, avevano dimostrato il loro interesse e la loro partecipazione, proponendo una loro Carta della Terra. Tuttavia, gli sforzi per creare una Carta delle Nazioni Unite sono stati abbandonati: l'obiettivo di pervenire ad un simile documento non si è raggiunto ed in luogo della Carta della Terra si è prodotta la Dichiarazione di Rio, la quale, sebbene costituisca un documento prezioso contenente importanti principi e nonostante abbia espresso un'alta comprensione dei collegamenti esistenti tra tematiche ambientali, sociali ed economiche, non conteneva la visione etica fondante per una Carta della Terra.
Una nuova iniziativa è stata intrapresa a partire dal 1994 da parte dell'Earth Council, creato nel 1992 per promuovere la realizzazione degli accordi dell'Earth Summit di Rio e per sostenere la formazione di consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile. Sulla base di approfonditi studi nei campi del diritto internazionale, della scienza, della religione e dell'etica, è stato varato un nuovo progetto di Carta della Terra sotto la guida di Maurice Strong, segretario generale dell'UNCED, e di Mikhail Gorbaciov, presidente della Green Cross International. Al fine di trovare un dialogo globale e raccogliere un consenso generalizzato riguardo ai principi di salvaguardia dell'ambiente e sviluppo sostenibile, l'Earth Council e la Green Cross International hanno avviato consultazioni internazionali e, nel maggio 1995, in occasione di una conferenza internazionale all'Aja, hanno preparato e diffuso uno studio di oltre cinquanta principi di diritto internazionale dal titolo "Principi di protezione ambientale e sviluppo sostenibile: riassunto e valutazione". All'inizio del 1997, è stata istituita la Commissione per La Carta della Terra, i cui membri sono stati scelti in modo da rappresentare le principali regioni del mondo, ed hanno formato un comitato internazionale di stesura. I criteri cui si è informato il progetto erano soprattutto quello di predisporre una dichiarazione di principi etici fondamentali per la conservazione dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile, principi di significato duraturo ed ampiamente condivisi dai popoli di ogni razza, cultura e religione; il documento, poi, avrebbe dovuto utilizzare un linguaggio chiaro e comprensibile in tutte le lingue.
La prima bozza di riferimento (Benchmark Draft) è stata divulgata dalla Commissione nel marzo 1997, a conclusione dei Forum Rio+5 tenutosi a Rio de Janeiro, e su di essa, durante l'anno successivo, si è discusso in numerose occasioni. Così, nel marzo 1998, Gorbaciov ha ospitato una riunione di tre giorni sulla Carta della Terra per i rappresentanti della Russia e dell'Europa e dei Drafting Committee; nell'aprile dello stesso anno Gorbaciov ha partecipato a un Forum della Carta della Terra per i Paesi dei Pacific Rim a Kyoto in Giappone; nello stesso mese si è tenuta una conferenza speciale sul documento e sui diritti umani presso il Boston Research Center for the 21 st Century negli Stati Uniti; sempre nel 1998, il documento è stato presentato e discusso in una serie di conferenze sulla religione e l'ecologia presso il Centro per lo studio delle religioni mondiali dell'università di Harvard. Sono stati istituiti dei comitati nazionali della Carta della Terra in trentacinque Paesi differenti. Nel dicembre 1998 i rappresentanti di ventiquattro comitati nazionali si sono riuniti per l'Earth Charter Continental Congress of the Americas, a Cuiabà, in Brasile. Alcuni gruppi hanno stilato le Carte della Terra nazionali e regionali come parte del loro contributo al processo di consultazione e al movimento della Carta della Terra. Grazie all'interessamento da molti dimostrato ed alla raccolta di vari commenti e raccomandazioni su come migliorarne il testo, si è pervenuti, all'inizio del 1999, ad una seconda bozza (Benchmark Draft II), anch'essa sottoposta ad un ampio processo di consultazione internazionale: per tutto il 1999 e per parte del 2000, sono state eseguite numerose traduzioni del testo e in molti Paesi sono state condotte discussioni con esperti di diversi settori e rappresentanti di varie associazioni.
Finalmente, a marzo 2000, la Commissione per La Carta della Terra, riunitasi presso la sede centrale dell'UNESCO a Parigi, perfezionato il testo alla luce del dibattito internazionale, ha emesso la versione finale della Carta della Terra. Il significato di tale documento, fondato sul concetto di sviluppo sostenibile elaborato negli ultimi cinquanta anni, sta soprattutto nel tentativo da esso espresso di identificare obiettivi comuni e valori condivisi che trascendano i confini culturali, religiosi e nazionali, nella consapevolezza dell'interdipendenza globale e della necessità che le sfide in campo ambientale, così come quelle in ambito economico, sociale, politico, culturale e spirituale, possano essere affrontate efficacemente soltanto attraverso soluzioni globali complete.
L'intento che ci si propone di perseguire è che la Carta della Terra sia infine approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in modo tale da fungere da documento di legislazione lieve, in grado di influire sui governi, sulle aziende e sul diritto internazionale.
1Sulla "questione ambientale" e sulla sua attuale centralità nel dibattito internazionale e nell'interesse dei movimenti della società civile, in primis di quello no global, protagonista della contestazione sociale del nuovo secolo, GISFREDI P., Ambiente e sviluppo. Analisi di una controversia irriducibile, F. Angeli, Milano, 2002.
2Come ricorda Giorgio Nebbia, nei primi anni Settanta, a dimostrazione del crescente interesse verso i problemi ambientali, apparvero alcuni libri "rivoluzionari": Il cerchio da chiudere, in cui il biologo americano Barry Commoner denunciava gli effetti negativi sull'ambiente causati da una tecnologia orientata soltanto al profitto e responsabile della "rottura" dei grandi cicli biologici naturali con l'immissione di sostanze non assimilabili e decomponibili dalla natura; Una sola Terra, nel quale la sociologa inglese Barbara Ward affermava la necessità di amministrare la Terra, unica nostra casa nello spazio, con gli stessi criteri con cui vivono gli astronauti in una capsula spaziale; Limits to Growth (tradotto in italiano come I limiti dello sviluppo), uno dei libri più scandalosi nel quale, sulla base dei dati emersi da una ricerca condotta dagli studiosi del Massacchusetts Institute of Technology su quello che sarebbe potuto accadere alla Terra se fossero continuate le tendenze di produzione e di consumi e di inquinamenti che avevano caratterizzato gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, Forrester e i coniugi Meadows descrivevano le possibili tendenze di aumento della popolazione terrestre, dei consumi di energia e cibo e acqua, e degli inquinamenti, e i possibili conflitti che sarebbero sorti nella popolazione umana se i suoi "numeri" fossero aumentati al di là dei valori critici. Cfr. NEBBIA G., Rio + 10, Terza Conferenza ONU sull'ambiente. Un Bilancio a trent'anni da Stoccolma, in CNS - Rivista di Ecologia Politica, n. 1, fasc. 41, gennaio 2002, p. IX.
3FILIPPINI R., Johannesburg: solo con confronto e consenso si ottengono risultati, in Ambiente e Sviluppo, n. 4, luglio-agosto 2002.
4In tema di contraddizioni insite nella globalizzazione si vedano gli esempi riportati da CAPODIECI P. - CIANCIULLO A., Far pace con il mercato. Come sposare industria e ambiente, F. Angeli, Milano, 2001, tra i quali quello degli ingredienti di uno yogurt prodotto in Germania che, per giungere dal produttore al consumatore, percorrono ben 3000 chilometri.
5Come costruire un'economia mondiale in grado di non distruggere l'ecosistema sul quale si basa? Come sostituire i combustibili fossili, come smaltire una sempre crescente quantità di rifiuti e come sfamare una popolazione vertiginosamente in aumento? Questa la questione più pressante del nostro tempo alla quale, secondo BROWN L.R. - FLAVIN C. - POSTEL S., Un pianeta da salvare. Per un'economia globale compatibile con l'ambiente, F. Angeli, Milano, 1992, siamo tutti chiamati a dare urgente risposta. Come osservano i membri del team del World Watch Institute di Washington, occorre una svolta nella battaglia per la salvezza del pianeta, un nuovo approccio basato sulla prospettiva di un'economia globale che non comprometta il destino delle future generazioni affrontando le necessarie scelte politiche in ogni campo: dal sistema energetico a quello fiscale, a quello industriale e degli aiuti allo sviluppo.
6Il report della Conferenza di Stoccolma è leggibile sul sito dell'UNEP (United Nations Environment Programme), URL: www.unep.org/Documents/Default.asp?DocumentID=97.
7Il principio della sovranità permanente che, nella Dichiarazione stilata a conclusione della Conferenza di Stoccolma, veniva portato a una dimensione transnazionale aveva già trovato formulazione nella Risoluzione n. 1803 del 1962 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Si trattava dell'affermazione che i diritti dei popoli e delle nazioni alla sovranità permanente sulla loro ricchezza e sulle loro risorse naturali dovessero essere esercitati nell'interesse del loro sviluppo nazionale e del benessere del popolo dello Stato considerato; era in pratica la statuizione di quello che è stato successivamente identificato come il principio del diritto sovrano di sfruttamento delle risorse naturali da parte degli Stati con il contemporaneo obbligo di non causare danni all'ambiente. Cfr. MONTAGNA A., Sviluppo sostenibile, la politica dei piccoli passi, in Villaggio Globale - "Se l'inverno è dentro", n. 20, dicembre 2002 .
8Tali principi hanno trovato esplicita formulazione, dapprima, nella Dichiarazione dell'Assemblea Generale ONU del 1° maggio 1974 relativa allo stabilimento di un "Nuovo Ordine Economico Internazionale", e subito dopo, a dicembre dello stesso anno, nella "Carta sui Diritti e i Doveri Economici degli Stati", ove si stabiliva il dovere di tutti gli Stati di rispondere alle necessità ed agli obiettivi generalmente riconosciuti o mutuamente accettati dai Paesi in via di sviluppo, promuovendo un'intensificazione del flusso di risorse verso tali Paesi, al fine di agevolarne ed accelerarne lo sviluppo economico e sociale.
9LEONTIEF W., Il futuro dell'economia mondiale. Rapporto per le Nazioni Unite sui problemi economici di lungo termine: popolazione, risorse alimentari, risorse minerarie, inquinamento, commercio, movimento di capitali, strutture istituzionali, EST Mondadori, Milano, 1977 (tit. orig. The Future of the World Economy).
10World Commission on Environment and Development - WCED, Il futuro di noi tutti. Rapporto della commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite, Bompiani, Milano, 1988 (tit. orig. Our Common Future, Greven, 27 aprile 1987, Oxford University Press, London, 1987).
11Cfr. GARAGUSO G.C. - MARCHISIO S., Rio 1992: vertice per la terra, F. Angeli, Milano, 1993. Come osserva MORO B., Capitale naturale e ambiente, F. Angeli, Milano, 1997, l'introduzione del concetto di sviluppo sostenibile ha modificato l'ottica con cui la scienza economica elabora i suoi modelli di sviluppo. Mentre tradizionalmente lo sviluppo è dipeso dalla disponibilità di risorse, materiali e umane, accumulabili e dai risultati del progresso tecnico, nell'ottica dello sviluppo sostenibile, ai modelli di sviluppo industriale debbono sostituirsi quelli basati su uno sfruttamento delle risorse naturali che sia sostenibile, oltre che sotto il profilo economico, anche dal punto di vista della salvaguardia dell'ambiente.
12Già prima di Rio, negli anni immediatamente successivi al vertice di Stoccolma, l'impegno della comunità internazionale nel raggiungimento di migliori livelli di sostenibilità ha trovato riscontro in diversi importanti accordi ambientali multilaterali, incentrati sui problemi della sovrappopolazione, dell'acqua e del clima del pianeta. In particolare, si ricordano:
- la Convenzione sul Commercio Internazionale delle specie a rischio di estinzione (CITES, Convention of International Trade in Endagered Species), firmata il 3 marzo 1973 a Washington da oltre 180 Stati nel mondo, e che mira a tutelare le specie animali e vegetali in pericolo ed a rischio di estinzione, assoggettando a precisa regolamentazione il loro commercio internazionale;
- la Convenzione di Ginevra del 1979 sull'inquinamento atmosferico attraverso le frontiere a lunga distanza, nell'ambito della quale è stato lanciato un programma specifico sul clima - il World Climate Programme (WCP) - che, attraverso i dati forniti dai vari centri climatici nazionali, monitora la situazione climatica globale, ed è stato approvato un protocollo sull'inquinamento atmosferico transnazionale che regolamenta le emissioni di anidride solforosa, ossidi di azoto, composti organici volatili (Cov) ed inquinanti organici persistenti (Pops);
- la Convenzione di Vienna sulle sostanze che assottigliano lo strato di ozono nella stratosfera, conclusa il 22 marzo 1985, in attuazione della quale il Protocollo di Montreal, del 16 settembre 1987, ha stabilito gli obiettivi e le misure per la riduzione delle produzioni e degli usi delle sostanze pericolose per la fascia di ozono stratosferico. La Conferenza delle Parti del Protocollo di Montreal si riunisce ogni anno al fine di valutare la validità e l'efficacia delle misure di controllo imposte dal Protocollo, aggiornare le norme di applicazione e, ove necessario, apportare modifiche al Trattato attraverso decisioni ed emendamenti. Tali lavori vengono svolti dalle due sessioni preparatorie alla Conferenza, chiamate "Open Ended Working Group" (OEWG) che si riuniscono ogni anno, generalmente nel mese di giugno, a Ginevra;
- la Conferenza di Toronto del 1988, durante la quale si è giunti alla sottoscrizione di importanti impegni con l'obiettivo di prevenire i cambiamenti climatici (riduzione delle emissioni di anidride carbonica in misura del 20% e miglioramento dell'efficienza energetica del 10% entro il 2005);
- la Convenzione sul Controllo del Movimento Transfrontaliero di Rifiuti Pericolosi e relativa Eliminazione, adottata a Basilea il 22 marzo 1989 al fine di regolamentare i quasi quattro milioni di tonnellate di rifiuti tossici esportati ogni anno.
13Per approfondimenti sull'United Nations Conference on Environment and Development, si rimanda al sito ufficiale del summit, URL: www.earthsummit2002.org., nonché ai contributi di MARCHISIO, Gli atti di Rio nel diritto internazionale, in Riv. Dir. Int., 1992, n. 3, pp. 581-621; PINESCHI, La Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo in Riv. Giur. Amb., 1992, p. 706 ss.; ID., Tutela dell'ambiente e assistenza allo sviluppo: dalla Conferenza di Stoccolma (1972) alla Conferenza di Rio (1992), ivi, 1994, p. 493 ss.
14Report of the United Nations Conference on Environment and Development, Rio de Janeiro, 3-14 June 1992, United Nations publication, Sales No. E.93.I.8 and corrigenda, vol. I: Resolutions adopted by the Conference, resolution 1, annex I.
15Per approfondimenti sul contenuto dell'Agenda 21 si rimanda al sito delle Nazioni Unite, Department of Economic and Social Affaire, Division for Sustainable Development, URL: www.un.org/esa/sustdev/documents/agenda21/english/agenda21toc.htm.
16Per una selezione dei documenti presentati nell'ambito del Forum on Climate Change del 1997, si veda OECD, Climate Change: mobilising global effort, OECD, Paris, 1997. Per un approfondimento sui principali risultati emersi dalla Conferenza di Rio, cfr. CAMPIGLIO L. ET AL. The Environment after Rio. International law and Economics, Graham & Trotman, Londra, 1994.
17L'Agenda 21 identifica nove gruppi principali quali partners dei Governi nell'attuazione a livello mondiale degli accordi di Rio: le donne, i coltivatori, i giovani, i sindacati, il mondo degli affari e dell'industria, le autorità locali, gli scienziati e le popolazioni indigene.
18"Credo - ha affermato Adriano Autino - che ci converrà condividere le risorse, con molta più attenzione all'equità, se è vero che iniziano a scarseggiare (utilizzando principi e motivazioni collettivistiche, religiose o laiche che siano) e sollecitare l'iniziativa e la creatività di tutti (utilizzando concetti propri del pensiero liberale) per arrivare ad accedere ad una nuova abbondanza di risorse, per riuscire a scorgere nuovi orizzonti, unico fattore in grado di riaccendere la speranza, e quindi lo sviluppo. Noi del mondo industrializzato abbiamo una grande responsabilità, è stato detto con ragione sia da Carlo Rubbia che da Jean-Marie Lehn: aiutare il restante 80% della popolazione mondiale a svilupparsi. Dobbiamo, aggiungo io, farlo con grande umiltà, portando loro ciò che sappiamo ma chiedendo il loro aiuto prezioso, promuovendo una cultura di ricerca analitica e sperimentazione, per lavorare sulle frontiere del nostro mondo con l'obiettivo di andare, con intelligenza, oltre le sbarre della gabbia": AUTINO A., Oltre i limiti dello sviluppo. Riflessioni in margine al convegno "Le vie dello sviluppo sostenibile" 10 Nobel per il futuro, Milano, 6 giugno 1996, URL: www.tdf.it/Italy/editoriali/nobe_frf.htm.
19Lo slogan "Pensare globalmente, agire localmente" si deve al biologo Rene Dubos, che nel suo studio sui problemi ambientali (WARD B. - DUBOS R., Una sola terra, trad. it. di G. Barbè Borsisio e E. Capriolo, Mondadori, Milano, 1972) sottolineava la necessità di affrontarli nei loro "contesti specifici fisici, climatici e culturali".
20Nella maggior parte dei casi a sviluppare tali strategie sono i Consigli Nazionali per lo Sviluppo Sostenibile (NCSD - National Councils for Sustainable Development), organismi partecipativi rappresentanti diversi gruppi di interesse, già istituiti in più di 80 Paesi, molti dei quali in via di sviluppo, come strumento per sovrintendere all'implementazione degli accordi sottoscritti nell'ambito della Conferenza di Rio de Janeiro.
21Il ruolo fondamentale delle comunità locali nell'attuare le politiche di sviluppo sostenibile è esplicitato dal capitolo 28 dell'Agenda 21 ("Iniziative delle amministrazioni locali di supporto all'Agenda 21"), ove si legge: "Ogni amministrazione locale dovrebbe dialogare con i cittadini, le organizzazioni locali e le imprese private e adottare una propria Agenda 21 locale. Attraverso la consultazione e la costruzione del consenso, le amministrazioni locali dovrebbero apprendere e acquisire dalla comunità locale e dal settore industriale, le informazioni necessarie per formulare le migliori strategie". Come sostenuto dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio italiano (URL: www.minambiente.it/SVS/agenda21/agenda.htm), "l'Agenda 21 locale può in questo modo essere definita come uno processo, condiviso da tutti gli attori presenti sul territorio (stakeholder), per definire un piano di azione locale che guardi al 21° secolo". L'impegno degli Enti locali in tal senso è stato ribadito nel corso del summit di Johannesburg, dal quale si è attribuito al governo locale il ruolo di attore chiave nell'attuazione dell'Agenda 21.
22DPI/2252/Rev. 1, pubblicato dal Dipartimento per la Pubblica Informazione delle Nazioni Unite, maggio 2002, traduzione non ufficiale a cura del Centro d'Informazione delle Nazioni Unite - Italia, URL: http://213.21.158.8/area-istituzionale/VMSSprincipalitematiche.doc.
23LEME MACHADO, Nuove strade dopo Rio e Stoccolma in Riv. Giur. Amb., 2002, p. 169 ss.
24In tal senso anche TREVES, Il diritto dell'ambiente a Rio e dopo Rio, in Riv. Giur. Amb., 1993, p. 577 ss.; PALLEMAERTS, La conférence de Rio: grandeur ou décadence du droit international de l'environnement? in Revue Belge de Droit International, 1995, vol. XXVIII, n. 1, p. 175 ss.
25L'ostilità statunitense a sottoscrivere la Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica - ratificata da 183 Nazioni ed entrata in vigore il 29 dicembre 1993 - e la mancata adesione degli USA al principio di precauzione ivi sancito, non hanno permesso alla Conferenza delle Parti di approvare, nel febbraio del 1999 a Cartagena, il Protocollo sulla Biosicurezza, negoziato nell'ambito della Convenzione sulla Diversità Biologica col fine di fornire una minima struttura legale soprattutto per la gestione del trasferimento oltre confine degli OGM, non regolamentati fino ad allora da alcuna regola internazionale. A causa delle divergenze tra le posizioni degli USA e della UE (gli Stati Uniti contestavano l'imposizione di vincoli all'esportazione di prodotti transgenici in nome della liberalizzazione del commercio mondiale, mentre gli europei sostenevano il principio di precauzione), solo il 29 gennaio 2000, a Montreal, raggiunto il compromesso in base al quale gli USA hanno accettato l'utilizzo da parte di altri del principio di precauzione senza però farlo proprio, si è adottato il Protocollo sulla Biosicurezza. L'elemento centrale del Protocollo, teso a diminuire i rischi degli spostamenti transfrontalieri di organismi viventi modificati ed a garantire l'impiego sicuro delle biotecnologie moderne, consiste nella procedura di accordo preliminare dato in cognizione di causa (AIA, Advanced Informed Agreement), mediante la quale il Paese importatore può accedere a tutte le informazioni necessarie per valutare i rischi ambientali legati agli OGM ed ha il diritto di prendere una decisione prima dell'importazione degli OGM utilizzati nell'ambiente. In tal modo, ogni Paese può appellarsi al principio di precauzione per giustificare le decisioni prese nell'ambito dell'importazione di OGM; il Protocollo richiede parimenti che gli organismi geneticamente modificati destinati all'emissione deliberata nell'ambiente siano identificati chiaramente. I Paesi che lo hanno ratificato sono ad oggi 50; la ratifica da parte del Consiglio europeo è avvenuta con la decisione del 25 giugno 2002 (2002/628/CE), in G.U. L 201 del 31 luglio 2002.
26I maggiori contrasti in tema di cambiamenti climatici sono emersi successivamente, in relazione all'attuazione degli accordi assunti a Kyoto nel 1997: le divergenze tra Unione europea e Stati Uniti, divisi su quasi tutti i punti nodali del passaggio da un modello energetico ad alto impatto ambientale a un sistema di produzione compatibile con il mantenimento degli equilibri atmosferici, hanno infatti sinora impedito l'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto e, conseguentemente, non hanno consentito di attuare la previsione ivi contenuta di ridurre, nel periodo 2008-2012, il livello di emissione dei gas ad effetto serra del 5,2 % rispetto ai livelli del 1990.
27Sono stati soprattutto i Paesi in via di sviluppo ad opporsi alla Convenzione delle Foreste, contestando il diritto al taglio delle foreste nei confronti di Nazioni come gli USA che, pur volendo assolutamente vietare la deforestazione nelle aree tropicali, non si sono voluti impegnare per la conservazione del proprio patrimonio boschivo.
Occorre tuttavia rilevare che sulla base dei Principi sulle Foreste adottati a Rio, nel marzo del 1997, il Panel Intergovernativo sulle Foreste ha adottato oltre cento proposte di azione. Lo stesso Panel è divenuto, in occasione di Rio+5, il Forum Intergovernativo sulle Foreste, deputato a monitorare l'attuazione e creare consenso su iniziative ulteriori e ad oggi impegnato nella realizzazione entro il 2005 di un progetto di regolamentazione internazionale delle foreste.
28Il discorso "Verso un futuro sostenibile" pronunciato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan durante la Conferenza Annuale sull'Ambiente tenutasi a New York il 14 maggio 2002, è leggibile presso il sito italiano dell'ONU, URL: www.onuitalia.it/sviluppo/sostenibile/2002SGSM8239.html.
29Sulla mancata cooperazione internazionale e sul permanere del modello della crescita illimitata, con i meccanismi perversi dello scambio ineguale e la tendenza alla globalizzazione che ne derivano, quali cause dell'inesorabile acuirsi negli ultimi decenni del divario tra Nord e Sud del mondo, cfr. PALOSCIA R. - ANCESCHI D., Territorio, ambiente e progetto nei paesi in via di sviluppo, F. Angeli, Milano, 1996, ove sono raccolti interessanti contributi che danno conto di esperienze ed iniziative avviate da università ed ONG e fondate sulla centralità della questione ambientale e sul rifiuto della logica globalizzante.
30Cfr. TREVES T., Aspetti generali del diritto internazionale dell'ambiente, cit., p. 181-182. Sul punto cfr. anche MAROTTA M., Aspetti e tendenze dell'azione internazionale per la protezione dell' ambiente. Influenza sull'evoluzione del diritto ambientale, in Studi parl. Pol. Cost., 1992, I, pp. 48-49.
31Per approfondimenti sull'Earth Summit +5, Sessione Speciale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la Revisione e la Valutazione dell'Attuazione dell'Agenda 21 (New York, 23-27 giugno 1997), si rimanda al sito ufficiale della conferenza, URL: www.un.org/esa/earthsummit. In proposito cfr. altresì CHIANURA M., 10 anni dalla Convenzione di Rio de Janeiro: cosa è cambiato?, in Diritto all'Ambiente, URL: www.dirittoambiente.com/forum/contributi/39.htm.
32Per ogni approfondimento si rimanda al sito ufficiale della United Nations Framework Convention on Climate Change, URL: http://unfccc.int.
33Cfr. ROMANO, La prima conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, Da Rio a Kyoto via Berlino, in Riv. Giur. amb., 1996, 1, p. 163 ss.; CLINI, Riflessioni dopo la conclusione all'Aja della VI Conferenza delle Parti firmatarie della Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici (COP 6), ivi, 2001, 1, p. 175 ss.
34Per approfondimenti in merito alla Convenzione sulla Diversità Biologica ed al problema della perdita di biodiversità si vedano CERVIGLI R., Incremental Cost in the Convention on Biological Diversity: a Simple Model, Fondazione Eni Enrico Mattei, Milano, 1995; PERRINGS C., Biodiversity Loss, Cambridge University Press, Cambridge, 1997. Si consiglia inoltre di consultare il sito della Convention on Biological Diversity, URL: www.biodiv.org, ove sono reperibili documenti ufficiali, rapporti e pubblicazioni relativi al problema della perdita di biodiversità, e quello della Organisation for Economic Co-operation and development (OECD), URL: www.oecd.org, nel quale sono disponibili alcuni casi studio relativi all'utilizzo che, in diversi Paesi, è stato fatto di strumenti economici per favorire la conservazione delle biodiversità.
35Per un approfondimento sul contenuto della Convenzione, si rimanda a DE PIETRI D., La Convenzione per combattere la desertificazione, in Riv. giur. amb., 1999, p. 171 ss. Il testo della Convenzione è leggibile presso l'URL: www.unccd.int/convention/menu.php.
36Sulla più recente Conferenza delle Parti della Convenzione per la lotta alla desertificazione, tenutasi all'Avana tra il 25 agosto e il 5 settembre 2003, alla presenza di 1.300 delegati provenienti da 170 Paesi, si rimanda al sito ufficiale della Sixth session of the Conference of the Parties (COP) of the United Nations Convention to Combat Desertification, URL: www.unccd.int/cop/cop6/menu.php.
37Il testo del Protocollo può leggersi sul sito del Segretario della Convenzione sui cambiamenti climatici, URL: www.unfccc.de. Per approfondimenti sul contenuto e sul significato del Protocollo di Kyoto, cfr. MOLOCCHI A., La scommessa di Kyoto: politiche di protezione del clima e sviluppo sostenibile, F. Angeli, Milano, 1998; GALIZZI P., La terza Conferenza delle Parti della Conferenza sul cambiamento climatico (Kyoto, 1/10 dicembre 1997), in Riv. giur. amb., 1998, p. 561 ss.; BREIDNICH - MAGRAW - ROWLEY - RUBIN, The Kyoto Protocol to the United Nations Framework Convention on Climate Change, in American Journal of International Law (AJIL), 1998, vol. 92, pp. 315-331; YAMIN, The Kyoto Protocol: origins, assessment and future challenges, in Review of European Community and International Environmental Law, 1998, vol. 7, pp. 113-127; CAMPBELL, From Rio to Kyoto: the use of voluntary agreements to implement the Climate Change Convention, ivi, pp. 159-170; OBERTHUR - OTT, The Kyoto Protocol, International climate policy for the 21st century, Springer-Verlag, Berlino, 1999; PONTECORVO, Interdependence between global environmental regimes: the Kyoto Protocol on climate change and forest protection, in Zeitschrift für Ausländisches Öffentliches Recht und Völkerrecht (ZaöRV), 1999, vol. 59, n.3, pp. 709-748.
38La riduzione complessiva del 5,2% non è però uguale per tutti: mentre per i Paesi dell'Unione Europea, nel loro insieme, la riduzione deve essere pari all'8%, per gli Stati Uniti la riduzione deve essere del 7% e per il Giappone del 6%. Nessuna riduzione, ma solo stabilizzazione è stata prevista per la Federazione Russa, la Nuova Zelanda e l'Ucraina. Sono invece state autorizzate ad aumentare le loro emissioni fino all'1% la Norvegia, fino all' 8% l'Australia e fino al 10% l'Islanda.
39Per quanto riguarda l'Italia, ad ottobre del 2002 si è pervenuti all'adozione del "Piano nazionale di riduzione delle emissioni di gas serra", attraverso il quale il Paese si è impegnato a rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2008-2012. Come indicato dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, "i tagli necessari sono stati stimati in 93 milioni di tonnellate di CO2 che potranno essere raggiunti attraverso tre settori di intervento: l'attuazione delle misure già adottate ed avviate, soprattutto in campo energetico, che consentono un taglio delle emissioni di 52 milioni di tonnellate, più della metà dell'obiettivo di riduzione; interventi nel settore agricolo e delle piantagioni forestali per aumentare la capacità di assorbimento del carbonio che permetteranno una riduzione delle emissioni di 10,2 milioni di tonnellate; ulteriori misure da scegliere in un ventaglio di 33 (aumento della produzione di energie rinnovabili, sostituzione delle auto circolanti con auto a bassi consumi ed emissioni, tassa di proprietà dei veicoli legata alle revisioni periodiche, sviluppo dell'idrogeno, utilizzo del 5% di biodiesel nel gasolio ecc) che consentiranno una riduzione di 30 milioni di tonnellate di CO2". Secondo quanto dichiarato dal Ministro dell'Ambiente Matteoli, gli investimenti stimati ammontano a 13.800 - 19.000 milioni di euro, mentre i costi netti, tenuto conto della redditività dell'investimento, sono compresi tra i 1.820 e i 2.430 milioni di euro. Per ulteriori approfondimenti, cfr. il comunicato stampa del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio dell'8 ottobre 2002, "Pronto il Piano nazionale di riduzione dei gas serra", URL: www.minambiente.it/Sito/comunicati/2002/02_10_08_1.asp
40Sulle ragioni che hanno motivato l'avversione degli Stati Uniti rispetto agli accordi di Kyoto, identificabili nella "presunta incertezza delle basi scientifiche dei cambiamenti climatici e del protocollo di Kyoto, (nella) mancanza di partecipazione agli obblighi da parte dei paesi in via di sviluppo, (nell')elevato onere economico per gli USA", si veda CANTONI S. - GAUDIOSO D., Kyoto: i no di Bush e il ruolo dell'Europa, in Arpa rivista, gennaio 2001.
Il netto rifiuto di Bush di sottoscrivere il protocollo di Kyoto, "giustificato col timore che l'applicazione di vincoli alle imprese aggravi ancora di più la fase di crisi economica che gli USA stanno attraversando, allontanando quella ripresa che diventa di giorno in giorno più indispensabile per non far cadere l'economia Usa, e di conseguenza tutta l'economia mondiale, in una pericolosa recessione" (MANZIONE P., Riflessioni sul no di Bush agli accordi di Kyoto, in Hyperion.e-zine, n. 15, URL: www.hyperion.e-zine.it/Argomenti.asp?cmd=view&ID=69) ha suscitato forte preoccupazione, oltre che tra gli ambientalisti, anche negli ambienti politici e diplomatici di tutto il mondo: così la commissaria europea all'Ambiente, Margot Wallstrom, si è detta "molto preoccupata", il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder ha sottolineato l'importanza "che gli Usa si assumano le loro responsabilità per il clima mondiale", dal momento che essi "rappresentano l'economia più grande del mondo, nonché il più grande consumo di energia del mondo"; il primo ministro svedese Göran Persson sostiene che il rifiuto americano a ratificare il trattato sia un grande ostacolo per gli sforzi per ridurre i gas serra e contrastare il surriscaldamento del pianeta" e che esso "avrà un impatto tremendo, perché se gli Stati Uniti avessero mantenuto una posizione favorevole al protocollo di Kyoto, sarebbe stato un segnale forte" (s.a., Profondi dissidi Ue-Usa su Kyoto, in Corriere della Sera, 14 giugno 2001; preoccupati si sono dimostrati anche il ministro dell'Ambiente inglese, Michael Meacher, convinto che la decisione americana sia "estremamente grave", quello australiano e quello canadese.
Anche l'IPCC ha criticato la posizione americana, affermando che "vi è una grande evidenza scientifica riguardo alla responsabilità delle emissioni di gas serra nel riscaldamento del clima terrestre registrato negli ultimi cinquant'anni" e che "un Paese come gli Stati Uniti che rappresenta solo il 4% della popolazione mondiale ma è responsabile di oltre il 25% delle emissioni di gas serra non può esimersi dall'impegno di ridurre concretamente le emissioni stesse".
41Ciò è tanto più preoccupante se si considera che, secondo la comunità scientifica, il mancato conseguimento degli obiettivi fissati nel Protocollo di Kyoto condurrebbe, nel 2100, ad un aumento della temperatura sulla terra di 5,8 gradi centigradi ed all'innalzamento del livello del mare di 80 centimetri.
42Il Vertice è stato preceduto, nel biennio 2001-2002, da quattro incontri preparatori, noti con il nome di PrepCom, tenuti dalla decima sessione della Commissione ONU sullo Sviluppo Sostenibile (conosciuta come CSD10) in qualità di Comitato Preparatorio per il Vertice. Quest'ultimo era guidato da un Bureau composto da due rappresentanti provenienti da ciascuna regione del pianeta (10 membri in totale) e presieduto dall'indonesiano Emil Salim.
43Tali gli obiettivi espressamente attribuiti al summit di Johannesburg dall'Assemblea Generale ONU rispettivamente nella risoluzione A/RES/55/199 e nella risoluzione A/55/L.2 adottate a New York il 20 dicembre 2000 e l'8 settembre 2000. Il mandato del summit è stato ribadito, all'apertura dei lavori, dal Segretario Generale ONU Kofi Annan che ha sostenuto l'impegno ad aprire "un nuovo capitolo di responsabilizzazione, di partnership (collaborazioni tra governi, società civile e imprese) e di azione".
44Come sottolineato dal segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, nel suo rapporto preparatorio pubblicato alla fine del 2001, le persone che vivono in condizioni di estrema povertà (con meno di un dollaro al giorno) sono più di un miliardo; i debiti dei Paesi poveri sono cresciuti, da 1843 miliardi di dollari nel 1992 ad oltre 2500 miliardi di dollari nel 2001.
45Il programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) conferma che lo "stato del pianeta sta peggiorando". Sul summit di Johannesburg, si vedano GARDNER G., La sfida di Johannesburg, estratto da FLAVIN C. - FRENCH H. - GARDNER G. (a cura di), State of the World 2002 - Rapporto annuale del Worldwatch Institute, Edizioni Ambiente, 2002, URL: www.enel.it/it/enel/magazine/boiler/boiler82/html/articoli/FocusState-Gardner.asp; BOLOGNA G., Mettere in pratica la sostenibilità, estratto da FLAVIN C. - FRENCH H. - GARDNER G. (a cura di), State of the World 2002 - Rapporto annuale del Worldwatch Institute, cit., URL: www.enel.it/it/enel/magazine/boiler/boiler82/html/articoli/FocusState-Bologna.asp; s.a., Da Rio a Johannesburg: la decade della Globalizzazione, estratto da BRUNO K. - KARLINER J, Lo scippo dello sviluppo sostenibile da parte delle multinazionali, Food first & CorpWatch, 2002, in Corpwatch.org, 24 agosto 2002, URL: www.corpwatch.org/campaigns/PCD.jsp?articleid=3190.
46Così si è espresso il senatore Francesco Martone, Johannesburg, Stati Uniti, 11 settembre, contributo al dossier informativo predisposto dall'ISSI (Istituto Sviluppo Sostenibile Italia) in occasione del Summit di Johannesburg, settembre 2002, URL: www.issi.it.
47Si ricorda che l'impegno dei leader mondiali a ridurre la povertà estrema nel mondo è stato recentemente ribadito con il "Patto di Sviluppo del Millennio" (URL: www.undp.org/hdr2003/pdf/hdr03_MDC.pdf), il piano di azione introdotto con il Rapporto sullo Sviluppo Umano 2003 dell'UNDP (Human Development Report 2003, URL: www.undp.org/hdr2003) per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio assunti il 18 settembre 2000 da 189 Paesi con la sottoscrizione della United Nations Millennium Declaration (URL: www.un.org/millennium/declaration/ares552e.pdf) e riaffermati a Monterrey, in occasione del Vertice "Finanziamenti per lo Sviluppo" (18-22 marzo 2002). Tra questi, entro il 2015, il dimezzamento della povertà estrema (ossia della percentuale di persone che vive con meno di 1 dollaro al giorno), l'arresto della diffusione dell'HIV/AIDS, la diffusione dell'istruzione primaria e la riduzione di due terzi della mortalità infantile.
48"Una cosa che abbiamo appreso nel corso degli anni - ha proseguito il Segretario Generale ONU in occasione della Conferenza tenuta a Londra il 25 febbraio 2002 presso la London School of Economics and Political Science "Da Doha a Johannesburg passando per Monterrey: come raggiungere, e sostenere, lo sviluppo nel 21° secolo", URL: www.onuitalia.it/aggiornamenti/ponte42.html - è che né gli scenari bui ed apocalittici, né le critiche distruttive riusciranno mai a spingere le persone e i Governi ad agire. Quel che è necessario è una visione positiva, una mappa comprensibile che spieghi come andare "da qui a lì", e una precisa responsabilità assegnata a ciascuno dei numerosi attori operanti nel sistema. Johannesburg dovrà fornirci una simile visione - l'immagine di un sistema globale nel quale ogni Paese ha un posto e usufruisce di una parte dei benefici".
49SERAFINI M., Dopo Johannesburg. Fallimenti e speranze, in La rivista del manifesto, n. 32, ottobre 2002: "Così l'acqua potabile è rimasta un miraggio per quasi due miliardi d'individui (...) . Inoltre il protocollo di Kyoto e i suoi obiettivi "vincolanti" non sono stati sottoscritti proprio da quei Paesi che assommano il 55% delle emissioni globali e il risultato di tutto ciò è che i gas serra anziché ridursi sono aumentati. Stessa sorte ha subìto il trattato sulla biodiversità. È proseguita la perdita di foreste primarie, di zone umide, di aree di pesca e di specie di uccelli. È cresciuto il divario fra Nord e Sud del mondo, la povertà è aumentata mentre sono stati completamente disattesi dai Paesi ricchi impegni fondamentali come destinare lo 0,7% del proprio PIL ai Paesi poveri o aggiungere ai fondi ordinari per la cooperazione 125 miliardi di dollari l'anno. E infine gli attentati dell'11 settembre e la guerra hanno definitivamente tolto ogni centralità alla questione ambientale e a politiche globali capaci di affrontarla".
In merito agli aiuti pubblici dei Paesi industrializzati ai Paesi in via di sviluppo, si consideri che, secondo le stime dell'OCSE (riportate ai valori del dollaro del 2000) essi sono scesi da 69 miliardi di dollari nel 1992 (l'anno di Rio) a 53 miliardi nel 2000; da una media dello 0,33% del PIL allo 0,22%, quando l'impegno della Conferenza di Rio era quello di portare questi aiuti allo 0,7%.
50MONTANARI F., Dopo Johannesburg, in Environment, n. 21, dicembre 2002, URL: www.regione.vda.it/territorio/environment/200221/2002-21_5.ASP. In tal senso anche SERAFINI M., Dopo Johannesburg. Fallimenti e speranze, cit., secondo il quale il vertice avrebbe prodotto solo "una generica dichiarazione politica e un ancora più deludente piano d'azione, privo di date vincolanti, sanzioni ed obiettivi certi e misurabili".
51RONCHI E., Johannesburg, terapie incoerenti con la diagnosi, contributo al dossier informativo predisposto dall'ISSI in occasione del Summit di Johannesburg, cit.
52Sul punto conviene RONCHI E., Appunti per la conferenza sul tema: "Dopo Johannesburg: ambiente, sviluppo sostenibile, globalizzazione", Bologna, 18 settembre 2002.
53Come sostenuto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, occorre che i Paesi industrializzati facciano un j'accuse ed inizino a "essere politicamente coraggiosi", affrontando la realtà seppur scomoda: "il modello di sviluppo a cui siamo abituati è stato conveniente per pochi, ma disastroso per molti. Una strada per la prosperità che stravolge l'ambiente e lascia la maggioranza dell'umanità nello squallore presto si dimostrerà essere una strada senza uscita per tutti". Sono i Paesi ricchi, secondo Annan, che "devono aprire la strada" perché "ne hanno i mezzi finanziari e tecnologici e sono loro i responsabili di una quota sproporzionata dei problemi ecologici mondiali (…). Ci vuole responsabilità l'uno per l'altro, come membri di una singola famiglia umana, ma specialmente per i poveri e gli oppressi". Cfr. s.a., Kofi Annan striglia i Grandi "Ci vuole più responsabilità", in La Repubblica, 2 settembre 2002.
54Tali le parole espresse da Kofi Annan in occasione della Conferenza tenuta a Londra il 25 febbraio 2002 presso la London School of Economics and Political Science "Da Doha a Johannesburg passando per Monterrey: come raggiungere, e sostenere, lo sviluppo nel 21° secolo", URL: www.onuitalia.it/aggiornamenti/ponte42.html.
55Report of the United Nations Conference on Environment and Development, Rio de Janeiro, 3-14 June 1992, United Nations publication, Sales No. E.93.I.8 and corrigenda, vol. I: Resolutions adopted by the Conference, resolution 1, annex I.
56Si ricorda, tra le altre iniziative avanzate a Johannesburg allo scopo di eliminare la povertà e porre le Nazioni sottosviluppate in condizioni di progredire e svilupparsi, quella capeggiata dai Presidenti del Sud Africa, della Nigeria, dell'Algeria, del Senegal e dell'Egitto e conosciuta come Nuova Collaborazione per lo Sviluppo dell'Africa (New Partnership for Africa's Development - NEPAD). Al fine di perseguire gli obiettivi di tale iniziativa, consistenti nel rendere l'Africa partecipe del processo di globalizzazione e nel restaurare la pace, la sicurezza e la stabilità, a Johannesburg i governi africani hanno chiesto sostegno per il NEPAD sotto forma di risorse, finanziamenti e collaborazione tecnologica, oltre che attraverso la costruzione di capacità umane e istituzionali.
Già nel rapporto del 2001 sul grado di attuazione dell'Agenda 21, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ed Emil Salim, Presidente del Comitato Preparatorio per il Vertice, avevano identificato alcune aree fondamentali sulle quali si sarebbero dovute concentrare le decisioni del Vertice relativamente allo sviluppo sostenibile dell'Africa: sostegno delle iniziative nazionali, sub-regionali e regionali in favore dello sviluppo, della pace, della sicurezza e della stabilità; maggior sostegno finanziario alla lotta contro l'HIV/AIDS; riorganizzazione degli aiuti internazionali e creazione di livelli di aiuto appropriati ed efficaci; sostegno degli obiettivi primari di sviluppo sociale quali acqua potabile, alfabetizzazione e assistenza sanitaria; promozione di iniziative dirette a consentire l'accesso a fonti di energia diversificate, specialmente per le aree rurali, e l'accesso alla tecnologia per tutte le imprese africane; copertura dello spartiacque digitale e riduzione della marginalizzazione dell'Africa; agevolazioni per le micro, le piccole e le medie imprese africane, in particolare per quelle collegate all'agricoltura.
57Tra le iniziative annunciate a Johannesburg in tema di risorse idriche ed impianti fognari, si ricorda che gli Stati Uniti hanno previsto investimenti pari a 970 milioni di dollari nel corso dei successivi tre anni per progetti sull'acqua e gli impianti fognari; l'Unione Europea, allora impegnata per più di un miliardo di euro all'anno per la realizzazione di progetti per l'acqua e gli allacciamenti fognari nei Paesi in via di sviluppo, ha annunciato l'iniziativa Acqua per la Vita, diretta ad impegnare i partner a raggiungere gli obiettivi stabiliti per l'acqua e gli allacciamenti fognari, principalmente in Africa e in Asia Centrale; la Banca per lo Sviluppo dell'Asia ha garantito un prestito di cinque milioni di dollari al Programma delle Nazioni Unite per gli Insediamenti Umani (HABITAT) e crediti agevolati per 500 milioni di dollari a favore del Programma Acqua per le Città Asiatiche. Cfr. MUTARELLI R., Il cammino da Johannesburg, pubblicato dal Dipartimento delle Nazioni Unite per la Pubblica Informazione, traduzione a cura del Centro Informazione delle Nazioni Unite di Roma, URL: www.verdi.it/document/acqua/4.htm.
58L'assunzione di un impegno così generico, senza neppure la fissazione di una scadenza, è stata dovuta alla reticenza dimostrata da Stati Uniti, Giappone, Canada, Australia e Nuova Zelanda (facenti parte del cosiddetto cartello Juscan) e dei Paesi arabi aderenti all'OPEC. I Paesi dell'Unione europea, Il Brasile ed altri si sono, comunque, prefissi di raggiungere l'utilizzo di una percentuale del 10% di fonti pulite.
Sempre in tema di energia, le Nazioni si sono accordate sul fatto di assumere entro il 2015 delle iniziative volte a dimezzare il numero di persone che non hanno accesso ai moderni servizi energetici. Si è stimato che, per far fronte alla prevista crescita della domanda di energia, che nei Paesi in via di sviluppo sarà nell'ordine del 2,5 per cento all'anno, essi avranno bisogno di investimenti annuali pari a circa il 2-2,5 % del proprio PNL. Considerato che gli investimenti attuali nel comparto energetico ammontavano nel 2002 a 290-430 miliardi di dollari annui, si è rilevata la necessità di mobilitare investimenti enormi di provenienza nazionale ed estera. Tra le altre proposte collegate al settore dell'energia analizzate durante il vertice si ricordano il raggiungimento, entro il 2012, di un incremento pari a quattro volte i livelli attuali di efficienza energetica e di risorse, da parte dei Paesi industrializzati; lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie relative alle fonti energetiche rinnovabili per accrescere la quota delle fonti rinnovabili nella produzione e nel consumo di energia; la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico attraverso lo sviluppo di tecnologie più pulite e più efficienti rispetto ai combustibili fossili; l'impiego dei gas naturali, specialmente nelle aree urbane e in quelle industriali; l'adozione di politiche dirette a diminuire le distorsioni esistenti nel settore dell'energia modificando le normative fiscali ed eliminando la dannosa pratica dei sussidi.
In proposito cfr. DPI/2252/Rev. 1, pubblicato dal Dipartimento per la Pubblica Informazione delle Nazioni Unite, maggio 2002, cit.
Quanto alle iniziative annunciate dalle Nazioni intervenute, si ricorda che l'UE ha dichiarato di intraprendere una partnership sull'energia del valore di 700 milioni di dollari e gli Stati Uniti hanno affermato che nel 2003 avrebbero investito fino a 43 milioni di dollari in questo settore. Alcune Nazioni latino-americane hanno riaffermato l'impegno ad utilizzare le energie rinnovabili per soddisfare, entro il 2010, il 10 % delle proprie esigenze energetiche. Inoltre, il Dipartimento delle Nazioni Unite per gli Affari Economici e Sociali (DESA), il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) e l'Agenzia USA per la Protezione Ambientale hanno deciso di collaborare allo sviluppo di veicoli e carburanti più ecologici, mentre l'UNEP ha lanciato un Network Globale sull'Energia per lo Sviluppo Sostenibile diretto a promuovere la ricerca, il trasferimento e la dislocazione di tecnologie energetiche più pulite nei PVS. Cfr. MUTARELLI R., Il cammino da Johannesburg, cit.
59Per la gestione della biodiversità, le iniziative annunciate durante il summit hanno riguardato l'impegno, assunto dagli Stati Uniti, di investire per le foreste del bacino del Congo 53 milioni di dollari nel triennio 2002-2005; quello, assunto Giordania e Israele, di realizzare un progetto comune di ripristino del Mar Morto del valore di un miliardo di dollari; quello, annunciato dal Costa Rica, di proibire le attività estrattive aurifere a cielo aperto, di non promuovere lo sfruttamento petrolifero nella Nazione e, insieme a Colombia, Ecuador e Panama, di creare un corridoio marino per la conservazione e lo sviluppo sostenibile.
60La Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico, entrata in vigore il 21 marzo 1994, ha raggiunto 165 firme e 186 ratifiche, ma gran parte dei Paesi industrializzati non hanno adempiuto all'obiettivo volontario di ridurre entro il 2000 le proprie emissioni di gas serra riportandole ai livelli del 1990.
61In proposito si ricorda che a Johannesburg hanno aderito al Protocollo di Kyoto la Cina, la Russia ed il Canada.
62Nell'ambito del summit sono state annunciate più di 300 iniziative di partnership, per l'attuazione delle quali sono stati impegnati più di 200 milioni di dollari in risorse nuove e aggiuntive.
63Si ricordano i rapporti UNEP sull'ambiente, il più recente dei quali, Geo-3 (Global Environment Outlook), presentato il 22 maggio 2002, contiene una enorme quantità di dati sull'ambiente, fotografando, grazie alla collaborazione di una rete di circa 1000 centri di ricerca in tutto il mondo, la situazione presente e prevedendo i possibili scenari futuri.
64Si ricordano i già citati rapporti UNEP sull'ambiente, il più recente dei quali, Geo-3 (Global Environment Outlook), presentato il 22 maggio 2002, contiene una enorme quantità di dati sull'ambiente, fotografando, grazie alla collaborazione di una rete di circa 1000 centri di ricerca in tutto il mondo, la situazione presente e prevedendo i possibili scenari futuri.
65"La precauzione non presuppone più la conoscenza perfetta del rischio: è sufficiente avere sentore, sospettare che possa accadere, presumerlo. Non si tratta (…) solo di prevenire rischi quasi sicuri, valutabili, calcolabili, ma piuttosto di anticipare quelli che derivano dalla possibilità, dall'eventualità, dalla plausibilità, dalla probabilità (…). [Il principio di precauzione] porta a ritardare, o anche ad abbandonare, quelle attività che si suppone abbiano conseguenze gravi per la protezione dell'ambiente, anche nel caso in cui i sospetti non siano completamente comprovati sul piano scientifico": DE SADELEER N., Gli effetti del tempo, la posta in gioco e il diritto ambientale, in Riv. giur. amb., 2001, n. 5, p. 598 ss. È interessante quanto osservato dall'A. in ordine al rapporto tra diritto e scienza, ed in particolare al fatto che mentre il principio di precauzione opera sul lungo termine, in corrispondenza dei tempi lunghissimi ed incerti della natura, "il diritto, in quanto scienza umana, non conosce altro tempo che il tempo riferito ai fenomeni umani": "se la natura si evolve secondo tempi lunghi, a volte lunghissimi, il giurista opera invece secondo il ritmo delle previsioni umane". Ampiamente, sul principio di precauzione, si vedano anche ACERBONI F., Contributo allo studio del principio di precauzione: dall'origine nel diritto internazionale a principio generale dell'ordinamento, in Dir. Regione, 2000, fasc. 2, p. 245 ss.; SCOVAZZI T., Sul principio precauzionale nel diritto internazionale dell'ambiente, in Riv. dir. int., 1992, fasc. 3, p. 699 ss.; AA.VV., Il principio di precauzione, la gestione a priori del rischio, in Ambiente, Risorse, Salute, 1999, n. 70; POSTIGLIONE A., I grandi temi del nostro tempo: l'ambiente nel Trattato di Maastricht, in Dir. giur. agraria, 1998, fasc. 2, pt. 1, p. 69.
66In base al Principio 15 della Dichiarazione su Ambiente e Sviluppo (Report of the United Nations Conference on Environment and Development, Rio de Janeiro, 3-14 June 1992, United Nations publication, Sales No. E.93.I.8 and corrigenda, vol. I: Resolutions adopted by the Conference, resolution 1, annex I), infatti, "In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States according to their capabilities. Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effective measures to prevent environmental degradation".
67Report of the United Nations Conference on Environment and Development, Rio de Janeiro, 3-14 June 1992, United Nations publication, Sales No. E.93.I.8 and corrigenda, vol. I: Resolutions adopted by the Conference, resolution 1, annex I.
68La carica di ciascun membro dura tre anni; in ragione del criterio di rotazione dei partecipanti, le elezioni vengono svolte annualmente per coprire i posti vacanti. Le organizzazioni intergovernative e non governative accreditate presso la Commissione possono partecipare alle sessioni in qualità di osservatori.
69Per approfondimenti su composizione, attività e mansioni della Commissione si rimanda al sito delle Nazioni Unite, Division for Sustainable Development, URL: www.un.org/esa/sustdev.
70Il testo della Carta della Terra è leggibile, nella versione italiana, all'URL: www.earthcharter.org/files/charter/charter_it.pdf.