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Il rischio di degenerazione degli attuali ecodisastri in conflitti.


Elena Frumento

 


L'attuale sistema produttivo e di mercato sta portando l'umanità verso preoccupanti livelli di distruzione in termini di degrado ambientale ed esaurimento delle risorse naturali disponibili1. La popolazione del pianeta continua ad espandersi, a prelevare risorse, acqua ed energia dall'ambiente, a diffondere inquinanti e disperdere rifiuti, producendo danni al territorio, all'aria ed all'acqua in alcuni casi irreversibili.


Le risorse materiali ed energetiche del pianeta sono a rischio sotto la forte pressione esercitata dai modelli di produzione, commercio e consumo attualmente in uso. La logica della crescita e dell'opulenza, che sta alla base del nostro sistema di mercato, produce infatti la modificazione e la devastazione di interi ecosistemi, utilizza una quantità eccessiva di risorse naturali, genera una massa enorme di scarti e rifiuti non "metabolizzabili" dai sistemi naturali, provoca altissimi livelli di inquinamento e causa l'estinzione di circa 30.000 specie viventi l'anno2.


Il PAGE (Pilot Analysis of Global Ecosystems), che costituisce l'analisi pilota del Millennium Ecosystems Assesment delle Nazioni Unite3, ha evidenziato nel 2000 le gravi conseguenze sugli ecosistemi della pressione esercitata dai comportamenti umani: metà delle zone umide del pianeta sono andate perdute nel corso del secolo passato, il 58% delle barriere coralline è minacciato da attività umane, il 20% delle zone aride corre il rischio imminente di trasformarsi in deserto, l'80% delle praterie presenta alti livelli di erosione dei suoli, 13 su 15 delle principali riserve ittiche marine sono state così sfruttate da essere a rischio di esaurimento, le acque dolci e le foreste sono ovunque minacciate in modo allarmante, l'uso eccessivo dei combustibili fossili sta determinando un pericoloso cambiamento del clima e per una serie di risorse minerarie si ritiene che non siano disponibili più di 50 anni di estrazione4.


Guardare alle attuali condizioni ambientali del nostro pianeta non significa però solo prendere coscienza del tenore della violenza che l'adozione degli attuali canoni di sviluppo comporta, ma anche riflettere sul rischio che tali crisi comportano in termini di possibili conflitti su scala globale.


È infatti innegabile che, via via che il degrado ambientale aumenta e che diminuisce la capacità del pianeta di soddisfare i bisogni primari dei suoi abitanti, si rende sempre più probabile lo scoppio di nuove guerre, di quelle guerre causate proprio dalla necessità o volontà di avere il controllo sulle principali fonti di materie prime. Questo rischio è inevitabilmente accentuato dalla persistenza di alti livelli di domanda di risorse e prodotti di consumo che, incentivando l'adozione di modelli di sfruttamento predatori svincolati da principi di solidarietà, tendono a rendere meno pacifici i rapporti internazionali e ad alimentare la conflittualità tra i popoli5.


Nonostante i conflitti sulle risorse non siano certo una novità degli ultimi anni, oggi la situazione si presenta particolarmente difficile dal momento che buona parte delle risorse naturali, rinnovabili e non rinnovabili, disponibili risultano sfruttate in modo eccessivo. Privilegiando gli aspetti quantitativi e puntando a cicli produttivi sempre più brevi, infatti, l'attuale sistema di produzione e di consumo entra in aperto contrasto con la natura ed i processi evolutivi naturali, imponendo ritmi e meccanismi con essi incompatibili. La necessità di estendere la produzione di merci e di occupare spazi sempre più ampi per realizzare un efficace sistema di produzione, di approvvigionamento energetico e di distribuzione, non tiene conto della limitatezza e della delicatezza dell'ambiente naturale.


In questo quadro la crescente scarsità di risorse naturali disponibili desta forti preoccupazioni soprattutto nei popoli che basano la propria economia sul loro massimo sfruttamento. Dal momento che un'interruzione nel rifornimento di risorse potrebbe avere gravi conseguenze economiche, i principali Paesi importatori considerano oggi l'accesso alle ricchezze naturali e la protezione del ciclo di rifornimento una fondamentale priorità di interesse nazionale. Ciò induce all'adozione di strategie politiche sempre più volte alla difesa o al controllo delle zone ricche di risorse quali petrolio e gas naturale. A differenza del passato, quando, come durante il periodo della guerra fredda, si creavano alleanze e divisioni sulla base delle posizioni ideologiche e politiche, attualmente è la componente economica a regolare le relazioni internazionali, le politiche di difesa e offesa e la spartizione del potere a livello mondiale. Il cambiamento ha trovato terreno fertile, quando, in conseguenza del crollo del Muro di Berlino e del blocco sovietico, il precedente status quo è entrato in crisi e con esso quel complesso di regole che ne determinava l'equilibrio. Ad oggi, il sistema delle aree di influenza è ancora lontano dallo stabilizzarsi, complici l'esplosiva situazione del Medio Oriente, il passaggio della Cina da satellite di Mosca ad autonomo e imponente Paese dello scacchiere internazionale, il processo di riunificazione europea nonché l'irrisolta questione africana.


In tale contesto, ad esempio, l'Asia centrale, in virtù delle consistenti riserve di petrolio e gas naturale che si ritiene siano custodite nelle profondità del Mar Caspio, è entrata negli ultimi anni tra i principali obiettivi strategici della sfera di interesse degli Stati Uniti, e lo stesso dicasi per le regioni del Golfo Persico, la conca del Mar Caspio e il mare della Cina meridionale, ove si concentra la quota maggiore di riserve di petrolio mondiale6.


Ma se il petrolio costituisce inequivocabilmente il combustibile primario per le economie mondiali sviluppate ed in via di sviluppo7, la risorsa acqua si dimostra fondamentale combustibile per la sopravvivenza dell'uomo. Conseguentemente, in parallelo alla corsa all'energia, in diverse zone del mondo è la risorsa idrica, sempre più scarsa soprattutto in molte regioni del Medio Oriente e del Sud-Est asiatico, la causa principale della conflittualità tra Paesi.


Spesso poi i conflitti aventi alla base il controllo delle risorse naturale non vedono contrapposti due Paesi, ma gruppi, élites o tribù locali, all'interno di uno stesso Paese: si pensi agli scontri nel Sud Est Asiatico per il controllo del legname, in Angola e Sierra Leone per i diamanti, nella Repubblica Democratica del Congo per il legname, il rame, i diamanti ed il coltan. Anche se le conseguenze politico-economiche di queste gravissime crisi non toccano direttamente la stabilità delle principali potenze, esse possono comunque richiedere l'intervento di organismi sovranazionali e mettere alla prova la coesione dei Paesi ricchi e la loro capacità di intervenire nelle questioni etniche e regionali8.


A fronte di tutti questi fenomeni - l'acerrima concorrenza per l'accesso alle riserve energetiche, le forti tensioni per il controllo dell'acqua, i conflitti interni per lo sfruttamento di giacimenti di minerali preziosi - si delinea una nuova geografia dei conflitti i cui punti di rottura sono sempre più disegnati dalle rotte commerciali e dai giacimenti di risorse che non dalle divisioni politiche e ideologiche. In un futuro prossimo, la partita vedrà per lo più opposti sul campo, da una parte, i Paesi ricchi, economicamente sviluppati e bisognosi di risorse ormai esaurite in casa propria, e, dall'altra, i Paesi poveri, pronti a cedere le proprie risorse per veicolare se stessi da un'economia primordiale ad un superiore gradino del processo di sviluppo.


Stante l'attuale ritmo di sviluppo, è purtroppo altamente probabile che la competizione per l'accesso alle materie prime, specialmente quelle che, come il petrolio, si trovano in aree in forte disputa o politicamente instabili, diventerà sempre più intensa: "Con l'aumento della popolazione e l'ampliarsi delle attività economiche in molte parti del mondo, la richiesta di materie prime vitali è destinata ad aumentare più rapidamente della possibilità di farvi fronte: si avrà una ricorrente carenza di materie prime-chiave che in alcuni casi diventerà cronica"9.


Particolarmente evidenti, come si è detto, saranno le tensioni per l'accesso al petrolio, il cui consumo globale, secondo le previsioni formulate nell'International Energy Outlook 2003, passerà dai 77 milioni di barili/giorno del 2000 a 119 milioni di barili/giorno nel 202510; altrettanto drammatica sarà la situazione per le risorse idriche, se si pensa che entro il 2050 la domanda di acqua raddoppierà rispetto ad oggi, che consumiamo circa la metà delle riserve annualmente disponibili11. Ma anche altri fenomeni ambientali, come l'effetto-serra, i cambiamenti climatici, l'inquinamento e la crescente deforestazione, influiranno negativamente sulla disponibilità di risorse su scala mondiale e determineranno situazioni critiche in numerose aree del pianeta. E lo stesso dicasi in relazione alla minaccia rappresentata dalla perdita della biodiversità, cui assistiamo con effetti anche al di fuori delle zone in cui avviene, o ancora all'assottigliamento della fascia di ozono, in grado di determinare gravi conseguenze sulla salute umana e sull'ecosistema.


L'analisi delle tendenze rispetto alle risorse naturali ed ai correlati fenomeni politico-sociali rivela insomma che sempre più Stati considerano il controllo delle materie prime come una esigenza primaria di sicurezza nazionale e quindi un valido motivo per esercitare pressioni e, come extrema ratio, ricorrere alla guerra. Per evitare che questo approccio prenda il sopravvento e diventi congenito modus operandi nella gestione dei rapporti internazionali, è necessario ricondurre i consumi mondiali a livelli di sostenibilità, facendo della efficacia e della lungimiranza le fondamenta sulle quali costruire un nuovo sistema di relazioni internazionali.
 

 

1Sugli effetti ambientali della globalizzazione, si vedano diffusamente NESPOR S., La globalizzazione danneggia l'ambiente?, in Riv. giur. amb., 2002, p. 1 ss.; SACHS W., Ambiente e giustizia sociale: i limiti della globalizzazione, Editori Riuniti, Roma, 2002; FRENCH H., Ambiente e globalizzazione: le contraddizioni tra neoliberismo e sostenibilità, a cura di Gianfranco Bologna, Edizioni ambiente, Milano, 2000; SPINELLI G. - SCARPELLI L., Ambiente, economia, ecosistemi: dai limiti dello sviluppo alla sostenibilità, Kappa, Roma, 1995; GERELLI E., Società post-industriale e ambiente, Laterza, Roma-Bari, 1995; FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DEGLI AMICI DELLA TERRA (a cura di), Verso un'economia sostenibile: nuove regole per la globalizzazione economica, documento programmatico pubblicato in rete, URL: www.amiciterra.it/NEWSLETT/news19/economiasos.htm.
2Sul punto si veda ELDREDGE N., La vita in bilico - Il pianeta sull'orlo dell'estinzione, Einaudi, 2000.
3Il Millennium Ecosystems Assessment è un programma di ricerca congiunto di autorevoli istituzioni internazionali nell'ambito delle Nazioni Unite, dall'UNEP (United Nations Environment Programme) al World Resources Institute, lanciato nel 2001 dal segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, in occasione della giornata mondiale dell'ambiente (che ricorre il 5 giugno di ogni anno).
4Gli studi che documentano la situazione del pianeta e ne sottolineano la gravità sono numerosi: tra questi, si ricordano quello effettuato dall'Earth Policy Institute e presentato da Lester Brown, nonché il rapporto "AAAS Atlas of Population and Environment" prodotto nel 2001 dall'American Association for the Advancement of Science (AAAS), che analizza le relazioni tra popolazione umana e risorse naturali sollevando tutte le giustificate preoccupazioni sullo stato attuale della situazione ambientale mondiale che la comunità scientifica ormai da tempo sottopone alla politica ed all'economia affinché si trovino adeguate e concrete soluzioni.
5RENNER M., Breaking the link between resources and repression, in State of the World 2002, WorldWatch Institute, afferma che almeno un quarto delle guerre e conflitti armati combattuti nel 2000 erano connessi a conflitti su risorse naturali, nel senso che lo sfruttamento illegale o legale delle stesse ha contribuito o peggiorato conflitti violenti o finanziato la loro continuazione.
6Per comprendere l'importanza strategica di queste zone, basta considerare che solo nel Golfo Persico si stima sia concentrato circa il 60% delle riserve conosciute di greggio nel mondo, senza tener conto delle non univoche stime di quanto disponibile nei territori del Mar Caspio. Cfr. NOVATI E., Il mondo è in riserva. Allarme petrolio, in ALTREconomia, luglio/agosto 2002, p. 28 ss.
7Secondo le stime riportate nell'International Energy Outlook 2003, redatto dall'Energy Information Administration (Report: DOE/EIA-0484(2003) Released May 1, 2003), si prevede che nel periodo compreso fra il 2001 e il 2025 i consumi mondiali di energia cresceranno del 58% e che il totale di energia utilizzata crescerà da 404 quadrilioni di Btu (British Thermal Units) a 640 quadrilioni. La crescita maggiore si concentrerà nei PVS: in particolare, si ritiene che in quell'arco di tempo in Asia e nel Centro e Sud America la domanda di energia sarà più che duplicata.
8Sul punto KLARE M.T., La guerra delle materie prime, in Lettera internazionale, n. 69, URL: www.letterainternazionale.it/articoli/1klare69.htm.
9KLARE M.T., Nuova geografia dei conflitti, tratto da Via Alterna, URL: www.viaalterna.com.co, trad. it. a cura di Federica Comelli e Marina Vallatta, 19 gennaio 2003.
10Le previsioni si riferiscono al consumo energetico nell'ipotesi che l'economia mondiale cresca nei prossimi 20 anni ad un tasso medio del 3% annuo, tenendo conto del miglioramento dell'efficienza nell'uso delle fonti di energia.
11Cfr. UNIMONDO (a cura di), Globalizzazione dei popoli. Acqua, URL: www.unimondo.org/globpopoli/schede/acqua_000.html.