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Accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie e tetti di spesa tra libertà di scelta e diritto di iniziativa economica - brevi riflessioni.


ROSARIO CALANNI


 

I. - La Legge numero 833/1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, considerava l’assistenza sanitaria un compito primario dello Stato il quale doveva garantirla attraverso le sue articolazioni e le sue strutture; ammettendosi il ricorso ai produttori privati, sulla base di apposite convenzioni, solo in via di integrazione, nel caso in cui le articolazioni e strutture pubbliche non fossero state in grado provvedervi (art. 25, commi 2, 7, articolo 8 e articolo 26 della Legge 833/1978).


Una svolta si è avuta con il Decreto Legislativo 30 Dicembre 1992, numero 502, così come integrato dal successivo Decreto Legislativo numero 517/1993 e dalla Legge 23 Dicembre 1994, numero 724, emanato in attuazione della Legge Delega 31 Ottobre 1992, numero 421.


L’articolo 8, comma 5 del Decreto Legislativo numero 502/1992 e successive modificazioni, in particolare, prevedendo che “…l’unità sanitaria locale assicura ai cittadini l’erogazione delle prestazioni specialistiche ivi comprese quelle ospedaliere avvalendosi dei propri presidi, nonché delle aziende ospedaliere e, più in generale, delle aziende pubbliche o private…”, ha aperto il mercato delle prestazioni sanitarie ai produttori privati, essendosi passati da una visione monopolistica ad una visione liberista ed elastica del mercato fondata sul pluralismo dell’offerta e sulla libera scelta dell’utente.


La sola condizione posta per l’accesso, valevole tanto per le strutture pubbliche che per quelle private era data, dalla necessità che si instaurassero appositi rapporti con gli enti gestori del servizio fondati sull’accreditamento regionale ex articolo 8, comma 7 D. Leg.vo 502/1992.


Laddove l’accreditamento, sulla scorta del disposto dell’articolo 6 della Legge 724/1994 era inteso quale omologazione ad esercitare che poteva essere acquisita se la struttura avesse disposto, effettivamente, di dotazioni strumentali tecniche e professionali corrispondenti ai criteri definiti a livello nazionale.


La definizione del concetto di accreditamento raggiunse definitiva chiarezza con la sentenza numero 416/1995, allorché la Corte Costituzionale rigettando i ricorsi proposti dalle Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Sicilia avverso l’articolo 6, commi 6 e 7 della Legge 724/1994, lo qualificò alla stregua di un diritto, escludendo in radice una scelta discrezionale della pubblica amministrazione ed ancorandolo al possesso di requisiti prestabiliti con atto di indirizzo e coordinamento.


La Corte Costituzionale ancora, con tale decisione, precisò che la programmazione regionale doveva essere una verifica a consuntivo e una valutazione degli scostamenti, tali da influire sulla misura del finanziamento per l’anno successivo.


In breve, si riteneva giusto che la programmazione dovesse avere come riferimento anche il budget delle risorse finanziarie che, tuttavia, doveva riguardare solo la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, senza toccare il principio della libera scelta del medico e del luogo di cura, né la concezione pluralistica degli enti erogatori.


La “ratio” ispiratrice del nuovo sistema stava nel favore per la concorrenza tra i produttori di prestazioni sanitarie, guardando ai benefici che per tale via avrebbero conseguito d’un canto l’efficienza e la qualità del prodotto sanitario e dall’altro il contenimento della spesa.


E la conferma di tale ratio si trova nella definizione contenuta al Capitolo 8 di piano sanitario nazionale 1994/1996 ove si richiamano le finalità della riforma, volta ad indurre i produttori esterni ad ottimizzare i propri processi produttivi e quindi minimizzare i costi unitari, pur mantenendo adeguati standards qualitativi.


Sicchè, all’esito dello scrutinio di legittimità costituzionale compiuto nel ’95, la materia rimaneva regolata dai chiari principi di libera scelta e di libertà di iniziativa economica, nell’ambito di un “budget” riferito alla previsione generale di spesa a carico del servizio sanitario nazionale da verificare a consuntivo, allo scopo di attivare nel caso di superamento i necessari controlli di carattere quantitativo e qualitativo.

 


II. – L’articolo 8, comma 2 della Legge 23 Dicembre 1995, numero 549, estendendo ai produttori privati di prestazioni sanitarie il metodo di finanziamento previsto dalla Legge 724/1994 per le aziende ed i presidi ospedalieri prevedeva che, “….ferma restando la facoltà di libera scelta, le regioni e le unità sanitaria locali, sulla base di indicazioni regionali, contrattano, sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, con le strutture pubbliche e private e con i professionisti un piano annuale preventivo che stabilisca quantità presunte e tipologia delle prestazioni sanitarie”.


In tal modo, attraverso il richiamo alla libertà di scelta e l’affermazione del carattere presuntivo dei “budget” il sistema manteneva ancora sufficienti garanzie di tutela costituzionale e flessibilità.


L’articolo 1, comma 36 della Legge 23 dicembre 1996 numero 662, al contrario ha segnato la prima inversione di tendenza stabilendo che il piano contrattato “…deve essere preceduto dalla individuazione ad opera della regione della quantità e tipologia di prestazioni sanitarie erogabili dalle strutture pubbliche e private e deve essere realizzato in conformità a tali indicazioni con la fissazione del limite di spesa massimo sostenibile…”.


Con l’articolo 32, comma 8 della Legge 27 dicembre 1997, numero 449, che attribuisce alle Regioni, in attuazione della programmazione sanitaria il compito di individuare, preventivamente, per ciascuna istituzione sanitaria pubblica o privata il limiti massimi di spesa sostenibili con il fondo sanitario, nonché gli indirizzi e le modalità per la contrattazione di cui all’articolo 1, comma 32 della Legge numero 662/1996, il sistema si è definitivamente irrigidito scostandosi da quei parametri di tutela costituzionale della libertà di scelta e di iniziativa economica in rapporto ai principi di efficienza e buon andamento che avrebbero dovuto caratterizzarlo.


Sicchè, con la legge Legge Delega 419/1998 e col Decreto Delegato 229/1999 che la seguì, l’accreditamento, seppure definito dalla legge come un diritto e come tale riconosciuto dalla Corte Costituzionale, ha perso la sua originaria connotazione (diventando il risultato di una complessa attività programmatoria condizionata dai limiti di “budget”).


Gli articoli 2 lett. g della Legge 419/98, 8 bis comma 3 e 8 quater aggiunti al Decreto Legislativo 502/1992 dal Decreto Delegato 229/1999, nella parte in cui collegano l’accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie private a valutazioni discrezionali di esclusiva pertinenza della Regione, nonché gli articoli 2 lett. d della Legge 419/1998 e 8 quinques comma 2 lettera b aggiunto al Decreto Legislativo numero 502/1992 dal Decreto Delegato numero 229/1999, nella parte in cui subordinano l’ammissione alla produzione sanitaria delle strutture private, alla conclusione di appositi accordi contrattuali con cui si fissa il volume massimo di prestazioni che ciascuna struttura può erogare, sono illegittime per violazione degli articoli 2, 3, 32 e 41 della Costituzione; a causa della compressione che da esse conseguono l’iniziativa privata nel settore e gli stessi utenti del Servizio Sanitario Nazionale, restando in tal modo esclusi o gravemente compromessi tanto la possibilità di una offerta plurale di prestazioni, che la libertà di scelta delle proprie cure sanitarie da parte del cittadino.

 


III. - Ciò posto, i dubbi di costituzionalità di costituzionalità del nuovo sistema sopra delineato si fondano sulle seguenti considerazioni e ragioni.


A) Il diritto alla salute nella sua accezione di diritto sociale, inteso cioè in senso conforme all’articolo 32 della Costituzione, attenendo al valore assoluto della dignità della persona, rientra tra i diritti fondamentali della stessa.=
Tali diritti com’è noto, presentano una inalterabile struttura di autodeterminazione attraverso la libera scelta, senza la quale ogni sia pure ampia previsione di contenuti lederebbe il valore assoluto della dignità personale piuttosto che realizzarlo.


L’autodeterminazione in sostanza, è componente essenziale di qualunque diritto fondamentale.


Nel caso del diritto alla salute o di altri diritti essenziali di pari rango inoltre, a causa del carattere esistenziale di inerenza alla persona che essi rivestono, il concreto contenuto di autodeterminazione vale a qualificarli come diritti di libertà (ed in questo senso l’articolo 32 della Costituzione parla di diritto fondamentale dell’individuo).


La libertà di scelta con cui il diritto alla salute si manifesta presuppone, ovviamente, la pluralità e la varietà delle fonti di produzione (e quindi, una presenza la più estesa possibile di produttori pubblici e privati).


Questa è la ragione di fondo per cui la nostra Carta Costituzionale all’articolo 38 in tema di assistenza, all’articolo 33 in tema di istruzione, all’articolo 21 primo camma in tema di informazione e comunicazione del pensiero, assicura la presenza dei privati che deve essere il più possibile ampia e plurale, ai fini della attuazione dei relativi scopi.


Senza tale presenza infatti, verrebbe meno il pluralismo e, con esso la libertà di scelta, che vale a qualificare come libertà il diritto, in quanto garantisce che il titolare lo eserciti come persona e non come mero destinatario.


I sospetti di incostituzionalità trovano ulteriore conferma nella enunciazione del principio di sussidiarietà orizzontale contenuto nell’articolo 118 quarto comma del novellato testo della Costituzione, la cui applicazione è destinata ad incidere in modo determinante nell’organizzazione del servizio sanitario nazionale e degli altri servizi pubblici.


L’applicazione di tale principio invero, impone il passaggio da una gestione della salute largamente dominata dalla mano pubblica ad un diverso assetto strutturale, nel quale il privato sociale assurge ad un ruolo essenziale nella erogazione del servizio sanitario.


Lo schema organizzativo auspicato in sostanza, vede affidata la gestione del servizio ai corpi sociali, in base ad un regime di autonoma iniziativa di assunzione dei propri compiti, chiamando l’Amministrazione ad esercitare il controllo sui gestori del servizio attraverso il modello già esistente dell’autorizzazione, dell’accreditamento e degli accordi contrattuali.


B) Non meno importate, seppure non del tutto esaustivo, rispetto all’articolo 32 già citato, è il richiamo all’articolo 41 della Costituzione ed ai valori ad esso sottesi.


Il richiamo è pertinente, svolgendosi l’attività di produzione sanitaria anche sotto forma di impresa, ed essendo la normativa volta a indurre i fornitori del servizio tanto pubblico che privati all’adozione di criteri di equilibrato profitto ottenuto mediante l’ottimizzazione dei processi produttivi e la minimizzazione dei costi, in una ottica che è proprio quella della libertà di iniziativa economica e del mercato.


Sotto tale profilo, si evidenziano di seguito alcune chiare lesioni dei principi costituzionali poiché:


1) L’accreditamento istituzionale ha perso la sua connotazione originaria di atto di mero riscontro dei requisiti qualitativi, strutturali, tecnici ed organizzativi, oggettivamente e soggettivamente verificabili divenendo, con l’articolo 2 lettera g della Legge 419/1998, nonché con l’articolo 8 bis comma 3 e 8 quater aggiunti al D. Leg.vo 502/1992 dal Decreto delegato 229/1999, un atto a contenuto altamente discrezionale.


L’articolo 8 quater, comma 1 del Decreto Legislativo 502/1992, nella parte in cui subordina l’accreditamento alla valutazione da parte della Regione, della funzionalità della struttura richiedente rispetto agli indirizzi della programmazione e al fabbisogno quantitativo di assistenza, ha sbarrato oltre una certa soglia l’accesso ai produttori privati di prestazioni sanitarie.


Ciò che, ovviamente, impoverisce la competizione sul terreno delle caratteristiche qualitative e organizzative in violazione della libertà di scelta degli utenti.


2) L’accesso alla produzione di prestazioni sanitarie da parte delle strutture private è stato subordinato, dagli articoli 2, lettera dd della Legge 419/1998, nonché dall’articolo 8 quinques comma 2 lettera b, aggiunto al Decreto Leg.vo 502/1992 dal Decreto delegato 229/1999, alla stipulazione di appositi accordi contrattuali, aventi ad oggetto: a) la determinazione del volume massimo di prestazioni che ciascuna struttura si impegna ad erogare verso il corrispettivo preventivato in un determinato periodo; b) la determinazione della remunerazione dovuta per eventuali volumi di prestazioni eccedenti quelle preventivate nel medesimo periodo.


Tali accordi, come si è visto, devono adeguarsi agli atti di indirizzo della Regione, rispetto ai quali pure deve conformarsi la programmazione aziendale privata; sicchè, la quantità di prestazioni sanitarie erogabili dai privati con oneri a carico del servizio sanitario nazionale è solo formalmente concordata (essendo di fatto, autoritativamente ed unilateralmente, imposta).


La predeterminazione quantitativa delle prestazioni destinate al servizio sanitario nazionale inoltre, da un parte consente al gestore di operare arbitrarie preferenze tra i produttori accreditati emarginando le strutture private rispetto a quelle pubbliche; dall’altro condiziona la programmazione aziendale limitando l’autonomia organizzativa dei produttori esterni (i quali degradano a meri esecutori delle direttive del gestore del servizio).


Ciò che, si risolve in una compressione della libertà di scelta degli utenti cui viene esclusa la disponibilità di una offerta la più ampia e diversificata possibile, restando vanificata la stessa ragione sottesa alla partecipazione dei produttori privati al servizio sociale.


3) La compressione della libertà di scelta dell’utente non è attenuata dal fatto che l’articolo 8 quater, comma 3 del Decreto Legislativo 502/1993 e successive modificazioni, attribuisce alle Regioni il compito di definire i limiti entro cui è possibili accreditare quantità di prestazioni in eccesso rispetto a quelle programmate.


Sotto tale profilo infatti, dopo avere programmato e distribuito tra i soggetti accreditati le quantità massime di prestazioni presuntivamente rispondenti al fabbisogno, si finisce con il programmare e distribuire anche l’eccedenza (la quale viene determinata sulla base del volume massimo di prestazioni assegnate in via autoritativa e, non invece, dalla libera scelta degli utenti).


C) A sospetti di incostituzionalità non meno rilevanti si espongono le norme richiamate: a) nella parte in cui ridisciplinano i rapporti tra il servizio sanitario nazionale ed i produttori di prestazioni sanitarie da svolgersi al di fuori di esso (art. 2 lett. dd Legge 419/1998, art. 8 bis, comma 3 e articolo 8 ter comma 1, aggiunti al Decreto Legislativo 502/1992 dal Decreto Delegato 229/1999); b) nella parte in cui si occupano dell’assistenza indiretta (art. 8 septies comma 1, parte 1 e parte 2 del Decreto Legislativo 502/1992 e successive modificazioni); stante l’ eccesso di delega, in cui il legislatore è incorso, non prevedendo la Legge 419/1998 nulla in tema di assistenza indiretta.