I contratti della pubblicità commerciale.
Maurizio Fusi
I CONTRATTI DELLA PUBBLICITA’ COMMERCIALE (*)
SOMMARIO: 1. Profili generali. – 2. La nozione di «pubblicità». – 3. Gli
utenti di pubblicità. – 4. I mezzi di pubblicità. – 5. Le figure professionali
della pubblicità. – 6. Il «sistema» dei contratti di pubblicità. – 7. La
«funzione di pubblicità». – 8. Le fonti della disciplina contrattuale.
1. Profili generali
Con l’espressione «contratti di pubblicità» è ormai consuetudine indicare alcune
figure negoziali ricorrenti in questo settore economico, poste in essere da
operatori pubblicitari nell’esercizio di attività pubblicitarie o per conseguire
scopi o produrre risultati pubblicitari. Ciò che li accomuna non sono i tratti
caratteriali o la natura giuridica, ma solo la loro relazione con la pubblicità
o, più esattamente, il fatto che sono posti in essere da operatori della
pubblicità e diretti a regolare rapporti inerenti alla pubblicità.
Riunire questi contratti sotto un unico titolo come se formassero una categoria
unitaria, può essere forse improprio, dal momento che si tratta di negozi
eterogenei, alcuni con effetti reali ed altri di contenuto obbligatorio, alcuni
ad effetto istantaneo ed altri ad esecuzione continuata o periodica, alcuni
riconducibili nello schema di contratti tipici quali appalto, somministrazione,
locazione d’opera e di cose, mandato, commissione, altri decisamente atipici ed
altri ancora misti.
Tuttavia, l’opportunità di farne l’oggetto di un unico studio ci sembra evidente
considerando che, pur nella diversità dei tratti fisionomici, si tratta di
negozi che anzitutto sono accomunati dalla medesima funzione socio-economica, e
cioè dall’essere finalizzati ad uno «scopo di pubblicità». E che inoltre –
attenendo ad un settore decisamente specialistico e risentendo del tecnicismo
dei rapporti che sono intesi a regolare – palesano aspetti in un certo senso
omogenei, non fosse altro che per la comunanza di nozioni, concetti, situazioni
e definizioni, così rendendo pressoché inevitabile la loro collocazione in un
gruppo a parte. Non senza dire che, essendo dalla loro esecuzione che nella
pratica quotidiana la pubblicità prende vita, gli uni sono di regola
complementari agli altri, talché le particolarità di una figura negoziale non
potrebbero essere sempre facilmente comprese ove non si conoscessero i
meccanismi di quelle che l’hanno preceduta: donde un ulteriore motivo per
considerare opportuna una trattazione unitaria.
A ciò si aggiunga poi che le prime strutture pubblicitarie non ebbero origine in
Italia ma in altri Paesi, la cui situazione economica più evoluta agevolò lo
sviluppo del fenomeno prima che da noi. Cosicché anche gli istituti contrattuali
della pubblicità non originano, almeno nella maggior parte, dalla nostra
esperienza negoziale, costituendo invece lo sviluppo di pratiche contrattuali
sorte ed affermatesi in Paesi di cultura giuridica diversa ed approdate alla
nostra realtà economica solo molto più tardi. E anche a motivo di tale genesi
comune può comprendersi l’esigenza di affrontarne lo studio in un contesto
comune.
Infine si consideri che i contratti di cui qui ci occupiamo rivestono, sul piano
economico, una importanza di non indifferente rilievo. I soli investimenti
pubblicitari relativi ai cinque mezzi classici di diffusione (la stampa, la
radio, la televisione, la pubblicità esterna, il cinema) hanno ormai raggiunto
in Italia volumi annui che superano largamente i diecimila miliardi. Ove tali
dati siano sommati a quelli degli stanziamenti relativi alla pubblicità sul
punto di vendita, alla pubblicità diretta e al direct marketing, alle
sponsorizzazioni, alle promozioni, ai concorsi e operazioni a premio, alle
manifestazioni fieristiche, nonché a tutto il settore della presentazione dei
prodotti industriali, il totale si raddoppia e le proiezioni indicano incrementi
ulteriori per il futuro.
Onde non è azzardato ritenere che tali valori incontestabilmente rimarchevoli, i
quali confermano che i contratti della pubblicità muovono nel nostro Paese una
parte non indifferente del reddito nazionale presentandosi dunque anche sotto il
profilo economico come un gruppo negoziale di notevole importanza, potrebbero
rappresentare da soli un ottimo motivo per farne oggetto di trattazione in forma
unitaria.
2. La nozione di «pubblicità»
Lo studio dei contratti della pubblicità postula anzitutto l’individuazione di
ciò che si intende per «pubblicità». Il sostantivo, ormai d’uso corrente per
riferirsi alla comunicazione commerciale rivolta al pubblico, è di generale
comprensione e non dovrebbe prestarsi a fraintendimenti. Tuttavia l’assenza di
una definizione normativa a lungo protrattasi, e l’uso non particolarmente
attento da parte del legislatore di termini impropri quali, a seconda dei casi,
«offerta in vendita», «propaganda», «propaganda pubblicitaria» e simili hanno
fatto sì che, almeno fino a qualche anno fa, l’espressione «pubblicità» formasse
oggetto, sul versante del diritto, di una incertezza terminologica di non
irrilevante portata. La quale scaturiva soprattutto dai diversi significati che
a tale espressione vengono attribuiti dal pubblico nel linguaggio corrente o,
per converso, dalle imprese e soprattutto dagli operatori del settore nel
linguaggio tecnico-operativo.
Nel linguaggio atecnico «pubblicità» designa, in senso indefinito, la
comunicazione aziendale diretta ad incrementare la domanda dei beni o servizi
che l’impresa offre al mercato. Quanto ai contenuti, vi si suole ricomprendere
sia la comunicazione avente specificamente ad oggetto i prodotti (pubblicità di
prodotto) sia quella intesa a favorire l’apprezzamento dell’impresa o dei suoi
marchi (pubblicità istituzionale). E quanto alle forme assunte ed ai mezzi
usati, l’accezione corrente non fa distinzioni, considerando indifferentemente
«pubblicità», oltre che i messaggi di tipo classico diffusi attraverso i mezzi
di comunicazione di massa, anche quelli veicolati sul punto di vendita, per
corrispondenza, con distribuzione a domicilio di campioni gratuiti o
buoni-sconto, attraverso iniziative di abbinamento o sponsorizzazione,
nell’ambito di attività di pubbliche relazioni.
A tale estesa accezione si contrappone quella più tecnica e ristretta, preferita
dagli operatori del settore, che limita la nozione di «pubblicità» (spesso
definita anche con il termine inglese «advertising») ai soli annunci «tabellari»
veicolati contro corrispettivo dai mass-media classici (stampa, radio,
televisione, cinema, affissioni), e definisce invece con i termini «p.o.p.»
(pubblicità sul punto di vendita), «promozioni», «pubbliche relazioni»,
«sponsorizzazioni», ecc. le rimanenti attività, sovente indicate anche con
l’espressione «below the line advertising».
Il nostro legislatore ha per la prima volta introdotto nell’ordinamento italiano
la nozione legale di «pubblicità» con il d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 in
materia di pubblicità ingannevole. Il d.lgs. n. 74/92 definisce all’art. 2.1.a
la pubblicità come «qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi
modo, nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o
professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la
costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la
prestazione di opere o di servizi». Definizioni pressoché analoghe sono
contenute nella direttiva n. 84/450 CEE a cui il d.lgs. n. 74/92 ha dato
attuazione e dalla quale l’ha mutuata, nonché nella direttiva n. 89/552 CEE
concernente la pubblicità televisiva.
Non sfuggirà che la definizione prescelta dal nostro legislatore (il quale,
successivamente al d.lgs. n. 74/92 ne ha formulate di simili anche in altri
testi legislativi) è più prossima all’accezione atecnica d’uso corrente, incline
a ricomprendere nel termine pressoché ogni tipo di comunicazione d’impresa, e si
distacca invece sensibilmente da quella, decisamente restrittiva, preferita dai
tecnici del settore. Ma si deve ricordare che già in precedenza, da alcuni testi
anteriori al d.lgs. n. 74/92, promananti proprio dagli operatori della
pubblicità o comunque desunti dalla realtà dei rapporti a cui danno vita,
emergeva una nozione di «pubblicità» altrettanto estesa.
Ci si riferisce in particolare al codice di autodisciplina pubblicitaria (che è
espressione delle varie categorie di tali operatori), il quale nel definire cosa
debba intendersi per pubblicità vi include, al punto e) delle norme preliminari
e generali, «ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la
vendita di beni o servizi quali che siano i mezzi utilizzati», mentre comprende
nella nozione di messaggio «qualsiasi forma di presentazione al pubblico del
prodotto» estesa anche «all’imballaggio, alla confezione e simili». Del pari, le
raccolte di usi in materia di pubblicità ufficialmente accertati da alcune
Camere di commercio definiscono la pubblicità come «qualsiasi forma di messaggio
che sia diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale,
artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la domanda di beni o
servizi» ed elencano come «principali forme di pubblicità», oltre alla
pubblicità di tipo classico (cosiddetta «pubblicità tabellare») anche le
promozioni e incentivazioni, le sponsorizzazioni, la pubblicità diretta, le
pubbliche relazioni, le fiere e analoghe manifestazioni, l’informazione
tecnico-scientifica e persino la «immagine coordinata» (corporate e brand image).
In conclusione, dunque, la nozione consolidata di «pubblicità», così
nell’accezione corrente come in quella che anche gli operatori dimostrano ormai
di seguire, coincide sostanzialmente con la definizione legislativa. Ed è
nozione estremamente vasta, ricomprendendo ogni comunicazione promanante da
un’impresa o comunque da un soggetto esercente in forma professionale
un’attività economica ed avente una finalità direttamente o indirettamente
promozionale, che in qualsiasi modo o forma ed attraverso qualsiasi mezzo venga
divulgata fra il pubblico.
3. Gli utenti di pubblicità
Dalla definizione legislativa emerge altresì che la pubblicità è un atto
d’impresa, giacché il riferimento all’«esercizio di una attività commerciale,
industriale, artigianale o professionale» con riguardo alla quale si intenda
promuovere la domanda dei beni o servizi prodotti nell’ambito di tale attività,
rende evidente che la natura imprenditoriale del soggetto da cui la pubblicità
promana è considerato uno degli elementi costitutivi della fattispecie.
Con l’avvertenza, peraltro, che il requisito è da ritenersi non circoscritto
alla sola impresa in senso tecnico-giuridico secondo la definizione che ne offre
l’art. 2082 c.c.: si è già visto come, nell’ampia nozione fornita dal d.lgs. n.
74/92, la pubblicità sia infatti riferita non solo ai soggetti esercenti
un’attività industriale o commerciale in forma d’impresa, ma anche agli
artigiani, ossia ai piccoli imprenditori, nonché ai professionisti. Onde questa
figura finisce per identificare l’operatore economico professionale in senso
lato, coincidendo con la nozione comunitaria di imprenditore fornita dalla
giurisprudenza degli organismi europei, che ritiene tale qualsiasi soggetto
esercente attività aventi rilevanza economica indipendentemente dalla struttura,
societaria o individuale, attraverso cui opera.
Trattandosi dunque di atto d’impresa, è chiaro che la decisione di dar corso ad
una pubblicità stanziando a tal fine gli investimenti necessari è di stretta
competenza dell’imprenditore. Il quale, dal momento che per le proprie finalità
promozionali «usa» la pubblicità, è ormai consuetudine chiamare appunto con il
nome di «utente». Il termine, sul piano lessicale, è tutt’altro che bello ma è
ormai acquisito nella pratica del settore, pur se, in luogo di «utente», non è
infrequente si usino anche espressioni che meglio riflettono la posizione di
questi soggetti nei rapporti contrattuali della pubblicità: nell’ambito delle
relazioni negoziali con i mezzi, gli utenti vengono spesso definiti come
«inserzionisti», e in quelli con le agenzie come «clienti». Più genericamente il
d.lgs. n. 74/92 li indica con il termine «committenti».
4. I mezzi di pubblicità
In linea di principio, non è impossibile che – come per qualche iniziativa
comunicazionale meno importante accade tuttora – l’utente di pubblicità realizzi
da sé solo i messaggi e li diffonda in forma diretta, utilizzando esclusivamente
la sua organizzazione: e si pensi ai cataloghi, ai volantini e ad altri
strumenti analoghi. Ed in tal caso non dovrà porre in essere alcun contratto di
pubblicità, giacché l’iter sulla comunicazione si esaurirà nell’ambito della sua
struttura aziendale.
Più spesso, tuttavia, non disponendo di nozioni e strumenti convenienti ai fini
che persegue, dovrà ricorrere alle prestazioni di soggetti qualificati perché
dotati di un particolare know how in tema di comunicazione d’impresa, o perché
provvisti di validi veicoli diffusivi, e per potersi avvalere di tali
prestazioni dovrà concludere con tali soggetti degli accordi, ossia dei
«contratti di pubblicità».
In teoria, poiché l’atto conclusivo della pubblicità è la sua diffusione, il
contratto attraverso cui conseguire lo scopo potrebbe essere uno soltanto:
quello cioè con il proprietario o gestore di un veicolo diffusionale, onde
ottenere, contro corrispettivo, la divulgazione dei messaggi. Ciò, del resto, è
quanto accadeva agli albori della pubblicità e tuttora accade per le forme di
comunicazione più elementari (ad esempio per gli «annunci economici», per le
pubblicazioni dei bilanci, ecc.), in cui è chi gestisce il veicolo a prendersi
carico della forma (e a volte anche del contenuto) del messaggio da pubblicare.
Nella maggior parte dei casi tale formula oggi non è più usata, ma ciò nulla
toglie all’importanza del contratto di diffusione, che è intuitivamente
essenziale nel quadro del sistema, non essendo possibile, senza di esso, neppure
immaginare la pubblicità.
Il soggetto che attende alla divulgazione della pubblicità è di regola (ma non
necessariamente) una impresa di comunicazione, che, disponendo di un mezzo di
diffusione, viene anch’essa abitualmente indicata come «il mezzo». Una
classificazione ormai acquisita suddivide i mezzi in cinque gruppi,
corrispondenti ai cinque settori classici della comunicazione pubblicitaria:
stampa, televisione, radio, cinema e pubblicità esterna. Ma, pur essendo
incontestabile che tali mezzi siano per volume d’investimenti e numero di
persone raggiunte i più importanti, molti altri se ne possono menzionare, quali,
a titolo esemplificativo, quelli attraverso cui si realizzano la pubblicità
diretta, le azioni di mailing, la pubblicità sul punto di vendita, quella negli
stadi, velodromi, teatri ed altri luoghi di spettacolo, nelle fiere ed
esposizioni, la pubblicità ambulante, aerea e molti altri. Infatti, lungi
dall’utilizzare come supporti diffusionali soltanto i grandi mezzi di
comunicazione, la pubblicità utilizza continuamente strumenti di divulgazione
sempre nuovi e diversi: si pensi, fra i numerosi esempi, al vasto ricorso alle
sponsorizzazioni, nelle quali cose ed avvenimenti in sé sprovvisti di qualsiasi
attitudine diffusiva vengono trasformati in altrettanti veicoli per la
diffusione della comunicazione pubblicitaria e, più di recente, ai new media
informatici che già offrono ampie prospettive quali veicoli pubblicitari per via
telematica.
Tale constatazione induce a due osservazioni: anzitutto che in un panorama così
vario una elencazione dei mezzi pubblicitari non è possibile in quanto non
esistono, se non per alcuni dei mezzi principali, parametri costanti di
riferimento su cui basarsi; ed in secondo luogo che, eccezion fatta per taluni
casi, la diffusione della pubblicità non costituisce l’attività principale del
mezzo, rappresentando solo una forma di sfruttamento marginale di certe sue
attitudini: si pensi, ad esempio, alla stampa e alla televisione il cui fine
istituzionale è l’informazione, ai cinema e agli stadi la cui destinazione
primaria è ospitare spettacoli, ai veicoli di pubblico trasporto la cui funzione
è appunto di trasportare persone, e così via, per i quali il farsi strumento di
diffusione pubblicitaria costituisce un’attività accessoria alle loro finalità
istituzionali e all’oggetto principale della loro impresa.
Tale aspetto particolare rende evidente perché il mezzo affidi quasi sempre la
gestione commerciale di questa sua attività marginale ad imprese specializzate,
in veste di concessionarie di pubblicità. E mette conto aggiungere che tali
imprese, in quanto operanti per i mezzi, vengono spesso impropriamente chiamate
anch’esse «mezzi», sostantivo che, nel lessico contrattuale, finisce per
indicare il soggetto che gestisce l’attività pubblicitaria e contratta la
diffusione della pubblicità con le imprese utenti.
5. Le figure professionali della pubblicità
Per poter essere diffusa, la pubblicità deve peraltro essere definita sia nella
forma sia nei contenuti. Ed è in questa fase che la pratica conosce alcune
figure negoziali attinenti per un verso o per l’altro, alla preparazione dei
messaggi e delle campagne. Ne sono protagonisti coloro che possono essere
definiti i «professionisti della pubblicità», cioè gli specialisti della
comunicazione, la cui funzione è, in definitiva, di consentire che
l’investimento pubblicitario dell’impresa possa raggiungere al meglio i propri
scopi, così in termini strategici come sul piano formale, o con riguardo alla
scelta dei mezzi di diffusione.
Fra questi, il ruolo più importante è assunto dall’agenzia di pubblicità, la cui
attività specialistica ha per oggetto la progettazione e la realizzazione di
azioni di pubblicità per conto di terzi. Il mercato offre, per ciò che riguarda
le agenzie, una vasta gamma di formule: dalle più complesse, con organizzazione
ad impresa, a quelle di piccole dimensioni, strutturate come aziende artigiane o
studi individuali, ma tutte imperniate sulla figura del «tecnico pubblicitario»,
cioè della persona dotata delle necessarie conoscenze tecniche attinenti alla
programmazione, pianificazione, gestione e supervisione di azioni pubblicitarie.
Per l’esercizio della professione di tecnico pubblicitario o per la gestione di
un’agenzia, il nostro ordinamento non esige particolari requisiti in qualche
guisa paragonabili a quelli richiesti per la maggior parte delle attività
professionali, ma, a tale carenza suppliscono le iniziative degli stessi
operatori interessati, con l’istituzione, su basi associative, di esami di
qualificazione, di albi, di regolamenti autonormativi, ecc., strutturati a
somiglianza di quelli propri delle professioni legalmente riconosciute.
La pratica del settore annovera poi numerose altre figure di operatori
professionali che in vario modo e con differenti compiti intervengono nell’iter
progettuale e realizzativo della pubblicità. Fra questi, in considerazione della
notevole componente creativa che caratterizza l’advertising, assumono rilievo
particolare gli autori di testi (copywriters) e gli artisti pubblicitari della
comunicazione visiva (arts). Né si può omettere di menzionare i produttori di
film e degli altri supporti audiovisivi per la pubblicità, a cavallo fra
professione intellettuale ed impresa.
Come si dirà nelle pagine che seguono, i contratti per così dire «professionali»
occupano uno spazio non irrilevante fra le figure negoziali della pubblicità,
presentando aspetti a volte problematici sul piano giuridico sia per la natura
tecnico-specialistica della materia sia per l’interferenza con vari istituti e
segnatamente con il diritto d’autore.
Né si può non menzionare un’altra figura contrattuale cui si ricorre sovente
nello stadio preparatorio della pubblicità onde acquisire il diritto di
utilizzare l’immagine o l’interpretazione di persone per la realizzazione di
messaggi. Benché su problematiche diverse, anche in questi negozi il
coinvolgimento con altri istituti (in particolare in tema di diritti della
personalità) offre profili affatto peculiari.
Da ultimo, è intuitivo che numerosi altri rapporti intervengono nelle fasi
progettuale e realizzativa della pubblicità: contratti con consulenti di
marketing, con istituti di indagini demoscopiche, con specialisti di relazioni
pubbliche, di promozioni, di forcing methods, ed altri ancora. Tuttavia, benché
anche tali negozi abbiano attinenza con la pubblicità, talché in definitiva
potrebbero rientrare fra i contratti della pubblicità, il loro legame con questa
è quasi sempre soltanto occasionale onde non pare a noi che sarebbe corretto
ricomprenderli fra i contratti tipici del settore.
6. Il «sistema» dei contratti di pubblicità
Il breve excursus che precede induce ad alcune considerazioni, forse non inutili
per introdurre allo studio dei contratti della pubblicità.
La prima è per sottolineare come la suddivisione degli operatori della
pubblicità in tre grandi gruppi, le imprese utenti, i mezzi di diffusione, le
figure professionali, risulti recepita dal nostro ordinamento positivo: sia pure
al prevalente fine di individuare i destinatari della normativa in tema di
pubblicità ingannevole, infatti, l’art. 2, lett. c), d.lgs. 25 gennaio 1992, n.
74, identifica gli «operatori della pubblicità» nel committente, nell’autore del
messaggio e nel proprietario del mezzo di diffusione, nei quali non è difficile
riconoscere le tre categorie di utenti, professionisti e mezzi di cui si è
parlato.
La seconda considerazione, che in certa guisa si ricollega alle osservazioni
iniziali circa l’opportunità di studiare le figure negoziali della pubblicità in
un contesto unitario, è per evidenziare come i vari contratti a cui gli
operatori della pubblicità danno vita, lungi dal presentarsi autonomi ed
indipendenti, si rivelino strettamente collegati fra loro, sul piano così
genetico come dello scopo.
Sotto il profilo genetico, un’analisi storica del percorso attraverso cui gli
istituti negoziali della pubblicità si sono sviluppati ed evoluti sarebbe
sicuramente interessante ma fuor di luogo in una trattazione, come quella del
presente studio, improntata all’essenzialità e al pragmatismo. Si può solo dire
che tale analisi rivelerebbe come, alle origini dell’advertising moderno, il
solo contratto noto fosse quello di diffusione, assumendo i mezzi a proprio
carico anche l’esecuzione dei servizi oggi svolti dagli operatori professionali
e segnatamente dall’agenzia di pubblicità e dall’artista pubblicitario. Il che
spiega tra l’altro la ragione per cui molte delle figure negoziali per così dire
professionali presentino oggi pratiche altrimenti incomprensibili: come ad
esempio quella consistente nel rapportare i compensi all’entità degli
investimenti sui mezzi e, più ancora, quella della cosiddetta
«commissione-mezzi» riconosciuta all’agenzia, la quale non avrebbe
giustificazione se non fosse il retaggio della quota del prezzo della diffusione
un tempo imputabile alla ideazione e realizzazione dei messaggi quando erano i
mezzi a fornire tali servizi.
A prescindere dall’aspetto storico – peraltro importante giacché mostra come la
maggior parte degli istituti contrattuali in esame sia germinata dal tronco del
contratto di diffusione – l’esame del fenomeno allo stato attuale evidenzia
immediatamente un intimo collegamento di scopo fra le varie figure.
Collegamento in primo luogo ravvisabile nel fatto che tutte e ciascuna di esse
sono predisposte ad una finalità comune, e cioè alla realizzazione dell’atto
d’impresa noto con il nome di pubblicità; ed altresì riscontrabile considerando
che ognuno dei contratti in questione si colloca, nell’iter da cui la pubblicità
prende vita, in uno stadio che presuppone l’esecuzione del contratto che l’ha
preceduto e ne postula uno successivo: sicché nessuno dei negozi è, in
definitiva, fine a sé stesso, esaurendo la sua funzione con l’adempimento delle
obbligazioni dedotte dalle parti ma non anche lo scopo socio-economico finale
per il quale è stato posto in essere, che sarà conseguibile solo al
completamento dell’ultimo contratto della serie.
Considerati in quest’ottica, i negozi della pubblicità si presentano come un
«sistema» di rapporti contrattuali strettamente interconnessi gli uni con gli
altri, del quale il contratto di diffusione costituisce il cardine, come
conferma non soltanto la constatazione che, senza diffusione, non vi sarebbe
pubblicità, ma altresì il continuo riferimento ai corrispettivi della diffusione
per la determinazione dei corrispettivi inerenti agli altri contratti, in un
quadro che, sul piano economico, fa perno quasi esclusivamente sull’entità degli
investimenti finanziari stanziati dall’impresa utente per la propria
comunicazione promozionale.
7. La «funzione di pubblicità»
Da ultimo, non sarà inopportuno un accenno alla «funzione di pubblicità» che di
queste figure contrattuali rappresenta forse l’aspetto comune più peculiare.
«Funzione di pubblicità» significa non solo che i negozi in questione hanno lo
scopo di produrre della comunicazione d’impresa, ma anche e soprattutto che essi
tendano alla funzione che è propria della pubblicità, quale riassunta
nell’espressione «allo scopo di promuovere la vendita, ecc.» contenuta nella
definizione di cui al d.lgs. n. 74/92.
Le finalità promozionali a cui la pubblicità tende e le sue implicazioni
sociopsicologiche e tecnico-comunicazionali non possono certamente essere
analizzate a fondo in questa sede. Ma deve rilevarsi che la nozione del
«promuovere la vendita» non è mero sinonimo dell’«offerta in vendita», tipica
dell’atto di commercio, né è circoscritta al semplice invito all’acquisto, ma si
estende a tutte le iniziative che in modo diretto o indiretto possono
contribuire a creare condizioni favorevoli all’accettazione delle offerte
commerciali dell’impresa, attraverso l’illustrazione ed esaltazione tanto delle
qualità positive dei suoi prodotti o servizi quanto dell’immagine aziendale in
termini di tecnologia, affidabilità, sensibilità alle esigenze del consumo o,
più semplicemente, di simpatia.
E non vi è dubbio che da tale funzione di pubblicità i contratti in esame
risultino fortemente influenzati, nel senso che, quale che ne sia l’oggetto, il
presupposto implicito dell’accordo fra le parti è di produrre un effetto
conforme ad essa. Ciò influisce anzitutto sulle caratteristiche delle
prestazioni dovute, le quali non potranno ritenersi adempiute ove non siano atte
ad esplicare la «funzione di pubblicità», esigenza che assumerà in concreto
aspetti diversi, a seconda del tipo di prestazione. Per quanto riguarda i
contenuti della comunicazione, ad esempio, dovranno essere elaborati in modo da
suscitare nei destinatari la reazione più favorevole con riguardo agli obiettivi
che ci si prefiggono, ciò che non di rado richiederà l’intervento di psicologi e
di esperti della motivational research. E sul piano formale dovrà essere
rispettata la massima accuratezza evitando qualsiasi imperfezione che possa in
qualsiasi modo compromettere l’accettazione del messaggio.
Le medesime osservazioni valgono ovviamente anche per l’attività diffusiva,
dovendo ravvisarsi inadempienza in tutti i casi in cui dal comportamento
dell’obbligato possa derivare un pregiudizio agli effetti promozionali che con
l’iniziativa ci si propone di conseguire. Il che è a dirsi non soltanto nei casi
di mancato rispetto di «date di uscita», di «posizioni» prestabilite, e comunque
di omissione di comportamenti attivi, ma anche quando l’obbligazione consista in
un mero pati, laddove la semplice opinione sfavorevole che possa venirsi a
creare attorno a chi porge o veicola i messaggi, giustifica, come si vedrà, il
recesso ed in taluni casi addirittura l’azione di risoluzione.
Profilo peculiare della «funzione di pubblicità», qui con riguardo alle finalità
non soltanto promozionali ma altresì concorrenziali dell’advertising, è altresì
quello che potrebbe definirsi «monopolistico», nel senso che solo l’impresa deve
poter fruire di quegli elementi comunicazionali il cui sfruttamento da parte di
altri soggetti potrebbe quanto meno indebolirne o diluirne l’efficacia. Ed anche
tale aspetto influenza in misura notevole i contratti in esame in relazione
all’esigenza da un lato di disporre di forme comunicazionali nuove ed originali,
e, dall’altro, di acquisirle in regime di esclusiva.
Superfluo aggiungere che la «funzione di pubblicità» che domina questi contratti
è determinante anche nell’interpretazione delle volontà negoziali e nella
valutazione dei comportamenti delle parti: la valutazione della diligenza negli
adempimenti, ad esempio, non potrà essere giudicata senza tener conto della
speciale qualificazione comunicazionale, così formale come di contenuti, che la
«funzione di pubblicità» richiede, mentre in contratti aventi un oggetto
diverso, si sarebbe più inclini, in situazioni similari, a considerare la
difettosità della prestazione come non rilevante tenuto conto dell’interesse del
creditore; e ancora, sempre in via di esempio, la presunzione di esclusiva, o di
cessione totale di determinati diritti, potrà, in vista della ricordata
funzione, essere non scorrettamente applicata anche se, per negozi della stessa
tipologia ma attinenti ad una differente materia, sarebbe da escludersi.
8. Le fonti della disciplina contrattuale
Dei vari contratti della pubblicità che saranno qui passati in rassegna, nessuno
è espressamente disciplinato dalla legge come figura negoziale a sé stante. Né
il codice civile, nella parte riservata alla speciale disciplina dei singoli
contratti più frequenti nella pratica, i cosiddetti «contratti tipici», né alcun
altro testo legislativo se ne occupano, con le sole eccezioni del contratto di
commissione di cartelloni e lavori artistici affini, disciplinato da una vecchia
ordinanza c.d. corporativa, il d.m. 14 dicembre 1942, n. 1485, e di quello
avente ad oggetto l’affissione di manifesti che è regolato, sotto il profilo
pubblicistico-fiscale, dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507. Di qui,
intuitivamente, problemi circa l’individuazione delle discipline applicabili,
essendo inoltre dubbio, a seconda dei casi, se tali negozi abbiano a
considerarsi atipici, oppure misti, o ancora riconducibili, sia pure con qualche
anomalia, a figure negoziali tipiche già legislativamente regolate.
Per taluni di questi contratti, una importante, pur se secondaria, fonte
normativa è oggi costituita dagli usi. Per molti decenni, gli operatori della
pubblicità hanno seguito, nei loro rapporti, determinate regole, molte delle
quali si sono consolidate in veri e propri usi negoziali, a ciò notevolmente
contribuendo anche i contratti-tipo divulgati dalle varie associazioni
professionali del settore.
Un primo tentativo di raccogliere gli usi pubblicitari fu fatto nel 1953 dalla
Federazione italiana della pubblicità (FIP) la quale aveva pubblicato un
«codice» di usi e consuetudini, noto come «codice FIP», ma numerose riserve
erano state espresse circa la sua rispondenza agli usi realmente all’epoca
esistenti, sembrando essa piuttosto riportare le condizioni contrattuali
unilateralmente praticate in quegli anni da alcuni operatori della pubblicità .
L’accertamento di una serie di usi negoziali del settore relativi alla provincia
di Milano fu effettuato in forma ufficiale per la prima volta nel 1988 dalla
Camera di commercio di Milano per ciò che riguarda i contratti di agenzia
pubblicitaria, i contratti per la creazione di opere pubblicitarie, per la
produzione di films pubblicitari, per la cessione pubblicitaria dell’immagine di
persone e, più sinteticamente, i contratti di diffusione. Similare accertamento
veniva successivamente compiuto, per le relative provincie, dalle Camere di
commercio di Torino, di Bari e di Vicenza.
E benché la vigenza di tali usi esplichi efficacia limitata, operi
esclusivamente in ambito provinciale e sia inoltre suscettibile di prova
contraria, la loro rilevanza è notevole, considerando che l’attività
pubblicitaria italiana fa soprattutto capo alla metropoli lombarda e in parte
anche a quella piemontese e che gli usi accertati per le singole provincie non
divergono fra loro in modo sensibile, ciò che testimonia la sostanziale
uniformità di queste pratiche negoziali nelle varie aree geografiche della
penisola.
Da ultimo, pur se sarebbe inappropriato riferirvisi quale «fonte» della
disciplina giuridica di questi contratti, non si può fare a meno di ricordare il
complesso di regole, generalmente derivanti da iniziative di stampo associativo,
che alcune organizzazioni di operatori pubblicitari (ed in particolare quelle
che raggruppano gli utenti e le agenzie) hanno espresso esercitando una
rilevante influenza anche in campo negoziale. Nel settore, caratterizzato dalla
pressoché totale assenza di riconoscimenti legislativi delle varie categorie
professionali, l’associazionismo ha infatti, come già si è osservato, colmato
molti vuoti normativi, dando luogo, oltre che ad elenchi o albi privati ed a
disciplinari circa l’esercizio delle varie professioni, anche a regole che,
direttamente o di riflesso, incidono sulla materia contrattuale.
Esaminare analiticamente le varie iniziative non sarebbe possibile in questa
sede. Può essere sufficiente, a titolo di esempio, menzionare le regole
promananti dalle più importanti associazioni di agenzie, e contenenti principi
comportamentali che spesso incidono anche sulla materia contrattuale, o ancora
la formazione del cosiddetto «Albo ufficiale delle organizzazioni di tecnica
pubblicitaria», l’iscrizione al quale condiziona il riconoscimento della
«commissione mezzi», o ancora le intese interassociative per i controlli delle
audiences televisive e dei dati di readership della stampa, o, infine, i
numerosi listini e tariffari editi dalle varie associazioni, il cui rilievo in
ambito negoziale, almeno nei casi in cui la legge vi fa rinvio, è intuitivo. E
di maggior rilievo ancora sono, come più sopra si è osservato, le iniziative
consistenti nella pubblicazione di «contratti tipo», la cui adozione viene
suggerita dalle singole associazioni ai propri membri.
Una menzione particolare merita infine quella che può considerarsi la più
importante fra le iniziative interassociative del settore e cioè
l’autodisciplina pubblicitaria. Nel 1966, in considerazione della pressoché
totale assenza di norme di legge in materia, le associazioni del settore
adottarono un corpo di regole comportamentali, noto come «codice di
autodisciplina pubblicitaria», che si rivolge a quanti, direttamente o per
tramite delle proprie associazioni, si sono impegnati alla sua osservanza.
Secondo quanto dispongono i vari statuti associativi, sono oggi tenuti al
rispetto del codice di autodisciplina quasi tutti gli operatori della
pubblicità, dai professionisti (agenzie, tecnici pubblicitari, creativi, ecc.)
alle imprese di mezzi (editori, emittenti radiotelevisive, concessionari, ecc.)
fino agli utenti. Una disposizione fa obbligo ai soggetti aderenti di inserire
nei propri contratti una speciale clausola di accettazione del codice e delle
decisioni degli organismi autodisciplinari, con l’effetto di vincolare al
rispetto del codice anche chi non vi aderisca direttamente.
L’istituzione fa capo all’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria, di cui
fanno parte, come membri costituenti, associati o semplicemente aderenti,
pressoché tutte le organizzazioni associative della pubblicità. Il compito di
far osservare le regole del codice e di conoscere le relative vertenze è
affidato ad un Giurì, con funzioni giudicanti in unica istanza e ad un Comitato
di controllo, esplicante soprattutto attività inquirente con particolare
riguardo alla tutela dei consumatori. Dalla sua istituzione l’autodisciplina
pubblicitaria ha svolto un’attività assai intensa, ha acquisito notevolissima
autorità anche al di fuori dello stretto ambito associativo da cui promana ed è
considerata come il più interessante sistema di autonormazione italiano.
Poiché il codice è soprattutto inteso a disciplinare il contenuto e le forme
della comunicazione pubblicitaria e non i rapporti fra gli operatori del
settore, la sua influenza sulla materia contrattuale non è particolarmente
rilevante. Ma alcune disposizioni (ad esempio sulla clausola di accettazione,
sul deposito dei progetti pubblicitari o sul «diritto di rifiuto») possono
assumere rilevanza anche nei rapporti negoziali. Del resto, l’adesione al codice
e l’accettazione delle pronunce del Giurì risultano recepite come usi accertati
nelle varie raccolte delle Camere di commercio onde possono ritenersi acquisite
ai contratti anche in assenza di pattuizione espressa (segue ).
(*) Omesse le note di riferimento bibliografico ,queste pagine trascrivono una
parte di capitolo della monografia di cui si riproduce l’indice sommario
I contratti della pubblicita’
commerciale Giappichelli editore, Torino
CAPITOLO I
CENNI INTRODUTTIVI
1. Profili generali 1
2. La nozione di «pubblicità» 2
3. Gli utenti di pubblicità 4
4. I mezzi di pubblicità 5
5. Le figure professionali della pubblicità 7
6. Il «sistema» dei contratti di pubblicità 8
7. La «funzione di pubblicità» 10
8. Le fonti della disciplina contrattuale 11
CAPITOLO II
I CONTRATTI DI DIFFUSIONE
DELLA PUBBLICITÀ TABELLARE
1. Le imprese di mezzi 15
2. I contratti dei mezzi classici 18
3. La conclusione del contratto 19
4. La consegna dei materiali e il diritto di rifiuto 21
5. Il corrispettivo della diffusione e lo sconto di agenzia 24
6. L’inserimento degli annunci 25
7. Il «posizionamento» degli annunci 26
8. Il «calendario» delle uscite 29
9. Mancata o parziale diffusione 29
10. Readership e audience 31
11. Il contratto di diffusione nel d.lgs. n. 507/93 33
12. La clausola di accettazione dell’autodisciplina pubblicitaria 35
13. La natura del contratto di diffusione: le varie ipotesi 37
14. Il contratto di diffusione come appalto 39
CAPITOLO III
I PRINCIPALI CONTRATTI DI DIFFUSIONE
DELLA PUBBLICITÀ BELOW THE LINE
1. La pubblicità below the line 41
2. I contratti di telepromozione 42
3. I contratti per vendite televisive 45
4. I contratti di pubblicità redazionale e di product placement 47
5. I contratti di telesponsorizzazione 50
6. I contratti di sponsorizzazione: nozione 51
7. I diversi tipi di sponsorizzazione 53
8. Gli elementi ricorrenti nei contratti di sponsorizzazione 55
9. Natura giuridica dei contratti di sponsorizzazione 58
CAPITOLO IV
I CONTRATTI DI CONCESSIONE PUBBLICITARIA
1. Mezzi e concessionari 63
2. Il contratto di concessione 65
3. La raccolta e la gestione degli ordini di pubblicità 66
4. La quota del concedente. I minimi garantiti e le anticipazioni 67
5. L’esclusiva 69
6. L’esecuzione della pubblicità da parte del concedente 70
7. Il mantenimento qualitativo del mezzo 72
8. Durata e cessazione del contratto 72
9. Natura giuridica 73
CAPITOLO V
I CONTRATTI DI AGENZIA PUBBLICITARIA
1. Origine e struttura 77
2. La fase precontrattuale 79
3. Le gare 82
4. La conclusione del contratto 84
5. L’oggetto del contratto 85
6. Lo stanziamento 86
7. Le prestazioni tipiche dell’agenzia 88
8. L’agenzia nei rapporti con i mezzi e i fornitori 89
9. L’obbligo di diligenza 92
10. Il divieto di concorrenza. Il segreto 95
11. La remunerazione dell’agenzia: la commissione 96
12. (Segue) Il fee 98
13. La commissione-mezzi 100
14. La «creatività» 103
15. L’esclusiva in favore dell’agenzia 108
16. Durata e scadenza. Il recesso 110
17. Natura giuridica del contratto: problemi inerenti 114
18. (Segue) L’intellettualità delle prestazioni 115
19. (Segue) La struttura dell’agenzia 117
20. (Segue) La posizione dell’agenzia verso i terzi 119
21. (Segue) L’intermediazione. La disciplina delle «agenzie di affari» 120
22. (Segue) Conclusioni 123
23. La recente evoluzione del rapporto 126
24. I contratti delle centrali-media 127
CAPITOLO VI
I CONTRATTI DI COMMISSIONE DI OPERE
PER LA PUBBLICITÀ
1. Profili generali 129
2. La disciplina applicabile: il codice civile e il r.d. n. 1485/42 130
3. La proprietà dell’opera 133
4. I diritti di utilizzazione: il quadro normativo, dottrinale e
giurisprudenziale 135
5. (Segue) Le conseguenze della tesi oggi dominante 139
6. (Segue) Natura e funzione dell’opera pubblicitaria 141
7. (Segue) I rimedi per prevenire le utilizzazioni pregiudizievoli per il
committente 145
8. (Segue) La soluzione proposta 147
9. (Segue) La dubbia applicabilità del regime alle opere non tutelabili con il
diritto d’autore 151
10. (Segue) Le opere pubblicitarie e il diritto d’autore 152
11. Conclusione del contratto 155
12. Il contratto di produzione di film pubblicitari: tratti differenziali
rispetto
alla commissione d’opera 156
13. (Segue) L’individuazione del «produttore» 157
14. (Segue) La pratica contrattuale 159
15. (Segue) Il corrispettivo 161
16. I contratti per l’utilizzazione pubblicitaria di opere già esistenti 162
CAPITOLO VII
I CONTRATTI PER L’UTILIZZAZIONE
PUBBLICITARIA DELL’IMMAGINE
1. Varietà contrattuali 165
2. Il contratto per il solo utilizzo pubblicitario dell’immagine o del nome 166
3. Il contratto per prestazioni pubblicitarie e utilizzo dell’immagine 167
4. La prassi contrattuale 169
5. I limiti del consenso e l’uso prevedibile 171
6. Il consenso prestato da terzi 172
Indice analitico 177