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DISCIPLINA DEL PROCESSO E REGIME DELLA TRASCRIZIONE DELLA DOMANDA GIUDIZIALE (*)

 

 

 ROBERTO TRIOLA


 

 

Sommario: 1. Trascrizione delle domande e principio di continuità delle trascrizioni. 2. Trascrizione delle domande e successione nel processo. 3. Mancata trascrizione della domanda e successione nel processo. 4. Mancata trascrizione della domanda e conoscenza aliunde della stessa. 5. Trascrizione della domanda ed effetti di diritto sostanziale.

 

 


Il fatto che il legislatore ricolleghi effetti favorevoli alla trascrizione delle domande giudiziali che dovessero risultare fondate costituisce espressione del principio secondo il quale il processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione.

 

Ciò appare particolarmente evidente nelle ipotesi considerate dall’art. 2652, nn. 1-6 (ove si tratti di annullamento per causa diversa dalla incapacità legale ed il terzo abbia acquistato a titolo oneroso ed in buona fede), 7 (ove si tratti di hereditatis petitio ed il terzo abbia acquistato a titolo oneroso ed in buona fede dall’erede apparente), e dall’art. 2653, nn. 1-2 e 4-5: in tutte queste ipotesi, anche se ricorrano quei requisiti di buona fede o di onerosità dell’acquisto del terzo, che in base alle norme c.d. di diritto comune varrebbero a fare salvo il diritto del terzo, il legislatore ha disposto che l’efficacia (diretta o riflessa) della sentenza si manifesti nei confronti del terzo avente causa dal convenuto soccombente, se la domanda giudiziale sia stata trascritta prima della trascrizione del titolo di acquisto.


Ma la stessa funzione si realizza anche nelle altre ipotesi disciplinate dagli artt. 2652 e 2653 c.c., in cui la salvezza del diritto del terzo è subordinata alla mancata trascrizione della domanda entro un determinato termine, in quanto la trascrizione operata prima del decorso di tale termine costituisce elemento impeditivo dell’acquisto del terzo in base ad atto anteriore alla trascrizione della sentenza.


Ciò non significa che gli artt. 2652 e 2653 c.c. siano anche espressione del principio della c.d. retroattività della sentenza al momento della domanda, a prescindere dalle obiezioni che sul piano logico e positivo possono essere mosse in ordine alla esistenza di tale principio.


Se si aderisce alla tesi dominante, secondo la quale la funzione della trascrizione di tutte le domande giudiziali consiste nel derogare all’art. 111 c.p.c., è facile osservare che tale norma è estranea al principio della c.d. retroattività della sentenza, prevedendo una efficaca (diretta) ultra partes della sentenza.


La stessa conclusione vale anche se si aderisce alla tesi secondo la quale in numerose ipotesi la trascrizione della domanda serve a determinare i limiti di efficacia (riflessa) della sentenza, rendendo giudicamente dipendente dal rapporto dedotto in giudizio il rapporto di cui è titolare il terzo avente causa dal convenuto.


È principio pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che l’onere della trascrizione delle domande giudiziali è previsto dalla legge esclusivamente ai fini dell’opponibilità della sentenza ai terzi che non siano parti nel giudizio, per cui l’omissione di tale formalità non costituisce ostacolo alla proposizione dell’azione o alla pronuncia del giudice, né può essere eccepita, per difetto di interesse, dal convenuto.

 


1. Trascrizione delle domande e principio di continuità delle trascrizioni.


In dottrina è stata prospettata la estensione anche alla trascrizione delle domande del principio della continuità delle trascrizioni, il che comporterebbe che gli aventi causa da colui il quale non ha trascritto il suo titolo (benché ne avesse l’onere) non potrebbero considerare opponibili gli effetti di una domanda (e della conseguente sentenza di accoglimento) proposta contro il loro dante causa mediato, malgrado che la trascrizione del loro titolo sia anteriore a quella della domanda, se questa sia tuttavia anteriore alla trascrizione tardivamente effettuata del titolo del loro dante causa immediato.


Si è in proposito sostenuto che una interpretazione restrittiva basata sulla lettera dell’art. 2650 cpv. c.c., che, quando pone il principio che con la trascrizione del titolo del dante causa intermedio le successive trascrizioni o iscrizioni diventano efficaci secondo il loro ordine di data, fa salvo soltanto l’art. 2644 c.c., che ha riguardo a coloro che hanno aquistato diritti sull’immobile da un comune dante causa, mentre tali non sono certamente coloro che hanno trascritto una domanda giudiziale (salvo che nelle ipotesi di cui all’art. 2652, nn. 2 e 3), con la conclusione che per questi ultimi varrebbe senza limitazioni il principio dell’efficacia di prenotazione riconosciuta alle trascrizioni prese contro colui che non ha reso pubblico il suo titolo, contrasterebbe sia con tutto il sistema della pubblicità, sia con il criterio informatore della legge.


Intanto, non vi sarebbe dubbio che tale conclusione non potrebbe valere per le domande previste dall’art. 2652, nn. 2 e 3, c.c..


Infatti, per quanto riguarda la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, la legge dice espressamente che la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda e che tiene luogo del contratto non concluso prevale sulle trascrizioni o iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda, il che significa che se il convenuto ha alienato il bene ad un terzo che non ha ancora trascritto, colui che ha ottenuto la sentenza, e che è sempre un avente causa dal convenuto, è preferito al terzo e non può essere pregiudicato da trascrizioni o iscrizioni prese contro questo.


Rispetto alla domanda di accertamento della sottoscrizione di una scrittura privata la legge dice che la trascrizione o l’iscrizione dell’atto contenuto nella scrittura produce effetto dalla data in cui è trascritta la domanda, il che significa che la trascrizione dell’atto ha in sostanza efficacia retroattiva, con la conseguenza di assicurare la prevalenza sulle trascrizioni o iscrizioni prese contro un avente causa dal convenuto che non ha reso pubblico il suo titolo anteriormente alla trascrizione della domanda di accertamento. Entrambe le ipotesi rientrano nel campo di applicazione dell’art. 2644 c.c., perché colui che ottiene la sentenza che tiene luogo del contratto e colui che trascrive l’atto contenuto nella scrittura privata sono aventi causa dal convenuto, ai quali si deve applicare integralmente il disposto degli artt. 2644 e 2650 c.c., con questa particolarità: che la trascrizione della sentenza o dell’atto ha efficacia retroattiva al giorno della trascrizione della domanda.


Ma si dovrebbe ritenere che anche nelle altre ipotesi previste dall’art. 2652 c.c. il principio della continuità delle trascrizioni spiega i suoi effetti, in quanto il concetto di terzi aventi causa disegnato uniformemente nelle varie ipotesi previste dall’art. 2652 (terzi che hanno aquistato un diritto sull’immobile in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda), se considerato appunto in relazione alle modalità in cui la situazione soggettiva si forma, coincide perfettamente col concetto accolto dall’art. 2644 c.c. Anche gli effetti dell’omissione della trascrizione tempestiva di un atto che vi è soggetto devono, perciò, avere caratteristiche identiche in un caso e nell’altro.


Di conseguenza, il problema della continuità delle trascrizioni, nei confronti degli aventi causa dal convenuto, non si può non impostare negli stessi termini con cui lo si imposta a proposito degli aventi causa di cui parla l’art. 2644, c. 1°, c.c., in quanto, appunto, in questa norma sono contenuti i criteri generali in base ai quali si definisce il concetto di terzo nel sistema della trascrizione. Perciò, se l’avente causa dal convenuto che ha trascritto il suo diritto posteriormente alla trascrizione della domanda non è tutelato nei confronti di colui che la domanda ha proposto, non possono essere tutelati neppure i successivi aventi causa, benché il loro titolo sia stato reso pubblico anteriormente alla domanda, dato che la loro trascrizione è inefficace fino a quando non siano stati resi pubblici anche i trasferimenti intermedi.


D’altra parte, il principio stabilito dall’art. 2650 cpv. c.c. non sposta i termini della questione. Infatti, tale efficacia serve a stabilire il criterio di preferenza tra i più aventi causa da colui che non ha reso pubblico il suo acquisto, ma non tra questi e coloro che hanno eseguito trascrizioni contro l’autore più remoto e che avendo perciò acquistato il diritto di essere preferiti dall’avente causa che non ha trascritto il suo titolo, devono esserlo anche rispetto agli ulteriori aventi causa, i quali si considerano come se non avessero trascritto il loro acquisto.


Per quanto riguarda le domande previste dall’art. 2652, nn. 2 e 3, c.c., però, sembra che trovano applicazione diretta (e non in via di estensione alla trascrizione delle domande giudiziali) i principi desumibili dagli artt. 2644 e 2650 c.c., con la sola particolarità che la soluzione di eventuali conflitti avviene con riferimento alla data della trascrizione della domanda diretta ad ottenere rispettivamente la sentenza costitutiva del titolo o che renda trascrivibile il titolo già esistente e non alla data (successiva) della trascrizione del titolo.


Per le altre domande va preliminarmente osservato che gli artt. 2644 e 2650 c.c. regolano l’ipotesi del conflitto tra più aventi causa da un comune autore nel caso in cui manchi la trascrizione del titolo dell’autore remoto.


Il problema da risolvere quando l’avente causa dal convenuto, che ha trascritto il suo titolo dopo la trascrizione di una delle altre domande previste nell’art. 2652 c.c., abbia posto in essere un ulteriore trasferimento reso pubblico prima della trascrizione della domanda, è notevolemente diverso.


Nel caso di domanda di risoluzione dei contratti, di rescissione, di revocazione di una donazione, di simulazione (ove proposta dal simulato alienante), di nullità o di annullamento, infatti, il conflitto non è tra due aventi causa dallo stesso soggetto, ma tra il dante causa e l’avente causa dall’avente causa.


Nel caso di domanda di risoluzione di disposizione testamentaria o di donazione per inadempimento del modo, di impugnazione della rinunzia all’eredità, di accertamento della simulazione proposta da terzi, di revocazione di contratto, di contestazione del fondamento di un acquisto a causa di morte, di riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni, di revocazione di sentenze, di opposizione terzo, il conflitto è tra un estraneo all’atto o alla sentenza investiti dalla domanda e l’avente causa dal convenuto.


In entrambe le ipotesi manca, poi, un titolo di provenienza comune ai due contendenti non reso pubblico.


È da escludere, pertanto, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del principio della continuità delle trascrizioni come disciplinato dagli artt. 2644 e 2650 c.c.


La soluzione del conflitto a favore dell’attore discende da considerazioni di natura logica: se la trascrizione della domanda pregiudica (sia pure, in alcune ipotesi, con il concorso di altri elementi) i diritti acquistati dai terzi (o da determinati terzi) in base ad un atto trascritto successivamente, ciò significa che anche gli aventi causa da tali terzi saranno pregiudicati, anche se hanno trascritto prima della trascrizione della domanda, in quanto a seguito dell’accoglimento della domanda risulteranno avere acquistato a non domino.

 


2. Trascrizione delle domande e successione nel processo.


L’art. 111, c. 4°, c.p.c., dopo avere affermato l’efficacia della sentenza pronunciata contro l’alienante anche nei confronti del successore a titolo particolare, aggiunge «salve le norme ... sulla trascrizione».


Tale espressione (la quale pacificamente si riferisce alla trascrizione delle domande giudiziali) è stata interpretata nel senso che quando è prevista la trascrizione delle domande agli effetti dell’art. 111 c.p.c., il processo si considera pendente (ai fini della opponibilità della sentenza agli aventi causa dal convenuto) non con la notificazione della citazione, ma con la trascrizione della domanda; correlativamente il diritto controverso si considera trasferito solo dal momento della trascrizione del titolo di acquisto, non già dal momento della manifestazione del consenso delle parti. La conseguenza sarebbe che la sentenza pronunciata contro l’alienante è sempre opponibile ai terzi che abbiano trascritto il proprio titolo di acquisto dopo la trascrizione della domanda, mentre è inopponibile a quelli che hanno trascritto prima.


Il principio generale stabilito dall’art. 111 c.p.c. (efficacia diretta della sentenza nei confronti dell’avente causa dal convenuto in pendenza del giudizio) verrebbe, pertanto, derogato in due ipotesi:


a) nel caso in cui il terzo, pur avendo acquistato dopo la notificazione della citazione, abbia, tuttavia, reso pubblico il suo titolo prima della trascrizione della domanda giudiziale: la successione deve considerarsi avvenuta prima del¬l’inizio del processo e la sentenza non ha effetti contro il terzo avente causa;


b) nel caso in cui il terzo, pur avendo acquistato prima della notificazione, renda pubblico il suo titolo dopo la trascrizione della domanda: la successione deve considerarsi avvenuta dopo l’inizio del processo e la sentenza emanata contro l’alienante ha effetti contro il terzo avente causa.


La normativa in tema di trascrizione delle domande giudiziali non è applicabile quando il trasferimento a titolo particolare abbia luogo dopo la formazione del giudicato ed abbia per oggetto un diritto incontroverso, perché la forza vincolante del giudicato nei confronti dell’avente causa dall’originario convenuto deriva in ogni caso dall’art. 2909 c.c. In sostanza, il terzo avente causa dal convenuto durante il processo acquista un diritto semplicemente contestato e per tale motivo la trascrizione della domanda ha una sua funzione precisa; il terzo che acquista da colui il quale, a seguito di sentenza passata in giudicato, è stato già riconosciuto come privo della titolarità di un determinato diritto acquista, invece, un diritto inesistente.


La tesi secondo la quale il richiamo contenuto nell’art. 111, c. 4°, c.p.c. si riferisce a tutte le ipotesi di trascrizione di domande giudiziali contemplate negli artt. 2652 e 2653 c.c. non è, però, pacifica.


Sulla premessa che per «diritto controverso» deve intendersi la situazione sostanziale dedotta in giudizio e che il trasferimento del diritto di proprietà è trasferimento del diritto controverso solo quando avvenga durante la pendenza di un processo messo in moto da un’azione di accertamento della proprietà o di rivendica (cioè da una azione reale), si è escluso che sussistano le condizioni per l’applicabilità dell’art. 111 c.p.c. quando sia stata sperimentata una azione diretta alla dichiarazione dell’inefficacia in senso lato di un contratto ad effetti reali, o un’azione in restituzione (o di consegna) fondata su di un rapporto originariamente obbligatorio.


Nei processi di questo tipo oggetto immediato della controversia sono le condizioni alle quali sono subordinati l’annullamento, la rescisssione, la risoluzione, ecc., del contratto, e perciò è dedotto in giudizio il diritto (potestativo) di annullamento, rescissione, risoluzione, ecc., non il diritto di proprietà sul bene alienato, per cui se nel corso del processo il convenuto aliena la cosa ad un terzo, l’oggetto della alienazione (proprietà della cosa) non si identifica con l’oggetto della lite e quindi non ha luogo una successione a titolo particolare nel diritto litigioso. Il processo, infatti, non può proseguire che tra le parti originarie: il convenuto non perde la legittimazione a contraddire, mentre l’art. 111, c. 1°, c.p.c. prevede una legittimazione straordinaria dell’alienante sul presupposto che, secondo le regole ordinarie, è venuta meno la sua legittimazione a stare in giudizio.


È vero che insieme con le azioni di impugnativa dei contratti previste nell’art. 2652 c.c. è normalmente esercitata l’azione di condanna alla restituzione del bene, ma nemmeno sotto questo profilo il trasferimento in pendenza del giudizio comporta una successione nel diritto controverso, perché oggetto delle azioni (personali) di ripetizione, collegate all’invalidità o inefficacia del contratto, è un’obbligazione di restituzione che prescinde dalla proprietà e l’avente causa a titolo particolare non succede nelle obbligazioni a cui sia soggetto il dante causa in ordine alla cosa alienata.


Il pregiudizio del subacquirente è di natura diversa dagli effetti che, ai sensi dell’art. 111, c. 4°, c.p.c., la sentenza produce a carico di chi ha acquistato il diritto controverso dalla parte rimasta soccombente. Quest’ultimo è assoggettato all’efficacia diretta del giudicato; invece, contro gli aventi causa pregiudicati a norma dell’art. 2652 c.c. la sentenza spiega un’efficacia solo riflessa, vale soltanto come presupposto di un diritto dell’attore (vittorioso) contro il terzo, non come accertamento del diritto medesimo.


L’attore che vanta la priorità di trascrizione della sua domanda non può pretendere dal terzo la restituzione del bene con un’azione personale fondata sul giudicato, ma deve proporrre una autonoma azione. Nel relativo giudizio il precedente giudicato avrà una efficacia riflessa, nel senso che al terzo è preclusa soltanto la possibilità di difendersi invocando la precedente alienazione dalla quale dipende il suo acquisto, ma non può rimetterne in discussione la validità od efficacia, perché tale questione pregiudiziale è ormai anche per lui negativamente definita dal giudicato intervenuto conto il suo dante causa, ma potrà difendersi opponendo altre eccezioni, ad es., eccependo (e offrendo la relativa prova) che il suo dante causa era già proprietario del bene ad un diverso titolo.


A tale tesi è stata mossa l’obiezione che limita grandemente la portata pratica dell’art. 111 c.p.c., che è una norma destinata ad evitare la duplicazione del processo, cioè a risparmiare alla parte vittoriosa la necessità di instaurare un nuovo processo di accertamento del suo diritto contro il terzo al quale l’altra parte abbia alienato il bene nel corso del giudizio e quindi a metterla al riparo dal pericolo di frodi perpretrate dall’altra parte mentre pende il processo, per cui sarebbe ragionevole pensare che il legislatore consideri litigiosa la cosa di cui si sia chiesta in giudizio la restituzione, indipendentemente dalla circostanza che il titolo della domanda sia una pretesa reale o una pretesa obbligatoria e che proprio per questo abbia voluto includere nel campo di applicazione dell’art. 111 c.p.c. anche le azioni di impugnativa negoziale, in quanto al loro esercizio si accompagna normalmente la domanda di restituzione del bene oggetto del negozio impugnato.


Alla stessa conclusione si può pervenire sulla base di una interpretazione che, invece di forzare la lettera dell’art. 111, c. 4°, c.p.c. (anche se tale forzatura è pienamente giustificata da esigenze logico-sistematiche), faccia leva, più che su tale norma, sugli artt. 2652 e 2653 c.c., i quali prevedono un effetto comune a tutte le ipotesi in essi considerate: opponibilità della sentenza a chi abbia acquistato dal convenuto in pendenza del giudizio, o anteriormente ad esso, in base ad atto trascritto successivamente alla trascrizione della domanda o, viceversa, inopponibilità della sentenza a chi abbia acquistato dal convenuto in pendenza del giudizio, o anteriormente ad esso, in base ad atto trascritto prima della trascrizione della domanda.


In definitiva, l’identico principio stabilito dall’art. 111 c.p.c. con riferimento alla alienazione del diritto controverso in pendenza del processo viene ribadito negli artt. 2652 e 2653 c.c. con riferimento ad altre ipotesi, ove la domanda sia stata trascritta.


L’art. 111, c. 4°, c.p.c., pertanto, quando fa salve le norme sulla trascrizione, detta una norma superflua, anche quando non vi sarebbero dubbi sulla sua applicabilità.


Va, poi, osservato che l’art. 111, c. 4°, c.p.c. non potrebbe, in teoria, ricomprendere nel suo campo di applicazione tutte le ipotesi disciplinate dagli artt. 2652 e 2653 c.c.


L’art. 111, c. 4°, c.p.c., infatti, si riferisce alle ipotesi di alienazione del diritto controverso in pendenza del processo, per cui nel caso in cui il diritto controverso fosse stato alienato prima del processo la sentenza ottenuta contro l’alienante non sarebbe opponibile all’acquirente.


Nelle fattispecie disciplinate dagli artt. 2652 e 2653 c.c., invece, la sentenza ottenuta contro il convenuto è opponibile anche contro l’avente causa da questi in base ad atto anteriore alla instaurazione del processo, ma trascritto successivamente alla trascrizione della domanda.

 


3. Mancata trascrizione della domanda e successione nel processo


La dottrina secondo la quale le norme in tema di trascrizione delle domande giudiziali derogano al disposto dell’art. 111, c. 4°, c.p.c. esclude che tale ultima disposizione trovi applicazione nel caso di mancata trascrizione della domanda.


Tale conclusione, più che da argomenti meramente letterali viene desunta, in via logica, dal fatto che, diversamente opinando, le norme in tema di trascrizione delle domande sarebbero precetti sforniti di sanzione. Sarebbe sufficiente, in proposito, considerare che, ad es., nel caso di trascrizione della domanda di revindica dopo la trascrizione del trasferimento al terzo da parte del convenuto, in applicazione dell’art. 2653, n. 1, c.c. la sentenza di accoglimento della domanda non è opponibile all’acquirente, mentre nel caso in cui, invece, l’attore non dovesse trascrivere la domanda, se si dovesse applicare integralmente l’art. 111 c.p.c., la sentenza sarebbe opponibile anche all’acquirente, il che è quanto si verifica nel caso di trascrizione della domanda antecedente alla trascrizione del trasferimento.


Per ovviare a tale conseguenza assurda si afferma che gli artt. 2652 e 2653 c.c. trovano applicazione, in deroga all’art. 111 c.p.c., indipendentemente dalla trascrizione o meno della domanda stessa, ove il terzo abbia trascritto il proprio titolo di acquisto: il legislatore ha inteso disciplinare espressamente gli effetti sfavorevoli derivanti all’attore dalla tardiva trascrizione della domanda, sul presupposto implicito che gli stessi effetti sono ricollegabili alla ipotesi più grave della mancata trascrizione.


La stessa conclusione vale aderendo alla tesi, che si ritiene preferibile, secondo la quale le norme in tema di trascrizione delle domande giudiziali dettano un principio analogo a quello di cui all’ultima parte dell’art. 111, c. 4°, c.p.c.


L’art. 111 c.p.c. (o il principio dettato dagli artt. 2652 e 2653 c.c.) trova completa applicazione solo nell’ipotesi in cui non sia stata trascritta non solo la domanda, ma neanche l’acquisto del terzo, mancando un conflitto tra trascrizioni da risolvere in base al criterio della priorità e, ai fini dell’efficacia del giudicato, si deve avere riguardo alla anteriorità o meno della proposizione della domanda rispetto alla alienazione della res litigiosa.


In senso contrario a tale ultima affermazione si è obiettato che:


a) è in contrasto con il principio che quando il diritto controverso sia un diritto reale immobiliare il processo si considera in corso soltanto dal momento della trascrizione della domanda, per cui se non vi è trascrizione della domanda non esiste il processo in corso per il terzo subacquirente, con conseguente inapplicabilità dell’art. 111 c.p.c. nei confronti del terzo subacquirente;


b) le norme sulla trascrizione hanno nel proprio seno il completo regolamento della doppia ipotesi di eseguita o mancata trascrizione e non si possono quindi comporre con altri principi;


c) verrebbe introdotto un termine perentorio per la trascrizione del terzo subacquirente, la quale non sarebbe preclusa, nei suoi effetti, da altra trascrizione incompatibile, ma dalla sentenza che pone fine al processo, accogliendo la domanda, il che, oltre ad apparire arbitrario, sarebbe contrario a tutti i principi della pubblicità, perché il subacquirente non sarebbe in grado di accertare l’esistenza di una pronuncia che abbia travolto il titolo del suo dante causa. L’unico rimedio per paralizzare il potere di disposizione di chi deve restituire il bene per effetto di una sentenza che ha travolto il suo titolo sarebbe la tempestiva trascrizione della domanda, che potrebbe essere fatta in qualsiasi momento, anche dopo la pronuncia della sentenza definitiva.


Si tratta di critiche che non sembrano convincenti. Quando in dottrina si afferma che, ove il diritto controverso sia un diritto reale immobiliare, il processo si considera in corso soltanto al momento della domanda, si intende semplicemente affermare che con riferimento alle alienazioni anteriori a tale momento non trova applicazione l’art. 111 c.p.c. Il ritenere, poi, la sentenza opponibile al terzo acquirente non significa comporre il regolamento della doppia ipotesi della eseguita o della mancata trascrizione con altri principi, ma semplicemente applicare il principio generale di cui all’art. 111 c.p.c. ove non sussistano le condizioni che giustificano una deroga ad esso. Sembra, infine, assurdo ipotizzare la necessità della trascrizione di una domanda giudiziale quando in ordine alla fondatezza di essa è già intervenuta una sentenza definitiva e quindi è venuta a mancare la funzione tipica di prenotazione degli effetti di tale pronuncia.

 


4. Mancata trascrizione della domanda e conoscenza aliunde della stessa


In dottrina e in giurisprudenza è pacifico che anche per le domande giudiziali vale il principio secondo il quale la conoscenza reale non può considerarsi equipollente della trascrizione.


Si è in proposito osservato che il gioco dell’opponibilità o dell’inoppo¬nibilità della sentenza conseguenza della domanda giudiziale di invalidazione di un atto soggetto alla trascrizione è subordinato alla data di trascrizione della domanda medesima; diversamente opinando ci sarebbe da chiedersi in qual modo sarebbe dato stabilire se la preferenza sarebbe da dare al diritto del terzo subacquirente di buona fede, che abbia trascritto il proprio titolo prima della trascrizione della domanda giudiziale di invalidazione, ovvero alla sentenza che accolga la domanda stessa; mancando la trascrizione della domanda giudiziale, farebbe difetto, evidentemente, uno dei due termini cronologici dalla cui presenza è fatto dipendere quel gioco.


Tale principio, con specifico riferimento all’art. 2652, n. 6, c.c., è stato ribadito dalla Relazione al codice civile (n. 1080), nella quale si afferma che non ha rilievo la situazione di colui contro il quale la domanda è proposta, ma quella dei terzi, che in buona fede hanno da esso acquistato le loro legittime aspettative sulle risultanze dei pubblici registri e sul fatto che il titolo del loro autore non appariva contestato.


In giurisprudenza – sempre con riferimento alla ipotesi considerata dall’art. 2652, n. 6, c.c. – si è affermato che, avendo la legge inteso subordinare la piena ed illimitata efficacia della sentenza dichiarativa di nullità, nei confronti di tutti indistintamente i terzi, all’adempimento di un preciso onere da parte dell’interessato a far valere la nullità, e cioè propriamente alla trascrizione della domanda di nullità entro un prefisso termine, uguale rispetto a tutti i terzi, è ancora più evidente che all’inadempimento di quell’onere non può in alcun modo supplire la conoscenza di fatto che alcuno dei terzi, a differenza di altri, possa avere avuto della domanda stessa.


In dottrina si ritiene che anche la conoscenza realizzata attraverso la partecipazione al giudizio del terzo (per effetto della sua chiamata in causa o del suo intervento) non vale a sovvertire la disciplina dettata dalle norme sulla trascrizione delle domande e da quelle più generali sulla salvezza dei diritti dei terzi aventi causa.


Diversamente opinando, e cioè ritenendo che l’intervento del terzo o la sua chiamata in causa varrebbero a rendere irrilevante l’inefficacia della sentenza nei confronti del successore a titolo particolare, come conseguenza della mancata o tardiva trascrizione, si verrebbe ad ammettere l’esistenza di taluni presupposti, estranei al meccanismo della trascrizione, i quali limitano l’efficacia della pubblicità legale nella misura in cui condizionano l’applicabilità delle norme che la regolano, il che, però, sarebbe in manifesto contrasto con il nostro sistema pubblicitario, secondo il quale l’istituto della trascrizione ha carattere assolutamente formale: gli effetti ricollegati dalla legge alla trascrizione di un atto ed in particolare alla trascrizione delle domande giudiziali, seguono unicamente all’attuazione della pubblicità, senza che si possano raggiungere per altre vie.


In definitiva, da un lato, il terzo verrebbe ad essere soggetto alla sentenza pronunciata in un processo che gli è inopponibile in virtù di una precisa disposizione di legge per mancanza o tardività della trascrizione contro il suo dante causa, e, dall’altro si offrirebbe il modo all’attore di porre rimedio alla sua negligenza per non avere avere trascritto la domanda, attraverso la chiamata del terzo in causa.


In giurisprudenza, con riferimento alla ipotesi prevista dall’art. 2652, n. 6, c.c., si è sostenuto che è da escludere che con la locuzione «terzo», nella norma in questione, sia indicato chi sia estraneo al giudizio di nullità e non soltanto chi dell’atto nullo non sia stato parte, terzo cioè nei confronti del giudizio, non dell’atto, e che se con la trascrizione si intende provocare il risultato di una presunzione di conoscenza nei confronti degli interessati alle vicende cui la trascrizione stessa si riferisce, tale scopo appare del tutto ultroneo quando l’atto da trascrivere sia lo stesso atto che produce, nei confronti dell’interessato, la conoscenza piena e non indiretta o presunta della vicenda medesima.


Quanto al primo punto andrebbe rilevato che chi è terzo nei confronti del rapporto controverso, anche se con la chiamata in causa assume la posizione di parte del processo, non perde per questo la posizione sostanziale di terzo ed a lui le vicende del rapporto saranno opponibili o meno, non in quanto sia stato parte o meno del giudizio, ma in quanto dell’opponibilità ricorrono i presupposti sul piano sostanziale e la trascrizione ha appunto la funzione di regolare l’opponibilità ed efficacia delle vicende sul piano sostanziale, non sul piano processuale, e l’efficacia sostanziale non viene influenzata dalle modalità di svolgimento del processo. In ordine al secondo punto, andrebbe rilevato che, in mancanza dell’art. 2652, n. 6, c.c., non vi sarebbe stato dubbio in ordine alla opponibilità della pronuncia di nullità a qualsiasi terzo che avesse derivato la sua posizione giuridica dall’acquirente il cui titolo di acquisto fosse stato dichiarato nullo.


Venendo meno, infatti, il titolo del dante causa, la posizione di ogni successivo acquirente non avrebbe trovato altra tutela che quella prevista per il possessore titolato di buona fede. La previsione del duplice onere di trascrizione, a carico sia dell’acquirente che dell’impugnante, è stata posta dunque non allo scopo di assicurare l’efficacia retroattiva e l’opponibilità della pronuncia dichiarativa della nullità, quanto per limitare la retroattività e l’opponibilità della pronuncia stessa. Colui che acquista con atto valido ed in buona fede e trascrive il suo acquisto rimane esposto agli effetti di una pronuncia che invalidi il titolo del dante causa, ma si pone, secondo il sistema accolto dalla codificazione, in una posizione di aspettativa tutelata, in quanto, ove la pretesa di invalidità non venga esercitata con domanda trascritta entro il quinquennio, la posizione da lui acquistata diventa inattaccabile.


Ne deriva che la regola della insostituibilità della trascrizione con equipollenti non potrebbe tollerare eccezioni e che essa si applica anche nelle ipotesi in cui l’atto che avrebbe dovuto trascriversi sia diretto allo stesso soggetto nei confronti del quale la trascrizione avrebbe prodotto l’effetto dell’opponibilità della vicenda. La trascrizione, infatti, non è diretta a produrre soltanto una presunzione di conoscenza, al fine di togliere valore all’eventuale eccezione di buona fede, ma produce effetti sostanziali più ampi, concorrendo, con altri fatti e situazioni, ad attribuire tutela piena ed immediata a posizioni giuridiche che di tale tutela non potrebbero godere, secondo le regole generali; tutela che riguarda non soltanto il soggetto la cui posizione viene pienamente tutelata, ma anche e soprattutto tutti gli aventi causa da tale soggetto.


In senso contrario, con riferimento alla fattispecie prevista dall’art. 2653, n. 1, c.c., si è affermato che la trascrizione della domanda giudiziale, nei casi in cui è prevista dalla legge, mira, almeno di regola, non tanto a risolvere un conflitto di diritto sostanziale tra più acquirenti dallo stesso dante causa, ma costituisce un onere che, in relazione alla norma dell’art. 111 c.p.c., opera nel senso di rendere possibile che la sentenza possa retroagire, secondo i principi generali, al momento della domanda giudiziale e possa, comunque, svolgere la sua efficacia anche rispetto a coloro che, nelle more del giudizio, si sono resi acquirenti, a titolo particolare, del diritto controverso, e che, per non avere partecipato al giudizio, potrebbero respingere gli effetti della sentenza pronunciata nei confronti del loro dante causa, qualora l’esistenza della domanda giudiziale non fosse portata a loro conoscenza, prima che essi acquistino il bene a cui inerisce il diritto litigioso, attraverso l’osservanza di quella particolare forma di pubblicità dichiarativa in cui si concreta l’istituto della trascrizione.


La conclusione sarebbe che nella ipotesi particolare in cui l’acquirente a titolo particolare intervenga volontariamente o venga chiamato a partecipare al giudizio già instaurato nei confronti del suo dante causa, assumendo la qualità di parte, soggiace agli effetti della sentenza che sarà poi pronunciata, indipendentemente dalla mancata trascrizione della domanda giudiziale.

 


5. Trascrizione della domanda ed effetti di diritto sostanziale


Mentre sul terreno processuale la mancata trascrizione di tutte le domande previste dagli artt. 2652 e 2653 c.c. ha il limitato effetto di rendere inopponibile a determinati terzi la sentenza emessa nei confronti del convenuto, lasciando peraltro impregiudicato il problema di diritto sostanziale, con la conseguenza che tali terzi non hanno, per ciò solo, fatto salvo il loro acquisto, potendo l’attore riproporre nei loro confronti la stessa domanda, la pubblicità (o la mancata pubblicità) di alcune domande può avere anche effetti di diritto sostanziale. Ciò si verifica quando quando il legislatore, invece di limitarsi ad affermare che la sentenza «ha effetto» contro determinati terzi, statuisce che la sentenza «non pregiudica» tali terzi, il cui acquisto diventa, pertanto, inattaccabile.


In alcune ipotesi, peraltro, ai fini della inattaccabilità del loro loro acquisto, non è sufficiente che i terzi abbiano trascritto il loro titolo prima della trascrizione della domanda, ma vengono richiesti anche altri requisiti: la buona fede (art. 2652, nn. 4-7 e 9, c.c.), la natura onerosa dell’acquisto (art. 2652, nn. 5-6 e 8), il decorso di un certo termine (art. 2652, nn. 6-9)(continua.)



(*) Omesse le note di riferimento giursprudenziale e bibliografico,queste pagine riproducono una prima parte di capitolo della monografia La trascrizione ,che è volume del Trattato di diritto privato in pubblicazione presso la casa editrice Giappichelli