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IL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEI DANNI PER LESIONE DI INTERESSI LEGITTIMI

 

FILIPPO    DURANTE

 

  

 Indice

1.     La responsabilità della Pubblica Amministrazione e la giurisprudenza "pretoria".

2.     Il quadro normativo e l'orientamento formalmente pietrificato della giurisprudenza prima del 1999.

3.     La svolta sostanziale e processuale con il revirement della sentenza 500/1999 

4.     La riforma della competenza giurisprudenziale con la legge 205/2000 e la posizione del Consiglio di Stato circa la "pregiudiziale" di annullamento  

5.     La responsabilità per omessa vigilanza e la configurazione della  responsabilità della Pubblica Amministrazione come assimilabile a quella contrattuale..

6.     Responsabilità della Pubblica Amministrazione: gli elementi della fattispecie..

 

 

 

1.            La responsabilità della Pubblica Amministrazione e la giurisprudenza "pretoria"

 

Il tema della configurabilità, in capo alla Pubblica Amministrazione, della responsabilità civile ex art. 2043 c.c. - e del corrispondente diritto, in capo ai privati, al risarcimento dei danni subiti a causa dell'emanazione di atti lesivi di interessi legittimi - è paradigmatico del ruolo di formante del diritto assunto dalla giurisprudenza.

 

Per oltre un secolo, infatti,  un orientamento "monolitico e pietrificato" aveva sostenuto, almeno in teoria,  il dogma dell'irrisarcibilità della lesione degli interessi legittimi: tabù sfatato, in assenza di significativi mutamenti normativi, dal revirement giurisprudenziale assunto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sent. 500/1999.

 

Tale pronuncia, operando un sofferto e liberatorio "mea culpa", afferma il principio della sostanziale irrilevanza, ai fini della configurazione della responsabilità aquiliana, della "qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto danneggiato": una svolta che costituisce un vero spartiacque storico e che ha stimolato nuovi interventi del legislatore e della stessa giurisprudenza[1]. Interventi talvolta tesi a neutralizzare gli effetti dirompenti causati dalla sent. 500 e talaltra a configurare come latamente contrattuale il rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadino e, dunque, a valorizzare la nuova Weltanschauung circa il rapporto autorità-libertà di cui il giudice di nomofilachia si è fatto interprete: dietro queste due tendenze si cela, come si vedrà, un sostanziale braccio di ferro tra giudice amministrativo e giudice ordinario.

 

 

 

2.            Il quadro normativo e l'orientamento formalmente pietrificato della giurisprudenza prima del 1999

 

Una ricostruzione, quantunque sommaria e superficiale, dei principali mutamenti normativi e giurisprudenziali precedenti alla storica sentenza della Suprema Corte è sufficiente, in realtà,  per notare la maturazione dei presupposti funzionali ad abbattere la roccaforte dell'irrisarcibilità degli interessi legittimi.

 

Ricostruzione che non può prescindere dalla considerazione per cui il problema della responsabilità della Pubblica Amministrazione involge sia questioni di diritto sostanziale e sia questioni inerenti al riparto di giurisdizione.

 

Questioni che si ponevano solo marginalmente con la legge abolitrice del contenzioso amministrativo, num. 2248 del 1865 allegato E: dal combinato disposto degli artt. 2 e 3, infatti, si evince che il giudice ordinario era competente solo in materia di "diritti civili e politici", non avendo gli "affari" diversi altra tutela che quella giustiziale.

 

Successivamente, il quadro normativo restò sostanzialmente imbalsamato, ancorato all'impostazione diadica fissata  con la l. 5992/1882: impostazione sostanzialmente confermata dalle leggi 638/1907, 2840/1923, 1054/1924 e 1034/1971, le ultime istitutive rispettivamente del Consiglio di Stato e dei TAR, e dall'interpretazione giurisprudenziale restrittiva inerente all'art. 2043 c.c.

 

   L'avvento della Costituzione, infatti, fissò principi particolarmente pregnanti sia in relazione alla tutela degli interessi legittimi, sia in relazione al riparto di giurisdizione, ma non incise sul problema del risarcimento dei danni per esercizio illegittimo della funzione amministrativa. L'art. 24, infatti, stabilisce l'inviolabilità del diritto di difesa e riconosce a tutti il diritto di azione, anche per la tutela degli interessi legittimi; principio ribadito dall'art. 113, per il quale "tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti" e che fissa una riserva di legge concernente l'individuazione degli organi giurisdizionali che "possono annullare gli atti della pubblica amministrazione, nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa". L'art. 28 della Cost., invece, è individuato da taluni come ostacolo alla risarcibilità degli interessi legittimi: tale disposizione stabilisce il principio della responsabilità civile solidale dello Stato e degli enti pubblici per gli atti illegittimi compiuti da funzionari e dipendenti, ma correla tale principio alla "violazione di diritti". L'art. 103 della Cost., infine, delinea i due principi di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in relazione agli atti e ai comportamenti della Pubblica Amministrazione: quello della causa petendi, in base al quale il giudice amministrativo conosce degli interessi legittimi ed il giudice ordinario dei diritti soggettivi, e quello del petitum, per il quale al giudice amministrativo può essere assegnata competenza giurisdizionale esclusiva in determinate materie.  

 

Proprio il riparto di giurisdizione, come ricorda la sent. 500/1999 a riprova dell'interdipendenza tra motivi processuali e sostanziali[2], ha costituito un ostacolo all'affermazione del principio della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione. In presenza di un sistema caratterizzato per decenni dalla residualità della giurisdizione esclusiva, al giudice amministrativo, competente per l'annullamento degli atti lesivi di interessi legittimi, era legislativamente negata la titolarità del potere di disporre misure risarcitorie. Viceversa il giudice ordinario, che pur poteva condannare al risarcimento del danno, era ritenuto impossibilitato a conoscere le questioni concernenti la responsabilità della Pubblica Amministrazione per difetto assoluto di giurisdizione: il principio di ripartizione fondato sulla causa petendi, infatti, era interpretato come assolutamente  preclusivo della possibilità che il giudice ordinario decidesse su situazioni giuridiche qualificate come interessi legittimi. Principio fissato in una storica sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, infatti, era quello in base al quale l'attività realizzata dalla Pubblica Amministrazione in carenza assoluta di potere era attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario, mentre gli atti semplicemente illegittimi, emanati in assenza dei presupposti in concreto, dovevano essere annullati dal Consiglio di Stato. Nei casi in cui, come si vedrà, la teorica della degradazione e della successiva riespansione dei diritti soggettivi aveva rappresentato l'escamotage per consentire la risarcibilità degli interessi legittimi oppositivi, infine, il giudice ordinario risultava titolare della giurisdizione solo in seguito alla "pregiudiziale amministrativa": lo stesso marchingegno teorico, fondato sulla necessaria caducazione con effetto ex tunc del provvedimento che aveva affievolito il diritto, presupponeva quale condicio sine qua non il previo annullamento da parte del giudice amministrativo. Meccanismo, questo, che precludeva al giudice ordinario il potere di disapplicare incidentalmente l'atto illegittimo, in virtù del fatto che, in assenza dell'effetto demolitorio retroattivo, sussisteva un interesse legittimo, come tale non suscettibile di essere conosciuto dal giudice ordinario.

 

Quest'ostacolo formale, tuttavia, è stato superato mediante due interventi fondamentali: uno giurisprudenziale ed uno legislativo. Il primo, decisivo, è l'orientamento legislativo consolidato dopo il leading case 1531/1989: la situazione giuridica del cittadino, leso dall'attività illegittima della Pubblica Amministrazione, non è l'interesse legittimo, bensì il diritto soggettivo al risarcimento dei danni per vulnerazione degli interessi legittimi. Soluzione contestata da una parte della dottrina, ma di sicuro ineccepibile formalmente: la conseguenza è l'affermazione della competenza giurisdizionale del giudice ordinario in caso di responsabilità dello Stato e degli Enti pubblici. Tale svolta, tuttavia, non comporta ancora lo sgretolamento del tabù dell'irrisarcibilità della lesione degli interessi legittimi perché, come si vedrà, ancora prevale, nel merito, l'impostazione per cui il diritto soggettivo al risarcimento è sussistente solo allorché lesi siano a loro volta diritti soggettivi. Il secondo elemento che contribuisce alla soppressione dell'ostacolo formale della ripartizione della giurisdizione, inoltre, è l'attribuzione di una rilevante porzione di branche di attività della Pubblica Amministrazione alla competenza esclusiva del giudice amministrativo: l'art. 35 del d. lgs. 80/1998, in attuazione della cd. legge Bassanini uno, determina infatti l'accresciuto rilievo del criterio di suddivisione fondato sul petitum, e dunque sulla distinzione per materie, a discapito di quello imperniato sulla tradizionale dicotomia delle situazioni giuridiche soggettive

 

Il vero scoglio che impediva il superamento della linea Maginot dell'irrisarcibilità dell'interesse legittimo, tuttavia, era di natura sostanziale: scoglio che concerneva, tuttavia, solo gli atti della Pubblica Amministrazione, in quanto già la sent. 737/1970 della Corte di Cassazione aveva sancito la responsabilità dei funzionari pubblici per lesioni arrecate in conseguenza di comportamenti materiali.  Si trattava, in realtà, della tralatizia affermazione giurisprudenziale secondo la quale il sintagma "danno ingiusto", presente nell'art. 2043, si riferirebbe esclusivamente alla lesione del diritto soggettivo: opzione ermeneutica che si fondava - come si è incaricata di dimostrare la sent. 500/99 - su meccanismi interpretativi tutt'altro che pacifici, se è vero che la statuizione della necessità di un danno non solo non jure, ma anche contra jus, obbligava a ritenere illegittima la condotta e non il danno.  Sta di fatto che un tale orientamento - fondato su ciò che in letteratura medica o in semantica chiamerebbero sinestesia, vale a dire l'accostamento di un attributo, quello di ingiusto, ad un diverso elemento della fattispecie, la condotta - è stato acriticamente tramandato e ha generato l'odioso privilegio dell'irresponsabilità della Pubblica Amministrazione: la norma ricavabile dall'art. 2043, infatti, era considerata norma secondaria, esclusivamente sanzionatoria della violazione di una diversa norma primaria.

 

 Principio demitizzato dalla sent. 500, la quale, tuttavia, costituisce solo l'apogeo di un percorso di avvicinamento graduale al superamento dell'ostacolo sostanziale alla risarcibilità degli interessi legittimi. Sei, in particolare, erano stati i fattori che avevano creato l'humus idoneo affinché avvenisse la rivoluzionaria pronuncia: il diritto comunitario, l'ostracismo della dottrina, i tentennamenti del legislatore, le operazioni di "trasfigurazione" della giurisprudenza ordinaria, gli espedienti utilizzati dalla stessa Corte di Cassazione ed il monito della Corte Costituzionale. 

 

Decisiva importanza, quantunque non valorizzata dalla sent. 500  per ragioni probabilmente di gelosia, ha assunto senz'altro la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee: il principio della risarcibilità, da parte dello Stato, del danno arrecato al privato per mancata o non tempestiva attuazione delle direttive comunitarie, affermato per la prima volta nella sent. Franchovic, ha certamente contribuito a corrodere l'interpretazione pietrificata della giurisprudenza italiana[3]. La stessa Corte di Giustizia - in virtù anche dell'assenza di una figura soggettiva equiparabile a quella dell'interesse legittimo in altri Stati membri - affermò inoltre la potestà,  esercitabile da parte del singolo giudice, di  considerare atti normativi ed anche amministrativi "tamquam non esset" nel caso di contrasto con il Trattato o con gli atti normativi derivati comunitari. E, inoltre, fu proprio l'armonizzazione europea a rendere necessitata, da parte del legislatore italiano, l'introduzione degli artt. 12 e 13 della l. 142/1990: tali disposizioni, inerenti all'ambito degli appalti pubblici[4], costituirono il primo esempio di previsione legislativa del risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, previsione che la  Corte di Cassazione si affrettò a considerare esclusivamente "settorializzata". La dottrina, viceversa, era stata storicamente critica nei confronti dei pronunciamenti della Suprema Corte, ritenendo deprecabile sacrificare, sull'altare dell'immunità dello Stato, il principio per cui danno ingiusto è quello subito da qualsivoglia cittadino che sia titolare di un interesse giuridicamente rilevante[5]. Il legislatore - dopo una serie di tentativi abortiti[6], non ultimo quello dell'introduzione di un secondo comma all'art. 2043[7], ed il già menzionato adeguamento alla direttiva comunitaria in materia di appalti - aveva inoltre attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rilevantissimi settori dell'amministrazione pubblica, in relazione ai quali TAR e Consiglio di Stato acquisivano anche il potere di condannare al risarcimento per danno ingiusto[8]. Formula, quest'ultima, che poteva essere interpretata nel modo tradizionale, vale a dire limitandola solo alla lesione dei diritti soggettivi, ma che una parte della dottrina aveva efficacemente messo in correlazione con l'intero ambito della giurisdizione esclusiva, ritenendola estesa anche agli interessi legittimi.

 

Come ricorda la stessa sent. 500, tuttavia, era stata la medesima giurisprudenza ordinaria, e perfino quella della Corte deputata alla nomofilachia, a "predicare male e razzolare bene": dietro la reiterata affermazione dell'irrisarcibilità degli interessi legittimi, infatti, non erano mancate operazioni di "cosmesi giuridica" volte a mimetizzare surrettiziamente come diritti soggettivi alcune fattispecie appartenenti, in realtà, all'eterogenea tassonomia degli interessi legittimi. Prototipo di tale operazione sono state le figure, di origine prettamente giurisprudenziale, del danno "da lesione all'integrità patrimoniale" e da "lesione alla libertà contrattuale"[9]: entrambe formule che, quantunque utilizzate sulla base della pronuncia della Corte d'Appello di Milano non censurata sul punto, sono state applicate ancora dalla Corte di Cassazione  - "in conformità", in realtà discutibile, con la sent. 500 - nella sent. 3132/2001. Tale pronuncia ha affermato, come si vedrà, la responsabilità della CONSOB per omessa vigilanza su un prospetto informativo, concernente una sollecitazione all'investimento e caratterizzato da informazioni risultate "prima facie" ed "ex actis" false. La circostanza che la Cassazione, mostrando di condividere la soluzione del giudice d'appello, abbia ancora fatto ricorso a tali formule - considerate dalla sent. 500 come dei semplici "cavalli di Troia" funzionali a risarcire interessi legittimi - rappresenta la figura sintomatica della difficoltà, presente nella cultura giuridica, nel metabolizzare il revirement giurisprudenziale, nonché del dinamismo di un dibattito ancora aperto.

 

 La stessa teorica della degradazione - secondo la quale un diritto soggettivo originariamente perfetto viene derubricato in interesse legittimo a causa di un provvedimento illegittimo, per poi riespandersi in presenza di una sentenza di annullamento - costituisce, secondo la sent. 500, nient'altro che un artificio barocco per consentire la risarcibilità, sotto le mentite spoglie del diritto soggettivo, ad un interesse legittimo oppositivo. Escamotage utilizzato, in seguito, anche per i cosiddetti "diritti derivati"[10], vale a dire per situazioni di originario interesse legittimo pretensivo, assurte a diritto soggettivo in virtù dell'ottenimento del provvedimento cui i titolari aspiravano, ma successivamente degradate di nuovo ad interesse legittimo a causa di un illegittimo atto di autotutela della Pubblica Amministrazione: anche in questo caso, una sentenza caducatoria con effetto retroattivo determina la resurrezione del diritto soggettivo, passepartout per la risarcibilità. Meccanismo analogo è stato utilizzato da un'interessante sent. del Tribunale di Voghera nel 1996, antesignana, si ritiene, dell'orientamento che oggi ipotizza la responsabilità contrattuale della Pubblica Amministrazione[11]: secondo quella pronuncia, l'avvenuta procedimentalizzazione del diritto amministrativo, i principi fissati dalla legge 241/1990 e il modulo dell'amministrare per consenso hanno determinato una "privatizzazione" di rilevanti aree dell'azione amministrativa. Ne conseguirebbe, secondo il tribunale dell'Oltrepò pavese, la configurazione del diritto soggettivo ad un comportamento corretto e secondo buona fede dei pubblici uffici: diritto che sussisterebbe a prescindere dalla qualificazione della situazione giuridica sostanziale preventivamente presente nella titolarità del cittadino. E lo stesso tabù della tutela esclusivamente caducatoria dei provvedimenti lesivi degli interessi legittimi pretensivi, quantunque non superato mediante il grimaldello dottrinario della configurazione come "diritti in attesa di espansione"[12], era stato profondamente messo in discussione a partire dalla sent. 5813/1985 della stessa Corte di Cassazione: il ricorso all'art. 185 c.p., infatti, costituiva l'ancoraggio mediante il quale la giurisprudenza aveva by-passato l'art. 2043, ritenuto irrimediabilmente correlato ai soli diritti soggettivi, ed aveva riconosciuto la tutela risarcitoria anche ad altre situazioni, ancorché per i soli atti che integravano la fattispecie di un reato.

 

Infine, in questo melting pot di ragioni che avevano precostituito il terreno propizio per un ripensamento dell'orientamento consolidato, non può essere tralasciata l'ord. 165/1998 della Corte Costituzionale: si tratta di un vero e proprio atto di moral suasion, ascrivibile forse alla categoria delle pronunce-monito, con cui la Consulta aveva rigettato la questione di costituzionalità dell'art. 2043, negando che tale disposizione fosse incostituzionale per l'esclusione dai risarcimenti dei danni subiti dai titolari di interessi legittimi[13]. Nella stessa ordinanza, infatti, la Corte Costituzionale aveva compiuto una ricognizione delle aperture settoriali del legislatore alla tutela non solo cadicatoria degli interessi legittimi ed aveva pungolato lo stesso Parlamento a compiere una riconsiderazione complessiva della questione.

 

 

 

3.            La svolta sostanziale e processuale con il revirement della sentenza 500/1999

 

         Intervenne, così, la sent. 500/1999[14], lunga ed articolata pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ad eliminare il monopolio della tutela aquiliana detenuto in passato, almeno in punto di argomentazioni teoriche, dal diritto soggettivo. Due sono le modificazioni "copernicane" introdotte da questo leading case: una di natura sostanziale, la risarcibilità di "beni della vita" correlati anche ad interessi legittimi, ed una di natura processuale, vale a dire la scomparsa della pregiudiziale amministrativa e l'attribuzione al giudice ordinario della competenza giurisdizionale a risarcire, previa disapplicazione dei provvedimenti illegittimi. Si constaterà che la seconda innovazione, ritenuta dalla Suprema Corte come un coerente precipitato del revirement, ha suscitato invece la perplessità della dottrina amministrativistica ed ha in fin dei conti avuto vita breve, essendo stata superata dalla diversa ripartizione della giurisdizione operata con la l. 205/2000.

 

E tuttavia, la vera svolta operata dalla sent. 500 è avvenuta sul piano sostanziale: la disposizione che introduce il principio del neminem laedere - proprio per la centralità che attribuisce all'ingiustizia del danno - genera una norma "aperta e caratterizzata dall'atipicità", nel contempo primaria e secondaria[15]: gravida, insomma, del principio per cui l'ordinamento non può tollerare che la lesione subita a causa di un fatto illegittimo si riverberi sulla vittima. Ne consegue che ad essere tutelato è il danno sofferto semplicemente "non jure", vale a dire  in assenza di esimenti, da chiunque sia titolare di un "bene della vita" ritenuto meritevole di tutela "alla stregua dell'ordinamento giuridico". L'effetto, coerente, è la relativa irrilevanza della "qualificazione formale" della situazione giuridica soggettiva, potendo essere sotteso il bene della vita giuridicamente rilevante - ecco la svolta - anche ad un interesse legittimo, fosse anche pretensivo. Tale affermazione, tuttavia, non equivale, secondo la Suprema Corte, alla tutela indiscriminata di quel proteiforme universo degli interessi legittimi: la titolarità di tale situazione giuridica soggettiva, infatti, è condizione necessaria[16] e non sufficiente per addivenire al risarcimento.  E ciò per una serie di ragioni che  si approfondiranno in prosieguo: la necessità che il giudice compia una ricognizione del bilanciamento degli interessi operato dalla Pubblica Amministrazione, un giudizio prognostico sulla consistenza degli interessi pretensivi e, infine,  l'accertamento dell'elemento soggettivo in capo alla Pubblica Amministrazione. Come si vedrà, infatti, l'estensione dell'ambito della tutela aquiliana comporta, per evitare i rischi di overdeterrance, una riconsiderazione della colpa, che non può ritenersi più in re ipsa nell'atto illegittimo, bensì deve essere individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione da parte dell'apparato.

 

Due le considerazioni circa la "svolta sostanziale" operata dalla sent. 500: come risulta evidente, essa dispiega gli effetti maggiormente rilevanti in materia di interessi pretensivi, godendo quelli oppositivi - mediante la teorica della degradazione - già da tempo della tutela risarcitoria "di fatto". Salvo domandarsi, in prosieguo, se vi sia una risarcibilità generalizzata della lesione degli interessi volti alla conservazione dello status quo ante, merita ricordare comunque che la pronuncia delle Sezioni Unite non è assolutamente adiafora rispetto ad essi: non fosse altro perché, eliminando la pregiudiziale amministrativa, pone fine al lungo iter del regime del cd. "doppio binario". L'altra considerazione consiste nel fatto che la Suprema Corte è riuscita, nel contempo, a valorizzare l'utilitas sottesa e correlata all'interesse legittimo, senza tuttavia svalutare il rilievo e la natura sostanziale - non meramente processuale - di quest'ultima situazione giuridica soggettiva. Soluzione che ha determinato autorevoli dissensi - sotto il profilo di una presunta "marginalizzazione" dell'interesse legittimo,  la cui vulnerazione è ridotta a mero presupposto storico dell'ingiustizia del danno e, non, come dovrebbe accadere, ad epicentro della pretesa -, ma che in realtà è coerente con le principali nozioni di interesse legittimo: sia con quella che lo considera una situazione giuridica individuale, e nel contempo strumentale all'interesse pubblico all'imparzialità e al buon andamento della Pubblica Amministrazione[17]; sia con quella che lo ritiene un valore aggiunto, una forma di protezione ulteriore mediante l'attribuzione di poteri e di facoltà aggiuntivi rispetto a quelli già attribuiti allo status ad esso sotteso[18].

 

La "svolta processuale" della sent. 500, viceversa, costituisce la coerente conseguenza di un sillogismo aristotelico fondato su due premesse: la prima consiste nell'attribuzione al giudice ordinario della competenza giurisdizionale a sancire la responsabilità extracontrattuale della Pubblica Amministrazione, rilevando non già l'interesse legittimo, ma il diritto soggettivo al risarcimento per lesione di interesse legittimo[19]; la seconda consiste, invece, nella superfluità del ricorso all'artificiale figura del diritto affievolito e riespanso, essendo ora tutelabile anche l'interesse legittimo[20]. Il precipitato di questi assunti consiste, dunque, nell'ascrizione al giudice ordinario del potere di risarcire, previa disapplicazione incidentale del provvedimento illegittimo della Pubblica Amministrazione: soluzione che evita al cittadino la sfiancante "via crucis" che lo costringeva, in passato, a dover ottenere preventivamente una sentenza di annullamento da parte dei giudici amministrativi e, solo in seguito, una pronuncia di risarcimento da parte del giudice ordinario[21].

 

Ne consegue che comunque, in seguito alla sent. 500, la dislocazione  della tutela nei confronti della lesione degli interessi legittimi era ripartita tra due differenti giurisdizioni, ancorché in regime di reciproca "separatezza" e non più d'interdipendenza: la tutela caducatoria era apprestata dal giudice amministrativo, quella risarcitoria dal giudice ordinario. Architettura istituzionale prevalente - sebbene, ai sensi del d. lgs. 80/1998, nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quest'ultimo assumeva anche la competenza giurisdizionale in materia di risarcimento danni -, ma fieramente avversata dalla dottrina in relazione a molteplici considerazioni.    

                  La prima consiste nel rischio di contrasti di valutazioni tra i due giudici, che avrebbe comportato incertezza del diritto, nonché nelle perplessità circa la possibilità che il giudicato della pronuncia amministrativa potesse fare stato nel successivo processo risarcitorio. La seconda consiste, invece,  nell'obbligo di autotutela della Pubblica Amministrazione che sarebbe derivato dalla disapplicazione di un atto da parte del giudice ordinario: la violazione di tale dovere, infatti, avrebbe comportato la chiamata in causa, mediante il giudizio d'ottemperanza, proprio di quel giudice amministrativo che in ipotesi avrebbe potuto già aver deciso in senso contrario all'annullamento.

        Parte della dottrina, inoltre, riteneva che la bipartizione della giurisdizione fosse solo surrettiziamente riconducibile al criterio della causa petendi, come aveva nel frattempo continuato a ribadire la sent. 414/2000 delle Sezioni Unite: dietro l'attribuzione della "materia" dell'annullamento al giudice amministrativo e di quella del risarcimento al giudice ordinario, infatti, si celava proprio l'applicazione "pretoria" del criterio del petitum[22].

     Non mancavano perplessità, infine, sulla discrasia creatasi in relazione alla previsione di un termine decadenziale per l'annullamento e di uno prescrizionale quinquennale per disapplicazione e risarcimento: ciò che avrebbe reso molto più comodo, al cittadino, adagiarsi sul semplice "tamquam non esset" del giudice ordinario, esautorando in un sol colpo il ruolo della giustizia amministrativa e la funzionalità dell'interesse legittimo al perseguimento di obiettivi pubblici[23]. Senza considerare, ancora, che l'arena della giurisdizione ordinaria avrebbe precluso il contraddittorio con eventuali cittadini che avevano tratto vantaggi dall'atto incriminato. Non sono mancati, inoltre, strali contro l'assottigliamento della rilevanza dell'interesse legittimo, minacciato dall'alto dal diritto soggettivo al risarcimento per lesione di interessi legittimi - costruzione ritenuta artificiale da taluni autori - e dal basso dall'interesse al bene della vita che ne sarebbe sotteso.

     Anche riconoscendo la natura di diritto soggettivo alla pretesa del risarcimento, infine, vi era chi evidenziava la sua strumentalità all'interesse legittimo, al pari del diritto soggettivo alla partecipazione al procedimento: ciò che deponeva per il riconoscimento della giurisdizione al giudice amministrativo. Considerazione avvalorata dal fatto che l'art. 103 Cost attribuisce a Consiglio di Stato e TAR la giurisdizione per la "tutela", e non per la semplice conoscenza, degli interessi legittimi: sicuramente "tutela", affermava la dottrina, era anche quella risarcitoria. A chi, infine, notava l'inconsistenza dei poteri istruttori e decisori del giudice amministrativo, i sostenitori dell'attribuzione ad esso della giurisdizione sui risarcimenti rispondevano con la possibile valorizzazione del giudizio di ottemperanza e con la necessità dell'adeguamento dei poteri di TAR e Consiglio di Stato.

 

 

 

4.            La riforma della competenza giurisprudenziale con la legge 205/2000 e la posizione del Consiglio di Stato circa la "pregiudiziale" di annullamento

 

Proprio la valorizzazione del giudizio d'ottemperanza, l'attribuzione di nuovi poteri istruttori e decisori al giudice amministrativo e l' affermazione della sua giurisdizione sul risarcimento dei danni contro la Pubblica Amministrazione costituiscono i Leitmotiv della riforma del processo amministrativo, avvenuta con la l. 205/2000. Accanto alle novità costituite dall'impugnazione con motivi aggiunti dei provvedimenti adottati in pendenza del ricorso (art. 1), dal giudizio camerale sul silenzio della Pubblica Amministrazione (art. 2), dalla previsione del giudizio d'ottemperanza anche per l'esecuzione di sentenze di primo grado non passate in giudicato (art. 10) e dall'introduzione della consulenza tecnica d'ufficio (art. 16) - tutte misure funzionali all'effettività della protezione giudiziale[24] - la l. 205, all'art. 7, contiene il primo riconoscimento legislativo, esplicito e generalizzato, della risarcibilità degli interessi legittimi, ma anche quella che è stata ritenuta la norma più importante da diversi decenni in materia di processo amministrativo.

        L'art. 7 della 205, infatti, novella l'art. 7, comma 3 della l. 1034/1971, legge istitutiva dei TAR, prevedendo che "il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali". Si tratta, in sostanza, della "reductio ad unitatem" della precedente duplicazione di giurisdizione: il giudice amministrativo è destinatario dell'attribuzione a condannare al risarcimento danni e alla reintegrazione in forma specifica[25]  per lesione di diritti ed interessi legittimi non solo nelle materie di giurisdizione esclusiva - competenza giurisdizionale già prevista dal combinato disposto del d. lgs. 80/98 e della sent. 500 -, ma anche nell'ambito della giurisdizione di legittimità. In sostanza, viene meno il "monopolio del giudice ordinario" sulla responsabilità extracontrattuale - e con esso, le sue incongruenze, manifestate dalla dottrina -, mentre il giudice amministrativo si propone prepotentemente come "giudice unico della funzione pubblica", in grado di apprestare l'universalità delle tutele inerenti all'attività illegittima della Pubblica Amministrazione[26].

    Quella che era stata sempre definita una giurisdizione incompleta, infatti, diviene "piena"[27] e si appresta a concernere non più esclusivamente la legittimità dell'atto, bensì anche aspetti rilevanti del rapporto giuridico, incentrati sulla centralità del "bene della vita" dei cittadini che interloquiscono con la Pubblica Amministrazione. Né può considerarsi, l'attribuzione della giurisdizione sul "diritto soggettivo" al risarcimento dei danni, incoerente con il sistema complessivo: non solo perché, come si è già illustrato, si tratta di un diritto soggettivo correlato mediante un rapporto di strumentalità agli interessi legittimi lesi, ma anche in virtù del fatto che, salvo eventuali profili d'incostituzionalità di tale processo[28], la tendenza è sempre più verso la ripartizione per materie, anziché sulla base della causa petendi.

 

La previsione del nuovo art. 7 della l. 1034/1971, tuttavia, ha sollevato nuove controversie in dottrina.

 

In particolare, è stato sottolineato che la disposizione si riferisce all'eventuale risarcimento del danno "e agli altri diritti patrimoniali consequenziali": l'aggettivo "altri", dunque, sembrerebbe limitare l'attribuzione della giurisdizione solo ai giudizi concernenti, nella complessità dei risarcimenti danni, quelli "consequenziali" all'annullamento di un atto amministrativo. Secondo quest'interpretazione, meramente letterale[29], la l. 205 sarebbe meno rivoluzionaria di quanto appare ed avrebbe conservato, ancorché in un ambito più limitato, la bipartizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario. Al primo, infatti, sarebbero attribuiti i giudizi concernenti  risarcimenti dei danni che sono accessori rispetto a provvedimenti caducatori di atti amministrativi illegittimi; al secondo, invece, permarrebbero i giudizi concernenti la responsabilità aquiliana della Pubblica Amministrazione non consequenziale a previi annullamenti, come potrebbe accadere nel caso di violazioni formali o di regole di correttezza non riverberatesi nei provvedimenti amministrativi, di ritardi, di silenzio non significativo, ovvero nel caso eventuale in cui si ammettesse un risarcimento pur in assenza di tempestiva impugnazione ai fini dell'annullamento.

       Si tratta, in realtà, di una scelta ermeneutica forzata: la bipartizione, infatti, sussisterebbe solo nelle materie attribuite alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, e non anche in quelle che costituiscono la sua giurisdizione esclusiva, atteso che il d. lgs. 80/1998 non accenna alla nozione di consequenzialità. Senza tralasciare, inoltre, che all'imprecisione lessicale del legislatore, che ha interpolato la vecchia lettera dell'art. 7 della l. 1034, può rimediarsi ricollegando la consequenzialità all'esercizio della funzione pubblica e non anche all'annullamento dell'atto amministrativo. Va considerato, inoltre, che in seguito alla l. 241/1990 il ruolo centrale dell'esercizio del potere pubblico si colloca proprio nel procedimento, e non più solo nel necessario provvedimento terminale: ciò che, tra l'altro, ha assunto un ruolo non indifferente nel riconoscimento della risarcibilità, a determinate condizioni, anche degli interessi legittimi pretensivi. Esclusa, dunque, la conservazione di una bipartizione delle competenze, va tuttavia segnalato che, in virtù del secondo comma dell'art. 6 della l. 205, un'eccezione potrebbe sussistere nelle occasioni in cui le parti intendessero promuovere l'arbitrato rituale per il diritto al risarcimento: in tali occasioni, infatti, a TAR e Consiglio di Stato spetterebbe solo il potere di annullamento[30].  

 

Una volta acclarato che il potere di decidere sul neminem laedere si staglia su tutto l'universo della giurisdizione del giudice amministrativo, permane, infine, il problema interpretativo concernente il rapporto tra l'azione di annullamento e quella tesa ad ottenere il risarcimento dei danni. Ritenendo non necessitata la contestualità delle due azioni - evenienza che potrebbe, comunque, verificarsi mediante la proposizione di una domanda principale volta all'annullamento e di una contemporanea domanda di risarcimento, subordinata all'accoglimento della prima -, la dottrina s'interroga sull'eventuale doverosità della pregiudiziale dell'azione di annullamento pur nel regime di autonomia tra le due questioni. Mentre il sistema risultante dopo la sent. 500 consentiva, infatti, la proposizione dell'azione di risarcimento presso il giudice ordinario senza previa impugnazione del provvedimento, ci si chiede oggi se sia possibile ottenere ugualmente - ma dal giudice amministrativo - il risarcimento mediante semplice disapplicazione del provvedimento illegittimo. 

        Insomma, assodato che le due domande possono essere proposte separatamente e che quella concernente il diritto al risarcimento ha una prescrizione quinquennale, l'impugnazione entro il termine decadenziale del provvedimento per ottenerne la caducazione e la conseguente sentenza di annullamento costituiscono una condicio sine qua non per la tutela nei confronti dell'illecito aquiliano di Stato ed enti pubblici?  La risposta, nel silenzio del legislatore, è giunta di nuovo dalla giurisprudenza, ed in particolare dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2003: chiamata in causa per la seconda volta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia[31], infatti, tale assise ha stabilito che l'azione risarcitoria può essere proposta nei consueti termini prescrizionali, ma in relazione alla lesione degli interessi legittimi solo in seguito alla proposizione tempestiva dell'azione di annullamento[32].

        Al giudice amministrativo, insomma, resta precluso disapplicare, con pronuncia incidenter tantum funzionale al solo risarcimento dei danni, il provvedimento amministrativo  ingiustamente lesivo di interessi legittimi[33]: in relazione ad essi, come avevano già stabilito numerose sentenze del giudice amministrativo[34], TAR e Consiglio di Stato "non risarciscono disapplicando, ma demoliscono risarcendo"[35].   Si tratta, insomma, di un principio davvero rilevante, enfatizzato da una parte della dottrina come la "definitiva quadratura del cerchio" di un percorso quinquennale, avviato con il d. lgs. 80/1998 e proseguito con la sent. 500 e la l. 205/2000. E si tratta, chiaramente, di un intervento accolto con un sospiro di sollievo dalla Pubblica Amministrazione, che all'indomani della sent. 500 aveva palesato il pericolo di bancarotta e la necessità di un giusto contemperamento delle esigenze riparatorie e di deterrance da una parte con quelle contabili dall'altra[36].

        Proprio per questo motivo, tuttavia, la pronuncia dell'Adunanza Plenaria è parsa a molti "un passo indietro rispetto alla sent. 500"[37], la quale aveva stabilito il principio della disapplicazione non solo per evitare il "doppio binario" cui erano costretti i cittadini che aspiravano ad una tutela piena, ma anche in virtù del fatto che l'illegittimità del provvedimento costituiva solo uno dei presupposti per ottenere il risarcimento. La statuizione dell'Adunanza, insomma, è parsa sì una "quadratura del cerchio", ma nel senso di aver concluso un progetto complessivo volto a neutralizzare di fatto l'effetto dirompente della sent. 500, gravando di nuovo il cittadino leso dell'onere di impugnare l'atto illegittimo nel breve termine decadenziale: disegno cui sarebbe stata preordinata, forse, addirittura l'attribuzione mediante la l. 205/2000 della giurisdizione piena al giudice amministrativo.

         Si vedrà se eventualmente le Sezioni Unite confermeranno ovvero ribalteranno l'assunto dell'Adunanza Plenaria di Palazzo Spada: l'auspicio è che non seguiranno il principio del Consiglio di Stato - già contestato dalla sent. 157/2003 della Sezione prima della Cassazione civile[38] - o, almeno, quello delle sentenze dei TAR - TAR Parma, n. 852/2002; TAR LAZIO III, n. 96/2003 - che richiedono, pur in assenza di un provvedimento da caducare, la previa impugnazione nei termini decadenziali del ritardo ovvero del silenzio non significativo come pregiudiziali alla domanda di risarcimento. A fortiori, sarebbe deprecabile un orientamento giurisprudenziale che seguisse quella dottrina che richiede la previa impugnazione, a fini ricognitivi della invalidità, del provvedimento addirittura nullo, come presupposto necessario per ottenere il risarcimento nei confronti finanche dei diritti soggettivi lesi dalla Pubblica Amministrazione[39].

      I fautori di tale impostazione ritengono che una simile architettura rappresenterebbe l'unico strumento per evitare che il problema della differenza, davvero labile in alcune materie, tra diritti soggettivi ed interessi legittimi - una volta uscito dalla porta con l'attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva - possa riemergere dalla finestra allorché occorre decidere se impugnare l'atto in termini decadenziali: si tratterrebbe, come per fortuna sembra ritenere la sent. n. 3819/2002 del Consiglio di Stato, di un espediente per accrescere l'odioso privilegio della Pubblica Amministrazione e per assottigliare le garanzie dei cittadini, in netta contrapposizione allo spirito della sent. 500.

 

 

 

5.   La responsabilità per omessa vigilanza e la configurazione della  responsabilità della Pubblica Amministrazione come assimilabile a quella contrattuale

 

Ci si potrebbe chiedere, tuttavia, se davvero la statuizione dell'Adunanza Plenaria costituisca la quadratura del cerchio e determini la certezza sulle questioni più spinose concernenti la risarcibilità degli interessi legittimi.

 

A leggere tra le righe di tre importanti sentenze degli ultimi anni - si badi che si tratta, ancora, di giurisprudenza pretoria - la risposta è negativa. 

 

Ci si riferisce alla sent. 3132/2001 delle Sezioni Unite della Corte della Cassazione, che - con orientamento confermato dalla recente sent. del 21 ottobre 2003 della Corte d'Appello di Milano - ha stabilito la responsabilità civile della CONSOB per negligenza nell'esercizio della vigilanza sulle informazioni, palesemente falsi, diffuse  nei mercati mobiliari[40]. Tale pronuncia - un vero leading case, se si eccettua la sent. 8836/1994 sulla vigilanza della Banca d'Italia[41] - stabilisce che la responsabilità aquiliana non è esclusa dalla discrezionalità attribuita all'Autorità indipendente, essendo tale discrezionalità attribuita nel quomodo e non nell'an. Due questioni, in particolare, restano aperte in materia di vigilanza: la qualificazione della situazione degli investitori come diritto soggettivo, interesse legittimo ovvero interesse di fatto - questione, come preannunciato, non oggetto di censura nella sent. 3132 - ed i limiti della responsabilità della Pubblica Amministrazione che svolge compiti di polizia amministrativa nella fase preprocedimentale, come tale non coperta dalle disposizioni della l. 241/1990[42].

 

        L'altra, davvero fondamentale, è la sent. 157/2003 della prima sezione della Cassazione Civile. Si tratta di una pronuncia che, pur non contestando la scelta - operata dalla l. 205/2000 - di attribuire la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo, in più occasioni manifesta insofferenza nei confronti della riottosità del Consiglio di Stato a recepire la svolta culturale operata dalla sent. 500[43]. Significativamente il giudice di legittimità, per muovere simili rilevi, ha scelto la stessa vicenda affrontata dal revirement del 1999 e poi proseguita presso la Corte d'appello di Firenze, vale a dire la controversia tra un privato ed il comune di Fiesole, causata dall'adozione di un Piano Regolatore viziato che aveva eliminato lo ius edificandi, precedentemente acquisito mediante una convenzione di lottizzazione. Un'occasione simbolica, insomma, per tracciare un consuntivo della reazione giurisprudenziale alla sent. 500, che aveva espressamente motivato l'estensione della risarcibilità  con l'esigenza di eliminare l'isola di privilegio che in passato aveva contraddistinto l'operato della Pubblica Amministrazione .

         E così la Cassazione corregge la Corte d'Appello, la quale, nel caso de quo, aveva negato il risarcimento mediante il giudizio prognostico inerente alla lesione del bene della vita, operato sulla presupposizione che si trattasse di interesse legittimo pretensivo: in particolare, si evidenzia come il confine tra l'interesse volto alla conservazione e quello evolutivo, nonché la stessa dinamica della prognosi[44] siano stati utilizzati dal giudice ordinario come una rete di contenimento contro la bancarotta dello Stato, di fatto ripristinando la sua immunità. Tra le righe della sentenza, tuttavia, è evidente che la percezione del tradimento perpetrato ai danni del principio stabilito dalla Sezioni Unite trascende il semplice caso de quo ed investe in primis l'atteggiamento prudente mostrato dal giudice amministrativo, anche con l'imposizione della previa azione di annullamento: basti pensare al riferimento ai diversi fini cui sono preordinate la tutela caducatoria e quella risarcitoria[45]. Che si tratti di una disillusione generalizzata, d'altra parte, è lampante allorché si sostiene la necessità di soluzioni alternative "nella misura in cui si rivela insoddisfacente, e inadatto a risolvere con coerenza i problemi applicativi dopo Cass. 500/99/SU il modello finora utilizzato che fa capo all'art. 2043".

 

Tre sono le risposte offerte dal giudice di legittimità.

 

La prima è fornita in un obiter dictum che, per la sua importanza, si è enucleato come vero e proprio principio di diritto, tanto che è stato inserito tra le massime della sentenza. La Corte valorizza, in rapporto alla responsabilità della Pubblica Amministrazione nei confronti dei cittadini, i principi della l. 241/1990[46], la procedimentalizzazione dell'azione amministrativa[47] ed i moduli privatistici[48] che sempre di più sono trapiantati nei rapporti intercorrenti tra cittadini ed Enti pubblici[49]. Sulle premesse di un mutato rapporto tra autorità e libertà e della primazia del cittadino sullo Stato, la prima Sezione ipotizza il disancoramento del principio della risarcibilità degli interessi legittimi dalla responsabilità aquiliana: la Cassazione, a tal proposito, parla di violazione delle regole procedimentali e dei canoni di correttezza e buona fede ex 1174 e 1175 c.c[50].

 

 La novità, tuttavia, consiste nel fatto che tali criteri non sono evocati - come abbiamo visto in passato, ad esempio, dal Tribunale di Voghera - come strumento per affermare la presenza di un diritto soggettivo leso in violazione del neminem laedere, bensì addirittura per sancire la responsabilità latamente contrattuale della Pubblica Amministrazione[51]. L'inosservanza dei principi di buona fede e correttezza da parte della Pubblica Amministrazione, così, viene ricondotta all'inadempimento degli obblighi presenti in un rapporto obbligatorio: esisterebbero correlativamente diritti autonomi dei cittadini[52], ad esempio, alla motivazione, alla notizia di avvio del procedimento, al rispetto del suo termine finale. Ipotizzando tale prospettazione, l'obiter dictum sembra svalutare la figura dell'interesse al bene della vita, che pure aveva assunto un ruolo rilevante nella sent. 500: in realtà il bene della vita viene valorizzato e ad una dimensione sostanziale se ne affianca una processuale, vale a dire che le stesse figure dell'imparzialità, della buona amministrazione e della correttezza - le quali si esplicano anche nel rispetto dei diritti incardinati nel procedimento - assurgono al ruolo di autonomi beni della vita. Insomma, paradossalmente la preconizzazione di un orientamento volto a configurare la responsabilità contrattuale, nello sconfessare il riferimento al neminem laedere operato dalla svolta del 1999, si muove in continuità con la stessa sent. 500 e si contrappone, invece, alle manovre giurisprudenziali volte a depotenziarne l'impatto sui conti dello Stato.

 

         L'apertura alla responsabilità contrattuale operata dalla sent. 157/2003, nondimeno, è sempre contenuta in un obiter dictum: quantunque i principi volti a considerare paritariamente Pubblica Amministrazione e cittadini si ritrovino già in Costituzione, infatti, la pronuncia statuisce che la configurazione di diritti soggettivi legati alla correttezza della Pubblica Amministrazione è ipotizzabile solo a partire dall'entrata in vigore della l. 241/1990. La vicenda esaminata, viceversa, afferisce ad un periodo antecedente agli anni Novanta, per cui - onde contrastare la prassi giurisprudenziale conservatrice volta a configurare la risarcibilità degli interessi legittimi pretensivi solo in corrispondenza di attività vincolata[53] - ci si deve pur sempre muovere nell'ottica della responsabilità aquiliana e, dunque, della lesione di beni della vita di carattere "sostanziale". La Cassazione lo fa valorizzando la nozione di "interesse oppositivo derivato".

        Posto che l'interesse "conservativo" è tutelato con il risarcimento anche quando la sua indebita compressione deriva da vizi formali, in quanto l'interesse al bene della vita è in re ipsa, la sent. 157 tende a ridurre l'ambito degli interessi pretensivi e ad accrescere quello delle istanze di conservazione. Le quali non sono presenti solo allorché la situazione da difendere è tale ab origine, ma anche quando è ingenerata da un precedente provvedimento amministrativo. Insomma, la posizione del titolare dello ius edificandi ottenuto mediante convenzione di lottizzazione non è solo pretensiva nei confronti dell'Ente pubblico - e dunque volta ad ottenere la concessione edilizia -, bensì è volta a conservare "una posizione di vantaggio" giuridicamente rilevante "derivatagli dal conferimento di edificabilità"[54]. Una posizione di vantaggio che, al pari di quelle poste alla base di interessi oppositivi originari, è sacrificabile sull'altare degli interessi pubblici, ma che comporta sempre il risarcimento allorché l'azione amministrativa che la leda sia scorretta.

 

Questa è la soluzione adottata dalla Cassazione per gli accadimenti anteriori al 1990. E tuttavia, a leggere bene la pronuncia, sembra che la Corte non escluda a priori un altro strumento idoneo, sempre nell'ottica dell'art. 2043, a reagire all'utilizzo del giudizio prognostico quale escamotage per negare il risarcimento. Ci si riferisce all'interesse legittimo partecipativo: se è vero che solo in seguito alla l. 241 possono configurarsi diritti soggettivi, è altrettanto  vero che anche prima sono prospettabili interessi legittimi alla correttezza del procedimento. Esisterebbe una terza species di interessi legittimi, diversi da quelli pretensivi ed oppositivi o trasversali ad essi: soluzione che è accennata incidentalmente e non accolta dal giudice di nomofilachia, ma che pure è bene considerare.   

 

Ci si può domandare, a questo punto, se la qualificazione come simil-contrattuale della responsabilità della Pubblica Amministrazione derivante del mancato rispetto degli obblighi previsti dalla l. 241 troverà adepti, soprattutto nella giurisprudenza amministrativa. Un'evenienza non da escludere se si considera quanto statuito dalla sezione quinta del Consiglio di Stato nella sent. 4239/2001, che aveva parlato di "responsabilità derivante da contatto sociale qualificato.assimilabile a quella contrattuale"[55]: in particolare, tale pronuncia ha configurato una responsabilità per inadempimento di obbligazioni, sebbene non ex contractu, bensì ex lege in relazione ai doveri di buona fede, trasparenza e correttezza[56]. In sostanza, la responsabilità comunemente definita come "contrattuale", quella ex art. 1218 del c.c, si astrae dalle disposizioni concernenti stricto sensu il contratto (art. 1321 del c.c.)  e si attesta come responsabilità da obbligo precostituito, qualsivoglia sia la sua fonte.

 

La sostanziale assimilazione del diritto amministrativo al diritto civile, glissata con un sostanziale "non liquet" dall'Adunanza Plenaria n. 2/2003[57], potrebbe riservare profondi cambiamenti in un futuro anche prossimo.

 

E chissà se sarà proprio l'affermazione della responsabilità contrattuale la nuova frontiera della tutela risarcitoria degli interessi legittimi e, dunque, la vera "quadratura del cerchio".

 

 

 

6.            Responsabilità della Pubblica Amministrazione: gli elementi della fattispecie

 

Alla luce di questo quadro storico, in relazione al quale la sent. 500 sembra aver innescato una brusca accelerata, ci si limita a brevi cenni concernenti gli elementi della fattispecie ed alcuni aspetti procedurali: si tratta, in realtà, di argomenti davvero rilevanti e spesso controversi, che meriterebbero ben altro rilievo e che sono oggetto, anch'essi, di orientamenti discordanti da parte della giurisprudenza. Si accennerà, pertanto, alle ricognizioni della pronuncia delle Sezioni Unite, con l'avvertenza, tuttavia, che la configurazione della responsabilità come "derivante da inadempimento di obbligo precostituito" sconvolgerebbe tali assunti.

 

Per quanto concerne la condotta della Pubblica Amministrazione, essa perde la rilevanza che le era stata attribuita prima della sent. 500/1999, allorché era su di essa che si stagliava la nozione di ingiustizia e allorché la sua integrazione sussumeva ipso facto anche l'elemento soggettivo. In particolare, il contegno della Pubblica Amministrazione deve consistere in un atto o in una condotta procedimentale - regime differente, invece, è previsto per i comportamenti materiali - realizzati "non jure" e configuranti, dunque, le ipotesi tipiche di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere. La sent. 157/2003, nel chiarire la svolta della sent. 500, collega l'attribuzione dell'illiceità al danno - anziché alla condotta - con l'attuazione del principio solidaristico presente all'art. 2 della Cost: la Cassazione afferma apertis verbis che tale svolta consiste nella transizione da un sistema commutativo, fondato sul colpevole, ad uno "distributivo", volto a distribuire equamente i pregiudizi derivanti dall'attività indebita. 

       Deve trattarsi, insomma, di contegni antigiuridici, come tali posti in essere in assenza di una causa di giustificazione. Proprio la condotta della Pubblica Amministrazione, infatti, influisce sull'individuazione della situazione giuridica soggettiva del cittadino con cui interloquisce: in particolare, esiste uno storico braccio di ferro tra la Corte di Cassazione - che configura come atto nullo quello non solo emanato in assenza di titolarità in astratto, ma anche talune fattispecie di carenza in concreto del potere - ed il Consiglio di Stato, che tende ad allargare l'area dell'annullabilità e a ridurre quella della nullità. Particolare rilievo, in particolare, rivestono i temi delle condotte preprocedimentali  e del rapporto intercorrente tra il profilo della condotta e quello dell'elemento soggettivo, essendo questo riferito all'apparato amministrativo e non al singolo funzionario. Non va trascurato, infine, il maggior rilievo che assumerebbe la violazione del canone di buona fede qualora prevalesse l'orientamento favorevole a considerare la responsabilità latamente contrattuale.

 

Per quanto riguarda il danno, deve trattarsi della lesione ad un bene della vita giuridicamente tutelato, salvo domandarsi se bene della vita possa essere anche la correttezza procedimentale: l'illegittimità - che consiste nella considerazione per cui l'ordinamento non può tollerare che gli effetti negativi del vulnus restino a carico della vittima[58] - costituisce solo un elemento dell'illiceità, necessaria per ottenere il risarcimento, perché ad essa deve affiancarsi l'elemento soggettivo. Emerge, a tale riguardo, la differenza tra interesse legittimo oppositivo - il cui titolare aspira alla conservazione dello status quo ante, e dunque è statico, di difesa - e l'interesse legittimo pretensivo - il cui titolare aspira, viceversa, all'ampliamento della propria sfera giuridica[59] - come summa divisio che attraversa trasversalmente buona parte dell'universo degli interessi legittimi.

        Classici esempi sono, da una parte, l'interesse alla conservazione di un suolo suscettibile di essere espropriato e, dall'altra, l'aspirazione all'assunzione in esito ad un concorso pubblico. Le sentenze 500  e 157 sostengono la risarcibilità generalizzata dei primi, mentre una parte della dottrina distingue la loro lesione per violazione di norme sostanziali da quella avvenuta esclusivamente per vizi formali, riconoscendo a quest'ultima esclusivamente la tutela caducatoria e non quella risarcitoria, e s'interroga sulla portata della tutela degli interessi difensivi di cui sono titolari terzi non destinatari degli atti[60]. Per la risarcibilità degli interessi legittimi pretensivi, viceversa, è necessario un giudizio prognostico da parte del giudice circa la consistenza dell'aspettativa del cittadino. Si è evidenziata, tuttavia, la cautela utilizzata da parte della giurisprudenza nel risarcire la lesione di interessi pretensivi e la circostanza per cui la Cassazione - proprio per l'assunto della generalizzata tutela risarcitoria di quelli oppositivi - tende a configurare la nozione di interessi oppositivi derivati. Infine, resta aperta la questione degli interessi legittimi procedimentali come species autonoma.

 

       Per quanto concerne il nesso di causalità, ancora, si tratta della valutazione circa il rapporto intercorrente tra la condotta della Pubblica Amministrazione e l'evento, costituito dal danno subito dal cittadino.  Vengono in gioco, a tale riguardo, le diverse teorie: a titolo esemplificativo si ricordano quella condizionalistica, per cui ogni "condicio sine qua non" è causa sufficiente, con tutte le sue numerose varianti, e quella della causalità adeguata, secondo la quale esiste causalità allorquando è probabile che l'azione abbia prodotto l'evento. Il problema si pone soprattutto per valutare l'intensità dell'interesse pretensivo: il giudizio fondato su una prognosi postuma consiste nel meccanismo per cui il giudice, ex post, valuta, secondo un criterio di normalità, se l'aspettativa giuridicamente rilevante sarebbe stata soddisfatta ovvero avrebbe avuto chance qualora la Pubblica Amministratore avesse assunto un comportamento legittimo[61].

    Ciò che è senz'altro possibile in presenza di un'attività vincolata, ma che deve ritenersi plausibile anche in relazione all'attività discrezionale[62] e, con l'introduzione della consulenza tecnica, in diversa misura perfino in relazione all'attività discrezionale concernente scienze esatte ovvero inesatte. Particolare rilievo assume, infine, la ricostruzione del nesso di causalità in relazione agli interessi procedimentali o partecipativi di chi ha titolo solo e soltanto in funzione ausiliare: secondo Caringella, la tutela risarcitoria sussiste solo nel caso in cui sia presente una correlazione con il bene della vita sostanziale.

 

        La sent. 500 - per bilanciare l'estensione dell'ambito della tutela aquiliana - ha stabilito che la colpa della Pubblica Amministrazione non può più ritenersi sussistere ipso facto allorquando ci si trovi in presenza di un danno ingiusto. L'individuazione della colpa, tuttavia, non va parametrata al funzionario che agisce nell'ambito di un rapporto di amministrazione organica, bensì - mediante una formula che sembra operare una commistione di profili - si estrinseca nei limiti esterni che demarcano i confini della discrezionalità dell'apparato. Per quanto concerne il dolo, invece, deve essere individuato nella sfera soggettiva dell'amministratore o del funzionario, ma si ritiene che la responsabilità vada estesa solidalmente all'Ente di cui l'agente si è servito[63]. Particolare rilievo può assumere, infine, il concorso di colpa del danneggiato: a tale riguardo importante è la sent. 17152/2002 della III Sezione della Cassazione, che stabilisce la compatibilità tra la responsabilità della Pubblica Amministrazione - in relazione, tuttavia, ai comportamenti materiali - e, appunto, il concorso di colpa del soggetto leso[64]. E tuttavia, anche il profilo soggettivo verrebbe intaccato dalla configurazione della posizione della Pubblica Amministrazione come responsabilità ex art. 1218.

 

    Particolari problemi concernono, ancora, la liquidazione del quantum da risarcire, in relazione alla quale la dottrina e la giurisprudenza hanno adottato anche criteri forfettari, standard valutativi e misure sintomatiche funzionali ad individuare il danno emergente e, soprattutto, il lucro cessante[65]. Proprio per ovviare alla difficile liquidazione, l'art. 35 del d. lgs. 80/1998 - come novellato dalla l. 205/2000, inspiegabilmente solo per le materie di giurisdizione esclusiva - prevede un meccanismo particolare qualora il giudice, totalmente o parzialmente, non riesca ad individuare un quantum preciso: il giudice, in tal caso, indica i criteri cui debbono attenersi le parti, che possono addivenire ad un accordo; qualora, infine, neanche le parti riescano a transigere, è previsto un giudizio di ottemperanza sui generis.  Problemi di costituzionalità, infine, pone la determinazione a forfait prevista legislativamente dall'art. 17 della l. 59/1997 in relazione al danno che deriva dal ritardo, per tradizione difficile da quantificare.

 

    Un accenno, infine, merita l'onere della prova. Tale onere, infatti, grava sul cittadino in relazione sia all'elemento soggettivo della Pubblica Amministrazione, sia alla presenza del danno - in particolare all'interesse pretensivo -, sia alla sua quantificazione. Non mancano gli autori che - evidenziando la gravosità di tale distribuzione dell'onere - assegnano alla Pubblica Amministrazione, almeno in relazione all'elemento soggettivo, l'onere della prova della sua assenza, partendo dal presupposto che tale assenza potrebbe coincidere con la presenza della scusabilità dell'errore[66]. Soluzione fondata su un'ermeneusi ardita, ma che cerca di ovviare all'effetto provocato dalla sent. 500: da un regime di sostanziale presumptio juris et de jure della colpa, infatti, si è passati ad un regime di presumptio juris tantum della sua assenza. L'affermazione di un orientamento che riconduca almeno una parte della responsabilità della Pubblica Amministrazione nell'alveo della responsabilità da inadempimento precostituito, tra gli altri effetti maggiormente rilevanti a favore del cittadino, avrebbe proprio quello di "scaricare" l'onere della prova sul soggetto danneggiante.

 

 

 

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[1] Così  C. VOLPE, Attività amministrativa, illegittimo esercizio del potere e responsabilità della pubblica amministrazione per lesione degli interessi legittimi, www.lexitalia.it, il quale evidenzia che "in breve tempo, a partire dal d. lgs. n. 80/1998 e dalla sentenza n. 500/1999, si sono fatti passi da gigante".

 

[2] Così C. VOLPE, Profili di effettività nella disciplina processuale del risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, www.giurisprudenza-amministrativa.it.

 

[3] Sull'impatto della giurisprudenza comunitaria nell'affermazione della risarcibilità degli interessi legittimi, G. P. CIRILLO, Il danno da illegittimità dell'azione amministrativa e il giudizio risarcitorio, presentazione in www.giustizia-amministrativa.it. Sui diversi orientamenti giurisprudenziali concernenti la responsabilità della Pubblica Amministrazione per violazione di obblighi comunitari, anche P. M. PUTTI, in Casi e questioni di diritto privato, IX, pp. 297 e ss. collana ad opera di M. BESSONE. Ultimamente la terza sezione della Cassazione, nella sent. 7360/2003 - in Danno e Resp, 2003, p. 836 - ha stabilito i criteri per la risarcibilità: la previsione di diritti ai singoli da parte della direttiva; tali diritti debbono poter essere individuati dalle disposizioni della direttiva; deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo da parte dello Stato e il pregiudizio del danneggiato.

 

[4] Si trattava dei soggetti lesi dalla violazione di norme di promanazione comunitaria nei settori degli appalti pubblici di lavoro e di fornitura.

 

[5] Così, ad esempio, S. RODOTA' in un famoso convegno tenutosi nel lontano 1965 a Milano; E. CASETTA - voce Responsabilità della Pubblica Amministrazione, in Digesto IV ed. - già riteneva che oggetto del danno ingiusto deve essere non già il diritto soggettivo, ma un bene della vita tutelato dall'ordinamento. Non sono mancati Autori, sebbene minoritari, che hanno suggerito la soppressione della distinzione, tipica della tradizione italiana, tra diritto soggettivo ed interesse legittimo.

 

[6] La sent. 500 fa riferimento alla legge 109/1994 sugli appalti pubblici e al decreto legge 101/1993 in relazione ai ritardi nelle concessioni edilizie: entrambe le iniziative legislative naufragarono.

 

[7] Si tratta della proposta di legge n. 702 della XII legislatura. Il secondo comma avrebbe esplicitamente affermato - con formula che sarebbe andata addirittura oltre alla sent. 500 - che è ingiusto anche il danno derivante dalla lesione degli interessi legittimi.

 

[8] Gli artt. 33, 34, 35 del d. lgs. 80/1998, infatti, avevano assegnato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie concernenti appalti, forniture, servizi pubblici, credito, vigilanza su assicurazioni e mercato mobiliare, servizi farmaceutici, trasporti, telecomunicazioni, urbanistica ed espropri.

 

[9] La sent. 500 ricorda anche le figure del danno per perdita di chance e della legittima aspettativa patrimoniale nei rapporti matrimoniali ovvero nelle coppie di fatto.

 

[10] Così F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2001, par. 92.2, che parla, in relazione sia ai cd. diritti originari, sia in relazione ai cd. diritti derivati, di "diritti risolutivamente condizionati". 

 

[11] La sent. è commentata in F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2001, par. 92.4.

 

[12] Così A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 1998, p. 1174.

 

[13] V. CARBONE, Risarcimento di interessi legittimi: la Corte Costituzionale "si astiene", il legislatore apre nuovi orizzonti, in Corr. Giur. , 1998, p.651. La Corte ritenne, nell'occasione, inammissibile la questione di costituzionalità dell'art. 2043 c.c. Tale disposizione era stata tacciata di illegittimità costituzionale in relazione agli artt. 3, 24 e 113 della Cost. proprio perché non consentiva il risarcimento degli interessi legittimi. E' curioso notare che la questione fu ritenuta inammissibile proprio per l'assenza di quel previo annullamento giurisprudenziale che la sent. 500 ha poi caducato e che l'Adunanza Plenaria 4/2003 ha in qualche modo riproposto.

 

[14] La vicenda concerneva il mancato inserimento di una proprietà, oggetto di una convenzione di lottizzazione con il Comune di Fiesole, tra le aree edificabili di un Piano Regolatore Generale, poi annullato per assenza di motivazione. Il Consiglio di Stato ha ritenuto di risarcire il danno subìto dal cittadino prima che una successiva variante al PRG escludesse definitivamente l'area dalle zone edificabili: nella vigenza del PRG poi annullato, infatti, era stata esclusa la lottizzazione. Si tratta di un interesse legittimo pretensivo  - o meglio, valorizzando la convenzione, di un interesse legittimo oppositivo acquisito - leso da un vizio formale, la carenza di motivazione.  Tale vizio acquista rilievo ai fini della risarcibilità non solo per l'importanza strategica che assume  la partecipazione rispetto ai principi del contraddittorio e del diritto di difesa, ma anche perché il vizio formale è direttamente correlato al mancato riconoscimento del bene della vita.

 

[15] In tal senso la sent. 500, la quale afferma in realtà che l'art. 2043 non è norma secondaria - sanzionatoria di un divieto posto aliunde -, ma è essa stessa norma primaria, di divieto.

 

[16] Neanche tanto, se è vero che la Cassazione prospetta la tutela di interessi giuridici altri dagli interessi legittimi, purché diversi dalle mere aspettative di fatto.

 

[17] E' la tradizionale definizione di M. NIGRO, secondo cui l'interesse legittimo è una posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di provvedimento amministrativo: situazione giuridica cui sono attribuiti poteri anche per incidere sul corretto esercizio del potere.

 

[18] Così G. P. CIRILLO, Il danno da illegittimità dell'azione amministrativa e il giudizio risarcitorio, cit, che ritiene l'interesse legittimo un coacervo di attribuzioni che si aggiungono alla posizione giuridica di cui il soggetto è già titolare, posizione giuridica che può consistere anche in un diritto soggettivo.

 

[19] Per decenni, fino al già ricordato revirement del 1989, la giurisprudenza aveva, invece, valorizzato l'interesse legittimo, configurando così il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario. Va ricordato, tuttavia, che fino alla svolta della sent. 500 l'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario comportava ugualmente, per l'interpretazione prevalente dell'art. 2043 c.c., la reiezione nel merito.

 

[20] Ne consegue: da una parte, l'individuazione del giudice ordinario, in virtù del criterio della causa petendi, come giudice deputato a conoscere i risarcimenti dei danni per attività illegittima della Pubblica Amministrazione; dall'altra, la soppressa doverosità della pregiudiziale amministrativa per la tutela degli interessi oppositivi, non essendo più obbligatorio provvedere alla riemersione del diritto mediante l'annullamento ex tunc dell'atto amministrativo.

 

[21] L'orientamento è stato confermato, poi, dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 2000.

 

[22] Su questo e su altre critiche alla bipartizione sancita dalla sent. 500, abbondantemente, A. CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, cit, p. 673.

 

[23] Così A. BARCA, La risarcibilità del danno per la lesione di interessi legittimi: orientamenti dottrinali e revirement delle Sezioni Unite, in Nuova Giur. Civ.Comm., 2000, pp. 434 e ss.

 

[24] La considerazione è di C. VOLPE, Profili di effettività nella disciplina processuale del risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, cit.

 

[25] C. VOLPE, Profili di effettività nella disciplina processuale del risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi,cit, evidenzia come la reintegrazione in forma specifica rappresenti una modalità per risarcire utilizzabile più agevolmente per gli interessi oppositivi e come essa non debba essere confusa con l'azione d'adempimento e con l'esecuzione in forma specifica. VOLPE critica l'impostazione dottrinaria secondo cui tale reintegrazione è in re ipsa nella domanda di annullamento dell'atto, ritenendo, invece, che si tratti della stessa tutela apprestata dall'art. 2058 c.c. Nel medesimo senso, la sent. 338/2002 della sezione VI del Consiglio di Stato.

 

[26] Si discute, a tale proposito, sull'eventualità che il cittadino proponga ricorso straordinario al Capo dello Stato per ottenere l'annullamento del provvedimento illegittimo ed ottenga la tutela ablatoria. La dottrina, infatti, si chiede se sia immaginabile un successivo ricorso al giudice amministrativo per ottenere il risarcimento ovvero la reintegrazione.

 

[27] F. CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, 2003, pp. 535 e ss.

 

[28] La questione, in relazione all'art. 103 della Cost., è stata sollevata dal Tribunale di Roma il 16 novembre 2001.

 

[29] L'interpretazione è criticata da F. CARINGELLA, Corso di diritto processuale amministrativo, cit, p. 678. L'Autore conclude nel senso che anche una corretta interpretazione letterale escluderebbe la persistenza del riparto di giurisdizione. Persistenza che, in ogni caso, sarebbe manifestamente contraria alla ratio legis, volta ad attribuire giurisdizione piena al giudice amministrativo in relazione alle tutele da apprestare ai cittadini nei confronti delle questione a lui devolute.

 

[30] Così F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2001,  par. 100.

 

[31] La vicenda concerneva un atto di espropriazione compiuto, secondo le asserzioni degli attori, in carenza di potere, in virtù del fatto che l'atto dell'assessorato regionale era manchevole dei termini, iniziale e finale, sia dell'esproprio e sia dei lavori. Tali termini, invece, erano previsti nel provvedimento comunale, secondo gli autori viziato d'incompetenza. I cittadini, tuttavia, avevano omesso di impugnare l'atto ablativo e avevano realizzato domanda per ottenere il risarcimento dei danni nei termini prescrizionali.

 

[32] Si discute, inoltre, se è proponibile la richiesta di risarcimento nell'ambito del giudizio di ottemperanza, a condizione che sia avvenuto il previo annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo e che sia rispettato il termine prescrizionale quinquennale. La risposta della dottrina è, generalmente, positiva.

 

[33] Si tratta della prospettazione prevista dagli attori, i quali in subordine avevano invocato la questione di costituzionalità in virtù del fatto che, prima della l. 205, era possibile ricorrere al giudice ordinario ottenendo il risarcimento pur in assenza di pregiudiziale amministrativa. Secondo gli attori, infatti, una modificazione della competenza giurisdizionale, che dovrebbe lasciare inalterati i termini della questione, ha invece comportato un vulnus al diritto di difesa e un'irragionevole disparità di trattamento rispetto a chi ha beneficiato del sistema previgente.

 

[34] Il riferimento è alle sentt. della sezione VI numero 3338/2002 e 252/2002 e della sezione IV numero 952/2002 e 4573/2001, nonché all'ultima sent. num. 426/2003. La stessa Adunanza Plenaria, nella pronuncia 1/2003, aveva palesato il suo orientamento, favorevole alla necessità della pregiudiziale amministrativa.

 

[35] Così M. TORSELLO, M. A. RUSSO, R. MUSTATA', V. PISANO', G. BACOSSI e V. ANGLADE, Per l'Adunanza, ormai è chiaro, il g.a. non risarcisce disapplicando, ma demolisce risarcendo, in Commento all'Adunanza Plenaria, www.giustizia-amministrativa.it.

 

[36] Il profilo è trattato da A. BARCA, La risarcibilità del danno per la lesione di interessi legittimi: orientamenti dottrinali e revirement delle Sezioni Unite, cit, p. 433, che evidenzia come "l'idea che una p.a. stipuli un contratto di assicurazione al fine di spostare su un altro soggetto il peso dei propri eventuali e futuri  errori mal si attaglia alla natura pubblica e all'idea che sia il cittadino a dover sopportare i costi assicurativi".

 

[37] Particolarmente critico nei confronti di tale pronuncia, considerata un 'involuzione, è C. VOLPE, Profili di effettività nella disciplina processuale del risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi. Favorevole all'orientamento di Palazzo Spada, invece, è R. MARCINNO', La domanda di annullamento dell'atto amministrativo è presupposto dell'ammissibilità dell'azione di risarcimento danni", in www.diritto.it. Per l'Autrice sarebbe assurdo condannare la Pubblica Amministrazione a risarcire i danni provocati da un atto ormai inoppugnabile.

 

[38] Sentenza che evidenzia la diversa natura della domanda di annullamento - volta a ripristinare la legalità nell'interesse generale - e della domanda volta ad ottenere il risarcimento, funzionale a riparare i danni patiti dal singolo cittadino.

 

[39] La proposta è formulata da  M. TORSELLO, M. A. RUSSO, R. MUSTATA', V. PISANO', G. BACOSSI e V. ANGLADE, Per l'Adunanza, ormai è chiaro, il g.a. non risarcisce disapplicando, ma demolisce risarcendo, in Commento all'Adunanza Plenaria.

 

[40] Un'analoga pronuncia di giurisprudenza pretoria era avvenuta in Germania per le crisi bancarie Wetterstein e Herstatt, ma in quel caso il legislatore intervenne sancendo il principio per cui la vigilanza sul sistema finanziario era funzionale direttamente al perseguimento di un interesse pubblico e, solo indirettamente, alla tutela dei singoli investitori. La vicenda italiana concerne le falsità risultanti ex actis nella comunicazione e nel prospetto informativo di una sollecitazione ad una pubblica sottoscrizione. Quantunque il quadro normativo fosse differente, essendo una vicenda risalente al lontano 1983, la migliore dottrina - ad esempio E. CRISTIANI e F. DIMUNDO, nota a sentenza in Danno e responsabilità, 2001, p. 159, e G. VISENTINI e A. BERNARDO, La responsabilità della CONSOB per negligenza nell'esercizio dell'attività di vigilanza, in www.luiss.it - ritiene che il principio da essa affermata sia a fortiori applicabile dopo l'entrata in vigore del TUF.

 

[41] Aperture erano già presenti, per l'omessa vigilanza, nelle sentt. della Cassazione 6667/1992, 9539/1995 e 1030/1996.

 

[42] I temi sono affrontati da M. CLARICH, La responsabilità della Consob nell'esercizio delle funzioni di vigilanza: due passi oltre la sentenza della Cassazione n. 500/1999, in Danno e responsabilità, num. 2/2002.

 

[43] Lo evidenzia R. CONTI, Commento alla sent. 157/2003, in Danno e Resp, 2003, p. 484, il quale rimarca che tale pronuncia "sembra volere andare volutamente allo scontro non tanto con il giudice amministrativo quanto col sistema di tutele che lo stesso pare prediligere", il cui baricentro sarebbe collocato in prossimità delle esigenze della Pubblica Amministrazione. Ancora: "L'apertura della Cassazione a forme di responsabilità civile della Pubblica Amministrazione sganciate dall'illecito aquiliano sembra voler demarcare lo iato con il modo di sentire il tema della responsabilità da parte del giudice amministrativo". CONTI arriva a interrogarsi circa l'opportunità della devoluzione della competenza giurisdizionale al giudice amministrativo, circa la sua indipendenza e - attesa la privatizzazione dell'attività amministrative - circa la possibilità di unificazione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

 

[44] La Cassazione evidenzia come, negando la risarcibilità dell'interesse da perdita di chance, la giurisprudenza abbia di fatto correlato la tutela ex art. 2043 dell'interesse legittimo pretensivo solo ai casi in cui l'attività della Pubblica Amministrazione è vincolata. Ciò costituisce un'aporia per la sentenza, che ricorda come la presenza di attività vincolata interloquisce con diritti soggettivi: il risultato conseguito dai giudici ordinari e amministrativi, insomma, è la non risarcibilità degli interessi legittimi ampliativi.

 

[45] La Cassazione, infatti, ribatte ai rilievi mossi da chi nega l'opportunità di una iperprotezione dell'interesse legittimo oppositivo, fondata sul cumulo dell'annullamento dell'atto con il risarcimento. La pronuncia in esame, infatti, chiarisce che la tutela demolitoria è volta a ripristinare l'interesse pubblico, mentre quella risarcitoria è funzionale a tutelare il privato in ogni occasione in cui l'interesse oppositivo risulti ingiustamente leso. Per P. SIRCAUSANO, La nuova (e "vera") svolta della Cassazione sulla cd.risarcibilità dell'interesse legittimo: i doveri di comportamento della pubblica amministrazione verso la logica garantistica del rapporto.  in Foro Amm., 2003, p. 493, tale statuizione comporta di per sé la possibilità di chiedere il risarcimento nel termine prescrizionale a prescindere dall'impugnativa finalizzata all'annullamento nei termini decadenziali. Non solo: "resta.da valutare la sopravvivenza del riparto di giurisdizione", perché per SIRACUSANO - se si tratta di responsabilità paracontrattuale - "non vi è motivo alcuno per escludere, in via di principio, la giurisdizione (anche) del giudice ordinario".

 

[46] L'esempio più eclatante è all'art. 11, laddove si estendono i principi privatistici di obbligazioni e contratti agli accordi partecipativi.

 

[47] Le previsioni della l. 241, secondo la Cassazione, istituiscono specifici doveri di comportamento nell'ambito di rapporti singoli e differenziati.

 

[48] La Cassazione sostiene che - alla luce dei principi di efficienza, economicità e partecipazione del privato - la responsabilità contrattuale risulta essere la soluzione più coerente. Viceversa, "il modello della responsabilità aquiliana  appare il più congeniale al principio di autorità".

 

[49] Saluta tale pronuncia come foriera di un possibile orientamento maggiormente attento al cittadino P. SIRCAUSANO, La nuova (e "vera") svolta della Cassazione sulla cd.risarcibilità dell'interesse legittimo: i doveri di comportamento della pubblica amministrazione verso la logica garantistica del rapporto.  in Foro Amm.

 

[50] In un passaggio considera "lettura estrema" quella che configura le situazioni in esame come "diritti soggettivi, tutelati in quanto tali, e non situazioni strumentali alla soddisfazione di un interesse materiale che verrebbe quindi protetto sub specie di interesse legittimo". Tuttavia, la Cassazione mostra di aderire alla soluzione estrema in più occasioni, ad esempio quando considera che "il fenomeno, tradizionalmente noto come lesione dell'interesse legittimo, costituisce in realtà inadempimento alle regole di svolgimento dell'azione amministrativa. Ed integra una responsabilità che è molto più vicina alla responsabilità contrattuale". La Suprema Corte sembra perorare questa causa, tanto da suggerire "l'inquadramento degli obblighi procedimentali nello schema contrattuale, come vere e proprie prestazioni da adempiere secondo il principio di correttezza e buona fede".

 

[51] A. CORUBOLO, La risarcibilità degli interessi legittimi: evoluzione e brevi spunti critici anche alla luce di Cass. Sez. I n. 157 del 10 gennaio 2003, in Diritto & Diritti, rivista giuridica on line. L'Autrice evidenzia come "la nuova concezione della attività amministrativa" - fondata sempre più spesso su istituti di diritto privato, con particolare riferimento all'art. 11 della l. 241/1990 - "non può non avere riflessi sull'impostazione del problema della responsabilità della pubblica amministrazione". 

 

[52] Come ricorda V. GERGHI, La responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi ha natura contrattuale?, www.provincia.grosseto.it,  tali diritti assurgerebbero a situazioni giuridiche soggettive autonome, non strumentali ad un interesse legittimo e non correlate ad un bene della vita. L'Autore contesta tale impostazione e rimarca come la configurazione della responsabilità come contrattuale potrebbe pregiudicare il principio della responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti: tale costruzione, infatti, potrebbe far considerare responsabile, e direttamente, solo la Pubblica Amministrazione, e non chi è con essa in rapporto d'immedesimazione organica. Anche per E. CASETTA, Compendio di diritto amministrativo, Milano, 2003, p. 340, la responsabilità contrattuale è imputabile solo alla Pubblica Amministrazione, in quanto funzionari e dipendenti - essendo obbligati  verso lo Stato o l'Ente e non verso terzi - incorrerebbero solo in responsabilità patrimoniale verso l'istituzione che rappresentano. 

 

[53] Il Consiglio di Stato tende a negare la risarcibilità degli interessi pretensivi in corrispondenza di attività discrezionale. Per una conferma recente, sent. 1945/2003 della sesta sezione - in Foro Amm. CDS, 2003, p. 1392 - secondo cui "in ipotesi connotate dalla persistenza in capo all'amministrazione di significativi spazi di discrezionalità" la risarcibilità è ammessa solo dopo che, caducato l'atto, la Pubblica Amministrazione lo abbia emendato ed "abbia riconosciuto all'istante il bene della vita": anche in questo caso, poi, "il danno risarcibile non potrà che ridursi al solo pregiudizio determinato dal ritardo nel conseguimento del bene anelato".

 

[54] La Cassazione supporta tale valutazione elencando leggi e sentenze che attribuiscono alla convenzione di lottizzazione il ruolo di qualità della proprietà privata rilevante anche in termini giuridici. Nega invece che tale convenzione attribuisca un diritto soggettivo, come tale non sacrificabile neanche da un'attività legittima dell'Ente locale.

 

[55] La sent. 4239/2001 del Consiglio di Stato aveva definito responsabilità contrattuale derivante da un contatto sociale qualificato quella inerente ad un interesse legittimo pretensivo vulnerato nell'ambito di un procedimento amministrativo. In particolare tale pronuncia, parlando "di contatto giuridico" con il cittadino per indicare un procedimento da cui scaturiscono obblighi per la Pubblica Amministrazione, stabilisce che "la violazione di obblighi da contatto sociale qualificato fa sorgere il diritto al risarcimento del danno nei confronti della P.A che ha adottato i provvedimenti illegittimi dannosi, sulla base di una responsabilità non riconducibile al modello aquiliano (art. 2043 c.c.), ma ad una responsabilità da inadempimento assimilabile a quella contrattuale (art. 1218 c.c.)"

 

[56] V. CARBONE, Il giudice amministrativo adotta la responsabilità da "contatto procedimentale", in Danno e Resp.,2002, p. 198, parla di "dirompente decisione" e spiega che "una volta avviato il procedimento amministrativo, su iniziativa di parte, si costituisce un rapporto giuridico nuovo, a struttura complessa, sostanzialmente assimilabile.a quello obbligatorio di diritto comune, ma anche alle situazioni tipiche delle trattative precontrattuali". L'Autore evidenzia come tale valorizzazione del procedimento, da una parte, attesti l'avvicinamento tra diritto comune e diritto amministrativo e, dall'altra, utilizzi la formula "contatto sociale qualificato", elaborata dalla giurisprudenza ordinaria in passato per tutelare i soggetti deboli in rapporto alla responsabilità del professionista.

 

[57] Quale responsabilità per la p.a.? L'Adunanza, "tentata", (al momento) non risponde, commento presente sul sito www.giustizia-amministrativa.it., laddove tuttavia si evidenzia "un appropinquarsi progressivo dell'Adunanza" verso la prospettiva della responsabilità latamente contrattuale. In particolare si sostiene che numerose sono le "questioni.che sospingono nel senso di far ritenere "contrattuale".la responsabilità pubblica.nei confronti del privato cittadino, giungendo financo con l'additare come sostanzialmente evanescente.lo stesso inveterato discrimen tra diritto soggettivo ed interesse legittimo". 

 

[58] Il giudice, insomma, deve giudicare la legittimità della relativizzazione degli interessi compiuti dalla Pubblica Amministrazione e valutare, "alla stregua del diritto positivo", la legittima prevalenza dell'interesse pubblico.

 

[59] L'interesse legittimo pretensivo è leso dall'illegittimo diniego dello sviluppo della sfera giuridica o dall'illegittimo ritardo.

 

[60] Per F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2001, par. 104. 4, l'interesse legittimo oppositivo dei soggetti terzi è ammesso a risarcimento dalla sent. 500, in quanto in precedenza per esso non si poteva ricorrere all'artificio del diritto affievolito.

 

[61] BUSNELLI, Lesione di interessi legittimi: dal muro di sbarramento alla rete di contenimento, in Corr. Giur., 1997, p. 269, sosteneva già, prima della sent. 500, la necessità di correlare la risarcibilità ad un interesse oggettivamente valutabile.

 

[62] F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2001, par. 104. 5, afferma che in relazione alla risarcibilità degli interessi legittimi per esercizio illegittimo della discrezionalità era, in precedenza, prevalente la tesi che negava che il giudice potesse sostituirsi nella valutazione alla Pubblica Amministrazione. In particolare, si riteneva che il giudice potesse apprestare la misura risarcitoria solo dopo la mancata ottemperanza alla sentenza di annullamento dell'atto: ciò che, tuttavia, aveva trasformato già l'attività della Pubblica Amministrazione da discrezionale a vincolata.

 

[63] Rilievo assumono, a tale proposito, le diverse interpretazioni dell'art. 28 della Cost. Se risulta evidente - come afferma A. BARCA, La risarcibilità del danno per la lesione di interessi legittimi: orientamenti dottrinali e revirement delle Sezioni Unite, cit, p. 433 - che "qualora si volesse far rispondere il funzionario, in via di regresso, per i danni causati dall'attività discrezionale della p. a., si potrebbe arrivare ad un vero e proprio blocco dell'attività discrezionale della p.a.", è vero anche che molti dubbi sorgono in relazione al dolo del funzionario. E' comunque esclusa la responsabilità solidale della Pubblica Amministrazione nei confronti del comportamento materiale, se doloso, del suo funzionario, come può accadere per un danno arrecato alla guida di una vettura.

 

[64] La sent. 17152 riguarda il danno provocato da insidia stradale, in cui "il comportamento colposo del soggetto danneggiato non sia stato tale da interrompere il nesso di causalità tra il fatto del terzo e l'evento dannoso, ma abbia solo concorso nella produzione dell'evento". La Cassazione si pone in contrapposizione alla sent. 156/1999 della Corte Costituzionale, che prefigurava il principio di autoreferenzialità e l'aut aut tra responsabilità extracontrattuale della Pubblica Amministrazione e colpa del danneggiato. Con ragionamento estensibile anche alla responsabilità da attività procedimentale, il giudice di legittimità sostiene che, "senza entrare nella questione dell'esistenza nel nostro ordinamento del.principio di autoresponsabilià" dei soggetti potenzialmente danneggiati,  l'art. 1227 stabilisce solo il principio per cui "al danneggiante non può far carico quella parte di danno che a lui non è casualmente imputabile". La conseguenza è che "ben può concorrere nella produzione del danno all'utente stradale sia il fatto colposo della P.A..sia il fatto colposo del leso, che abbia avuto carattere efficiente dell'evento dannoso, determinando - in buona sostanza - un concorso di cause". Tale prospettazione - come ricorda M. MALAVASI, Danno e Resp, 2003, p. 502 - è compatibile sia con la teoria della condicio sine qua non e sia con la teoria della causalità adeguata. Non lo è sempre, invece, con la teoria della causalità efficiente: infatti, "si potrebbe configurare l'ipotesi in cui la condotta della vittima non sia tale da interrompere il nesso eziologico tra il fatto del terzo e l'evento lesivo, ma abbia solo concorso alla produzione dell'evento". 

 

[65] La soluzione è incoraggiata da V. CARBONE, Il commento, in Danno e resp., 1999, pp. 965 e ss.

 

[66] F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, par. 105.5, sostiene che la condotta negligente, imperita o imprudente della Pubblica Amministrazione corrisponde ad un'attività illegittima compiuta in assenza di errore scusabile. Spetterebbe alla Pubblica Amministrazione, allora, provare l'errore ascrivile all'incertezza obiettiva sull'interpretazione del quadro normativo, in maniera non dissimile dai problemi di speciale difficoltà previsti dall'art. 2236 del c.c. in capo ai professionisti.