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Offerta fuori sede di strumenti finanziari e servizi di investimento.

La disciplina dello ius poenitendi.

 MARCELLO BASSANI

 

L’offerta fuori sede di strumenti finanziari non costituisce propriamente una novità introdotta nell’ordinamento italiano dal D.Lgs. n. 58/’98 (c.d. Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – di seguito T.U.F.). Infatti, essa costituisce una sorta di “ridenominazione” dell’istituto introdotto con la l. 77/’83, e che andava sotto il nome di “vendita porta a porta di valori mobiliari”. Vero è che, nel corso degli anni, ed in particolare con l’adozione del c.d. Decreto Eurosim (D.Lgs 415 del 23 luglio 1996) prima, e col T.U.F. poi, l’istituto si è venuto caratterizzando ed arricchendo di elementi nuovi .


Innanzitutto, nella sua attuale configurazione, esso viene considerato come una particolare modalità di esplicazione del servizio di collocamento di strumenti finanziari e servizi di investimento , la cui peculiarità è rappresentata dal potenziale “pericolo” per l’investitore, che viene colto “di sorpresa” dal promotore finanziario (figura di cui, ai sensi dell’art. 31 del T.U.F., è obbligato a servirsi qualsiasi intermediario che intenda offrire fuori sede strumenti finanziari e servizi di investimento); il quale “potenziale” investitore, proprio per questo motivo, è ritenuto meritevole di particolare attenzione e tutela.


Proprio l’esigenza di particolare tutela nei confronti degli ignari “potenziali” investitori, ha indotto il legislatore del Testo Unico ad introdurre, nell’ambito della disciplina dell’offerta fuori sede, il principio del c.d. “ius poenitendi”. Con tale espressione si suole indicare il diritto, riconosciuto all’investitore, di recedere, entro un termine stabilito, dal contratto concluso con l’intermediario, per mezzo del promotore finanziario. L’inclusione esplicita di tale diritto all’interno della norma dedicata all’offerta fuori sede risulta essere una novità rispetto alla normativa previgente, ivi incluso il decreto Eurosim (D. Lgs. n. 415/’96).


Per la verità anche quest’ultimo, come già a suo tempo la l. 1/’91, prevedevano tale diritto, il quale era però disciplinato in via generale, riguardando l’intero settore della sollecitazione al pubblico risparmio. Inoltre, la previsione di tale diritto pone anche problemi di natura civilistica, riguardanti il momento in cui il contratto avente ad oggetto strumenti finanziari offerti fuori sede (o mediante vendita porta a porta che dir si voglia) possa ritenersi concluso.


A livello normativo, lo ius poenitendi è oggi previsto dai commi 6, 7 e 8 dell’art. 30 T.U.F.


Pare potersi osservare , anzitutto, come tale diritto, pur essendo stato già oggetto di recepimento all’interno dell’ordinamento, anche se con uso di termini leggermente diversi, mediante le previsioni di cui all’art. 18 ter l. 216/’74, abbia ricevuto dalle richiamate norme del T.U.F. un’unificazione con l’aggiunta di importanti novità. L’unificazione della fattispecie è realizzata anzitutto con l’uso, sia per gli strumenti finanziari che per il servizio di gestione, dell’espressione “contratti conclusi fuori sede”, che elimina il riferimento ai contratti “stipulati mediante vendita a domicilio”, contenuto nel citato articolo 18 ter.


Tale riferimento aveva peraltro portato la dottrina a ritenere come sottoposti al diritto di recesso anche i contratti conclusi in sede, ma a seguito di attività sollecitatoria svolta fuori sede. La nuova terminologia utilizzata dal legislatore del ’98 sembra ora limitare il diritto di recesso ai soli contratti conclusi effettivamente fuori sede. Tale interpretazione è peraltro supportata dall’estensione del diritto di recesso anche ai contratti “collocati a distanza ai sensi dell’art. 32 T.U.F.”. Ciò sulla base del rinvio, contenuto nell’art. 32 medesimo, alle norme dettate dall’art. 30 in quanto compatibili. Inoltre, l’esclusione dell’ipotesi di promozione a distanza fa propendere per l’applicazione del diritto di recesso ad alcune soltanto delle operazioni riconducibili alle fattispecie di cui agli articoli 30 e 32 T.U.F., ed in particolare ai casi in cui i relativi contratti siano conclusi e non solo promossi nei luoghi ritenuti “pericolosi” dall’ordinamento.


Successivamente, un altro elemento dimostrante l’unificazione delle ipotesi di recesso è rappresentato dal comma7 dell’art. 30, che dispone la sanzione civilistica della nullità relativa per il caso di omessa menzione (da parte del promotore finanziario) della facoltà di recesso nei moduli o formulari sottoposti all’attenzione del cliente; nullità relativa peraltro eccepibile da parte del solo investitore.


In questo punto si scorge una novità rispetto al sistema previgente, in quanto l’art. 18 ter l. 216/’74 prevedeva una nullità assoluta imprescrittibile, nonché esercitabile da parte di qualsivoglia interessato, che poteva per ciò volgersi a danno dell’investitore che avesse preferito mantenere in vita il contratto.


Una seconda novità consiste poi nell’aver allungato da cinque a sette giorni il termine per l’esercizio del diritto ; tale allungamento risulta in linea con le disposizioni del D. Lgs. n. 50/’92, attuativo della direttiva 85/577/CE, riguardanti i contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali.


Ma v’ha di più. Un’ulteriore novità va ravvisata nella non applicabilità della sospensione alle OPVS di titoli quotati, prevista dal comma 8 dell’art. 30.E tale esclusione è stata estesa dalla Consob alle OPVS di titoli quotati, ma non ancora negoziati. “Ciò in quanto” – secondo l’Autorità di vigilanza – “la ratio che sottende l’espressa esclusione dell'applicazione dell’ipotesi di OPVS di titoli quotati è la stessa delle operazioni su titoli per i quali sia stata già deliberata l’ammissione a quotazione, ancorchè la negoziazione possa avvenire solo al termine dell’offerta, una volta assegnati i titoli.


Ciò risulta, inoltre, funzionale all’esigenza del mercato di effettuare tempestivamente le procedure per la negoziazione, al fine di ridurre al minimo il c.d. <grey market>, ovvero il periodo intercorrente fra la chiusura dell’offerta e l’inizio delle negoziazioni” medesime. Da parte di taluno, peraltro, si fa osservare che i casi di OPVS non siano gli unici in cui il diritto di recesso venga compresso: esso, infatti, soffrirebbe un’eccezione anche quando successive operazioni costituiscano “esecuzione” dell’originario contratto e non già ne implichino una “modificazione”.


Le nuove previsioni non sembrano però risolvere la lunga questione, risalente già alla legge n. 77/’83, circa il momento dell’effettiva conclusione del contratto, se coincidente con la sottoscrizione dell’investitore o rinviato al momento di avvenuta conoscenza da parte del proponente dell’avvenuta sottoscrizione. Dal momento però che la sottoscrizione rilevante per la decorrenza del termine è quella dell’investitore, sembrerebbe in prima battuta preferibile riportare la conclusione del contratto a tale sottoscrizione.


Su tale punto, si può peraltro osservare come il recesso possa anche essere interpretato come revoca della proposta, poiché in caso contrario il termine “sottoscrizione” dovrebbe essere sostituito con quello di “conclusione”.


In realtà, tale considerazione è stata ritenuta riduttiva, in quanto non terrebbe in debito conto il fatto che il contratto avente ad oggetto strumenti finanziari offerti fuori sede viene a formarsi in un modo completamente nuovo rispetto ai modelli tipizzati dal legislatore del 1942.Si deve osservare, infatti, che il contratto di investimento concluso a domicilio è il risultato della sollecitazione dell’investitore all’intervento finanziario. Quest’ultimo è, di solito, la conseguenza di una tecnica di contrattazione molto particolare, derivante dalla necessità di ogni impresa di investimento di creare un proprio “pacchetto clienti”. Non a caso ai promotori è affidato, fra l’altro, il compito di raccogliere gli ordini, in questo modo costruendo la formazione di “pacchetti clienti”.


E’ infatti noto che, da un lato, nessuna impresa di investimento è disponibile ad accettare di stipulare contratti di investimento alla cieca e, dall’altro, che i promotori finanziari hanno tutto l’interesse a che il “pacchetto clienti” sia il più ampio possibile, così da far lievitare i propri lucri. Pertanto, la tecnica che viene usualmente utilizzata in questi casi non è neanche quella dell’invito ad offrire, ma quella per cui la proposta debba ritenersi irrevocabile, contenuta in un modulo predisposto, che il risparmiatore, mediante la sottoscrizione, invia all’impresa di investimento, e con la quale si obbliga ad acquistare determinati valori mobiliari (oggi strumenti finanziari).


Fu tenendo presente questa ipotesi, cioè della proposta irrevocabile, che il legislatore, oltre a prevedere lo ius poenitendi, dichiarò nullo ogni patto che lo volesse escludere o modificare. A questo punto il quesito sulla forma del contratto avente ad oggetto valori mobiliari offerti porta a porta (rectius – strumenti finanziari offerti fuori sede) è il seguente: tale contratto è concluso fra assenti o fra presenti? Nel secondo caso esso non produrrebbe subito i suoi effetti, bensì una volta che sia spirato il termine per il recesso dell’investitore. Tuttavia, alla luce delle considerazioni appena svolte, appare preferibile optare per la soluzione in favore del contratto concluso fra assenti poiché difficilmente un’impresa d’investimento potrà sentirsi vincolata per il solo fatto che i propri promotori abbiano fatto firmare agli investitori una proposta, pur se irrevocabile.


Successivamente, da un altro angolo di visuale, è interessante osservare come il diritto di recesso, il cui termine – si ribadisce – inizia a decorrere dalla data della sottoscrizione del cliente, vada applicato sia alla sottoscrizione di un contratto, che quindi con essa può ritenersi concluso, sia alla sottoscrizione di una mera proposta contrattuale; comunque sia, in attesa del decorso del termine per l’esercizio del diritto, dovrà comunque parlarsi di sospensione dell’efficacia del contratto medesimo. Quest’ultima previsione rafforza naturalmente la tutela a favore dell’investitore. Peraltro, la disciplina in discorso non trova applicazione nel caso di successive operazioni costituenti esecuzione del contratto originario, quali ad esempio l’incremento dell’investimento iniziale ovvero il passaggio dell’investimento da un fondo ad un altro gestito dalla medesima Sgr.


Altro aspetto interessante riguardante la disciplina dello ius poenitendi concerne le possibili esenzioni dall’applicazione delle disciplina medesima. A tal proposito va anzitutto segnalata la disposizione di cui all’art. 30, comma 8 del T.U.F., a norma del quale lo ius poenitendi non si applica alle OPVS di azioni con diritto di voto.


La ratio di tale esenzione va ravvisata nell’esigenza di effettuare tempestivamente le procedure di riparto dei titoli offerti e di consentire che le negoziazioni abbiano inizio quanto prima possibile dal momento della chiusura dell’offerta. Inoltre, e qui si segnala una possibile svista del legislatore, si ricorda come l’art. 12, comma 2, lettera a) della l. 77/83 prevedesse l’esonero dall’applicazione dello ius poenitendi per i contratti di collocamento di strumenti finanziari emessi o garantiti dallo Stato italiano. Tale previsione è stata abrogata dal T.U.F., senza che peraltro fosse riprodotta altrove, lasciando quindi nel dubbio se tale esenzione debba continuare ad applicarsi e, in caso affermativo, sulla base di quale norma.


Merita un cenno, prima di concludere, il tema dei contratti conclusi per via telematica, per quanto, con riguardo ad essi, dispone la direttiva 2000/31/CE.Di specifico interesse risulta l’art. 11, ove, al § 1, si afferma che “nel caso in cui il destinatario di un servizio inoltri il proprio ordine mediante strumenti tecnologici” il prestatore (del servizio) ha il dovere di “accusare ricevuta dell’ordine del destinatario del servizio senza ingiustificato ritardo e per via elettronica” e che l’ordine e la ricevuta “si considerano ricevuti quando le parti cui sono indirizzati hanno la possibilità di accedervi”; il §2 dispone poi che “il prestatore metta a disposizione del destinatario del servizio strumenti tecnici adeguati, efficaci ed accessibili, tali da permettere a quest’ultimo di individuare e correggere errori di inserimento dei dati prima di inoltrare l’ordine”.


Appare sorprendente che, a fronte di un obbligo in base al quale il proponente il servizio sarebbe tenuto semplicemente ad “informare” il cliente successivamente all’invio telematico dell’accettazione, si affermi che “la comunicazione dell’avvenuta ricezione dell’accettazione” costituisca “il momento di conclusione del contratto telematico”. Infatti, mentre nella proposta di direttiva il testo dell’art. 11 disponeva che “qualora si richieda al destinatario del servizio di manifestare il suo consenso usando mezzi tecnici,…, per accettare l’offerta di un fornitore” il contratto doveva ritenersi concluso quando il destinatario del servizio avesse “ricevuto dal prestatore, per via elettronica, l’avviso di ricevimento dell’accettazione”, la versione definitiva di tale articolo si occupa solo dell’ordine, dell’avviso di ricevimento e dei mezzi per correggere gli errori di imputazione. Il momento della conclusione dei contratti conclusi per e-mail, pertanto, può farsi coincidere con l’arrivo dell’accettazione nella casella postale del proponente.


E ciò per le seguenti ragioni. Anzitutto perché ciò appare logico alla luce delle disposizioni di cui all’art. 1326 c. c.. In secondo luogo perché nulla impedisce di far rientrare nella nozione di “indirizzo del destinatario” (cfr. art 1335 c.c.) anche l’indirizzo di posta elettronica. Ciò perché, visto il notevole stato di avanzamento delle moderne tecnologie informatiche e telematiche, è ormai possibile consultare il proprio sito di posta elettronica tramite qualsiasi PC dal quale sia possibile collegarsi alla Rete di Internet. Pertanto, alla luce di quanto esposto, risulta chiaro che il proponente un servizio via Internet potrà, sol che lo voglia, consultare in qualsiasi momento la propria caselle di posta elettronica e quindi ricevere tempestivamente notizia di eventuali accettazioni pervenutegli da “consumatori” (e, per quel che qui ci interessa, da investitori) che abbiano aderito alle sue proposte.


Concludendo si può affermare che, per quanto riguarda i contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari offerti fuori sede, la loro conclusione sia da rinvenire nel momento in cui interviene la sottoscrizione da parte dell’investitore; per quanto attiene invece a quella particolare categoria di contratti finanziari conclusi per via telematica, la loro conclusione va ravvisata nel momento in cui il proponente “l’affare” riceve notizia, presso il proprio indirizzo e-mail, dell’accettazione dell’investitore.