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LA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO: Riflessioni in tema di contribuzione previdenziale obbligatoria (1).

 

Antonino Sgroi

 

 

1. Quadro generale - 2. La legge delega - 3.La legislazione delegata 3.A Le agenzie di somministrazione 3.B I nuovi tipi di rapporto di lavoro - 4. Funzioni ispettive e tutela previdenziale


1. Quadro generale

Il decreto legislativo n. 276, sotto il versante previdenziale, non conclude ed esaurisce il percorso che il legislatore ha intrapreso con la legge delega n. 30 del 14 febbraio 2003, allo stesso si devono connettere, quanto meno e allo stato, due ulteriori testi legislativi, l'uno compiuto e l'altro, nel momento in cui si scrive, in corso di compimento, precisamente:
- le disposizioni contenute nell'art. 43 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in legge 24 novembre 2003, n. 326;
- lo schema di decreto legislativo con il quale si attua la delega contenuta nell'art. 8 della legge n. 30 in tema di razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro.
Una ricognizione e l'abbozzo di un primo tentativo di riconduzione a sistema, nei limiti della presente trattazione, con riguardo al micro-sistema previdenziale necessita di una lettura integrata della congerie di norme che il legislatore, a partire dalla legge delega e concludendo con il decreto legislativo in corso d'opera, ha dedicato specificamente al diritto del lavoro ma che, direttamente e indirettamente, coinvolgono aspetti previdenziali.
Aspetti previdenziali che possono essere letti sotto un duplice versante: l'uno, a monte, che afferisce agli obblighi posti a carico di chi fruisce del lavoro altrui o direttamente a carico del lavoratore, sia esso subordinato o autonomo, l'altro, a valle, che attiene alle tutele apprestate dall'ordinamento in favore dei lavoratori, siano essi autonomi o subordinati, coinvolti in questi mutamenti legislativi.
In questa sede, tendenzialmente si preteriranno, ove non necessari ai fini dell'esposizione, gli aspetti lavoristici della riforma e per i quali si rimanda ai contributi contenuti in questo stesso numero della rivista, e con riguardo all'aspetto previdenziale si è scelto una linea investigativa che privilegia la ricostruzione degli obblighi di contribuzione posti a carico del datore di lavoro e del lavoratore autonomo a seguito delle modifiche legislative, limitando a brevi accenni l'ulteriore, diverso, anche se strettamente connesso, aspetto delle tutele previdenziali apprestate dall'ordinamento in favore di queste nuove figure di lavoratori.
Infine il versante previdenziale investigato si deve porre in collegamento con il modello delineato dal legislatore in tema di tutela dei diritti dei lavoratori apprestata dallo stesso e assegnata, nella sua concreta attuazione, a organi dello stesso apparato statuale.
Chiariti i confini all'interno dei quali si dipanerà l'odierna trattazione, si deve, in via di ulteriore approssimazione, delineare l'iter che, all'interno dei delimitati limiti, si seguirà per dare un quadro generale della materia, sempre si intende senza alcuna pretesa di esaustività.
Il reticolato normativo costituito dal decreto delegato n. 276, oltre ad avere come suo entroterra legislativo necessitato la legge delega n. 30, ha, per l'individuazione della ratio a esso sottesa, la relazione accompagnatoria dello stesso, pertanto da questa e dai principi della legge delega si prenderanno le mosse al fine di individuare i caratteri previdenziali della riforma.
Ma, ancor prima di tale analisi, è d'uopo constatare come, da una lettura a volo d'uccello del dianzi citato complesso normativo, si evinca una scelta legislativa di contrario avviso a quella sino a poco tempo prima avallata dall'introduzione di una disciplina generale in materia di lavoro atipico, contenitore entro il quale si intendeva disciplinare tutta una serie di rapporti di lavoro anomenclati.
Il legislatore ha optato per l'individuazione, la nomenclazione e la disciplina ad hoc di rapporti di lavoro che, antecedentemente, potevano ben esistere e avere una disciplina presa in prestito da rapporti di lavoro a loro contenutisticamente vicini e per i quali il legislatore aveva antecedentemente apprestato una disciplina.
Questa scelta, di specifica disciplina legislativa, ovviamente non preclude l'esistenza di vuoti normativi e l'eventuale applicazione nei confronti di questi nuovi tipi di rapporto di lavoro della disciplina dettata dallo stesso legislatore per altri tipi di rapporti di lavoro.
Preso atto di questa scelta, con riguardo al versante previdenziale occorre chiedersi se con la stessa si sono apportate modifiche, e se sì in che termini, al modello generale e tendenziale di previdenza sociale sinora esistente.
Per compiere tale opera è necessario, innanzitutto, chiedersi quali siano stati e, in un momento logicamente precedente, individuare i fini perseguiti dal legislatore sotto il nostro versante.
Questa prima ricognizione, in questa sede, prenderà spunto dal Libro Bianco sul Welfare - Proposte per una società dinamica e sociale - del febbraio del 2003 opera del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dalla Relazione di accompagnamento al decreto di attuazione della riforma Biagi.
Il Libro Bianco, definito dagli stessi autori "…il naturale proseguimento del Libro Bianco sul Mercato del Lavoro…", ha, sempre secondo quanto si legge nello stesso, "…lo scopo di mettere a punto un quadro di riferimento per realizzare e rinforzare la coesione sociale del Paese…", e da una lettura dello stesso non traspare alcuna intenzione esplicita di toccare l'attuale assetto previdenziale in punto individuazione degli obblighi contributivi posti a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi, l'obiettivo esplicito è quello di incrementare le occasioni di lavoro e garantire a tutti un equo accesso a una occupazione regolare e di qualità.
Da tale constatazione discende che per tutte le nuove figure di rapporti di lavoro introdotte con la legge delega e con il successivo decreto legislativo non vi era intenzione alcuna da parte del legislatore delegante, e a maggior ragione del legislatore delegato, di modificare il pregresso assetto legislativo sul tema qui investigato.
La stessa affermazione può farsi se si legge la Relazione di accompagnamento al decreto delegato.
Si ripete ancora una volta che l'obiettivo della riforma è quello di assicurare meno precarietà, più lavoro stabile e regolare, maggiori tutele e pari opportunità per tutti, si afferma che "le misure contenute nel decreto delegato estendono le tutele a favore di una più ampia platea di soggetti: quelle persone oggi intrappolate nelle finte collaborazioni coordinate e continuative e in una economia sommersa…(e a tal fine si) creano regole semplici ed effettivamente esigibili…(con la conseguenza che si avrà la creazione di) un contratto di lavoro regolare (in forza del quale si) versano contributi alle casse dello Stato."
Orbene dalla lettura di questi passi se ne deduce che il legislatore non ha voluto abbassare i livelli di tutela apprestati dall'ordinamento nei confronti dei lavoratori e, in perfetta sintonia, non ha voluto ridurre i livelli degli obblighi previdenziali posti a carico dei datori di lavoro, o in via più generale di chi lavora, tant'è che prospetta con la propria manovra un aumento delle entrate contributive. E, in parallelo, nulla cambia pertanto con riguardo ai poteri ispettivi riconosciuti agli organi amministrativi per la verifica del corretto adempimento da parte dei datori di lavoro di quanto previsto nel tessuto legislativo in commento.
Acclarati gli obiettivi della riforma bisogna ora chiedersi come la stessa si inveri nella concreta normazione.
In via teorica la creazione di nuovi tipi di rapporti di lavoro, sotto il profilo previdenziale, non produce alcun scossone stante il fatto che per ognuno di essi dovrà individuarsi la normazione previdenziale di riferimento esistente, a meno ché non si rinvenga nella specifica disciplina di ciascuno di essi una disposizione ad hoc (si prescinde in questa sede se migliorativa o peggiorativa della generale).
Il micro - sistema previdenziale, come noto, prevede un obbligo generale di contribuzione che, al suo interno, si può suddistinguere, a fini esemplificativi, in due grandi tronconi: obblighi contributivi per il lavoro subordinato posti a carico del datore di lavoro e del lavoratore subordinato (in percentuali diverse), obblighi di contribuzione posti a carico del lavoratore autonomo (al cui interno si situavano le collaborazioni coordinate e continuative per le quali il sistema poneva un obbligo di contribuzione a carico del beneficiario della prestazione), a quest'ultima espressione si assegna un'ampia valenza contenutistica, che consente di porre al suo interno qualsivoglia attività lavorativa non subordinata.
Se le linee generali di sistema sono quelle sommariamente tracciate ne discende, a fortiori, che i nuovi tipi di rapporti di lavoro troveranno una loro regolamentazione, sotto il versante contributivo, nella disciplina generale sul tema, salve le eccezioni alla stessa, se rese possibili dal legislatore delegante e nei limiti tracciati dallo stesso.
In via teorica può quindi ben affermarsi che, una volta accertata la riconduzione del nuovo tipo al modello lavoro subordinato o, all'opposto, al modello lavoro autonomo, scatteranno le regole previdenziali generali, poste a tutela dell'interesse pubblico perseguito e tutelato dall'ente previdenziale, in tema di obblighi contributivi.
Se questa è l'architettura di riferimento, la prima attività da compiere è la riconduzione di ciascuno dei tipi, delineati con la legge delega e il decreto legislativo, al modello di riferimento e, a tal fine, non si può che rinviare all'opera compiuta dai lavoristi sul tema e della quale in questa sede si faranno proprie le conclusioni per ciascuno dei nuovi tipi.
Se si procede a un'aggregazione dei citati tipi può dirsi che:
- nella categoria del lavoro subordinato si annoverano i rapporti di lavoro che si instaurano nelle somministrazioni di lavoro (art. 20 e ss.), nell'appalto (art. 29), nel distacco (art. 30), nel lavoro intermittente (art. 33 e ss.), nel lavoro ripartito (art. 41 e ss.), nel lavoro a tempo parziale, nell'apprendistato, nell'inserimento;
- nella categoria lavoro autonomo si annoverano il lavoro a progetto (art. 61), il lavoro accessorio (art. 70), il lavoro reso dagli associati in partecipazione (quest'ultimo disciplinato nell'art. 43 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in legge 24 novembre 2003, n. 326).
Se si riconosce come possibile tale riconduzione dei tipi della riforma del 2003 ai grandi tipi descritti nel sistema previdenziale ne discende che alcun grado di novità può predicarsi sotto questo versante e, si ripete, la normativa da applicare sarà quella generale.
Tale assunto però dovrà essere ulteriormente verificato alla luce dell'eventuale specifica disciplina previdenziale contenuta, rispettivamente, nella legge delega e nel decreto legislativo, rammentando con riguardo alla prima che la stessa potrà ben contenere disposizioni di diretta e immediata applicazione che non prevedono la mediazione del legislatore delegato, in parallelo a disposizioni la cui concreta attuazione non potrà che passare attraverso la normazione delegata.
Gli interventi, impliciti o espliciti, che la legge delega fa nella nostra materia appaiono alquanto limitati, rivenendosi gli stessi in materia di somministrazione di manodopera, di gruppi di impresa, di aiuti di Stato per la stipula di rapporti di lavoro con contenuto formativo, di previsione di agevolazioni per incentivare l'utilizzo di contratti a tempo parziale, di collaboratori, di prestazioni di lavoro occasionale e accessorio.


2. La legge delega

Il legislatore delegante, nel prevedere l'abrogazione della disciplina dettata dalla legge n. 1369 del 1960 e contestualmente la creazione di un modello generale ruotante attorno alla somministrazione di manodopera (art. 1, lett. m), fissa fra i criteri direttivi della nuova legislazione, fra l'altro, quelli:
a) della perpetuazione di un obbligo di solidarietà tra fornitore e utilizzatore in caso di somministrazione di lavoro altrui (n. 4, lett. ult. cit.);
b) della fissazione di un trattamento inderogabile, in favore dei lavoratori coinvolti nell'attività di somministrazione di manodopera, non inferiore a quello a cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa utilizzatrice (n. 5, lett. cit.).
Questi due principi, sotto il versante previdenziale, comportano:
- la possibilità da parte dell'ente previdenziale di escutere, nell'ipotesi di inadempimento contributivo, indifferentemente l'impresa fornitrice di manodopera e l'impresa utilizzatrice della medesima e ciò senza che nessuna di esse possa frapporre la preventiva necessaria escussione dell'altra società solidalmente obbligata al pagamento della contribuzione previdenziale;
- l'impossibilità da parte del legislatore delegato di fissare un trattamento contributivo in favore dei lavoratori somministrati, ovviamente a parità di attività lavorativa, inferiore a quello che il datore di lavoro utilizzatore del lavoro somministrato riconosce ai propri dipendenti.


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Sempre l'art. 1, alla lett. n), nel prevedere un'agevolazione di tipo amministrativo in favore dei gruppi di imprese, precisamente la possibilità che l'impresa capogruppo adempia, per tutte le società collegate e controllate, agli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale con riguardo ai lavoratori dipendenti, riafferma, nonostante l'adempimento amministrativo da parte della società capogruppo, la titolarità delle obbligazioni scaturenti dall'instaurato rapporto di lavoro subordinato in capo alla singola società che ha stipulato il contratto.
Contravvenendo alla regola espositiva che ci si è dati, si può evidenziare sin da ora che il legislatore delegato ha recepito tale principio nell'art. 31, il cui ultimo comma, reitera la permanenza dell'obbligo retributivo e contributivo in capo alle singole società datrici di lavoro.
 

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Ulteriori disposizioni in materia previdenziale si rinvengono nel seno del successivo articolo 2 chiamato a riordinare i contratti a contenuto formativo e di tirocinio.
La legge delega affida al legislatore delegante il compito di razionalizzare i rapporti a contenuto formativo con il fine, fra l'altro, di uniformarli agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato all'occupazione e di semplificare e snellire i procedimenti di riconoscimento e di attribuzione degli incentivi, anche con criteri di automaticità di assegnazione del beneficio, e tenendo conto nel delineare tale nuova disciplina, del tasso di occupazione.
Sotto questo crinale è d'obbligo il richiamo alle decisioni della Comunità Europea che, ripetutamente, hanno dichiarato l'incompatibilità della legislazione italiana con i principi comunitari in materia di aiuti alle imprese, contenzioso comunitario in tema di aiuti concessi proprio per la stipula di contratti a contenuto formativo e per i quali la Commissione ha individuato i requisiti minimi necessari affinché la legislazione potesse superare il vaglio di legittimità e di merito in sede comunitaria.
Ne consegue pertanto che al legislatore delegato è stato affidato il compito di delineare un quadro nazionale compiuto sulla materia degli aiuti di Stato, quadro che ha quale punto di riferimento il diritto comunitario, sempre che si voglia evitare quel che è accaduto sino al 2003 non solo con la legislazione nazionale ma anche con la legislazione regionale concorrente sul tema.
Quest'ultimo riferimento consente di rilevare come la legge delega, nonostante la coscienza della complessità del fenomeno (e di ciò fa fede quanto si legge nel Libro Bianco del 2001), ignori la problematica dell'eventuale cumulo di benefici sugli stessi contratti, cumulo derivante dalla concorrenza della legislazione nazionale e regionale, e pertanto non appresti alcuna idonea disciplina che eviti, con riferimento alla legislazione regionale, una censura in sede comunitaria, e che contemporaneamente ponga in essere meccanismi atti a evitare un'ipertrofia, o più semplicemente una mera sommatoria aritmetica, di aiuti nazionali e regionali sulla stessa materia, stante l'ovvia osservazione che un cumulo indiscriminato di aiuti non ha necessariamente un effetto benefico pari alle risorse pubbliche investite.


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Il successivo intervento del legislatore delegante in materia previdenziale lo si rinviene nell'articolo dedicato al rapporto di lavoro a tempo parziale. In questa norma si affida al Governo il compito di emanare una legislazione, "…,anche di natura previdenziale," incentivante l'utilizzo di contratti a tempo parziale da parte dei lavoratori anziani al fine di contribuire alla crescita dell'occupazione giovanile anche attraverso il ricorso a tale tipologia contrattuale.
L'introduzione di una legislazione previdenziale incentivante i lavoratori anziani ad utilizzare i contratti part-time dovrebbe, in astratto (in concreto il legislatore delegato non ha disciplinato il tema), contenere una disciplina che assicuri una copertura previdenziale pari o vicina alla copertura previdenziale che il lavoratore anziano avrebbe avuto se avesse continuato nel suo rapporto di lavoro full-time, allo stato non si scorge alcuna altra forma possibile di incentivazione nell'ordinamento previdenziale.
 

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Le ultime disposizioni di rilievo previdenziale nella legge n. 30 del 2003 è dato reperirle nell'art. 4, articolo chiamato a dettare principi e criteri direttivi, secondo l'intenzione del legislatore, sul lavoro a chiamata, quello temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite,
Il primo riferimento attiene al lavoro temporaneo tramite agenzia e al riconoscimento di tale strumento anche al settore agricolo e alla conseguente applicabilità degli oneri contributivi di questo settore (primo comma, lett. b).
Il secondo riferimento si pone all'interno della rifondazione delle collaborazioni coordinate e continuative (comma cit., lett. c), fra i principi e criteri direttivi annovera la previsione di tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei collaboratori, con particolare riferimento a maternità, malattia e infortunio, nonché alla sicurezza nei luoghi di lavoro, anche nel quadro di intese collettive (n. 4, lett. ult. cit.).
La disposizione si bipartisce, a sua volta, in una disposizione generale ove si afferma una tutela generalizzata e, a un livello inferiore e consequenziale, una disposizione esemplificativa di quegli aspetti per i quali deve trovare applicazione la disposizione generale, geometricamente si potrebbe dire di essere davanti a una disposizione a cerchi concentrici ove la prima, di carattere generale, include la seconda, a carattere esemplificativo e particolare della seconda.
Il terzo riferimento riguarda le prestazioni di lavoro occasionale e accessorio (lett. d), art. cit.) ed è quello che, rispetto alla disciplina previdenziale, appare più disarmonico.

Si parla nel testo della norma di prestazioni di lavoro svolte da individuati soggetti, esemplificativamente disoccupati di lungo periodo o soggetti a rischio di esclusione sociale, "..regolarizzabili attraverso la tecnica di buoni corrispondenti a un certo ammontare di attività lavorativa…".
La lettura di quest'ultima frase porta a ritenere che il legislatore immagini una regolarizzazione a posteriori di rapporti di lavoro instaurati al di fuori di una qualsivoglia disposizione legislativa e per i quali il beneficiario dei medesimi rientra nella legalità con l'utilizzo di un sistema di buoni.
Innanzi tutto appare anomalo che si parli di regolarizzazione di un fenomeno che è disciplinato per la prima volta nella legge delega, allorché all'opposto si sarebbe dovuto parlare dell'introduzione di una peculiare modalità di pagamento delle prestazioni occasionali e accessorie rese. Ancora la previsione del pagamento della prestazione tramite l'utilizzo di buoni lascia impregiudicato l'aspetto previdenziale, ovverosia non si dice se il buono è utile anche all'assolvimento dell'obbligazione contributiva. Ma, più a monte e in via dirimente, il legislatore non dice che il valore facciale del buono per le prestazioni rese e da pagare debba essere inferiore, sotto il profilo contributivo, alla retribuzione virtuale fissata con l'art. 1 della legge n. 389 del 1989, di conv.ne con modifiche del d. l. n. 338 del 1989.
L'art. in commento si chiude con una disposizione che, ancor più della precedente, si pone in rotta di collisione con il modello generale previdenziale prevedente un obbligo di versamento della contribuzione per qualsiasi attività lavorativa prestata.
Si parla di configurazione specifica di prestazioni che esulano dal mercato del lavoro e dagli obblighi connessi delle prestazioni svolte in modo occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salve le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori, e con particolare riguardo alle attività agricole.
Secondo il dettato di questa norma ne discende che tali forme di lavoro, non prevedono forma alcuna di compenso, né tanto meno si deve ritenere di tutela previdenziale.
Questo principio ha trovato una sua concretizzazione nella legislazione delegata solo con riguardo alle attività agricole nel caso di prestazioni svolte da parenti e affini entro il terzo grado.

 

3. La legislazione delegata

 

3.A Le agenzie di somministrazione

Esaurito, nei limiti del presente scritto, il discorso sulla legge delega non resta che interrogarsi su come i principi e i criteri direttivi della stessa sono stati concretizzati dal legislatore delegato, e se lo stesso abbia detto e scritto, sempre con riguardo all'aspetto previdenziale, più di quello che era in suo potere.
Si seguirà l'iter utilizzato antecedentemente per l'illustrazione della legge n. 30, pertanto il primo degli argomenti in cui ci si dovrebbe imbattere è la somministrazione di lavoro ma, contrariamente a questa attesa, la prima disposizione coinvolgente aspetti previdenziali la si rinviene all'interno del Titolo II dedicato all'organizzazione e disciplina del mercato del lavoro. Specificamente laddove si prevedono misure di incentivazione del raccordo pubblico e privato con riferimento ai lavoratori svantaggiati (art. 13), cioè a quelle persone appartenenti a una categoria che abbia difficoltà a entrare, senza assistenza, nel mercato del lavoro ai sensi dell'art. 2, lett. f), del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione del 12 dicembre 2002.
Il legislatore delegato, con il dichiarato fine di garantire l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro dei citati lavoratori, consente alle agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, per un periodo massimo di dodici mesi e solo in caso di contratti di durata non inferiore a nove mesi, fra l'altro, di detrarre dai contributi dovuti per l'attività lavorativa svolta l'ammontare dei contributi figurativi nel caso di trattamenti di mobilità e di indennità di disoccupazione ordinaria e speciale.
Da tale disposizione consegue che le agenzie di somministrazione hanno uno sconto sulla contribuzione previdenziale da versare, limitandosi la stessa al differenziale fra quanto dovuto in forza del trattamento retributivo spettante per l'attività di lavoro svolta e la contribuzione figurativa accreditata automaticamente dall'ordinamento.
Descritto il modello, quel che non è chiaro è come si possa attuare tale operazione allorché nel momento in cui inizia l'attività lavorativa dovrebbe cessare qualunque tipo di sostegno in favore del lavoratore quale il trattamento di mobilità o la disoccupazione.
La struttura dell'articolo, all'opposto, lascerebbe prospettare che, nonostante l'instaurarsi di un rapporto di lavoro, vi è, per il periodo massimo di dodici mesi e limitatamente a contratti di durata non inferiore a nove mesi, l'accreditamento della contribuzione figurativa e ciò al fine di consentire all'agenzia di somministrazione di ridurre il proprio debito contributivo.
Si osservi che tale operazione, con riguardo alla posizione assicurativa o contributiva del lavoratore, comporta che lo stesso, nel medesimo lasso temporale, ha contributi reali versati dall'agenzia di somministrazione e contributi figurativi accreditati dall'ordinamento.
A ciò si aggiunga la circostanza che nulla il legislatore dice in merito all'obbligo contributivo che, durante il rapporto di lavoro, grava direttamente sul lavoratore e da tale silenzio dovrebbe inferirsi che lo stesso rimane immutato e non è coinvolto nell'operazione dianzi descritta.
Ma descritta la normazione è da chiedersi se la stessa sia la naturale evoluzione dei principi della legge delega o, all'opposto, non sia una scelta autonoma del Governo che non trovi giustificazione alcuna.
La disposizione di riferimento appare essere quella contenuta nella lett. f), del secondo comma, dell'art. 2 che fissa quale principio e criterio direttivo l'incentivazione delle forme di coordinamento e raccordo fra operatori privati e operatori pubblici, ai fini di un migliore funzionamento del mercato del lavoro, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province.
Se questi sono i principi direttivi, non pare che gli stessi possano essere interpretati sino al punto di comprendere al loro interno una disciplina delegata in materia di incentivazione all'occupazione attraverso l'utilizzo di sgravi contributivi.
Il beneficio dello sgravio riconosciuto, a determinate condizioni, alle agenzie di somministrazione per l'utilizzo di lavoratori svantaggiati non pare abbia alcun nesso logico, oltre che giuridico, con il fine di incentivare il raccordo fra pubblico e privato.
 

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I rapporti di lavoro instaurati con lavoratori tout court dalle agenzie di somministrazioni, dandosi a quest'espressione una duplice valenza (lavoratori assunti per prestare la loro opera all'interno dell'agenzia e lavoratori assunti per la somministrazione), trovano la loro disciplina nel prosieguo del decreto delegato.
All'interno di tale disciplina il legislatore ha destinato un articolo specifico alla previdenza il 25, ma è da dire che, nonostante tale specifica disciplina, una parte degli aspetti previdenziali si rinviene anche al di fuori della stessa e tramite l'interpolazione delle disposizioni chiamate a disciplinare l'istituto della somministrazione.
Il citato articolo, al primo periodo, da un lato pone a carico esclusivo del somministratore gli oneri contributivi, previdenziali e assistenziali senza però specificare nei confronti di quale categoria di lavoratori e da altro lato inquadra, per l'attività svolta, le imprese di somministrazione nel settore terziario.
Tale obbligo di contribuzione posto a carico delle agenzie di somministrazione non è previsto con riguardo all'aumento dello 0,30 per cento del contributo integrativo contro la disoccupazione involontaria e, per l'indennità di disponibilità erogata nei contratti a tempo indeterminato. Gli stessi sono calcolati sul reale ammontare dell'indennità riconosciuta al lavoratore, il tutto, come esplicitamente previsto, in deroga alla disciplina previdenziale in tema di minimale retributivo, ovverosia l'art. 1 del decreto legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito con modificazioni nella legge 7 dicembre 1989, n. 389.
Ma le deroghe non si fermano e continuano con riguardo ai settori dell'agricoltura e del lavoro domestico.
In queste ipotesi, ci dice il legislatore delegato, gli oneri previdenziali posti a carico dell'agenzia di somministrazione hanno quale parametro di calcolo quello del settore ove i lavoratori prestano la propria opera.
Contestualmente alle citate deroghe, opera la disposizione che pone a carico delle agenzie di somministrazione l'obbligo di versare a fondi bilaterali appositamente costituiti un contributo pari al 4% della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti a tempo determinato per l'esercizio di attività di somministrazione, lo stesso contributo è previsto sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori a tempo indeterminato.
L'individuazione specifica di due fonti di provvista e di due fini istituzionali diversi conduce a ritenere la necessità da parte del Fondo beneficiario di due distinte contabilità, sia in entrata e sia in uscita, delle risorse dallo stesso disponibili.
Infine l'omissione dei versamenti contributivi comporta a carico dell'agenzia di somministrazione della corresponsione, oltre al contributo omesso, di una somma, a titolo di sanzione amministrativa, di importo pari a quella dell'omissione contributiva.
Descritto sinteticamente il contenuto dell'art. 25, la prima questione da risolvere attiene al riconoscimento o meno, in capo al legislatore delegato, di introdurre una disciplina specifica in tema di previdenza sociale, non rinvenendosi alcuna specifica peculiarità che possa giustificare un necessitato intervento sul punto.
Scilicet era o non era giuridicamente possibile e, a monte, necessario dire:
- ove si inquadrano le imprese di somministrazione di manodopera;
- che i lavoratori in prestito, di settori diversi dall'agricoltura e dal lavoro domestico, hanno versati i contributi, non con riferimento al settore ove prestano la propria attività ma, all'opposto, con riferimento al settore dell'impresa che li fornisce;
- che le imprese di somministrazione si sottraggono al versamento di un aumento di aliquota contributiva e, allo stesso tempo, limitatamente a una voce quale l'indennità di mobilità si sottraggono alla regola della contribuzione virtuale fissata dalla contrattazione collettiva per l'individuazione dell'obbligo contributivo.
La risposta a questi quesiti rinvia, more solito, al contenuto della legge delega da un lato e, constatato l'eventuale silenzio della stessa, alla strutturale necessità che sull'argomento si dovesse apprestare una specifica e difforme disciplina da quella generale,
In realtà come evidenziato retro, il legislatore delegante non ha esplicitamente assegnato nella nostra materia alcun potere legislativo al Governo, da tale constatazione però non si può affermare con certezza l'illegittimità della normazione delegata in oggetto per eccesso di delega, ben potendosi affermare che proprio dalla nuova legislazione lavoristica scaturiva la necessità logico-giuridica per il legislatore delegato di introdurre una disciplina peculiare in campo previdenziale.
La fondatezza o meno di tale asserto dovrà essere vagliata con riferimento a ciascuno degli spezzoni normativi in cui si è scomposto l'art. 25.
Ma, ancor prima di iniziare tale opera, è gioco forza constatare come tale articolo trovi il suo precedente nell'art. 9 della legge 24 giungo 1997, n. 196, articolo quest'ultimo chiamato a disciplinare gli aspetti previdenziali del lavoro interinale e dal quale il legislatore delegato si è limitato, come si vedrà nel prosieguo, a copiare parte rilevante nell'art. 25 in commento.
La prima questione attiene all'esplicito inquadramento, ai fini dell'art. 49 legge n. 88 del 1989, nel settore terziario delle agenzie di somministrazione.
Sul punto non si scorge alcun imperativo che dovesse sfociare, come accaduto, nell'esplicito inquadramento in un settore delle predette imprese.
E' però da rilevare che, al primo periodo del primo comma dell'art. 9, l. ult. cit., il legislatore aveva seguito lo stesso modello ed esplicitamente aveva inquadrato le imprese fornitrici di lavoro temporaneo nel settore terziario.
Si può pertanto concludere, stante la mancanza di innovatività della disposizione che si limita a doppiare una disposizione esistente antecedentemente alla legge delega, che, sotto questo versante, nulla sia immutato.
Sin qui pertanto può condividersi la scelta operata in sede di normazione delegata, i maggiori problemi sorgono allorquando tale inquadramento produce effetti sulla contrattazione collettiva da applicare ai lavoratori somministrati.
Infatti per costoro la contrattazione di riferimento non sarà (questa è la regola generale), ci dice il legislatore delegato, quella del settore ove prestano la loro opera, ma quella del settore terziario di appartenenza del somministratore.
Quest'opzione e, a valle, la disciplina della materia non trovano alcun appiglio nello spezzone di articolo che la legge delega dedica all'argomento anzi, all'opposto, laddove in questa si parla di "trattamento assicurativo ai lavoratori coinvolti nell'attività di somministrazione di manodopera non inferiore a quello a cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa utilizzatrice" (n. 5, lett. m, art. 1) vi è la spia legislativa di altro e diverso assetto di interessi perseguito.
Vuol dirsi che una lettura armonica delle disposizioni dettate dai due testi legislativi porta a ritenere che la contribuzione previdenziale dei lavoratori somministrati non può che essere parametrata alla retribuzione virtuale della contrattazione collettiva applicata nel settore ove gli stessi sono utilizzati pena la violazione del principio e criterio direttivo di cui si è fatta menzione supra e, ancor più a monte, del principio costituzionale di parità di trattamento.
Il riscontro della correttezza di tale assunto lo si ritrova nella stesso art. 25 decr. lgs. cit. laddove, all'ultimo comma, con riguardo a lavoratori somministrati in settori ove notoriamente la retribuzione è inferiore a quella erogata nel settore terziario ove è inquadrata l'agenzia di somministrazione, ritrova espansione la regola generale di applicazione della contrattazione collettiva del settore dove si lavora.
Si aggiunga, come ulteriore ma non per questo meno importante argomento, la circostanza che le agenzie di somministrazione possano essere un soggetto polifunzionale, non caratterizzato da un oggetto sociale esclusivo, e in questo caso è da chiarire come possa operare l'inquadramento dell'agenzia e come la stessa possa assolvere il proprio obbligo contributivo.
Conclusivamente si deve ritenere che il contratto del settore terziario sarà applicabile dalle imprese di somministrazione solo nei confronti dei dipendenti che all'interno delle stesse svolgono l'attività di somministrazione, nei confronti dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato in attesa di essere avviati al lavoro destinatari dell'indennità mensile di mobilità, infine nei confronti di quei lavoratori somministrati a imprese alle quali si applica, per la natura delle attività svolte, il medesimo contratto; all'opposto per tutti gli altri lavoratori somministrati avviati al lavoro, pena un eccesso di delega e una violazione dei principi contenuti nella delega, si utilizzerà per l'individuazione dei contributi dovuti il contratto applicato presso le imprese utilizzatrici.
Ultima questione, quanto meno in questa sede di prima ricognizione della più rilevante problematica in campo previdenziale scaturente dagli interventi legislativi del 2003, attiene all'individuazione al ribasso della contribuzione previdenziale dovuta sull'indennità di mobilità erogata ai lavoratori somministrati con contratto di lavoro a tempo indeterminato allorquando gli stessi siano in attesa di assegnazione (art. 22, terzo comma). Anche su questo versante non può che constatarsi da un lato la mancanza di principi o criteri direttivi, dall'altro, facendo riferimento alla disciplina esistente sul tema all'interno della legge n. 196 del 1997, che il modulo operativo era perfettamente identico e si limitava l'obbligo contributivo all'effettivo ammontare dell'indennità erogata, anche qui in deroga alle regole in tema di minimale contributivo.
Su questo aspetto pare pertanto che possa ripetersi quanto detto retro con riguardo all'inquadramento nel settore terziario delle imprese di somministrazione, essendosi limitato il legislatore delegato a recepire una disciplina esistente antecedentemente alla legge delega e che non è in contrasto con i principi e criteri direttivi di quest'ultima.
 

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Esaurito l'esame della disposizione che specificamente è chiamata dal legislatore a interferire, nella somministrazione di manodopera, con la materia previdenziale non resta che verificare se, all'interno della stessa materia, sia possibile individuare altre disposizioni che, implicitamente o esplicitamente, possano avere rilievo nella nostra materia.
Il primo aspetto in cui ci si imbatte riguarda le clausole da inserire nel contratto di somministrazione di manodopera.
La disposizione afferma che, nel momento in cui si stipula in forma scritta il contratto di somministrazione, si devono prevedere, fra l'altro, le clausole di assunzione da parte del somministratore della obbligazione del versamento dei contributi previdenziali (lett. h) e di assunzione da parte dell'utilizzatore, in caso di inadempimento del somministratore, dell'obbligo del versamento dei contributi previdenziali fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore (lett. k); infine da rilevare che la mancanza delle citate clausole non comporta la nullità del contratto stipulato.
La lettura delle due clausole, se avulsa dalla legge delega e dal contesto di cui si nutre, lascia trasparire un obbligo principale a carico del somministratore e un obbligo sussidiario, che si attiva a seguito dell'inadempimento di questi, a carico dell'utilizzatore.
Tale ricostruzione del dettato normativo in realtà si pone in contrasto con la legge delega che, come accennato retro, fissa la regola della solidarietà, regola che per i lavoratori e gli enti previdenziali è certamente più favorevole della regola della sussidiarietà introdotta con l'art. 21 in commento.
Pare pertanto più armonico ritenere che la regola della sussidiarietà possa trovare un suo ambito di operatività limitatamente ai rapporti contrattuali che si instaurano fra somministratore e utilizzatore. La stessa regola recede a favore della regola fissata dal legislatore delegante della solidarietà fra questi soggetti, allorchè si abbia il mancato pagamento della contribuzione previdenziale.
In quest'ultima ipotesi l'ente, constatato l'inadempimento, avrà la possibilità di richiedere il pagamento indifferentemente a uno o l'altro degli obbligati solidali, senza necessità di escutere preventivamente il somministratore.
La correttezza di tale assunto la si riscontra se si pongono le citate clausole in relazione con il terzo comma dell'art. 23, laddove si afferma che l'utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere i contributi previdenziali. Nonostante il palese errore, i contributi non sono versati ai lavoratori ma agli enti previdenziali, è esplicito che si è davanti a un vincolo solidale fra i due datori di lavoro.
Sempre con riguardo alle modalità di espletamento del rapporto di lavoro e ai suoi effetti sulla previdenza è necessario dedicare qualche breve battuta all'ipotesi di adibizione a mansioni superiori del lavoratore somministrato da parte dell'impresa utilizzatrice e senza che del mutamento ne sia data, nelle forme prescritte dallo stesso testo legislativo, comunicazione al somministratore.
Il legislatore delegato, in questa ipotesi, pone a carico esclusivo dell'utilizzatore le differenze retributive scaturenti da tale mutamento della prestazione lavorativa. Il silenzio sull'aspetto previdenziale porta a ritenere che l'obbligo contributivo scaturente dall'adibizione a mansioni superiori gravi sul somministratore e sull'utilizzatore.
L'ultimo degli aspetti su cui soffermare l'attenzione riguarda la patologia del fenomeno somministrazione di manodopera e sulla ricognizione degli effetti di tale patologia nel sistema previdenziale.
Il legislatore delegato disciplina una fattispecie di somministrazione irregolare (art. 27) e una fattispecie di somministrazione fraudolenta (art. 28).
Nella prima delle delineate ipotesi si riconosce al lavoratore il diritto di chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro, sin dall'inizio della somministrazione, con l'utilizzatore.
Qualora dovesse statuirsi la costituzione del rapporto di lavoro, ab origine, con l'utilizzatore, il legislatore fissa la regola che tutti i pagamenti, retributivi e contributivi, fatti dal somministratore siano idonei a ridurre il debito del nuovo datore di lavoro (art. 27, 2° c.), stante la probabilità che il riconoscimento del rapporto di lavoro con l'utilizzatore sfocia nell'applicazione, sempre se si riconosce la legittimità dell'impianto normativo in commento sul punto, della contrattazione collettiva del settore di riferimento di quel che era, nel contratto di somministrazione, l'utilizzatore.
Individuato quel che il legislatore dice, si può constatare che lo stesso, al primo comma, pare riconoscere il potere di fare giudizialmente dichiarare l'irregolarità della somministrazione solo al lavoratore, nulla disponendo in riferimento agli enti previdenziali.
Si deve ritenere però che tale silenzio sul punto non significhi l'impossibilità da parte degli enti previdenziali di agire per la declaratoria di irregolarità del contratto di somministrazione e conseguentemente per il recupero della maggiore contribuzione dovuta dal reale datore di lavoro.
L'ulteriore figura della somministrazione fraudolenta di manodopera, figura che non trova riscontro nella legge delega e che il legislatore delegato ha delineato con l'utilizzo di forme lessicali vaghe e di difficile concretizzazione (all'art. 28 si legge: "somministrazione di lavoro posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore,..), non pare che sotto il versante previdenziale faccia scaturire, quanto meno con riguardo al sorgere dell'obbligo contributivo in capo a chi ha realmente utilizzato il lavoratore somministrato, una diversa disciplina rispetto a quanto previsto per il lavoro somministrato irregolare.
L'aspetto peculiare attiene invece all'applicabilità o meno in questo caso della norma di favore contenuta nel secondo comma dell'art. 27 in punto detrazione dal debito contributivo delle somme antecedentemente versate dall'agenzia di somministrazione. Di primo acchito pare che tale norma non possa operare nell'ipotesi di somministrazione fraudolenta, laddove l'ordinamento non può in alcun modo tutelare gli imprenditori che abbiano posto in essere contratti di lavoro in violazione di norme inderogabili, come si esprime lo stesso legislatore delegato. Ne consegue che in questa ipotesi l'obbligo contributivo sarà a carico di chi ha effettivamente utilizzato il lavoratore e non subirà decurtazione di sorta scaturente dall'eventuale precedente pagamento di parte o dell'integralità della contribuzione dovuta da altro e diverso soggetto.
 

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Proseguendo nella breve analisi del testo legislativo con riferimento alla previdenza, la successiva norma in cui ci si imbatte la si ritrova all'interno della disposizione sull'appalto.
Si fissa un vincolo di solidarietà, che viene meno dopo un anno dalla cessazione dell'appalto, fra appaltante e appaltatore con riguardo all'obbligo di pagamento dei contributi previdenziali dovuti.
Un precedente a tale disposizione è possibile ritrovarlo nella legge n. 1369 del 23 ottobre del 1960.
L'articolo 4 riconosceva, per gli appalti leciti di manodopera (art. 3), il potere ai prestatori di lavoro di esercitare i propri diritti nei confronti dell'appaltante sino a un anno dopo la data di cessazione dell'appalto.
Di converso nulla muta in materia di distacco del lavoratore, gli oneri contributivi rimangono in capo al datore di lavoro distaccante.


3.B I nuovi tipi di rapporti di lavoro

Il lavoro intermittente dà la stura all'esame di quelle che dovrebbero rappresentare le nuove tipologie di rapporti di lavoro introdotti dal legislatore del 2003.
Il lavoratore intermittente si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti dallo stesso legislatore previsti (artt. 33 e 34), da tale attività lavorativa scaturisce il suo diritto a percepire la retribuzione e l'indennità di disponibilità (art. 35, lett. e).
La retribuzione, e conseguentemente la contribuzione sulla stessa dovuta, è parametrata all'attività lavorativa effettivamente svolta.
La contribuzione, in questa ipotesi, non potrà che essere pagata utilizzando le note regole sul tema.
Sull'indennità di mobilità e con riguardo alla contribuzione dovuta sulla stessa, il legislatore ripete il modello da lui delineato antecedentemente, allorché ha disciplinato l'indennità di disponibilità per i lavoratori somministrati e alla cui trattazione, per brevità si rinvia.
La disciplina contributiva dell'indennità di disponibilità, in questa sede, ha una sua peculiarità che non si rinviene nel lavoro somministrato laddove il legislatore delegato prevede in capo al lavoratore intermittente il potere di versare la differenza contributiva per i periodi in cui abbia percepito una retribuzione inferiore a quella convenzionale o abbia fruito dell'indennità di disponibilità fino a concorrenza della medesima.
Figura di non facile lettura è quella di lavoro intermittente per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno.
La disposizione pare non consentire strutturalmente al lavoratore di percepire l'indennità di mobilità ma solo la retribuzione allorquando il datore di lavoro effettua la chiamata.
 

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La successiva nuova figura, il legislatore parla di speciale contratto di lavoro, è quella del lavoro ripartito dove due lavoratori assumono in solido l'adempimento di un'unica e identica obbligazione lavorativa (art. 41), della quale però ciascuno dei lavoratori obbligati, fisiologicamente, si libera prestando la propria attività lavorativa nel lasso temporale in cui deve rendere la prestazione.
La disciplina del rapporto è affidata alla contrattazione collettiva e, in sua assenza, alla disciplina specifica del decreto delegato e alla normativa generale del lavoro subordinato in quanto compatibile (art. 43, 2° c.).
Il lavoratore coobbligato non deve ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte ed è riproporzionato, al pari del lavoratore intermittente, in ragione della prestazione effettivamente eseguita .
Diversamente dal lavoro intermittente si trova una disposizione specifica per la materia previdenziale, l'art. 45.
In questo articolo si fissano le regole per l'erogazione delle prestazioni e per il calcolo della contribuzione dovuta e si procede a tali fini all'assimilazione del lavoro ripartito a quello a tempo parziale.
La contribuzione è pertanto calcolata utilizzando i parametri fissati per il lavoro a tempo parziale con la specifica regolamentazione in punto individuazione del periodo di riferimento.
La differenza, rispetto al modello delineato nel contratto a tempo parziale, sta nel momento individuativo in cui effettuare il citato calcolo. Questo si effettuerà, non preventivamente, ma dopo l'effettuazione della prestazione lavorativa, il mese successivo, fermo restando la possibilità di un conguaglio a fine anno.
La descrizione sin qui compiuta riguarda un contratto di lavoro ripartito che non patisca fenomeni patologici di sorta, dove ciascuno dei lavoratori adempia alla parte di obbligo posto a suo carico, con la prestazione dell'attività lavorativa nel lasso temporale prefissato.
Può accadere che uno dei lavoratori non possa rendere la propria prestazione. In tale ipotesi (si prescinde volutamente in questa sede dal prendere posizione sull'interpretazione da assegnare a una parte delle disposizioni contenute nell'art. 41 e che sono oggetto di specifici contributi) il lavoratore chiamato a svolgere l'attività lavorativa avrà a sua volta il diritto al versamento della contribuzione previdenziale per l'attività prestata commisurata secondo lo schema retro delineato.
 

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Le diverse forme di apprendistato, per ciascuna delle quali il legislatore dedica una specifica disciplina, trovano un momento unificante nella disciplina previdenziale che è uguale per tutti.
Innanzitutto, sotto il versante previdenziale, viene in rilievo la previsione di non computabilità dei lavoratori assunti con le varie forme di contratto di apprendistato, tale regola ha un immediato riflesso per l'individuazione della natura dell'impresa, diversa natura a cui si possono connettere o meno benefici previdenziali.
Nello stesso articolo, al terzo comma, il legislatore, in attesa della riforma degli incentivi economici, si limita a tenere ferme le agevolazioni che l'ordinamento riconosce al datore di lavoro ogniqualvolta pone in essere un contratto di apprendistato, limitandosi a condizionare, e qui sta la novità, "l'effettiva verifica della formazione svolta secondo le modalità definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni".
L'affermazione di continuazione della disciplina previdente in tema di agevolazioni, nell'attesa di una nuova disciplina a regime sul tema, però si scontra con le disposizioni in tema di abrogazione contenute nel medesimo testo legislativo, il ché non pare un perfetto esempio di uso coerente, sotto il profilo logico-giuridico, del linguaggio.
Di maggior rilievo è invece il successivo spezzone normativo contenuto nel terzo comma dell'art. 53, disposizione che disciplina l'ipotesi dell'inadempimento dell'obbligo formativo di cui sia esclusivamente (l'uso di tale avverbio è foriero di difficoltà applicative in sede giudiziaria) responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire il raggiungimento degli obiettivi di ciascun rapporto di apprendistato.
In questa ipotesi, una volta che si sia riscontrato, autonomamente da parte degli organi ispettivi degli enti previdenziali o della direzione provinciale del lavoro o su attivazione di questi da parte dello stesso lavoratore, il venir in essere dei requisiti dianzi delineati, il datore di lavoro è tenuto a versare, si deve ritenere all'I.N.P.S., la quota dei contributi agevolati, cioè dei contributi risparmiati dal datore di lavoro in forza della stipula del contratto di apprendistato in riferimento al livello in cui era stato inquadrato il lavoratore apprendista, maggiorati del 100 per cento.
La sanzione irrogata però non esaurisce le reazioni dell'ordinamento a un uso non conforme dei diversi tipi di apprendistato.
Infatti è ipotizzabile che:
- gli enti preposti alla verifica del corretto adempimento degli obblighi posti dal legislatore in sede di stipula del contratto in oggetto possano contestare al datore di lavoro il venir in essere di un rapporto di lavoro di livello diverso a quello per il quale si era provveduto a pagare i contributi previdenziali, con la conseguenza che il datore di lavoro dovrà provvedere a integrare il differenziale contributivo, sin dal momento in cui è sorto il rapporto di lavoro, e a pagare su di esso le corrispondenti sanzioni civili;
- lo stesso lavoratore impugni il proprio inquadramento operato sulla scorta del contratto di apprendistato e conseguentemente ottenga l'inquadramento nel livello superiore, ne conseguirà, sotto l'aspetto previdenziale, il sorgere in capo al datore di lavoro del corrispondente obbligo contributivo e delle sanzioni civili connesse all'inadempimento.
 

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Ulteriore forma di contratto formativo (assegnando al termine un'espressione ampia che consenta di comprendere in esso il contratto in esame) è il contratto di lavoro di inserimento che ha per fine quello di realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di una serie predeterminata di categorie di persone.
Si tratta di un contratto a termine da stipulare a pena di nullità in forma scritta, quale regola generale non può andare al di là di diciotto mesi e in ogni caso non meno di nove mesi, alle quali si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni dettate dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.
La nullità del contratto, per mancanza della forma scritta, comporta il sorgere di un contratto a tempo indeterminato ai quali si connettono i naturali effetti contributivi.
La disciplina previdenziale, nella specie quella agevolativa, è anch'essa il frutto di un richiamo da parte del legislatore delegato, in attesa della riforma degli incentivi all'occupazione, della legislazione previgente in materia di contratto di formazione e lavoro ma con esclusione dei contratti di inserimento stipulati con soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni.
Si osservi però che il contratto in questione è validamente posto in essere solo dopo la definizione, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento.
Al pari dei lavoratori apprendisti, i lavoratori con contratto di inserimento sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti, con ovvii riflessi anche nel campo previdenziale,
Contrariamente al contratto di apprendistato, nulla è detto sugli effetti del mancato adempimento degli obblighi latamente formativi da parte del datore di lavoro con riguardo alla fruizione dei benefici previdenziali, che si rammenti sono quelli dei vecchi contratti di formazione e lavoro, connessi alla stipula dei contratti di inserimento.
Mentre si può escludere l'applicazione della regola speciale introdotta dal secondo periodo del terzo comma dell'art. 53, regola applicabile ai soli contratti di apprendistato, all'opposto deve ritenersi applicabile la disciplina generale che preclude la fruizione dei benefici previdenziali ogniqualvolta il datore di lavoro non adempia al proprio obbligo.
A tale diniego di concessione si connette il sorgere altresì dell'obbligazione contributiva nella misura in cui sarebbe sorta se si fosse posto in essere un ordinario rapporto di lavoro avente a oggetto le mansioni concretamente svolte dal lavoratore.
Ancora, al pari che nel contratto di apprendistato, al lavoratore si deve riconoscere il potere di contestare il sottoinquadramento permesso dal legislatore se, contrariamente alle aspettative legislative e proprie, nel concreto espletarsi del rapporto vi è stato un inadempimento degli obblighi assunti da parte del datore di lavoro.
Tale contestazione, se sortisce l'effetto desiderato, comporterà il sorgere in capo al datore di lavoro del corrispondente obbligo contributivo.
Concettualmente fuori da questo tipo di rapporto di lavoro si pongono i tirocini formativi, anche se collocati nello stesso luogo, e per i quali non sorge obbligo contributivo all'I.N.P.S..
 

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Il lavoro a progetto e i lavori occasionali rappresentano il punto di passaggio dai rapporti di lavoro subordinato a quelli autonomi.
Il primo tipo di rapporto - nel quale non si annoverano le prestazioni occasionali e cioè quei rapporti di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dello stesso anno solare con lo stesso committente, a meno che il compenso complessivamente percepito nell'indicato lasso temporale sia superiore a 5 mila € - sotto il profilo investigato trova una specifica disciplina solo con riguardo alle prestazioni (art. 66), all'interno di questa disciplina si afferma esplicitamente l'applicazione nei confronti dei rapporti di lavoro disciplinati della disciplina contenuta nel primo comma dell'art. 51 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 e del decreto ministeriale del 12 gennaio 2001.
Il richiamo implicito alla gestione separata istituita per i collaboratori coordinati e continuativi consente di ulteriormente suffragare l'opzione ermeneutica in favore della necessaria iscrizione a tale gestione dei lavoratori chiamati a svolgere l'attività delineata nel precedente art. 61.
Lo stesso legislatore disciplina le anomalie prevedendo la conversione del contratto nel corrispondente contratto di lavoro subordinato con l'ovvia conseguenza, con riguardo al versante previdenziale, della nascita dell'obbligo contributivo quale lavoratore dipendente e delle corrispondenti sanzioni civili.
In connessione, quanto meno topografica, con il lavoro a progetto si pongono le prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti, intendendosi per tali le attività che coinvolgono il lavoratore per una durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare e che, in ogni caso, non danno complessivamente luogo a compensi superiori a 3 mila euro sempre nel corso di un anno solare.
La figura di rapporto di lavoro, di non facile lettura, prevede per quel che interessa, il pagamento da parte del datore di lavoro (un fariseismo verbale conduce il legislatore a parlare di beneficiari delle prestazioni di lavoro accessorio [art. 72, primo comma]) della prestazione tramite la consegna al lavoratore di un buono il cui valore nominale è di 7,5 euro.
Il buono è consegnato dal prestatore d'opera che lo ha ricevuto alle società concessionarie alla riscossione dei buoni, queste ultime:
- erogano l'importo di euro 5,8 al portatore;
- provvedono alla individuazione del lavoratore e per conto dello stesso al versamento di un euro presso la gestione separata, nonché al versamento di 50 centesimi all'I.N.A.I.L.;
- trattiene, a titolo di rimborso spese, 20 centesimi.
La prima ed estemporanea osservazione è di tipo economico e riguarda l'estrema esiguità della contribuzione, esiguità che non lascia presagire alcuna forma reale di tutela pensionistica in un modello contributivo quale è l'odierno.


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Disposizioni previdenziali si ritrovano ancora all'interno dell'art. 86, ultimo degli articoli del testo legislativo.
Il secondo comma disciplina l'eventuale utilizzo illecito del contratto di associazione in partecipazione, con la conseguenza che, una volta accertata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro è tenuto al versamento della contribuzione spettante in favore di un lavoratore subordinato, oltre che delle sanzioni civili.
Questa disciplina dell'anomalia del rapporto si pone in connessione con la disciplina fisiologica del rapporto medesimo, sempre sotto il versante previdenziale, contenuta nello articolo 43 della legge 24 novembre 2003, n. 326 di conversione con modificazioni del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269.
La disciplina a regime prevede, a decorrere dal primo gennaio 2004, l'iscrizione, di coloro che conferiscono prestazioni lavorative nell'ambito di un'associazione in partecipazione, con esclusione di chi è iscritto in albi professionali, in un'apposita gestione istituita presso l'I.N.P.S.
Il decimo comma, nell'aggiungere le lettere b-bis) e b-ter) all'ottavo comma dell'art. 3 del decreto legislativo in materia di attuazione della direttiva 92/57/CEE. concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili, prevede, fra l'altro, il rilascio da parte degli enti previdenziali, o in loro sostituzione da parte delle casse edili previa stipula di convenzione di questa con quelli, di un certificato di regolarità contributiva.
 


4. Funzioni ispettive e tutela previdenziale

L'esame della legislazione che trova, o che si assume trovi le sue radici nei citati Libri Bianchi, come accennato all'inizio di questo scritto, si conclude con l'emanando decreto legislativo in tema di ispezioni previdenziali, schema di decreto al quale si dedicherà una sintetica e sommaria esposizione, sempre limitatamente agli aspetti contributivi.
Lo schema di decreto legislativo è composto di 20 articoli, suddivisi in cinque Titoli.
La disposizione di immediato rilievo nella nostra materia, si trova nel Titolo II, che concerne le competenze delle direzioni del lavoro, ed è l'art. 11 in tema di conciliazione monocratica.
L'articolo prevede l'esperimento discrezionale del tentativo di conciliazione da parte della Direzione provinciale del lavoro nella sola ipotesi che siano coinvolti diritti disponibili dei lavoratori, e qualora dovesse pervenirsi a una conciliazione tra le parti si prevede l'estinzione del procedimento ispettivo al momento del pagamento dei contributi previdenziali e assicurativi, contributi da parametrarsi sulle somme concordate fra le parti.
L'effetto della conciliazione sul piano previdenziale rappresenta un'esplicita formalizzazione legislativa di quel che accade ordinariamente allorquando le parti del rapporto di lavoro sottoscrivono una transazione, le somme erogate in forza di quest'ultima sono ritenute soggette all'ordinaria contribuzione obbligatoria dovuta.
La norma però, non incidendo sul generale potere ispettivo, consente agli organi ispettivi, non coinvolti nella transazione, di procedere ad accessi ispettivi per la verifica del dipanarsi della concreta fattispecie al fine eventuale di procedere al recupero delle eventuali omissioni contributive a nulla rilevando la transazione fra le parti.
La soluzione qui prospettata si pone, fra l'altro, in linea di continuità con la soluzione che, sino a oggi, è stata accolta sul piano amministrativo e giudiziario. Soluzione in forza della quale è in potere degli enti previdenziali coltivare la propria azione di recupero dei contributi e dei premi evasi, ovviamente a condizione che gli stessi provino gli elementi costitutivi del diritto vantato.
Si osservi, facendo un passo indietro e tornando allo schema di decreto delegato, che tali aspetti previdenziali non sono afforntati nella stessa relazione illustrativa allo schema di decreto dove si legge che "l'articolo 11 introduce la possibilità di anteporre la fase conciliativa a quella ispettiva ma solo nel caso in cui nelle richieste di intervento emergano profili di tutela di diritti disponibili. In tal modo, infatti, le parti convocate, ed eventualmente assistite da associazioni od organizzazioni sindacali ovvero da professionisti cui abbiano conferito specifico mandato, in caso di accordo sottoscrivono il verbale che acquista efficacia di titolo esecutivo. In caso di mancata conciliazione, invece, la Direzione provinciale del lavoro prosegue gli accertamenti ispettivi.
Analoga procedura di conciliazione potrà aver luogo durante la verifica ispettiva qualora l'ispettore ritenga che emergano profili di tutela di diritti disponibili.
L'attivazione di tale procedura interrompe i termini di contestazione e notificazione di cui all'art. 14 della legge n. 689/81 fino alla conclusione del procedimento conciliativo."

 

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(1)  Il presente scritto corredato dell'apparato bibliografico e delle note è stato pubblicato sulla rivista "Il Diritto del Mercato del Lavoro, 2004", nn. 1-2 ,  p. 423 e ss.