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 Affidamento alle contrali di committenza: appalto o concessione? La direttiva 2004/18/Ce torna e legittimare la concessione di committenza nei lavori pubblici

 

DANIELA PETTINATO
 


Tra gli aspetti di rilievo della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, entrata in vigore in data 30 aprile 2004, va segnalata l'introduzione di organismi creati per centralizzare le committenze.

Detti organismi, per essere definiti "centrali di committenza" ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 10, della direttiva, devono soddisfare due condizioni:

a) essere amministrazioni aggiudicatrici;
b) acquistare forniture e servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici ovvero aggiudicare appalti pubblici o concludere accordi quadro di lavori, forniture, servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici.

Trovano così legittimazione nel diritto comunitario esperienze sviluppate in singoli Stati (per quanto concerne l'Italia, il "modello Consip", cioè il sistema di acquisto centralizzato di beni e servizi da parte delle Amministrazioni pubbliche introdotto con l'articolo 26 della legge n. 488/1999).

Il ricorso a centri unici di imputazione di appalti non è un obbligo: è rimessa alla facoltà dei singoli Stati darvi ingresso nei loro ordinamenti (cfr. considerando n. 16).

Ciò premesso, occorre ora chiarire se l'affidamento alle "centrali di committenza" concretizzi un appalto di servizi o una concessione di servizi.

Nel corso degli anni, sull'istituto della concessione si è assistito ad un progressivo avvicinamento tra l'ordinamento comunitario e quello interno, "da una parte (fronte europeo) con il riconoscimento esplicito che la "concessione" non era solo quella "dei lavori", e poteva basarsi o consistere anche in un atto autoritativo, pur se continuava ad essere qualificata "contratto"; e da altra parte (fronte italiano) con il sostanziale adeguamento della normativa a quella europea"

Prima della direttiva 2004/18/CE, che introduce la definizione di concessione di servizi (art. 1, par. 4), salvo poi escludere per detta figura l'assoggettamento alla sua normativa (art. 17), l'ordinamento comunitario conosceva la sola definizione della concessione di lavori. Si deve però tener presente che già da quanto si evince dal "Progetto di comunicazione interpretativa della Commissione su: le concessioni nel diritto comunitario degli appalti pubblici" del 24 febbraio 1999, elaborato dalla Commissione Europea - Direzione Generale XV - Mercato interno e servizi finanziari - Politica degli appalti pubblici - pur nel silenzio della direttiva 92/50/CEE, che non conteneva una definizione della nozione di concessione di servizi, gli elementi distintivi propri della nozione di concessione di lavori, definita dal legislatore comunitario nella direttiva 93/37/CEE, sono comuni anche alla nozione di concessione dei servizi: "una concessione, infatti, riveste le stesse caratteristiche distintive indipendentemente dall'oggetto che le è proprio".

Pertanto, "come per le concessioni di lavori, il criterio della gestione costituisce una caratteristica essenziale per determinare se si è in presenza di una concessione di servizi. In virtù di questo criterio, nella concessione di servizi l'imprenditore assume il rischio di gestione del servizio remunerandosi per una parte significativa presso l'utente, in particolare mediante la riscossione di canoni, sotto qualsiasi forma"; se il rimborso dei finanziamenti è assicurato dall'Amministrazione senza l'alea connessa alla gestione, l'elemento rischio verrebbe meno ed il contratto dovrebbe essere considerato come appalto e non come concessione.

Detto orientamento è stato ribadito nella "comunicazione interpretativa della Commissione europea sulle concessioni" del 12 aprile 2000 (GUCE 121/5 del 29 aprile 2000) nonché nella circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche Comunitarie 1° marzo 2002, n. 3944.

Tenuto presente il summenzionato elemento distintivo dell'assunzione del rischio di gestione in dipendenza del carattere non certo della remunerazione, la mancata previsione nella direttiva dell'obbligo di gara per l'affidamento alla centrale di committenza può trovare giustificazione nel rinvio alla libertà dei singoli Stati di instaurare il rapporto giuridico con dette Centrali in termini di appalto, con conseguente assoggettamento alle regole della direttiva, ovvero di concessione (di servizi), con esclusione dell'applicabilità della direttiva medesima.

Per quanto concerne il diritto interno, la dottrina tradizionale - come peraltro ricordato nella citata circolare n. 3944 del 1° marzo 2002 - allo scopo di tracciare la distinzione tra l'appalto di servizi e la concessione di servizi pubblici, ha individuato dei criteri utilizzabili, quali:

a) il carattere surrogatorio dell'attività svolta dal concessionario di pubblico servizio contrapposta all'attività di mera rilevanza economica svolta dall'appaltatore nell'interesse del committente pubblico;
b) la natura unilaterale del titolo concessorio di affidamento del servizio pubblico, che si contrappone al carattere negoziale dell'appalto;
c) il trasferimento di potestà pubbliche in capo al concessionario;
d) l'effetto accrescitivo tipico della concessione.

Si sottolinea, altresì, che ai sensi dell'art. 97 della Costituzione, è la legge, unica fonte istitutiva degli uffici e degli enti pubblici, che assolve all'esclusiva funzione di distribuzione delle competenze. Ciò comporta che il trasferimento di compiti pubblicistici non può avvenire se non in forza di una norma che legittimi tale trasferimento.

Infine, nella predetta circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche Comunitarie 1° marzo 2002, n. 3944, si osserva, tra l'altro, che l'appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell'Amministrazione, mentre la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale, che interessa l'Amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio, sui quali grava il costo dello stesso.

Ciò posto, se si prende in esame il sistema nazionale di acquisto centralizzato di beni e servizi, l'affidamento alla Consip S.p.A., società totalmente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, del servizio di gestione, per conto dello Stato, delle procedure concorsuali per la individuazione dei contraenti per la stipula delle convenzioni quadro (previste dagli artt. 26, legge n. 488/1999, e 58, legge n. 388/2000), a dispetto della originaria ragione sociale dell'affidataria (Consip-Concessionaria Servizi Informativi Pubblici S.p.A.), configura un appalto di servizi, se pure del tipo "in house", per usare il linguaggio della giurisprudenza comunitaria.


Fatta eccezione per la natura unilaterale del titolo di affidamento (decreti ministeriali 24 febbraio 2000 e 2 maggio 2001), nel rapporto giuridico Ministero-Consip, regolamentato da Convenzione, sono assenti tutti gli altri criteri distintivi sopra menzionati, primo fra tutti la trilateralità del rapporto e la correlata alea connessa alla gestione del servizio, atteso che la Convenzione in essere tra il Ministero e la Consip S.p.A. prevede a carico dell'Amministrazione affidante la remunerazione delle attività svolte per conto della stessa.

Per quanto concerne, invece, la materia dei lavori pubblici, si ricorda che prima dell'entrata in vigore della legge n. 109/1994 - che ha influito in modo rilevante sulle figure di concessione ammissibili in materia di opere pubbliche - il nostro ordinamento prevedeva la concessione di committenza, per effetto della quale il concessionario si sostituiva alla P.A. nella funzione di stazione appaltante, assumendo tutti gli obblighi ed i poteri dell'amministrazione (progettazione dell'opera, espropriazioni necessarie, acquisizione dei permessi amministrativi nonché espletamento delle gare per l'individuazione dell'appaltatore). L'attività del concessionario era remunerata con una percentuale sull'importo di tutti i lavori.

Allo stato, mentre la direttiva 2004/18/CE introduce la "centrale di committenza" anche in materia di lavori pubblici, il nostro diritto ha eliminato nella predetta materia la figura della concessione di committenza, non più compatibile con l'art. 19, comma 3, legge n. 109/1994, il quale stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici non possono affidare a soggetti pubblici o di diritto privato l'espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori, anche se, sulla base di apposito disciplinare, le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare le funzioni di stazione appaltante ai provveditorati provinciali delle opere pubbliche o alle amministrazioni provinciali.

Pertanto, se è pur vero, come sopra ricordato, che è rimesso alla facoltà dei singoli Stati dell'Unione Europea dare ingresso alla "centrale di committenza" nei loro ordinamenti, in Italia, l'abolita figura della concessione di committenza nei lavori pubblici, attesa l'avvenuta legittimazione comunitaria, potrebbe essere reintrodotta con apposita disposizione legislativa in sede di recepimento della direttiva 2004/18/CE.