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Nota a margine di Cons. Stato, sez. IV, ord. 11 maggio 2004, n. 2180
 

Mario D'Arienzo

 

Brevi note a margine di Cons. Stato, sez. IV, ord. 11 maggio 2004, n. 2180: è valutabile dal giudice amministrativo la fondatezza della domanda di condono riguardante immobili dichiarati di pubblica utilità, ai fini dell'obbligatoria sospensione dei procedimenti ex art.32 D.L. 269/03?

L'ordinanza in commento1 manifesta un evidente contrasto di orientamenti fra le ultime pronunce del Consiglio di Stato in tema di sospensione dei procedimenti in seguito a domanda di condono edilizio.

Nel caso di specie, il ricorrente aveva impugnato dinanzi al TAR TOSCANA un provvedimento comunale che gli intimava lo sgombero da un immobile abusivo, utilizzato come sua abitazione già prima che fosse acquisito al patrimonio comunale e dichiarato di pubblica utilità ex art. 7 L. 47/85.

Proposta successiva domanda di condono dell'immobile abitato, il medesimo ricorrente chiedeva, in via cautelare, la sospensione dell'imminente sgombero, atteso che l'accoglimento dell'istanza di sanatoria gli avrebbe assicurato i benefici previsti dall'art. 39, 19° comma L. 724/94, richiamato dall'art. 32 D.L. 269/03, fermo restando, comunque, l'obbligo di sospensione "dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali e la loro esecuzione" di cui all'art. 44 L. 47/85, pure richiamato2.

L'adito TAR rigettava la cautela richiesta con ordinanza n. 335/043 opinando che:"il bene, già dichiarato di interesse pubblico ed entrato nel patrimonio indisponibile con delibera del C.C. del 17 luglio 2000, non può ritenersi "condonabile", non potendosi allo stato, prescindere dall'attuale destinazione del bene".

A sua volta il Consiglio di Stato ha respinto l'interposto appello cautelare, con l'ordinanza in commento, "dovendosi ritenere che la condonabilità è impedita, ai sensi del comma 19 dell'art. 39 L. 724/94 (richiamato dall'art. 32 D.L. 269/03) dai diritti acquisiti dal Comune nel caso di opere abusive destinate ad attività pubblica".

Ebbene, nessuno potrà negare che la IV Sezione, dichiarando sostanzialmente l'infondatezza della proposta domanda di condono - ancor prima, si badi bene, che il Comune resistente emanasse un provvedimento di diniego - ha violato la c.d. "riserva di funzione amministrativa"4, sconfessando tra l'altro la recente decisione della V sezione 3 marzo 2004, n. 10375 dove, all'esatto contrario, si era statuito che: "la sospensione dei giudizi e dei procedimenti amministrativi prevista dalla legge statale non è condizionata dall'entrata in vigore della normativa regionale. Tale disciplina, che prevede la sospensione automatica dei giudizi e dei procedimenti amministrativi di carattere sanzionatorio, ha una sua giustificazione razionale, costituita dall'esigenza di assicurare comunque un congruo spazio temporale per valutare la portata della nuova normativa e i suoi effetti sui procedimenti sanzionatori amministrativi in corso.

Spetterà all'interessato decidere se attivare o meno il procedimento di condono introdotto dalla normativa statale, e all'amministrazione competerà la determinazione di stabilire se l'opera sia o meno sanabile, tenendo conto delle regole portate dalla legge regionale nel frattempo entrata in vigore.

In questa sede, quindi, non è consentito al giudice di affermare, nemmeno in via incidentale, che non si deve sospendere il giudizio, perché l'opera non è sanabile".

E' bene rilevare, tuttavia, che all'evidenziato difetto assoluto di giurisdizione6, per superamento dei c.d. "limiti esterni", si unisce nel caso di specie - sotto il diverso e non meno importante profilo del diritto sostanziale - l'immotivata e censurabile deroga ai principi già espressi da Corte cost. 12 settembre 1995, n. 427 proprio con riguardo all'art. 39, 19° comma L. 724/94.

Come è noto, infatti, la Consulta aveva ritenuto che: "Nei casi di acquisizione gratuita di opere abusive al patrimonio comunale, che deriva, ex art. 7 della legge n. 47 del 1985, dalla mancata demolizione dell'opera nel termine di novanta giorni dalla relativa ordinanza sindacale, l'art. 43 della legge stessa consente la sanatoria nonostante che, ad avviso del giudice a quo, il responsabile dell'abuso non sia più proprietario del bene. Parimenti, l'art. 39 della legge n. 724 del 1994, al comma 19, con esclusione dei casi in cui le opere abusive non demolite siano state destinate ad attività di pubblica utilità, e fatti salvi eventuali diritti di terzi sugli immobili, dispone che il proprietario che abbia adempiuto gli oneri previsti per la sanatoria, ha diritto ad ottenere l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale. Si verificherebbe, pertanto, ad avviso del giudice a quo, una sorta di espropriazione senza corrispettivo a danno del comune.

La normativa sarebbe, inoltre, affetta da irragionevolezza, in quanto consentirebbe ad un soggetto, che non è più titolare di un diritto, di farlo valere contro chi ne è titolare, sulla base, tra l'altro, della semplice esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione delle domande di sanatoria, senza alcuna certezza sull'esito favorevole della domanda stessa.

La questione non è fondata. L'interpretazione del giudice a quo, secondo la quale l'acquisizione gratuita al patrimonio pubblico comunale delle opere abusive si verificherebbe, senza che occorrano altri requisiti oggettivi, quando sia decorso il termine, fissato dalla legge, di novanta giorni dalla notificazione dell'ordinanza sindacale di demolizione, è tutt'altro che univoca.

La Corte di cassazione ha, di recente, esplicitamente affermato che la definitività dell'ordinanza sindacale di demolizione costituisce solo titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari da parte dell'ente territoriale, mentre la procedura ablatoria si completa solo con l'avvenuta trascrizione del titolo e con la effettiva acquisizione materiale del bene al patrimonio comunale. Del resto, la stessa giurisprudenza amministrativa ha escluso che perfino la trascrizione del provvedimento costituisca di per sè preclusione al condono edilizio. In realtà, in presenza di procedimenti in corso relativi a provvedimenti sanzionatori edilizi, è sufficiente, perchè si possa ottenere la sanatoria (fermi gli altri presupposti generali), in via alternativa o che non sia intervenuta l'esecuzione (da intendersi completa ed integrale), ovvero che i provvedimenti sanzionatori siano ancora impugnabili, ovvero che vi sia ricorso pendente.

La verità è che, come già ritenuto dalla Corte (sentenza n. 345 e ordinanza n. 82 del 1991), la previsione della acquisizione gratuita al patrimonio del comune della costruzione abusiva e dell'area sulla quale essa insiste, in caso di inottemperanza all'ordinanza di demolizione, ha carattere sanzionatorio, rappresentando la reazione dell'ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, eseguita un'opera abusiva, non adempie l'obbligo di demolirla. Di conseguenza, in quanto provvedimento sanzionatorio, la confisca resta soggetta, sotto il profilo dei fatti impeditivi della sanatoria, alla disposizione di cui all'art. 43, primo comma, della legge n. 47 del 1985 (tenuto conto dell'interpretazione autentica data dall'art. 12-bis del d.l. 12 gennaio 1988, n. 2 introdotto dalla legge di conversione 13 marzo 1988, n. 68). Lo stesso legislatore, peraltro, pone un limite al suo potere discrezionale di escludere l'applicabilità di tale sanzione, attribuendo preminenza all'interesse pubblico quando l'interesse privato alla concessione del condono venga a trovarsi in conflitto con questo, e cioè quando si sia già verificata una effettiva destinazione del bene ad una attività di pubblica utilità7. In ogni caso, poi, la stessa legge fa salvi i diritti dei terzi sugli immobili (art. 39, comma 19). In tale situazione, deve escludersi che la discrezionalità legislativa sia stata esercitata in modo irragionevole".

Ne deriva, in conclusione, che prima di superare a piè pari anche tali fondamentali principi, il Collegio giudicante, se è pur vero che le sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale non sono vincolanti8, meglio avrebbe fatto - una volta esclusa la sussistenza del fumus cautelare, per quanto corroborato dall'autorevole "precedente" in parola - a riproporre la questione di costituzionalità della norma in esame, anche per evitare le ulteriori disparità di trattamento che si sono create e si creeranno, di fatto, per tutte le "condonabilità", favorevolmente, o meglio giustamente, dichiarate in ossequio all'anzidetta pronuncia della Consulta9.

1Rinvenibile in giustizia-amministrativa.it;
2Sulla cui ratio cfr. da ultimo l'ampia motivazione di Tar Campania, Napoli - sez. III, 26/4/2004, n. 7175, in www.giustizia-amministrativa.it;
3In www.giustizia-amministrativa.it;
4In argomento cfr. da ultimo Pagano, Meditando sul condono: approcci giurisprudenziali in tema di sanatoria edilizia, in www.LexItalia.it, n.5/04, anche con riferimento alla giurisprudenza penale;
5In www.giustizia-amministrativa.it; nonché in LexItalia.it, n. 3/04;
6Sindacabile dinanzi alle Sezioni unite della Cassazione ex art. 111, ult. comma Cost., compito di quest'ultime essendo appunto "quello di censurare l'eventuale sconfinamento dell'organo giurisdizionale dai suoi limiti esterni e, specificamente, l'invasione del campo riservato ai poteri della pubblica amministrazione ossia l'assunzione di poteri di cognizione e di decisione non attribuiti dalla legge (Cass. 7 febbraio 1970 n. 285). Ciò si verifica, tra l'altro, nel caso in cui il Consiglio di Stato incorra nell'eccesso di potere giurisdizionale, ossia quando esso passi dalla giurisdizione di legittimità a quella di merito, valutando l'opportunità dell'atto impugnato, ovvero stabilendo propri criteri valutativi oppure quando la sua decisione finale appaia autoesecutiva, ossia interamente sostitutiva, compresi gli apprezzamenti discrezionali, delle determinazioni della pubblica amministrazione…"(così Cass. Sez. un., 15 marzo 1999, n. 137).
7In tal senso la sentenza della Consulta sembra aderire, implicitamente, al consolidato orientamento giurisprudenziale (per tutte Cass., Sez. un., 23/6/1993, n. 6950; Cass., Sez. un., 2/12/1996, n. 10733; Cass., Sez. un., 15/7/1999, n. 391) secondo il quale, per ritenere "pubblico"un bene ed assoggettarlo al relativo regime, non basta il provvedimento della P.A. che lo definisca tale, ma occorre altresì la sua concreta destinazione al servizio pubblico.
8In argomento cfr. da ultimo Cass., Sez. un. pen., 17 maggio 2004, in www.LexItalia.it, n. 5/04;
9Per la giurisprudenza di merito cfr. TAR Puglia, Bari - sez. II, 3/2/2000, n. 448, in www.giustizia-amministrativa.it, che in ordine ad immobili abusivi destinati ad impianti sportivi comunali ha "escluso che alla formazione del silenzio-assenso possa ostare l'intervenuta acquisizione gratuita e la declaratoria dei prevalenti interessi pubblici all'utilizzazione dei manufatti, evidenziandosi che, a tenore dell'art. 39 comma diciannovesimo della legge n. 724/1994 (che consente per le opere divenute sanabili di ottenere l'annullamento dell'acquisizione al patrimonio comunale e la cancellazione delle relative trascrizioni), nell'interpretazione costituzionalmente adeguata fornitane dalla Corte Costituzionale con sentenza 12.9.1995, n. 427, deve ritenersi ostativa l'intervenuta destinazione ad attività di pubblica utilità entro la data del 1° dicembre 1994, da intendersi, però, secondo la Consulta, come "effettiva destinazione del bene ad una attività di pubblica utilità", e non essendo quindi sufficiente la mera declaratoria dei prevalenti interessi pubblici quando non consti l'effettiva e concreta utilizzazione a fini pubblici, che nella specie non risulta essere avvenuta".