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Note in tema di esecuzione specifica del contratto preliminare di lavoro

Antonino Sgroi


1. La fattispecie - 2. Le decisioni e i presupposti di fatto delle sentenze in ambito lavoristico - 3. Ricognizione delle posizioni della dottrina in ambito civilistico - 4. Ricognizione della giurisprudenza civilistica - 5. Prospettazione di un'ipotesi solutoria.

 

1. La fattispecie
 

La decisione in commento (*) si pone in linea con la giurisprudenza di legittimità sul punto, giurisprudenza che, dopo avere riconosciuto l'esperibilità teorica del rimedio previsto dall'art. 2932 codice civile, ha, nell'esame delle singole fattispecie sottoposte al suo vaglio di legittimità, disconosciuto che la disposizione potesse sortire effetto di sorta in forza dell'assunta indeterminabilità dell'oggetto del contratto preliminare, indeterminabilità da porsi in connessione con l'inciso "…qualora sia possibile…" dell'art. cit.

La lettura della decisione, con riguardo alla concreta fattispecie, evidenzia i seguenti elementi:
a) precedente sentenza passata in giudicato del 7 marzo 1994 ove si riconosceva l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra il sig. Barberis e la società Vamatex;
b) precedente stipula, in data 24.7.1992, di accordo sindacale fra le OO. SS. e la Prometech, società a cui la Vamatex aveva ceduto l'azienda, ove la società assumeva l'obbligo di assumere tutti i dipendenti della Vamatex;
c) lo stipulato accordo sindacale garantiva "…a tutti i lavoratori che chiederanno il passaggio il mantenimento delle condizioni salariali e normative precedentemente acquisiti in Vamatex attraverso accordi nazionali e individuali…"
d) inadempimento dell'obbligo di assunzione da parte della Prometech.

La Suprema Corte, sulla scorta dei citati elementi di fatto, a cui se ne aggiunge altro inserito nel corso della motivazione e impossibile da verificare, cioè "…obbligo di inserimento in una realtà aziendale del tutto diversa…" - sempre che con questa espressione il collegio volesse indicare che le due società, la cedente e la cessionaria, svolgessero attività differenti e non che si fosse davanti a due realtà giuridiche diverse fra loro (quest'ultima opzione interpretativa, se vera, non pare possa avere alcun valore dirimente per la risoluzione della controversia e per la soluzione accolta) -, e rifacendosi, con menzione esplicita, a tre precedenti della stessa (assunti a mera esemplificazione di un trend giurisprudenziale costante sul punto), ripete quel che appare essere una formula stereotipata, formula con la quale, di fatto, si ha l'impossibilità da parte del lavoratore di ottenere sentenza costitutiva direttamente del diritto che si sostituisca al contratto definitivo il cui obbligo di stipula era convenuto nel precedente contratto preliminare.

Le massime delle tre decisioni, in seno alla motivazione, citate così recitano:
a) "L'obbligo di costituire il rapporto di lavoro tra le parti, assunto contrattualmente, non è suscettibile di esecuzione in forma specifica quando non risultino indicati gli elementi essenziali del contratto da stipulare, non potendo il giudice sostituirsi alle parti nel determinarne il contenuto (nella specie, la scrittura privata intercorsa tra il dirigente e la società prevedeva un generico "obbligo di reinserimento", privo di specifico contenuto circa il concreto atteggiarsi del nuovo rapporto di lavoro)." (Cassazione, 13 giugno 2002, n. 8489);
b) "Il sistema delle assunzioni obbligatorie è strutturato in modo tale da dar luogo all'obbligo del datore di lavoro di stipulare il contratto con gli invalidi avviati dall'Uplmo, ma non alla costituzione automatica e autoritativa del rapporto, la cui nascita richiede necessariamente l'intervento della volontà delle parti ai fini della concreta specificazione del suo contenuto in ordine ad elementi essenziali quali la retribuzione, le mansioni, la qualifica; ne consegue che, ove l'obbligo del datore di lavoro rimanga inadempiuto, il lavoratore non può esperire il rimedio dell'esecuzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c., ma ha (soltanto) diritto all'integrale risarcimento dei danni, ossia al ristoro delle utilità perdute per tutto il periodo del protrarsi di detto inadempimento." (Cassazione, 16 maggio 1998, n. 4953);
c) "L'atto di avviamento dell'Uplmo non determina la costituzione automatica o autoritativa del rapporto di lavoro, ma fa sorgere soltanto l'obbligo, a carico del datore di lavoro ed in favore del lavoratore, di stipulare il relativo contratto, obbligo che non è suscettibile di esecuzione in forma specifica, in quanto è lasciato alla autonomia delle parti la determinazione di molteplici ed essenziali elementi quali la qualifica, le mansioni, la retribuzione ed il periodo di prova; l'inosservanza di tale obbligo costituisce fonte di responsabilità, non già precontrattuale o aquiliana, ma contrattuale cui deve essere ricondotta ogni ipotesi di inadempimento di uno specifico obbligo (legale o contrattuale) preesistente; consegue che il datore di lavoro inadempiente deve risarcire il danno che, secondo il disposto dell'art. 1223 c.c., deve comprendere sia il danno emergente che il lucro cessante, da commisurarsi alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito in caso di assunzione, salva la prova - a carico del debitore - di eventuali fatti limitativi della sua responsabilità ai sensi degli art. 1223 e 1227 c.c." (Cassazione, 24 ottobre 1991, n. 11284).

La lettura delle tre massime menzionate porta a evidenziare che l'assunta unitarietà del principio si disaggrega dinanzi a tre fattispecie non omologhe a quella esaminata dal collegio e, si aggiunga, la massima della decisione del 2002 non è strutturalmente sovrapponibile al principio di diritto affermato nella decisione in commento e divenuto massima della stessa.
Con riguardo al primo versante può rilevarsi - rinviando la lettura delle tre decisioni al momento in cui si tenterà una ricostruzione, nei limiti della presente trattazione, degli orientamenti giurisprudenziali nella materia investigata - che:
a) la sentenza del 2002, quella più vicina sotto il profilo fattuale all'odierna, riguardava un'ipotesi di contratto intercorso fra la società e il dipendente interessato senza alcun coinvolgimento delle associazioni sindacali;
b) la sentenza del 1998 atteneva a una fattispecie di collocamento obbligatorio di invalidi;
c) l'ultima delle decisioni, quella del 1991, riguardava anch'essa, al pari della precedente, un'ipotesi di avviamento al lavoro da parte dell'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione (U.P.L.M.O.) ma di un lavoratore tout court.
Con riguardo al secondo aspetto e limitatamente alla decisione del 2002, un confronto, di primo acchito, fra la massima di questa sentenza e la massima della sentenza in commento porta a evidenziare che mentre per questa decisione è necessaria, ai fini della concreta esperibilità dell'art. 2932 cod. civ., la compiuta indicazione di tutti gli elementi del contratto, anche nei dettagli, all'opposto in quella decisione si parla di indicazione degli elementi essenziali del contratto da stipulare e non si richiede pertanto l'indicazione nel contratto preliminare anche dei dettagli del contratto definitivo da stipulare.

Esaurita la ricognizione dei tratti salienti della decisione in commento si può ora progredire nell'indagine al fine di individuare quali sono le concrete fattispecie lavoristiche ove i giudici sono stati chiamati ad applicare la disposizione dell'art. 2932 del codice civile e quale sia la relazione fra le soluzioni accolte in questo campo e gli approdi a cui è pervenuta sempre la giurisprudenza allorché è stata chiamata ad applicare il citato articolo in materia diverse dalla lavoristica.


2. Le decisioni e i presupposti di fatto delle sentenze in ambito lavoristico
 

Le concrete fattispecie sottoposte al vaglio giurisprudenziale possono essere ricondotte a quattro ipotesi:
a) inadempimento del datore di lavoro di assumere il lavoratore disabile inviato dall'ufficio di collocamento, al cui interno si pone la fattispecie più generale riguardante l'avviamento di tutti i lavoratori;
b) inadempimento dell'obbligo di assunzione, legalmente fissato, da parte delle società controllate dalla GEPI per il reimpiego di lavoratori licenziati da imprese in crisi;
c) inadempimento del datore di lavoro di assumere il lavoratore nonostante l'obbligo di assunzione sia stato assunto a seguito di accordo intervenuto fra le OO. SS. e il datore medesimo;
d) inadempimento del datore di lavoro di assumere il lavoratore nonostante l'obbligo di assunzione scaturisca da un contratto preliminare fra i medesimi soggetti.

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La prima delle tre ipotesi, mancata assunzione del soggetto disabile avviato obbligatoriamente dall'ufficio di collocamento, è quella che, statisticamente, risulta essere stata più volte portata davanti ai giudici.
I giudizi vertevano sull'applicazione della disciplina dettata dalla legge 2 aprile 1968, n. 482, disciplina, come noto, venuta a meno a seguito della novella legislativa costituita dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in tema di diritto al lavoro dei disabili e sulla quale, da ultimo, ha inciso il legislatore con l'art. 14 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

Sulla legislazione del 1968 e sull'impossibilità, ritenuta dalla giurisprudenza di esperire il rimedio previsto dall'art. 2932 codice civile ha avuto occasione di pronunciarsi anche la Corte costituzionale, da ultimo, con la sentenza n. 255 del 18 maggio 1989 e la sentenza 30 dicembre 1987, n. 622, dichiarando la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 10, primo comma, e 16, quarto comma, della cit. legge, in riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma, e 4 della Costituzione, nella interpretazione datane dalla Corte di cassazione secondo cui il rapporto di lavoro con gli invalidi civili e categorie assimilate, avviati obbligatoriamente al lavoro, non si costituisce ex lege, ma con un normale contratto.
Il giudice delle leggi ha osservato "che, per gli invalidi civili e assimilati, il rapporto di lavoro ha il suo titolo costitutivo non già nell'atto di avviamento al lavoro dell'autorità amministrativa ma nell'atto negoziale in cui si concreta l'assunzione la quale, pur essendo vincolata all'esterno per il profilo del previsto obbligo a contrarre, è compiuta nell'ambito dell'autonomia privata mediante un atto di volontà delle parti, cioè mediante un contratto. La sua stipulazione è resa necessaria anche dal fatto che la richiesta all'autorità amministrativa è numerica e non contiene alcuna specificazione, onde tutte le modalità relative allo svolgimento del rapporto (orario, mansioni, qualifica etc.) devono essere stabilite successivamente con un atto bilaterale; La stessa legge non contiene alcuna prescrizione particolare e specifica in ordine al contenuto del rapporto; Occorre, peraltro, salvaguardare l'autonomia delle parti e l'iniziativa dell'imprenditore, sia pure nei limiti fissati dall'art. 41 della Costituzione;…".

L'art. 9 della legge n. 68 del 1999 disciplina le richieste di avviamento e, al primo periodo del sesto comma, prevede l'obbligo a carico dei datori di lavoro di inviare "…un prospetto dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero ed i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori…"
Il successivo ottavo e ultimo comma, nel disciplinare l'ipotesi di rifiuto di assunzione del lavoratore invalido, prevede che la direzione provinciale del lavoro rediga un verbale che trasmette agli uffici competenti e all'autorità giudiziaria. Con riguardo a quest'ultima disposizione, si è giustamente rilevato che "…non sono chiare due cose: come e perché sia coinvolta nel procedimento la direzione provinciale del lavoro, organo dell'amministrazione statale che la nuova legge ha spogliato della funzione dei gestione del collocamento obbligatorio, e quale sia lo scopo della comunicazione indirizzata all'autorità giudiziaria, dal momento che l'intera materia è depenalizzata." e, si aggiunga, si pone sempre il problema della concreta possibilità di ottenere la sentenza costitutiva dell'art. 2932 cod. civ., pertanto si appalesa la necessità di verificare l'iter argomentativo seguito dalla giurisprudenza nella vigenza della precedente disciplina sul tema.

Le due tesi, astrattamente ipotizzabili, sono state, in origine, fatte proprie della giurisprudenza di legittimità e, se si allarga lo sguardo anche alla giurisprudenza di merito, si poteva constatare una prevalenza della tesi a favore della condanna in forma specifica.
La Cassazione, nello stesso anno 1979, emise due sentenze ove si recepivano le opposte ricostruzioni sul tema e si esponevano le argomentazioni a sostegno dell'una e dell'altra.
La decisione n. 497, nell'accogliere la domanda di esecuzione in forma specifica a seguito della mancata assunzione da parte del datore di lavoro del lavoratore disabile obbligatoriamente avviato, osserva che:
a) "…il disposto dell'art. 2932 c. c. coglie e disciplina, nella complessa fenomenologia dei rapporti giuridici, il momento del perfezionamento dei reciproci obblighi delle parti, prospettando l'ipotesi della renitenza di un obbligato alla conclusione di un contratto, alla quale è, già tenuto, senza distinguere tra obbligo di derivazione contrattuale o legale.";
b) "…è giurisprudenza costante di questa Suprema Corte che dal complesso delle norme, di cui alla legge n. 482/68, deriva un obbligo di assunzione per il datore di lavoro a seguito di avviamento al lavoro da parte degli uffici del lavoro ed il correlativo diritto del lavoratore ad essere assunto, sul presupposto della preesistenza di elementi del contratto da concludere, costituiti dalla richiesta dell'azienda di coprire posti di una determinata categoria (art. 16 legge n. 482/68), dalla applicazione del <<normale trattamento economico, giuridico e normativo>> (art. 10 detta legge) per il lavoratore da assumere e dall'adesione di questi.";
c) con riguardo alla "…condizione che il provvedimento <<sia possibile>>,…, che riguarda la permanenza, al momento della decisione, di tutte le condizioni giuridiche, con i relativi presupposti di fatto, che consentano alla sentenza costitutiva, che tiene luogo del contratto non concluso, di rispecchiare integralmente le previsioni di questo, indipendentemente dalla eseguibilità delle obbligazioni discendenti dal contratto, che rappresenterà poi il titolo per ottenere, ulteriormente, dal renitente recidivo, l'adempimento della prestazione, questa volta attraverso l'esecuzione in forma generica.".
Il Supremo Collegio, in questa decisione, si limita a riconoscere l'astratta esperibilità dell'azione di cui all'art. 2932 anche nell'ipotesi di mancata assunzione del lavoratore disabile, ma per la verifica nel caso di specie dell'esistenza delle "…condizioni giuridiche, con i relativi presupposti di fatto…" rinvia a un successivo accertamento.
Di tutt'altro tenore la successiva decisione, la n. 1322, che, nell'escludere in radice l'esperibilità dell'azione prevista dal citato articolo, osserva, fra l'altro: "...(il) vigente sistema delle assunzioni obbligatorie è strutturato in modo da dar luogo a meri obblighi legali, pel datore di lavoro, di stipulare contratti con gli invalidi a lui indicati dall'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, e non già alla costituzione autoritativa dei rapporti. Inoltre, lascia all'autonomia delle parti la determinazione concreta di molteplici ed essenziali elementi di quei contratti, sicché, non essendo nella legge sufficientemente specificato il contenuto dell'accordo che si deve stipulare, si rivela già per questo impossibile il ricorso all'art. 2932 cod. civ. e non v'è bisogno di affrontare la questione, più generale della ammissibilità di tale tutela nei casi di inadempimento all'obbligo legale di contrarre.".
In una decisione del Pretore di Palermo dell'11 maggio 1981 comincia a delinearsi la linea interpretativa che prevarrà sul tema investigato, il giudice infatti non si limita a legittimare il rifiuto di assunzione del disabile, ma, compie un passo avanti, strutturato su tre passaggi:
a) riconosce l'azionabilità in via astratta del disposto dell'art. 2932 cod. civ. nella fattispecie sottoposta al suo vaglio;
b) nel contempo e con riguardo alla concreta fattispecie sottoposta al suo vaglio, ritiene di non potere emanare la sentenza costitutiva del rapporto di lavoro per indeterminatezza dell'oggetto del contratto preliminare;
c) infine riconosce in capo al lavoratore non assunto il diritto al risarcimento del danno conseguente al rifiuto di assumerlo.
Il giudice monocratico, pur riconoscendo il diritto a essere assunto dal datore di lavoro, rileva che:
a) "…essenziale presupposto della possibilità di ottenere con il provvedimento previsto dall'art. 2932 c. c. la tutela diretta del diritto primario leso, è che dal rapporto preliminare o precontrattuale, sia esso di origine contrattuale o meno, siano ricavabili elementi necessari e sufficienti per dar vita al titolo costitutivo del rapporto definitivo: è necessario più precisamente che il contenuto del rapporto definitivo sia pressoché interamente determinato proprio perché il giudice deve limitarsi alla rilevazione di una regolamentazione già prevista o prevedibile e rispetto alla quale è necessario solo operare una trasposizione formale da un primo ad un secondo stadio irrimediabilmente impegnativo."
b) nel momento in cui si ponga in essere l'ipotesi di cui sub a) e constatata la responsabilità del datore di lavoro nella mancata assunzione si deve riconoscere la responsabilità di quest'ultimo per i danni causati al lavoratore non assunto ai sensi dell'art. 1218 cod. civ.

I passaggi argomentativi evidenziati consentono di formalizzare i più rilevanti quesiti connessi al nostro tema, quesiti per i quali ci si riserva di individuare un percorso solutorio nel prosieguo e nei limiti della trattazione, e cioè:
1) l'esperibilità dell'azione che sfocia nella sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso ha come suo presupposto la validità del contratto preliminare, orbene nel momento in cui si afferma che la citata sentenza non può essere emanata per indeterminatezza dell'oggetto del contratto si dice, contestualmente, che il contratto preliminare è nullo;
2) cosa vuol dire oggetto e, del pari, cosa significa il termine determinato o determinabile con riguardo all'oggetto del contratto e, nel nostro campo, in che cosa si sostanzia l'affermata, dai giudici di legittimità, carenza individuativa delle mansioni che il lavoratore da assumere dovrebbe svolgere;
3) predicare l'indeterminatezza dell'oggetto del contratto preliminare comporta la nullità del contratto, e in mancanza di un adempimento spontaneo del contratto nullo, non può affermarsi, quale conseguenza diretta, la responsabilità connessa all'inadempimento delle obbligazioni di cui agli artt. 1218 e ss. cod. civ.

I giudici di legittimità, nella decisione n. 6224 del 15 luglio 1987, confermano il principio, definito "…<<filone>> giurisprudenziale di questa stessa Corte, ormai consolidatosi in subiecta materia incondizionatamente contrario alla tesi della <<costituzione>> del rapporto di lavoro mediante sentenza <<costitutiva>> ex art. 2932 c. c.: e a tale orientamento anche questo Collegio non ha motivo e argomento contrario per non allinearsi, senza necessità di ulteriore trattazione…", e successivamente nell'esaminare il profilo della responsabilità del datore di lavoro, osservano che "…se il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro realizza sul piano giuridico la violazione specifica di un obbligo all'assunzione (e, quindi, alla stipulazione del relativo contratto di lavoro), non può non configurarsi un caso di responsabilità <<contrattuale>>, nella cui data nozione può essere ricondotta, come è noto, ogni ipotesi di inadempimento di uno specifico obbligo preesistente, anche se questo deriva in realtà da fonte diversa (legge) dal contratto. Né si può parlare di responsabilità <<precontrattuale>> che presuppone la libertà contrattuale delle parti (e che nasce dalla violazione del generale obbligo di buona fede nelle trattative contrattuali), libertà che, anche nel collocamento ordinario, (anche se in modo meno cogente e rigido rispetto al sistema del collocamento <<obbligatorio>>), devesi ritenere vincolata nei riguardi del datore di lavoro che abbia fatto la specifica richiesta di avviamento, indicando categoria e qualificazione professionale del lavoratore avviato….Né si può parlare di eventuale responsabilità <<extracontrattuale>> che consiste come è noto nella violazione del generale dovere giuridico neminem laedere che esclude, pertanto, la preesistenza di uno specifico vincolo obbligatorio tra le parti, al contrario sussistente nel caso del collocamento ordinario a seguito dell'avviamento disposto dall'ufficio di collocamento su richiesta del datore di lavoro."
Lo stesso principio, limitativo del solo diritto del lavoratore avviato obbligatoriamente (e ingiustificatamente non assunto) di ottenere l'integrale risarcimento del danno derivante dal rifiuto del suo (futuro) datore di lavoro lo si ritrova senza motivazione alcuna di supporto nella decisione n. 11660 del 2 novembre 1991.
Interessante è il passaggio argomentativo ulteriore che lo stesso Collegio utilizza con riguardo alla quantificazione del danno.
La Corte ritiene di versare in ipotesi "…di responsabilità contrattuale configurabile in capo al datore di lavoro-renitente ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1226 e 1227 c.c.; (con la conseguenza che per la quantificazione del danno) si deve tenere conto dell'importo complessivo di (tutte) le retribuzioni (o salari) non percepiti dal lavoratore dalla data dell'avviamento e per tutto il periodo in cui si è protratto lo stato di disoccupazione di quest'ultimo, per cause a lui non imputabili."
Il principio, così come descritto, lo si ritrova affermato in due successive decisioni: la n. 2568 del 1992 e la n. 4953 del 1998.
In entrambe le menzionate decisioni si cassa la decisione dei giudici di merito, che avevano ritenuto possibile costituire il rapporto di lavoro con l'utilizzo della sentenza costitutiva prevista dall'art. 2932 cod. civ., ripetendo la nota formula.

Il raffronto fra le retro citate decisioni e l'odierna porta a evidenziare come in quest'ultima in realtà si assista all'accoglimento di una soluzione non in linea con le precedenti, infatti non si esclude in radice l'applicabilità dell'art. 2932 ma, all'opposto se ne predica la sua applicabilità teorica e poi si esclude che nel caso concreto si possa emanare la sentenza costitutiva prevista nella disposizione in quanto l'atto di avviamento non individua compiutamente tutti gli elementi del contratto imposto.

Quanto sin quì detto con riguardo al collocamento dei lavoratori invalidi e alla posizione assunta dalla giurisprudenza, può ripetersi con riguardo all'avviamento al lavoro dei lavoratori in genere.
La Suprema Corte, nella decisione n. 5586 del 14 ottobre 1988, riconferma il proprio orientamento escludendo l'esperibilità, da parte del lavoratore avviato (e non assunto) dell'azione prevista dall'art. 2932 cod. civ., trovando il rapporto di lavoro la sua fonte costitutiva non nel provvedimento amministrativo di assegnazione, ma nel <<contratto>> che le parti, dopo l'avviamento, devono stipulare nell'ambito della loro autonomia negoziale, anche se limitata all'esterno, nei confronti del datore di lavoro, dall'obbligo legale a contrarre sopra quest'ultimo gravante, restando il <<rifiuto>> illegittimo dell'imprenditore, soggetto soltanto al risarcimento del danno patito dal lavoratore in conseguenza della mancata stipula del contratto.
In questa decisione, al pari della precedente decisione la n. 6224 del 1987 (retro cit.), con riguardo al tipo di responsabilità nascente in capo al datore di lavoro, si afferma che si è davanti a una responsabilità contrattuale e si determina il danno "…nel complesso delle <<unità>> (salari o stipendi) che il lavoratore non ha conseguito e che avrebbe potuto conseguire nello stesso periodo, sin dalla data dell'avviamento;…"
Opera dello stesso relatore della precedente decisione e della n. 6224 del 1987 è la sentenza n. 11284 del 24 ottobre 1991 ove si ritrova un nuovo passaggio argomentativo di tal fatta: "…non essendo nella legge sufficientemente specificato il contenuto dell'accordo che si deve stipulare, si rivela inammissibile (ed impossibile) il ricorso alla disposizione di cui all'art. 2932 c. c. sulla esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto, in caso di inadempimento del datore di lavoro al suddetto obbligo di assunzione mancando del tutto una preesistente volontà contrattale, completa di tutti i suoi dettagli."
Quest'ultimo passaggio è quello su cui ha fatto perno, con la menzione della decisione, la Corte nella statuizione in commento, nonostante si possa ritenere che il passo letto all'interno dell'iter motivazionale non spostasse i termini della questione così come delineata nelle precedenti sentenze della stessa Corte. Infatti, proseguendo nella lettura della decisione, si evince la riconferma delle asserzioni in punto necessità della stipula di un contratto successivamente all'avviamento.
Contigua alle fattispecie di avviamento a mezzo collocamento, in quanto vi è un obbligo legislativo posto a carico del datore di lavoro (anche se, come si vedrà in seguito, è coinvolta anche la contrattazione collettiva, e pertanto il caso si potrebbe, logicamente porre a cavallo fra la presente e la successiva categoria), è la fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione nella decisione del 2 giugno 1998, n. 5415.
L'appiglio normativo attorno al quale si è dipanata la querelle era costituito dall'art. 5, comma 3 bis, della legge 19 dicembre 1984, n. 863, di conv.ne con modifiche del decreto legge 30 ottobre 1984, n. 726 (si rammenti che tale articolo è stato abrogato dall'art. 11, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, con effetto dal 4 aprile 2000 e, infine, che sul contratto di lavoro a tempo parziale è intervenuto il legislatore con l'art. 3 della legge delega n. 30 del 14 febbraio 2003 e con il seguente decreto legislativo del 10 settembre 2003, n. 276, art. 46).
Il menzionato comma prevedeva che "In caso di assunzione di personale a tempo pieno è riconosciuto il diritto di precedenza nei confronti dei lavoratori con contratto a tempo parziale, con priorità per coloro che già dipendenti, avevano trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale".
Il giudice della nomofilachia, in questa ipotesi, ha riconosciuto che "Nell'ipotesi di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno si prospetta una modificazione dell'assetto negoziale limitata alla quantità delle prestazioni e alla loro distribuzione temporale, che in relazione alla disciplina dettata dal contratto collettivo non incide sulla determinazione degli elementi essenziali del contratto; risultando così sufficientemente specificato il contenuto dell'accordo, (conseguentemente) non può ritenersi precluso il ricorso allo strumento previsto dall'art. 2932 c. c. per l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto, che ha formato oggetto di specifica pattuizione nel contratto collettivo."

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La giurisprudenza ha avuto occasione di verificare la possibile applicazione dell'art. 2932 cod. civ. anche con riguardo al caso peculiare di inadempimento ad assumere da parte delle società controllate dalla GEPI per il reimpiego di lavoratori licenziati da imprese in crisi.
La prima decisione della Corte di Cassazione ove è affrontata la questione risulta essere stata la sentenza del 29 agosto 1987, n. 7133 e ivi, pur riconoscendosi l'obbligo della società costituita con l'intervento della GEPI s.p.a., ai sensi dell'art. 1 della legge n. 784 del 1980, di assumere i lavoratori precedentemente licenziati dalle aziende in crisi individuati con la citata delibera, si disconosce la possibilità della costituzione automatica del rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., perché la costituzione del nuovo rapporto di lavoro è rimessa sempre all'autonomia delle parti. Allo stesso tempo, versandosi in ipotesi di inadempimento dell'obbligo di riassunzione da parte del datore di lavoro, si riconosce in favore del lavoratore non assunto la possibilità di esperire azione di risarcimento danni.
Lo stesso principio è ribadito in una decisione della stessa Corte del 20 aprile 1995, la n. 4436, ove, nel confermare la statuizione sul punto del Tribunale, si prende atto che il giudice di merito "..ha applicato, il principio, espresso in materia di collocamento obbligatorio e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale l'obbligo legale di assunzione di un lavoratore non è suscettibile di attuazione mediante sentenza costitutiva, essendo rimessa all'autonomia privata delle parti la determinazione dei concreti elementi del rapporto."
Di rilievo la circostanza che la Corte riconosce di applicare, per la soluzione del caso di specie, un principio dettato per una diversa materia, il collocamento obbligatorio, ad altra materia, l'obbligo di assunzione di lavoratori licenziati da imprese in crisi, il tutto in forza del dato comune rappresentato dall'invio obbligatorio del lavoratore previsto da una disciplina legislativa.

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Altra fattispecie, nella quale risulta la richiesta di applicazione dell'art. 2932 cod. civ., afferisce al mancato adempimento da parte del datore di lavoro dell'obbligo di assunzione assunto a seguito di accordo sindacale.
Il primo caso giudiziale, a quel che consta, scaturisce dal mancato adempimento da parte di una società automobilistica dell'obbligo assunto in forza di accordo sindacale di assumere i lavoratori dipendenti da altre aziende, che svolgevano il proprio lavoro all'interno della società automobilistica, lavoratori che avevano sottoscritto per accettazione una lettera inviata loro dalla società automobilistica ove si comunicava l'avvenuta stipula del citato accordo sindacale.
I giudici napoletani, con sentenza confermata dalla Cassazione, riconobbero che "…nella vicenda erano sicuramente individuabili tutti gli elementi (mansioni, condizioni contrattuali, settore di assegnazione) atti a determinare l'oggetto della prestazione, specificati chiaramente nella lettera inviata ai lavoratori e in modo tale da rendere effettivo e concreto l'impegno di assunzione, creando così la premessa per la stipulazione di un contratto definitivo di lavoro ovvero per la emanazione di una sentenza costitutiva."
Lo stesso problema è affrontato dal Pretore di Pisa con la sentenza 29 marzo 1995, anche in questo caso vi era un accordo sottoscritto fra due aziende che svolgevano l'attività di coloroficio, la prima in crisi aziendale aveva iniziato la procedura di mobilità dei dipendenti e aveva affittato l'azienda alla seconda, e il Consiglio di fabbrica, con la peculiarità che la sottoscrizione era avvenuta presso il Ministero del lavoro, accordo ove l'azienda cessionaria si impegnava ad assumere i lavoratori dell'azienda cedente iscritti alla lista di mobilità. L'obbligo era stato adempiuto nei confronti di tutti i lavoratori a eccezione di uno, il primo degli iscritti alla lista di mobilità, che si vedeva costretto ad adire l'autorità giudiziaria.
Da precisare che in nessuna delle parti dell'accordo, trascritto nella decisione, è fatta menzione delle mansioni che i lavoratori prelevati dalle liste di mobilità svolgeranno presso la seconda impresa e nel citato accordo si legge che il colorificio "…avrebbe assunto dalle liste di mobilità 35 lavoratori della precedente società…"
Il giudice monocratico, nel riconoscere la possibilità dell'emanazione della sentenza costitutiva dell'art. 2932 cod. civ., osserva che l'accordo in questione "…ha natura contrattuale e se al medesimo parteciparono soggetti collettivi, allora vuol dire che siamo di fronte ad un contratto preliminare collettivo, il quale, per avere di mira l'instaurazione di futuri rapporti di lavoro, si è realizzato nella forma del contratto preliminare a favore del terzo, cioè i 34 lavoratori inseriti nelle liste…(e con riguardo specifico al) profilo dell'inquadramento del lavoratore, (si) deve fare riferimento alla qualifica che al (lavoratore), come agli altri lavoratori, era stata riconosciuta nell'atto di inserimento nella lista e che era la medesima in godimento alle dipendenze del (primo datore di lavoro)"
Problematica analoga risulta essere stata vagliata dal Tribunale di Napoli, con l'ordinanza del 18 marzo 1997.
La fattispecie riguardava il passaggio di lavoratori da un'azienda a un'altra a seguito dell'assegnazione, alla seconda società, dell'appalto per la gestione del servizio per la raccolta e il trasporto dei rifiuti, appalto precedentemente gestito dalla società di cui i lavoratori risultavano dipendenti.
I riferimenti normativi utilizzati erano rappresentati:

- dall'art. 3 del C.C.N.L. del 26 ottobre 1991 che prevedeva, nei casi di passaggio di gestione per scadenza del contratto di appalto, l'incontro con le OO. SS. per il passaggio diretto e immediato del personale alle dipendenze delle imprese subentranti;
- dall'art. 12 del capitolato speciale del nuovo contratto di appalto ove si imponeva alle imprese aggiudicatarie, nel caso di specie si trattava di un'associazione temporanea di imprese (da ora in poi A.T.I.) l'obbligo di rilevare il personale dipendente delle aziende cessanti;
- accordi sindacali, stipulati in forza della contrattazione collettiva nazionale.
Ai menzionati riferimenti si aggiunga, sotto il versante fattuale, che il lavoratore richiedente l'emanazione della sentenza dell'art. 2932 c. c. non era iscritto a nessuna delle associazioni sindacali che avevano stipulato gli accordi connessi all'a rt. 3 C.C.N.L.
I giudici, pur riconoscendo l'astratta configurabilità di un contratto preliminare a favore di terzo, escludono che nel caso sottoposto al suo vaglio possa parlarsi di un contratto preliminare e ciò perché "…nel definitivo manca una pluralità di elementi essenziali, come ad esempio le funzioni cui adibire il dipendente, il relativo inquadramento ecc."
Si osservi che il lavoratore, a cui non si applicavano gli accordi sindacali in quanto non iscritto ad alcuna OO. SS. stipulante gli accordi necessitati al disposto dell'art 3 C.C.N.L., radicava la sua richiesta sulla sola disposizione della contrattazione collettiva.

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L'ultima delle fattispecie, che risultano essere state giudizialmente verificate, di applicabilità della disposizione dell'art. 2932 codice civile si connette a contratti preliminari stipulati fra il datore di lavoro e il singolo lavoratore.
In una decisione del Pretore di Monza del 5 novembre 1992 è stata disconosciuta la possibilità di costituire giudizialmente, ex art. cit., il rapporto di lavoro nell'ipotesi che il contratto preliminare unilaterale non consentisse, neanche con la valutazione di elementi esterni allo stesso, l'individuazione del luogo ove prestare l'attività lavorativa.
La concreta fattispecie si radicava su una lettera di impegno del datore di lavoro ove lo stesso si obbligava ad assumere il lavoratore per lo svolgimento di attività presso un cantiere in Iran. Nel corso del giudizio era emerso che l'unico cantiere dell'azienda esistente in Iran era in fase di smantellamento.
Da ultimo una problematica similare risulta essere stata esaminata dalla Corte Suprema nella sua decisione del 13 giugno 2002, n. 8489.
In questa statuizione il giudice ha ritenuto che "L'obbligo di costituire il rapporto di lavoro tra le parti, assunto contrattualmente, non è suscettibile di esecuzione in forma specifica quando non risultino indicati gli elementi essenziali del contratto da stipulare, non potendo il giudice sostituirsi alle parti nel determinarne il contenuto (nella specie, la scrittura privata intercorsa tra il dirigente e la società prevedeva un generico "obbligo di reinserimento", privo di specifico contenuto circa il concreto atteggiarsi del nuovo rapporto di lavoro)."
Se ci si aggancia all'esemplificazione fattuale contenuta nella citata massima si può, sullo stesso crinale, ulteriormente precisare che:
a) vi era una scrittura privata del 25 gennaio 1993 ove il datore di lavoro si impegnava, in caso di scioglimento di un'associazione a cui era stato preposto il proprio lavoratore, a reinserirlo;
b) l' obbligo di reinserimento era privo di ogni specifico contenuto circa il concreto atteggiarsi del nuovo rapporto di lavoro.
Il Collegio dopo avere ripetuto il principio di astratta utilizzabilità del modello di cui all'art. 2932 c. c. anche nelle obbligazioni di facere, osserva che "…in ogni caso è necessario tuttavia che il contratto preliminare (od altra fonte, anche legale dell'obbligo di assumere) contenga gli elementi essenziali del contratto da stipulare, non potendosi il giudice sostituire alle parti nel determinare il contenuto." (prg. 2.1) e, nel caso di specie, ritiene che "…il dedotto <<obbligo di reinserimento>> non è suscettibile di esecuzione in forma specifica (ai sensi dell'art. 2932 c. c.) in quanto - secondo prospettato accertamento di fatto incensurabile della sentenza impugnata - non risultano pattuiti gli elementi del contratto da stipulare e il giudice non si può sostituire alle parti nel determinare il contenuto." (prg. 2.2.).
Esclusa la possibilità di costituzione giudiziale del rapporto di lavoro, gli stessi giudici riconoscono il diritto al risarcimento del danno patito dal lavoratore in conseguenza del mancato reinserimento nell'azienda di provenienza ma, allo stesso tempo, riconoscono la bontà della decisione di merito che ha liquidato il danno in misura equitativa senza commisurarlo alle retribuzioni non percepite. La liquidazione in via equitativa del danno è stata radicata sull'asserita impossibilità di individuare il quantum delle retribuzioni non percepite, non essendo stata reperita alcuna pattuizione né sull'importo della retribuzione, né sulla durata del costituendo rapporto.

Contigua alle presenti fattispecii è quella esaminata sempre dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 13 ottobre 2000, n. 13700, ove si fissa il seguente principio di diritto "Con riferimento al patto di prova inserito nel contratto di lavoro, per il quale l'ordinamento - per evidenti ragioni antifrodatorie - prescrive non solo la forma scritta, ma anche la predeterminazione della durata, entro limiti massimi, gli spazi di autonomia negoziale sono limitati, proprio per una valutazione a priori del carattere sfavorevole del rapporto in prova per il lavoratore, ma non sino al punto da non consentire alle parti una predeterminazione della durata per relationem, con rinvio esplicito alla disciplina collettiva, del tutto legittima ove esplicantesi entro i limiti inderogabili fissati dalla legge."
La Corte richiama, a sostegno di tale dictum, "…il principio generale, desumibile dal combinato disposto degli artt. 1418, 1419 e 1346 c.c., secondo il quale, ai fini della validità di un contratto o di una sua clausola è sufficiente che il suo oggetto sia non solo determinato, ma anche determinabile (e)… se le parti hanno preventivamente concordato, nell'ambito dell'autonomia negoziale loro riconosciuta dall'art. 1322 c.c. un meccanismo per la determinazione di un elemento essenziale del contratto - quale, nel caso di specie, la durata massima della prova - pienamente rispettosa degli spazi di disponibilità contemplati dall'ordinamento - non si vede la ragione per negare piena legittimità a tale manifestazione di volontà, né per escludere che le parti abbiano voluto commisurare la durata del rapporto di lavoro in prova al termine massimo di durata (due mesi) prestabilito nei contratto collettivo, espressamente richiamato a tal fine nel contratto individuale…(e si conclude che) applicando al caso di specie quanto già affermato da questa Corte con riferimento al contratto di locazione (cfr. Cass., 20.11.1993, n. 11477) può dirsi che una volta che il contratto di lavoro si sia perfezionato con il consenso delle parti, ben può essere determinata per relationem la durata senza che ciò dia luogo ad indeterminatezza dell'oggetto, della durata e della misura delle prestazioni a carico delle parti, se queste abbiano preventivamente previsto, nell'ambito dell'autonomia loro riconosciuta dall'art. 1322 c.c., un meccanismo per la determinazione di tali elementi, in presenza del quale deve escludersi la nullità comminata dall'art. 1418, secondo comma, c.c."
Né ritiene la Corte che sia condivisibile l'assunto del giudice di merito "…secondo cui sarebbe incomprensibile il criterio in base al quale, di fronte al ventaglio di possibilità lasciato aperto dal contratto collettivo - debba optarsi per una durata pari al termine massimo, anziché per una durata adeguata, o comunque, più compatibile alla natura dell'esperimento lavorativo oggetto del patto di prova…(e a tal fine) E' sufficiente, al riguardo, rilevare che la lettera inviata al Guarino dalla società ricorrente recita <<assunzione in servizio a tempo indeterminato con decorrenza 1.10.1994, con la qualifica operaia categoria 132, subordinata a periodo di prova così come previsto dal vigente contratto collettivo>>. In questi termini, facendosi riferimento ad un determinato inquadramento contrattuale, e non invece a mansioni specifiche, che avrebbero potuto giustificare una diversa dimensione temporale dell'esperimento, non appare incoerente il rinvio alla previsione collettiva nella sua predeterminazione massima."
Sempre il patto di prova è oggetto di una successiva sentenza della Suprema Corte, la n. 2357 del 17 febbraio 2003, e di una decisione del Tribunale di Roma del 10 aprile 2003.
In quest'ultima delle citate decisioni, si esclude "…che nel patto di prova sia richiesto tutto un elenco di compiti e (all'opposto) sia sufficiente il riferimento contrattuale al livello di inquadramento, al tipo di lavoro, alla posizione rispetto ad altri lavoratori (come è avvenuto nel caso di specie; prima governante di II livello)….Pertanto la indicazione delle mansioni di <prima governante>> contenuta nel contratto di assunzione (doc. 1 di parte conv.), integrata dall'espresso richiamo al contratto collettivo, rafforzata dalle dichiarazioni e dai comportamenti delle parti precedenti la assunzione, deve ritenersi adeguata ed idonea a dar vita ad un valido patto di prova tra le parti,…" (riv. cit., p. 184).

Queste ultime decisioni consentono infine una breve digressione giurisprudenziale in tema di definizione del termine "mansioni".
A tal fine in questa sede può farsi menzione della decisione della Suprema Corte del 20 novembre 2001, n. 14592.
Il giudice della nomofilachia chiamato a verificare la legittimità o meno di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo osserva che:
a) "Certamente, l'oggetto (del contratto di lavoro) deve essere determinato o almeno determinabile, ai sensi dell'art. 1346 cod. civ., ma, date le peculiari caratteristiche, la determinazione avviene spesso durante lo svolgimento del rapporto, ad opera dell'imprenditore che esercita il proprio potere direttivo. Può così aversi che, senza alcuna alterazione o novazione oggettiva del contratto originariamente concluso, l'attività svolta dal lavoratore venga mutata.";
b) "…le mansioni di cui all'art. 2103 cod. civ. possono consistere in una certa attività oppure possono essere scomposte in attività più specifiche o ancora possono essere raggruppate secondo criteri di omogeneità. Dove le mansioni siano complesse, il che avviene frequentemente con la diffusione e il perfezionamento delle macchine, esse comprendono di regola più attività e più facile è il passaggio a mansioni equivalenti. In tal caso suole parlarsi anche di mansione <<polivalente>>".
Sulla concretizzazione del vocabolo mansione nello svolgimento del rapporto di lavoro si può far menzione, da ultimo, di una decisione del 13 ottobre 1987, la n. 7563, la sentenza delinea l'opera di maieutica affidata al giudice di merito che "…dopo avere definito, alla stregua della contrattazione collettiva o di altre fonti ad essa equiparate, tra le quali l'uso o prassi aziendale, la qualifica pretesa (dal lavoratore), deve accertare in concreto le mansioni ed i compiti del lavoratore istante, raffrontando le une e gli altri alle astratte e generali previsioni, senza tralasciare la valutazione della posizione di responsabilità che a queste è connessa nella struttura aziendale."

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La ricognizione sino a ora compiuta della casistica giurisprudenziale in materia lavoristica permette ora di verificare la congruità logica delle decisioni accolte atte o meno alla soluzione dei quesiti sul tema formalizzati retro e, a tal fine, appare necessario che, per ognuno di questi quesiti ci si avvalga degli approdi giurisprudenziali e dottrinali sul tema, art. 2932 cod. civ., in generale nella materia civilistica, quella che risulta essere la più investigata.


3. Ricognizione delle posizioni della dottrina in ambito civilistico


E' opportuno, innanzitutto, sintetizzare le soluzioni accolte dalla giurisprudenza del lavoro, in materia di costituzione giudiziale del rapporto di lavoro a seguito di inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di assunzione posto a suo carico, rispettivamente e alternativamente o, talvolta cumulativamente, dalla legge, dagli accordi sindacali liberamente sottoscritti, dagli accordi intercorsi direttamente fra datore di lavoro e lavoratore, può icasticamente dirsi che:
a) l'esecuzione in forma specifica è possibile anche nella nostra materia;
b) concretamente la sentenza non può essere emanata perché i contratti di cui si chiedeva l'esecuzione soffrivano di una indeterminatezza irrimediabile dell'oggetto;
c) il lavoratore danneggiato ha, in ogni caso, diritto a un risarcimento del danno patito a seguito dell'inadempimento;
d) il risarcimento in questione è tendenzialmente parametrato all'importo delle retribuzioni a cui avrebbe avuto diritto il lavoratore non assunto, nel lasso temporale che va dal momento in cui sarebbe dovuto essere instaurato il rapporto di lavoro al momento di emanazione della sentenza, talvolta l'importo è liquidato in via equitativa.

Acclarata l'astratta possibilità della costituzione a mezzo sentenza di un rapporto di lavoro si deve, prima di tutto, verificare il grado di resistenza dell'affermazione in tema di indeterminabilità dell'oggetto del contratto e, conseguentemente, di concreta impossibilità della esecuzione in forma specifica.
In via teorica, e con riserva di corroborare l'assunto, ove necessario, con riscontri giurisprudenziali se esistenti, è manualistica l'affermazione che gli elementi del contratto preliminare sono quelli tipici di un qualsivoglia contratto con la conseguenza che i moduli di individuazione della determinabilità dell'oggetto e/o del contenuto del contratto tout court sono utilizzabili agli odierni fini.
Sul requisito della determinabilità previsto dall'art. 1346 del codice civile, anche con riguardo specifico al contratto di lavoro si è osservato che:
- "…la determinazione può essere il risultato di un fatto naturale, di un fatto umano (delle parti o di terzi) o di una dichiarazione,delle parti o di terzi…(e) ciò rende impossibile una teoria unitaria del fatto che conduce alla determinazione. (Con particolare rilievo per la nostra investigazione all)a problematica della dichiarazione della parte o del terzo. Qui si possono porre tre diversi gruppi di problemi: quantità (e limiti) del potere di determinazione della parte o del terzo; individuazione del soggetto cui compete l'atto di determinazione; regolamento dell'atto determinativo. Il legislatore di occupa solo del primo e del secondo problema, limitatamente all'ipotesi in cui la determinazione competa ad un terzo. Il regolamento è contenuto nell'art. 1349,…";
- "…la categoria della indeterminatezza/indeterminabilità dell'oggetto contrattuale non fa che scontare, e per così dire riflettere, quelle medesime aporie che dottrina autorevole ascrive alla categoria stessa di <<oggetto del contratto>>….<<indeterminabilità dell'oggetto del contratto>> è formula nebulosa ed equivoca, assai difficile da circostanziare in una tecnica di giudizio di facile e sicura applicazione…la regola che stabilisce la nullità dei contratti a oggetto indeterminato e indeterminabile può venire invocata, a mò di pretesto, da un contraente di mala fede per sfuggire a propri impegni e responsabilità…";
- "…si deve accertare fino a che punto sia possibile considerare determinabile l'oggetto, e quale sia il limite tra l'oggetto indeterminato, ma determinabile, e l'oggetto indeterminato e indeterminabile. Si tratta di un problema di interpretazione e di qualificazione del contratto, o di autointegrazione.";
- "…quando (all'interno del contratto) sono specificati i criteri di determinazione in realtà con ciò l'oggetto è determinato; la determinabilità si ha pertanto quando sia invece richiesta un'attività ulteriore delle parti o di un terzo.";
- "Il problema dell'oggetto del preliminare finisce per risolversi necessariamente in un problema di oggetto dell'obbligazione a contrarre, che consiste nella stipula di un contratto definitivo valido ed efficace…il grado di determinatezza o determinabilità dell'oggetto è esattamente quello stesso richiesto in sede di definitivo (e) l'oggetto può essere solo determinabile grazie ad elementi, fatti o atti anche successivi alla conclusione e perfino estranei. Parimenti è possibile determinare l'oggetto per relationem…";
- "Il problema della determinatezza sufficiente del contratto preliminare non può essere disgiunto da quello sulle pretese che con questo si vogliono avanzare nella fase di sua esecuzione….Si deve sostenere che non sussiste un requisito unico di determinatezza, ma questo deve essere valutato alla stregua del rimedio richiesto in via successiva per l'adempimento dello stesso….Il requisito della determinatezza non dovrebbe quindi venire astrattamente rapportato alla validità del contratto di per sé, ma andrebbe visto in connessione con i diritti che le parti intendono far valere.";
- "…nel contratto (di lavoro) la volontà delle parti in ordine alla prestazione risulta il più delle volte ambigua o appena abbozzata…(e anche) quando sia stato possibile desumere, dagli elementi considerati, un'aperta espressione della volontà negoziale, raramente essa consentirà una inequivoca ed esauriente individuazione delle mansioni convenute. La stessa indicazione di un mestiere o di una <<qualifica>>, in cui il più delle volte si esprime la volontà delle parti, raramente apparirà sufficientemente circostanziata…(ed è) certamente compito impari la reductio ad unum della tipologia svariatissima offerta dalle pratiche interpretative, non è impossibile determinare alcuni criteri tipici che valgano come orientamento generale per l'interprete. E' così possibile affermare che gli usi in parola ricevono la loro impronta dalle strutture tipiche del mercato del lavoro quali si definiscono, proprio in relazione al momento della formazione del contratto, o, ed è lo stesso, al momento dell'incrocio della domanda con l'offerta del lavoro….canoni normali di comportamento, in base ai quali orientare il processo di ricostruzione della volontà delle parti, che, soggettivamente individuata, o ricostruita con l'ausilio di criteri di tipicità sociale,resta la fonte insostituibile per la determinazione delle mansioni di assunzione…";
- "…il requisito della Bestimmtheit (determinatezza del contratto preliminare nel diritto del lavoro tedesco) è meno rigido, considerato il ruolo di integrazione normativa necessaria svolto da altre fonti di regolamentazione. Il contenuto minimo necessario di questo accordo preliminare si riduce alla descrizione delle mansioni o dei criteri secondo i quali possono essere determinate, mentre per quanto riguarda la retribuzione si può operare un rinvio ai contratti collettivi o agli usi aziendali.".

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Delineate sinteticamente le più rilevanti posizioni in argomento espresse dalla dottrina sulle questioni investigate, può ora passarsi a verificare come la giurisprudenza, nelle sue decisioni, ha ricostruito il reticolato che pone in connessione il contratto, il contratto preliminare, l'obbligo a contrarre, l'oggetto/contenuto di questi, l'esecuzione in forma specifica con riguardo al contratto preliminare e ai contratti imposti, i modelli risarcitori sostitutivi dell'esecuzione allorquando si è disconosciuta la possibilità di una sentenza di condanna che si sostituisse al contratto preliminare o imposto non stipulato dal datore di lavoro o, più genericamente, dal soggetto tenuto a stipulare il contratto.
E' opportuno precisare sin da ora che la giurisprudenza, il più delle volte a quel che consta, ha avuto occasione di pronunciarsi sulle problematiche retro evidenziate, in specie con riguardo all'oggetto del contratto preliminare, in sede di vendita immobiliare.


4. Ricognizione della giurisprudenza civilistica
 

In via generale la giurisprudenza ha costantemente affermato che "oggetto del contratto preliminare deve ritenersi esclusivamente l'obbligo di prestazione del consenso in sede di futuro <<contrahere>> (da tenere distinto dall'oggetto del futuro contratto definitivo, costituito, invece dal bene destinato al trasferimento di proprietà),…".

Se poi si passa all'oggetto del contratto preliminare si può affermare che il principio prevalente è il seguente: "Perché si abbia il contratto preliminare è necessario che questo contenga tutti gli elementi sostanziali del futuro contratto definitivo, indicati almeno con sufficiente determinatezza; se ciò non avviene non nasce alcuna obbligazione."
La prima affermazione della massima, in punto sufficiente determinatezza degli elementi, da un lato rende esplicito il fatto che l'opera di individuazione deve essere condotta dal giudice senza fermarsi al testo del contratto preliminare, ma, da altro versante, non consente all'interprete l'individuazione di un criterio univoco e quindi certo che possa riempire di contenuti l'espressione, ciò comporta una libertà del giudice nell'individuazione, caso per caso, di quei parametri idonei a risolvere la concreta fattispecie.
La seconda affermazione, in punto non sorgere dell'obbligazione in carenza degli elementi sostanziali, è la logica conseguenza della nullità del contratto preliminare per carenza di uno degli elementi del contratto, carenza a cui l'ordinamento connette la nullità del vincolo contrattuale.
Nella decisione n. 7935 del 1997, ove si verteva in tema di individuazione del bene promesso in vendita col preliminare, si legge che "L'oggetto del contratto preliminare è costituito non già dall'oggetto del futuro contratto, che con il preliminare le parti si obbligano a concludere, ma dalla conclusione stessa del contratto definitivo. Pertanto ai fini della validità del preliminare non è necessaria l'indicazione completa di tutti gli elementi del futuro contratto, ma è sufficiente l'accordo delle parti sugli elementi essenziali."
I due temi, come retro individuati, vanno di pari passo in una decisione del 25 maggio 1963, n. 1371 ove si è riconosciuta la nullità del pactum de ineunda societate che impegni genericamente i contraenti a costituire una società per una certa attività comune da svolgere in avvenire, senza indicare il tipo della costituenda società, cioè il suo elemento essenziale.
I giudici affermano che "E' principio indiscusso che il contratto preliminare deve avere per oggetto gli elementi essenziali del futuro contratto definitivo…(ed) è evidente che la loro omessa o incompleta indicazione che li renda indeterminabili, importa che l'oggetto del preliminare non sia determinato o determinabile, come prescrive l'art. 1346 c. c., e che consegua, per tale motivo, la nullità assoluta del preliminare medesimo ai sensi del successivo art. 1418."
L'affermazione della nullità del contratto preliminare, anche in questo caso si trattava dell'acquisto di un bene immobile, la si ritrova nelle decisioni della Cassazione del 29 ottobre 1975, n. 3677, del 10 giugno 1982, n. 3529, del 10 giugno 1991, n. 6570, del 12 luglio 2000, n. 9235, del 7 agosto 2002, n. 11874.
Nella decisione del 1975 si ritrova un'argomentazione più articolata delle precedenti, sin qui utilizzate dalla Suprema Corte, procedere argomentativo che, per comodità espositiva può così disaggregarsi:
- profilo generale: "Il contratto preliminare deve contenere gli elementi essenziali del contratto definitivo che le parti si obbligano a concludere. Ciascuna delle parti si obbliga a prestare, in un dato termine, il suo consenso, che, coordinandosi con il consenso dell'altra, perfezionerà il contratto definitivo; e dovendo l'assunta obbligazione di facere (prestazione del consenso) essere determinata, tale determinatezza non può aversi che in relazione al contenuto del futuro contratto definitivo, nel senso che il contenuto di questo contratto da concludersi, nei suoi elementi essenziali, deve necessariamente essere il contenuto del consenso che ciascuna delle parti si obbliga a prestare. Tra gli elementi essenziali del contratto definitivo che le parti si obbligano a concludere, il contratto preliminare deve contenere l'indicazione dell'oggetto…";
- oggetto: "Il problema è quando e a quali condizioni possa dirsi determinabile l'oggetto del contratto…" (passim), ma dopo questa generale affermazione i giudici dissolvono la questione con l'esame del caso di specie sottoposto al loro vaglio, ritenendo che "…non essendo determinato il luogo della costruendo strada, non era determinabile l'appezzamento di terreno promesso in vendita, potendo essere dislocato in una od in altra parte del maggior fondo dei promettenti venditori a seconda della dislocazione della costruendo strada.";
- conseguenze dell'indeterminatezza dell'oggetto: l'esame del caso concreto e l'assunta indeterminatezza dell'oggetto porta a concludere che il contratto preliminare sia nullo a norma dell'art. 1348 codice civile in relazione all'art. 1346 codice civile, e che tale nullità possa essere eccepita e rilevata per la prima volta in sede di legittimità

Il tema dell'individuazione dell'oggetto del contratto preliminare, con riguardo specifico alla compravendita immobiliare, lo si ritrova nella decisione del 13 gennaio 1976, n. 91.
I giudici affermano che "…è giurisprudenza costante che l'individuazione del contenuto di un contratto di compravendita immobiliare e quindi la determinazione dei confini dell'immobile venduto ben possa avvenire anche per relationem, allorché cioè il titolo contenga elementi indiretti per la determinazione del confine e tra tali elementi rientrano appunto i dati catastali nonché il tipo di frazionamento che siano richiamati in contratto ai fini dell'identificazione dell'immobile venduto."
Argomento nuovo appare essere il riconoscimento esplicito che, per l'individuazione dell'oggetto, il giudice possa fare ricorso a indici esterni al contratto, purchè la fonte degli stessi sia richiamata nel contratto medesimo.
Invero il riconoscimento della possibile determinazione per relationem, o in generale, a criteri ermeneutici esterni al contratto di cui si chiede l'applicazione, lo si ritrova in sentenze antecedenti alla presente, e precisamente:
- Cassazione 14 dicembre 1960, n. 3247 che afferma: "Ai fini della determinabilità della prestazione dedotta in contratto, è sufficiente che le parti abbiano già concordato il criterio per la futura determinazione, anche per relationem della predetta prestazione";
- Cassazione 15 marzo 1969, n. 842, decisione questa rilevante in quanto si afferma quale regola generale che "In mancanza di una norma di legge la quale stabilisca in che modo deve essere identificato l'oggetto del contratto, ogni mezzo e a ciò idoneo, purché sia atto ad una identificazione che non lasci possibilità di equivoci e (a tal fine) non è escluso che essa possa essere fatta anche aliunde, con riferimento ad altri atti o documenti…";
- Cassazione 19 agosto 1971, n. 2561 ove si legge che "La disposizione dell'art. 1346 cod. civ. - che prescrive che l'oggetto del contratto deve essere <<determinato o determinabile>> - non va intesa in senso assoluto, dovendosi ritenere sufficientemente identificato l'oggetto del contratto quando sia indicato nei suoi elementi essenziali, mentre non è richiesta una precisa indicazione di tutti i particolari…Concetto di determinatezza (che) assume carattere più o meno rigoroso in relazione alla natura ed al contenuto del negozio….";
- il rinvio, per la determinazione dell'oggetto del contratto a elementi esterni allo stesso, lo si ribadisce nella sentenza 8 settembre 1970, n. 1345 che riconosce che "Non vi è dubbio che la determinatezza o almeno la determinabilità della prestazione costituisce un requisito la cui essenzialità è correlativa alla sanzione di nullità prevista dall'art. 1418 c. c. nella ipotesi della sua assoluta insussistenza. Tuttavia, non può tale effetto conseguire ogniqualvolta la indeterminatezza sia solo apparente, in quanto o in base alle modalità del rapporto, o, per i criteri normativi di integrazione negoziale, sussistano le obiettive condizioni per la realizzabilità dello scopo perseguito dalle parti. Tali condizioni sono indubbiamente sussistenti quando l'oggetto, sebbene non determinato, è tuttavia determinabile; è la determinabilità è stata in ripetute decisioni di questa corte ritenuta sussistente allorquando l'oggetto del negozio sia individuabile con quei criteri che il contratto stesso o la logica delle cose possono suggerire in relazione all'interesse delle parti.";
- con riguardo alla materia dei rapporti di lavoro, specificamente contratto di agenzia, si ritrovano: una decisione del 16 giugno 1989, n. 2908, sentenza ove si ritiene che non sia affetto da nullità il contratto di agenzia nel quale non sia determinata la misura percentuale definitiva della provvigione (già provvisoriamente fissata dalle parti in un minimo garantito) in quanto detta misura è determinabile secondo leggi e tariffe; e una successiva decisione dell'8 novembre 1997, n. 11003, sentenza che dichiara la nullità per indeterminatezza dell'oggetto della clausola che preveda in favore di una parte il potere di modificare unilateralmente le tariffe provvisionali senza parametri di riferimento di sorta;
- in connessione con la disposizione dell'art. 2932 cod. civ. la sentenza del 26 aprile 1990, n. 3486 ove si afferma "La sentenza costitutiva che a norma dell'art. 2932 c.c. tiene luogo del contratto definitivo non concluso deve recepire integralmente e fedelmente le previsioni negoziali delle parti quali risultano dall'interpretazione del contratto preliminare, alla quale il giudice deve provvedere, accertando come per qualunque altro contratto l'effettiva volontà delle parti, anche in ordine all'esatta identificazione dell'oggetto del contratto stesso, che se non individuato esattamente deve essere tuttavia individuabile, eventualmente anche con elementi acquisiti aliunde con riferimento ad altri atti e documenti collegati a quello oggetto di valutazione."

La possibilità di individuazione dell'oggetto tramite l'ausilio di elementi esterni al contratto è una costante di tutte le decisioni della Cassazione, anche se, come rilevato, il tutto, e cioè la possibile individuazione di criteri univoci, si scolora in una minuta casistica di difficile riconduzione a unitarietà.
In decisioni del 2003 la Corte ha ritenuto che:
- "In materia contrattuale, la clausola con la quale le parti rimettano ad un momento successivo alla conclusione del contratto la determinazione concordata della superficie del bene oggetto della prestazione costituisce elemento che rende quest'ultima determinabile, dovendo in tal caso ritenersi che i contraenti si sono in tal modo rimessi al criterio dell'equo apprezzamento, applicabile, in difetto di accordo dal giudice (Nel fare applicazione del suindicato principio, la S. C. ha ritenuto determinabile l'oggetto di un futuro contratto di rivendita di bene immobile, nel caso indicato mediante il riferimento - avuto riguardo ad una determinata area del bene compravenduto - della minore superficie sufficiente alla sosta di una sola autovettura.";
- "In tema di obbligazioni pecuniarie, il requisito della necessaria determinazione scritta degli interessi ultralegali, prescritto dall'art. 1284 cod. civ., può essere soddisfatto anche <<per relationem>>, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente determinabili. E' tuttavia insufficiente a tale scopo la clausola che si limiti ad un mero riferimento <<alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza>>, o espressioni analoghe, poiché, data l'esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi.";
- "Ai fini della validità del contratto preliminare non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando per converso sufficiente l'accordo delle parti sugli elementi essenziali. In particolare nel preliminare di compravendita immobiliare, per il quale è richiesto <<ex lege>> l'atto scritto come per il <<definitivo>>, è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi esterni ma idonei a consentirne l'identificazione in modo inequivoco, avere le parti inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può anche essere incompleta o mancare del tutto, purché, appunto, l'intervenuta convergenza della volontà sia comunque, anche <<aliunde>> o <<per relationem>> logicamente ricostruibile.";
- "Poiché solo per i contratti per i quali è prescritta la forma scritta <<ad substantiam>> l'oggetto del contratto deve essere determinato o almeno determinabile in base ad elementi risultanti dall'atto stesso, e non acquisibili <<aliunde>>, laddove questo principio non è utilizzabile per i contratti ove la forma scritta è prescritta solo <<ad probationem>>, legittimamente nella transazione relativa ad un contratto di assicurazione si può far riferimento ad elementi esterni all'atto per individuare quali siano le rinunce reciproche scambiate dalle parti in sede di stipulazione del contratto di transazione.", si rilevi però che, in una precedente decisione, la n. 7047 del 24 novembre 1983 si è riconosciuta la possibilità della stessa tecnica interpretativa da parte del giudice con riguardo a un contratto soggetto alla forma scritta ad substantiam, tale requisito nel caso concreto si ritenne soddisfatto in forza della planimetria allegata al contratto anche se non sottoscritta dalle parti);
- in una sentenza del 14 febbraio 1986, la n. 873, oltre ad affermarsi l'utilizzo di parametri esterni per l'individuazione, nel caso, del prezzo, si riconosce al giudice il potere di intervenire allorché "…non si tratti di surrogare (creativamente) l'autonomia privata, ma soltanto di sviluppare una determinazione sulla base di linee ricostruttive sufficientemente predeterminate.";
- con riguardo specifico al contratto preliminare la sentenza del 27 giugno 1987, n. 5716 afferma "…per la sussistenza del requisito della <<determinatezza>> dell'oggetto (qualora questo non sia stato determinato) è sufficiente che le parti abbiano, nel preliminare, indicato elementi obiettivi che consentano tale futura determinazione. Anzi, in mancanza di una norma di legge la quale stabilisca in che modo deve essere identificato l'oggetto del contratto, ogni mezzo è a ciò idoneo, purché sia atto ad una identificazione che non lascia possibilità di equivoci; e non è escluso che essa possa essere fatta anche aliunde, con riferimento ad altri atti e documenti, con quei criteri che il contratto stesso e la pratica delle cose possono suggerire.";

Se si scorrono, a ritroso, i repertori di giurisprudenza, si evidenzia come la casistica è costituita da vendite immobiliari e si coglie un trend teso, come rilevato dalla dottrina, "…in ossequio al principio di conservazione del contratto (sancito dall'art. 1367 c. c.)…", a salvaguardare il contratto "…assegna(ndo) all'operazione economica conclusa dalle parti un significato possibile, anziché porre nel nulla l'affare compiuto."
Tale orientamento, teso alla conservazione del contratto, era stato esplicitamente affermato in una decisione dello stesso giudice della nomofilachia, la n. 5716 del 1987, statuizione ove si legge: "Invero, l'orientamento rigido di questa Suprema Corte ha subito, da tempo, una evoluzione notevole nel senso della conservazione del contratto tutte le volte che l'oggetto della prestazione possa determinarsi attraverso atti e fatti storici anche successivi alla conclusione del contratto ed anche in base ad elementi estranei al contratto esistenti nel mondo esterno, o anche soltanto per relationem."
Nonostante tale fine la Corte, nella decisione del 12 aprile 2002, n. 5281 ha ritenuto che "In tema di concessione di immobile del demanio, la previsione contrattuale che autorizzi la modificabilità unilaterale del corrispettivo non soddisfa il requisito della determinabilità dell'oggetto del contratto ex artt. 1346 e 1418 cod. civ., e ciò stante la mancanza di indicazione di alcun criterio od elemento atto a stabilire il metodo di liquidazione definitiva del canone."
Questa decisione, letta unitamente alle decisioni che hanno dichiarato la nullità dei contratti in tema di interessi bancari, ha una sua distinta ratio rappresentata dal fatto che si vuol evitare che uno dei contraenti, quello che deve adempiere all'obbligazione pecuniaria, sottostia a un onere economico in alcun modo determinabile a priori ponendolo in balia del contraente forte.

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Esaurita la necessariamente breve disamina in punto criteri di determinazione dell'oggetto del contratto, è necessario completare la ricognizione giurisprudenziale fermando l'attenzione sulle decisioni più rilevanti in punto ambito di applicabilità dell'art. 2932 cod. civ.
La più recente delle decisioni in argomento è la n. 11874 del 2002 ove si disconosce la possibilità dell'emanazione di sentenza costitutiva ex art. cit. in materia di compravendita immobiliare per mancata individuazione nel preliminare dei confini e dei dati catastali dell'immobile.
Sempre in materia immobiliare, dello stesso anno è la decisione n. 59 del 4 gennaio ove si osserva: "…che, anzitutto, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti - che la sentenza prevista dall'art. 2932 c. c. si inquadra nella categoria delle sentenze costitutive e che la sua funzione è quella di operare ex nunc quel mutamento della situazione sostanziale, che sarebbe dovuto avvenire a seguito del consenso prestato dalla parte che vi era obbligata, agendo in tal modo come <<surrogato>> del contratto definitivo. Ne consegue che, non trattandosi di una sentenza di condanna, non può sorgere questione in merito all'impossibilità di esecuzione specifica di un facere infungibile ovvero di un obbligo che comporti la determinazione della volontà di un terzo. Tutto ciò sta fuori dalla struttura e dalla funzione della sentenza che, in buona sostanza, deve solo sostituirsi al mancato consenso del promettente inadempiente e realizzare quindi il contratto definitivo e, come tale, non contiene alcuna statuizione di condanna e tanto meno ad un facere infungibile a carico di terzi."
In una decisione dell'8 febbraio 1997, la n. 1199 si esclude che si possa dar luogo a trasferimento coattivo con l'utilizzo della sentenza sostitutiva del contratto definitivo dovuto dalle parti di un contratto preliminare relativo alla vendita di un appartamento di edificio in costruzione, qualora il promettente venditore non abbia dichiarato gli estremi della licenza edilizia o della concessione in sanatoria con la menzione del versamento delle prime due rate della relativa oblazione. Nel corso della motivazione si legge: "la sentenza prevista dall'art. 2932 c. c., attesa la sua peculiare funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto dalle parti, non può certo realizzare un effetto maggiore o diverso da quello che, in materia immobiliare, sarebbe stato possibile alle parti, o che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma o nel contenuto, l'esercizio dell'autonomia negoziale delle predette parti."
Due anni prima, il 30 maggio 1995, con la decisione n. 6071 la Suprema Corte riconosceva la possibilità di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di trasferire la proprietà di un immobile fissato dall'arbitro in virtù del mandato a lui conferito dalle parti al fine di dirimere una controversia tra loro insorta.
I giudici osservano che "…non può esservi dubbio alcuno circa l'applicabilità della citata disposizione (art. 2932 cod. civ.) non solo nelle ipotesi di contratto preliminare, ma in qualunque altra fattispecie dalla quale sorga l'obbligo di prestare il consenso al fine del trasferimento o della costituzione di un diritto (Cass. 21 febbraio 1992, n. 2120; 17 luglio 1980, n. 4649)…"
All'opposto, nella decisione del 24 novembre 1994, n. 9991 si disconosce in capo al promissorio, immesso nell'immobile oggetto del contratto preliminare e che abbia riscontrato vizi, la possibilità di esperire cumulativamente l'azione per l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre ex art. 2932 cod. civ. e quella per l'esatto adempimento volta alla condanna del promittente all'eliminazione dei vizi."
Ancora più a ritroso nel 1992, con la decisione n. 9232 del 3 agosto, la Suprema Corte ha ritenuto che "…non può essere posta a fondamento di una domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. la scrittura nella quale le parti non abbiano indicato specificamente, il bene che esse si sono obbligate, rispettivamente, a vendere e a comprare, ma si siano limitate ad indicarne le caratteristiche ed il prezzo, riservandosi di effettuare la scelta in concreto successivamente e con altra scrittura."

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Delineate sommariamente le linee di tendenza di ciascuno degli argomenti che si ritrovano allorché si chieda al giudice l'emanazione di una sentenza costitutiva per inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di assunzione posto a suo carico, può ora tentarsi di proporre una serie di soluzione gradate per ciascuno degli argomenti di cui supra..

5. Prospettazione di un'ipotesi solutoria


Innanzitutto pare logicamente incongruo e giuridicamente errato affermare che la sentenza costitutiva dell'art. 2932 del codice civile non possa essere emanata per indeterminatezza dell'oggetto del contratto di lavoro, e si arrivi ad affermare, come nell'ultima delle decisioni emanate dalla Corte di Cassazione sul tema investigato, che per la determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto preliminare sia necessaria l'individuazione anche nei dettagli.
Così facendo pare che la giurisprudenza faccia divenire il contratto preliminare un contratto definitivo non eseguito per inadempimento di una delle parti, il datore di lavoro, se così fosse non sarebbe necessaria da parte del lavoratore l'esperibilità del modello di tutela delineato dall'art. 2932 cod. civ., ma sarebbe sufficiente lamentare la mancata esecuzione del contratto di lavoro da parte del datore di lavoro che non ha posto in opera tutte gli accorgimenti necessari a ché il lavoratore potesse adempiere all'obbligazione posta a suo carico, si verserebbe nella classica ipotesi di mora credendi.

Se si riprendono le fila del discorso dal disposto dell'art. 2932 si può constatare che questo ha come suo presupposto di applicabilità la validità del contratto preliminare discendendone pertanto che, allorché, il contratto preliminare inadempiuto è carente di uno dei requisiti di legge, l'oggetto, il contratto in questione è nullo, ex art. 1418 cod. civ., con la conseguenza che la sentenza costitutiva non potrà essere emanata in quanto il contratto che fissa l'obbligo è nullo.
L'affermata, dalla giurisprudenza menzionata retro, indeterminatezza dell'oggetto e quindi la conseguente nullità del contratto preliminare sfocia, allorquando, successivamente al citato contratto, il datore di lavoro e il lavoratore stipulino il contratto di lavoro che quest'ultimo non si pone in sequenza procedimentale con il precedente preliminare e ciò proprio per la predicata nullità di questo.

Ma quel che non convince è l'affermazione della non determinatezza o non determinabilità dell'oggetto del futuro contratto di lavoro da stipulare, ma sul punto ci si riserva di soffermarsi nel prosieguo della trattazione.

La nullità del contratto preliminare per indeterminatezza e indeterminabilità dell'oggetto oltre a comportare la strutturale impossibilità di applicazione dell'art. 2932 cod. civ., che presuppone all'opposto la compiutezza del contratto, comporta altresì la necessaria individuazione di un modello risarcitorio nei confronti di chi si è fidato dell'altra parte, nel nostro caso il lavoratore non assunto.
L'aspetto risarcitorio è affrontato e risolto dalla giurisprudenza con l'utilizzo dello strumentario in tema di inadempimento dell'obbligazione da parte del datore di lavoro obbligato all'assunzione.
Ma il modello risarcitorio, di cui si predica l'applicabilità alle fattispecie investigate, ha come suo presupposto fattuale e giuridico la validità dell'obbligazione che non è adempiuta; all'opposto quando si afferma che il contratto preliminare è privo di oggetto e quindi nullo si deve altresì riconoscere che in capo a chi non ha adempiuto non vi è alcun inadempimento stante proprio la nullità del vincolo contrattuale.
Con questo non si vuol affermare che il modello risarcitorio connesso all'inadempimento delle obbligazioni non sia applicabile ai casi esaminati dalla sezione lavoro della Cassazione, ma si vuol evidenziare che tale applicazione, se si porta alle logiche e giuridiche estreme conseguenze la prospettazione degli stessi giudici, non è la via maestra anzi si pone in contrasto con una ricostruzione lineare del sistema.
Quel che traspare da tale schizofrenia è che i giudici da un lato non abbiano la forza di entrare in azienda e condurci dentro il lavoratore e ciò in ossequio della libertà di azienda, da altro verso per facilitare il lavoratore quanto meno con riguardo al momento risarcitorio utilizzino il modello che disciplina l'inadempimento delle obbligazioni perché così facendo pongono a carico del datore di lavoro l'onere di provare quei fatti che lo sottrarrebbero alla responsabilità patrimoniale.

Ma l'utilizzo della responsabilità patrimoniale conseguente alla mancata assunzione soffre, a parere di chi scrive, di un'altra illogicità sistemica con riguardo alla quantificazione del risarcimento.
Nei casi esaminati risulta che la quantificazione sia stata limitata al lasso temporale che si pone fra il momento in cui sarebbe dovuta avvenire l'assunzione e il momento di decisione e sia avvenuta attraverso due percorsi:
a) il primo rifacendosi alla contrattazione collettiva, ma se si è utilizzata la contrattazione collettiva vuol dire, a quel che è dato comprende, che il giudice ha avuto la possibilità di identificare il tipo di attività che il lavoratore avrebbe dovuto svolgere nonostante lo stesso giudice abbia ritenuto di non potere emanare la sentenza costitutiva del rapporto per indeterminatezza dell'oggetto;
b) il secondo di utilizzo dell'equità.
L'illogicità, in punto delimitazione del lasso temporale all'interno del quale operare la quantificazione del risarcimento danni per mancata assunzione del lavoratore, scaturisce da tale argomentare per absurdum: se il contratto preliminare prevedeva l'obbligo della stipula di un contratto a tempo indeterminato, o per un tempo che si pone al di là del lasso temporale come retro individuato, si deve logicamente presumere che se si è davanti a un inadempimento contrattuale di un'obbligazione, l'ìmporto delle somme da liquidare a titolo di risarcimento non può che essere l'importo delle somme che il lavoratore avrebbe percepito, direttamente a titolo di retribuzione e indirettamente a titolo di contribuzione previdenziale, durante il normale svolgimento del rapporto di lavoro non instaurato.
I giudici non seguono sino alle estreme conseguenze la loro stessa prospettazione in tema di inadempimento dell'obbligo di assunzione proprio per i costi economici che la stessa potrebbe porre a carico del datore di lavoro inadempiente e pertanto limitano la quantificazione del danno individuando delle barriere temporali senza giustificazione di sorta alcuna (ovviamente si ha ben presente il profilo del comportamento del lavoratore successivo alla mancata assunzione e della sua valenza all'interno del modello risarcitorio, ma si ponga attenzione, a tal fine, a situazioni sociali quali quelli del Mezzogiorno d'Italia e ci si chieda quale possa essere la reale possibilità di un lavoratore, invalido o non, di essere assunto a tempo indeterminato da altro datore di lavoro dopo che il datore di lavoro obbligato si è sottratto all'obbligo posto a suo carico).

Individuate quel che appaiono essere le carenze strutturali della soluzione accolta dai giudici del lavoro ci si deve però chiedere se è logicamente sostenibile che, per tutte le ipotesi di obbligo ad assumere poste al vaglio giurisprudenziale, si possa predicare l'indeterminatezza e indeterminabilità dell'oggetto del futuro contratto di lavoro, scaturente dalla impossibilità di individuare le mansioni che avrebbe dovuto svolgere il lavoratore da assumere.

In via generale se si pone a raffronto la giurisprudenza della sezione lavoro e quella delle sezioni civili della Suprema Corte in tema di determinatezza e determinabilità dell'oggetto del contratto si ha la percezione di uno scollamento fra i Collegi di cui è composta la Corte.
Infatti mentre le sezioni civili, a quel che è dato comprendere, legittimano un processo individuativo dell'oggetto anche attraverso l'ausilio di elementi documentali esterni al contratto stesso e del contegno tenuto dalle parti prima, durante e dopo la stipula del contratto; all'opposto la sezione lavoro rimane tetragona nell'affermare che l'oggetto del contratto va ricercato solo all'interno del contratto medesimo.
Orbene se il contratto di lavoro non è che una delle species del genus contratto non si comprende perché allo stesso non si possano e debbano applicare i moduli ermeneutici applicati per gli altri contratti e pertanto, con riguardo all'individuazione dell'oggetto del contratto preliminare di lavoro, non si possano utilizzare elementi esterni al contratto medesimo.
Si aggiunga fra l'altro che la stessa sezione lavoro allorché è chiamata a individuare l'oggetto della prestazione di un rapporto di lavoro instaurato utilizza a tal fine elementi esterni al contratto riconducendo pertanto il modulo argomentativo a quello generale utilizzato dalla giurisprudenza.

Ma, all'interno di tale problematica, appare ancor più anomala la condizione fatta solo nella materia lavoristica al contratto imposto, scilicet all'avviamento obbligatorio al lavoro dei soggetti invalidi.
Mentre per i contratti imposti, in cui si pone a carico dell'impresa l'obbligo di stipulare il contratto, non risultano essere mai stati prospettati dubbi in tema di determinatezza o determinabilità dell'oggetto; dubbi di tale sorta sono sorti e si sono perpetuati solo con riguardo al contratto imposto al datore di lavoro a seguito di avviamento obbligatorio del soggetto invalido (non pare a tal fine che colga nel segno l'assunta tutela costituzionale dell'art. 41, articolo che ben poteva essere utilizzato anche per le altre ipotesi di contratto imposto e che, nel nostro caso, trova un bilanciamento giustificato, ovviamente questo è un giudizio di valore, nel diritto costituzionalmente tutelato al lavoro che la Repubblica deve garantire precipuamente a soggetti deboli quali gli invalidi).
Se si è davanti a un contratto imposto per legge non può logicamente affermarsi che tale contratto è indeterminato, nonché indeterminabile con l'ausilio di elementi esterni allo stesso, e conseguentemente affermarsi la nullità dello stesso, recte la legittimità della sottrazione all'obbligo da parte del datore di lavoro tenuto ad assumere.
Ovviamente si può dire che il giudice non si è mai sognato di aggettivare come legittimo il comportamento del datore di lavoro inadempiente tant'è che il riconoscimento del risarcimento danni passa attraverso la predicata illegittimità del comportamento.
Ma appare bislacco un legislatore che fissa un obbligo di legge ad assumere e poi, qualora lo stesso obbligo non sia adempiuto, i giudici trovano quale unica soluzione il risarcimento dei danni e giammai la costituzione giudiziale del rapporto.
Ancor più in radice è incongruo pensare che il legislatore ponga in essere un obbligo a contrarre a carico di un imprenditore, e poi, nell'eventuale fase di patologia, si dica che tale obbligo non potrà mai essere costituito giudizialmente perché il legislatore nel fissare tale obbligo ha dimenticato di individuare direttamente l'oggetto dello stesso o di indicare i criteri utilizzabili per la determinazione dell'oggetto.

Delineati sommariamente alcuni dei problemi connessi alla soluzione accolta dai giudici in tema di mancato adempimento di contratto preliminare di lavoro può ora tentarsi un ulteriore passo in avanti e, a tal fine, è opportuno distinguere tre ipotesi:
a) contratto preliminare individuale di lavoro;
b) contratto preliminare di lavoro intercorso fra l'imprenditore e le OO. SS.;
c) contratto preliminare di lavoro scaturito da un obbligo di legge, al cui interno può porsi una successiva contrattazione fra il datore di lavoro e le OO. SS..

Con riguardo alla prima delle ipotesi prospettate non può che affermarsi, tout court, l'applicazione dei criteri, così come individuati dalla stessa giurisprudenza di legittimità, in tema di individuazione dell'oggetto del contratto sia esso definitivo sia esso preliminare.
Compito del giudice di merito sarà quello di verificare se sulla scorta di tutti gli elementi emersi in sede di istruzione probatoria, documentali e non, interni al contratto preliminare ed esterni a questo, sia possibile individuare l'attività che il lavoratore avrebbe dovuto espletare, e a tal fine il richiamo alla contrattazione sindacale può costituire valido strumento per l'individuazione dell'oggetto del contratto di lavoro, recte dell'attività che il lavoratore avrebbe dovuto prestare all'interno dell'impresa.
Se si opinasse diversamente, come sino ad ora ha fatto la giurisprudenza, ne discenderebbe, sempre e comunque, che l'individuazione delle mansioni non potrebbe che avvenire a posteriori dopo l'instaurazione del rapporto di lavoro il ché lascia dubbiosi sulla bontà della soluzione.
Ancora, se ci si riallaccia a uno dei casi esaminati dalla giurisprudenza (lavoratore che aveva prestato la propria opera presso l'azienda A e poi su richiesta di questa era emigrato presso l'azienda B, con contestuale stipula di un contratto fra il lavoratore e l'azienda A in cui ques'ultima assumeva l'obbligo di riassumerlo nell'ipotesi che il rapporto di lavoro con l'azienda B non fosse proseguito), si deve ritenere che il lavoratore rientrante, in base all'id plerumque accidit, sarebbe stato chiamato a svolgere le stesse attività che svolgeva prima dell'emigrazione e non si sarebbe potuto, all'opposto, ritenere che la clausola di rientro e il contratto ove la stessa era inserita soffrissero dell'indeterminatezza e dell'indeterminabilità dell'oggetto con la conseguenza che il lavoratore si è ritrovato senza lavoro e con un esiguo risarcimento danni, su quest'ultimo aspetto si rammentino le colonne temporali fissate sempre dai giudici per l'individuazione delle somme dovute al lavoratore danneggiato.

Con riguardo alla seconda delle prospettate ipotesi, la soluzione accolta dai giudici appare ancor meno convincente, se assunta quale regola generale astratta di risoluzione.
Qualora l'obbligo di assunzione sia posto a carico del datore di lavoro in conseguenza di un accordo sottoscritto dal medesimo con le OO. SS., il giudice chiamato a costituire il rapporto di lavoro con sentenza, non potrà che, per l'individuazione dell'attività che i lavoratori sarebbero stati chiamati a svolgere, utilizzare tutti quei comportamenti tenuti dalle parti sottoscrittrici dell'accordo prima, durante e dopo, utili all'investigazione giudiziaria, non potendosi indiare nella sola lettura dell'accordo in cui è fissato l'obbligo di assunzione.
Anche in questa ipotesi rilevante potrà essere la circostanza che i lavoratori debbano essere assunti da un datore di lavoro che svolga la medesima attività del datore di lavoro dal quale eventualmente sono stati licenziati (è la tipica ipotesi di prelevamento dei lavoratori dalle liste di mobilità dopo che i datori di lavoro interessati, il cedente e il cessionario, hanno sottoscritto con le OO. SS. accordi disciplinanti il rientro dei lavoratori).

Con riguardo alla terza e ultima delle suddelineate ipotesi bisogna, come retro evidenziato, bipartire a seconda che l'obbligo di assunzione scaturisca direttamente dalla legge o se a quest'ultima si connetta, perché dalla medesima prevista, una successiva necessaria contrattazione fra le parti sociali.
In quest'ultima sub-ipotesi pare che possa farsi rinvio a quanto descritto per la fattispecie di obbligo a contrarre scaturente da un contratto stipulato fra datore di lavoro e OO. SS., ovviamente con la correzione dell'utilizzo necessario per la ricostruzione dell'oggetto del contratto delle disposizioni legislative posta a monte della fattispecie.
All'opposto nella prima delle sub-ipotesi di obbligo ad assumere legislativamente imposto non pare, in via astratta, che si possa predicare la nullità del contratto imposto per indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto, sembra a questo punto più corretto affermare che non vi è alcun obbligo ad assumere ma solo un obbligo a richiedere l'invio del lavoratore invalido, il ché non sembra sia una tutela effettiva apprestata nei confronti del lavoratore invalido che ha tutto l'interesse a prestare un'attività lavorativa e non a vedersi risarcire un danno in conseguenza della mancata assunzione.

Da quanto descritto sinteticamente da ultimo, discende che se si riconosce l'esistenza del contratto preliminare di lavoro, compito del giudice sarà, in un momento logicamente e cronologicamente successivo alla prima indagine, verificare che nel caso di specie esista la possibilità di emanare una sentenza costitutiva del diritto, ovverosia riempire di significato l'espressione codiciale contenuta nell'art. 2932 "...qualora sia possibile…", e nell'ipotesi che si riscontri un'impossibilità a emanare la sentenza si passerà all'individuazione di un modello di risarcitorio che, in questo caso sì, pare possa essere quello tipico dell'inadempimento delle obbligazioni.
Ma, pervenuti a questo primo approdo, il successivo problema è rappresentato dalla individuazione nummaria del dovuto e cioè: il dovuto rappresentato dalle retribuzioni che mensilmente il lavoratore avrebbe percepito e dalle contribuzioni che, sempre mensilmente, il datore di lavoro avrebbe versato agli enti previdenziali sicuramente a come dies a quo il momento in cui il lavoratore doveva essere assunto, ma qual è il momento finale?
Nell'ipotesi di contratto a tempo determinato può, con buon margine di approssimazione, affermarsi che il risarcimento del danno copre l'intero periodo del contratto di lavoro che non si è potuto costituire con la sentenza; ma cosa accade allorquando non si è potuta emanare la sentenza costitutiva di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
In questo caso, il lavoratore, la cui assunzione non è stata giudizialmente possibile, potrà avere a titolo di risarcimento del danno la retribuzione e la contribuzione a cui avrebbe avuto diritto se il rapporto di lavoro fosse stato instaurato volontariamente e fosse, sempre secondo l'id plerumque accidit, continuato sino al raggiungimento dell'età pensionabile stante l'indubbia circostanza che tali danni sono la conseguenza immediata e diretta della mancata assunzione da parte del datore di lavoro?
Su questa scia pare porsi la stessa giurisprudenza con la sentenza del 2 marzo 1998, n. 2295, nonostante l'evidenziata incongruenza logica dell'argomentare giurisprudenziale su cui ci si è soffermati retro, che ha affermato. "Dall'atto di avviamento al lavoro nelle forme del collocamento obbligatorio sorge l'obbligo legale del datore di lavoro, che ne abbia fatto richiesta (anche numerica) e risulti destinatario dell'atto, di assumere il lavoratore avviato; l'esistenza di tale obbligo impone di qualificare come contrattuale la responsabilità del rifiuto del datore di lavoro di assumere il lavoratore a lui avviato, con la conseguenza che il risarcimento del danno non può ritenersi limitato al c.d. interesse negativo (art. 1338 c.c.) ma deve comprendere (ai sensi dell'art. 1223 c.c. e nei limiti di cui alla stessa norma ed all'art. 1227 c.c.) il danno emergente ed il lucro cessante, cioè quanto meno tutte le retribuzioni percipiende dal lavoratore avviato durante l'intero periodo di inadempimento dell'obbligo di assumerlo, tenendo anche conto del dovere di quest'ultimo di non aggravare con la propria condotta negligente il pregiudizio subito, sicché il diritto al risarcimento del danno non è precluso dal solo fatto che il lavoratore abbia successivamente trovato una nuova occupazione."
Il Supremo Collegio, rifacendosi alla propria giurisprudenza in materia di collocamento obbligatorio, rammenta che "…nella nozione di ordinaria diligenza del creditore di cui all'art. 1227 c. c. secondo comma, rientra anche il tempestivo esercizio del proprio diritto, sicché il danno subito dall'invalido (o da altro soggetto appartenente alle categorie protette) avviato al lavoro ai sensi della legge 2 aprile 1968 n. 482, a causa dell'ingiustificato rifiuto di assunzione opposto dall'imprenditore (e corrispondente alle retribuzioni non percepite), non è risarcibile ai sensi del citato art. 1227 c. c. nella misura in cui il danneggiato abbia trascurato di attivarsi per evitarlo, mostrando una negligenza di cui possono essere sintomi, complessivamente considerati, la mancata iscrizione nelle liste di collocamento e l'avere lasciato trascorrere alcuni anni tra il suddetto rifiuto e l'azione giudiziaria intesa alla realizzazione del diritto all'assunzione ed al risarcimento."
Gli stessi giudici passando poi a esaminare la posizione processuale del datore di lavoro inadempiente affermano che "…incombe, poi, al datore di lavoro di allegare e provare le circostanze (nuova occupazione del lavoratore o condotte negligenti, inerti o colpose dello stesso aggravatici del danno verificatosi) capaci di ridurre l'ammontare del danno per la mancata corresponsione delle retribuzioni derivanti dal rifiuto dell'assunzione al lavoro."
Infine l'ultimo versante, che ancora è in un cono di ombra, attiene all'ulteriore soluzione, quella che sino a oggi è stata fatta propria dalla giurisprudenza, di:
- da un lato, asserita inapplicabilità dell'art. 2932 cod. civ. per indeterminatezza dell'oggetto e quindi nullità del contratto preliminare,
- dall'altro, nonostante la giuridica impossibilità di applicazione dell'art. 2932 cod. civ., predicata utilizzazione dello schema dell'inadempimento delle obbligazioni come se il contratto preliminare fosse valido e non fosse possibile costituire giudizialmente il rapporto.
Se la statuizione giudiziale è giuridicamente impossibile per nullità del contratto preliminare la questione è: quali sono i parametri legislativi da utilizzare per la quantificazione del danno patito dal lavoratore che, in buona fede, ha sottoscritto un contratto nullo?
La soluzione legislativa, che allo stato per la soluzione dell'ipotesi suddelineata, prima facie appare percorribile, è quella delineata dall'art. 1337 del codice civile, disposizione che disciplina e tutela l'affidamento di una parte a ché l'altra parte contraente si comporti durante le trattative e la formazione del contratto in buona fede, e al cui interno si pone poi l'individuazione dei criteri per il ristoro del danno patito dal lavoratore.

Quest'ultima prospettata soluzione pare possa trovare la sua ragion d'essere sulla constatazione che il datore di lavoro, con il suo contegno, ha posto in essere un contratto preliminare nullo, e ha violato l'obbligo di comportarsi lealmente non chiarendo gli elementi per l''individuazione dell'attività che il lavoratore sarebbe stato chiamato a svolgere presso l'impresa, e, contestualmente, non ponendo in essere tutti quegli atti, successivi al preliminare necessari ad assicurare validità allo stipulato contratto preliminare. Ferma restando, sotto quest'ultimo versante, la soluzione accolta dalla giurisprudenza del lavoro di non sostituzione del giudice al datore di lavoro, inadempiente all'obbligo di assunzione, a cui si connette quale attività propedeutica necessaria l'individuazione dell'attività da svolgere, nell'individuazione dell'oggetto del contratto di lavoro.


(* ) Corte Cassazione, 26 agosto 2003, n. 12516 - Presidente Senese - Relatore Picone - P.M. Finocchi Ghersi (Conf.) - PROMATECH S.p.A. (avv.ti Scognamiglio, Circolari) c. Barberis Giorgio (avv.ti Cossu, Pissarello)

L'obbligo, assunto con un accordo sindacale, di costituire un rapporto di lavoro subordinato è suscettibile di esecuzione in forma specifica esclusivamente quando risultino compiutamente indicati tutti gli elementi del contratto, anche nei dettagli, e, quindi, non occorra l'intervento della volontà delle parti ai fini della concreta specificazione del suo contenuto in ordine ad elementi essenziali quali, tra gli altri, le mansioni; pertanto, in difetto di siffatte indicazioni, se l'obbligo del datore di lavoro rimanga inadempiuto, il lavoratore non può esperire il rimedio dell'esecuzione in forma specifica, ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., ma ha (soltanto) diritto all'integrale risarcimento dei danni, ossia al ristoro delle utilità perdute per tutto il periodo del protrarsi di detto inadempimento (Nella specie, la S. C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l'esperibilità del rimedio dell'esecuzione in forma specifica, in quanto l'accordo sindacale costituente la fonte dell'obbligo di assunzione prevedeva l'inserimento del lavoratore in una realtà aziendale del tutto diversa da quella in cui questi era in precedenza inserito, mentre il c.c.n.l. avrebbe permesso di stabilire soltanto la qualifica di appartenenza, non anche di identificare le concrete mansioni assegnategli e le altre modalità della prestazione lavorativa).

Fatto


Il Tribunale di Bergamo, decidendo sugli appelli di Giorgio Barberis e della S.p.A. Nuova Vamatex (che ha poi ceduto l'azienda alla S.p.A. Promatech), rispettivamente principale e incidentale, ha accolto in parte l'impugnazione principale e rigettato quella incidentale.
Giorgio Barberis, avendo ottenuto l'accertamento giudiziale, con sentenza passata in giudicato in data 7.3.1994, della sussistenza di rapporto di lavoro subordinato dal 10.6.1986 con la S.p.A. Vamatex, aveva convenuto in giudizio la SpA Nuova Vamatex (succeduta alla S.p.A. Promatech) perché, rimasto inadempiuto l'obbligo di assunzione di tutti i lavoratori già dipendenti della Vamatex, assunto con la stipulazione di accordo sindacale in data 24.7.1992 dalla S.p.A. Promatech, fosse pronunciata sentenza costitutiva del rapporto di lavoro e di condanna alle retribuzioni; in subordine, per ottenere la condanna al risarcimento del danno subito fino al raggiungimento dell'età pensionabile. L'adito Pretore accoglieva la domanda subordinata, limitando il risarcimento del danno alla data della sentenza, con rivalutazione monetaria e interessi legali.
II Tribunale, esaminato per primo l'appello incidentale, nella parte in cui contestava la sussistenza dell'obbligo di assunzione, ha interpretato l'accordo sindacale nel senso che beneficiari fossero tutti i lavoratori già dipendenti della Vamatex, non esclusi, come pretendeva la società, quelli che formalmente non risultavano tali alla data dell'accordo sindacale.
Quanto ai contenuti dell'appello principale, nella parte che ancora rileva, il Tribunale ha confermato la statuizione della sentenza di primo grado, di rigetto della pretesa all'emanazione di una sentenza ai sensi dell'art. 2932 c.c., sul rilievo che gli elementi essenziali del contratto di lavoro da stipulare non erano determinati, e ciò con particolare riguardo alle mansioni da espletare presso l'azienda obbligata all'assunzione.
Ha ritenuto, infine, infondata la tesi dell'appellante incidentale, circa il divieto legale di cumulare rivalutazione monetaria e interessi per i crediti di lavoro maturati successivamente al 1° gennaio 1995, osservando che, nella fattispecie, si era in presenza di un credito al risarcimento del danno, e, quindi, di valore e non di valuta.
La cassazione della sentenza è domandata dalla S.p.A. Promatech (nella qualità sopra evidenziata) con ricorso per due motivi, ulteriormente precisato con memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso Giorgio Barberis, proponendo anche ricorso incidentale per un unico motivo.

Diritto

1. Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
2. Il primo motivo del ricorso principale denuncia che, con violazione e falsa applicazione di norme di diritto e motivazione viziata, la sentenza impugnata ha ritenuto che il Barberis rientrasse tra i beneficiari dell'accordo sindacale 24.7.1992.
Il motivo non può trovare accoglimento giacché le argomentazioni in cui si articola non dimostrano la sussistenza di vizi riconducibili alle previsioni di cui all'art. 360 c.p.c.
2.1. Si afferma che il Tribunale non ha rispettato l'art. 1362, 1° comma, siccome la lettera dell'accordo, nella parte in cui recava l'impegno "di assumere tutti i dipendenti Vamatex che lo desiderino", era assolutamente chiara nell'esprimere l'intento di assumere tutti e soltanto i lavoratori che "risultavano" alle dipendenze della Vamatex.
Orbene, l'affermazione che la formulazione letterale rilevasse un simile intento negoziale esprime l'opinione della ricorrente, potendo altrettanto plausibilmente, come ritenuto dal Tribunale, significare che non si intendesse fare alcuna riserva per coloro che non risultavano formalmente dipendenti.
Né contrastano con i precetti di logica le considerazioni del Tribunale circa il valore significativo della mancanza di precisazioni e riserve specifiche, a fronte di situazioni certamente prevedibili, come l'esistenza di giudizi in corso per ottenere l'accertamento di rapporti di lavoro subordinato.
2. Si sostiene anche che, nel rispetto dell'art. 1362, comma secondo, c.c., il Tribunale non avrebbe potuto valorizzare comportamenti assolutamente inidonei a ricostruire l'intenzione delle parti, quali quelli consistiti nel rifiuto dell'azienda di dar corso all'assunzione con esplicitazione di motivi diversi dall'inapplicabilità al Barberis dell'accordo sindacale. Come pure, del tutto incongruo si palesava il richiamo del criterio della buona fede.
Si tratta di censure che la Corte non deve prendere in esame, concernendo una parte della motivazione svolta ad abundatiam, rispetto alla ricostruzione dell'intento negoziale sulla base della formulazione letterale del testo. Contrariamente all'impostazione della ricorrente, i comportamenti indicati sarebbero stati rilevanti ai fini della decisione solo ove avessero offerto elementi per contrastare l'interpretazione letterale.
3. in ordine logico deve essere esaminato a questo punto l'unico motivo del ricorso incidentale con il quale si denuncia essere affetta dal vizio di violazione e falsa applicazione dell'art. 2932 c.c. e da vizi di motivazione la decisione di rigetto della domanda diretta all'emanazione di sentenza costituiva del rapporto di lavoro.
3.1. Si deduce, in particolare, che l'accordo sindacale in data 24.7.1992 garantiva, all'art. 8, "a tutti i lavoratori che chiederanno il passaggio il mantenimento delle condizioni salariali e normative precedentemente acquisiti in Vamatex attraverso accordi nazionali, aziendali e individuali". Se ne trae la conseguenza che il contratto collettivo applicabile consentiva di stabilire compiutamente quali fossero le mansioni, corrispondenti alla 7^ categoria, da assegnare al lavoratore, e dall'accordo sindacale era possibile trarre la precisazione delle altre modalità della prestazione.
3.2. Il motivo non può trovare accoglimento.
ll Tribunale si è puntualmente uniformato al principio di diritto secondo cui la disposizione di cui all'art. 2932 c.c., diretta a dare esecuzione in forma specifica all'obbligo di contrarre, è applicabile solo ove la fonte dell'obbligo consenta di determinare completamente tutti gli elementi del contratto, anche nei dettagli, in modo che sia possibile iniziarne l'esecuzione senza che le parti debbano esprimere ulteriori dichiarazioni dirette a precisarne l'oggetto o il contenuto, elementi tra i quali sono comprese soprattutto le mansioni (cfr., ex plurimís, Cass. 11284/1991; 4953/1998; 8489/2002).
Sicché, mancando tale specificazione e allorché l'obbligo del datore di lavoro rimanga inadempiuto, il lavoratore non può esperire il rimedio dell'esecuzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c., ma ha (soltanto) diritto all'integrale risarcimento dei danni, ossia al ristoro delle utilità perdute per tutto il periodo del protrarsi di detto inadempimento.
3.3. La corretta applicazione alla fattispecie del suddetto principio di diritto emerge dalla stessa formulazione del motivo di ricorso: si era in presenza di un obbligo di inserimento, nel rispetto dei precedenti livelli retributivi e trattamenti normativi, in una realtà aziendale del tutto diversa; l'applicazione di un determinato contratto collettivo avrebbe consentito di stabilire la categoria e la qualifica, ma non certo le concrete mansioni ed altre modalità di svolgimento della prestazione.
4. Si deve ora esaminare il secondo motivo del ricorso principale, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 429, comma 3°, c.p.c., anche in relazione al disposto degli art. 1223 ss., 1282, 1284 c.c. e 18 l. 300/1970, nonché vizio della motivazione, in relazione alla decisione di aggiungere gli interessi al tasso medio del 7,5% alla somma rivalutata attribuita al Barberis a titolo di risarcimento del danno.
4.1. Si sostiene l'applicabilità del nuovo regime giuridico di cui all'art. 22, comma 36, l. 724/1994 e decreto del Ministro del tesoro 352/1998, che esclude il cumulo tra rivalutazione e interessi, a tutti i crediti di lavoro, compresi quelli di natura risarcitoria, ai quali già si riferiva l'art. 429 c.p.c. alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale.
4.2. Il motivo deve essere rigettato perché il dispositivo della sentenza impugnata, nella parte investita dall'impugnazione e concernente esclusivamente il cumulo degli interessi con la rivalutazione, è conforme al diritto, ancorché la motivazione necessiti di essere corretta (art. 384, comma secondo; c p.c.).
La correzione si rende necessaria a seguito dello ius superveniens rappresentato dall'intervento della sentenza costituzionale n. 459 del 2000, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), limitatamente alle parole "e privati".
4.3. Il dispositivo dell'intervento del giudice delle leggi, infatti, ha prodotto la conseguenza di escludere che l'anzidetta norma concerna in qualche modo i rapporti di lavoro subordinato privato e, quindi, il regime dei crediti di lavoro come già determinato dall'art. 429, comma terzo, c.p.c.
Diventa perciò irrilevante l'indagine diretta a stabilire se l'innovazione legislativa, nel suo riferimento "agli emolumenti di natura retributiva", concerna anche i crediti di lavoro non pecuniari.
4.4. L'applicazione dell'originario testo dell'art. 429, comma terzo, interpretato da una giurisprudenza consolidata nel senso che per "crediti di lavoro" devono intendersi anche quelli di natura risarcitoria (cfr., da ultimo, Cass. 5024/2002) e, in particolare, derivanti dalla violazione dell'obbligo di assunzione (tra le numerose, Cass. 216/1990; 13924/2001), rende dunque conforme al diritto l'aggiunta degli interessi legali alla somma rivalutata, come operata dalla sentenza impugnata (sulla misura degli interessi legali non vi è specifica censura).
5. Per le considerazioni esposte vanno rigettati il ricorso principale e il ricorso incidentale; l'esito complessivo della controversia induce a compensare la metà delle spese e degli onorari del giudizio di cassazione, restando a carico della Promatech S.p.A. la restante metà, che si liquida come da dispositivo.


P.Q.M.


La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; Omissis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 gennaio 2003.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 26 AGOSTO 2003

Il presente scritto, corredato delle note e dei riferimenti bibliografici, sarà pubblicato sulla Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, 2004..