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Il contratto preliminare di vendita (*)


Francesco Gazzoni


 


 (......)Il legislatore, prevedendo all'art. 2645 bis del codice civile la trascrivibilità del contratto preliminare (anche) di vendita, ha preso atto, codificandola, di una realtà commerciale dominata dall'idea che la stipula del preliminare vale vendita obbligatoria.


Del resto la stessa giurisprudenza, ha, negli ultimi anni, sempre più decisamente imboccato la strada della svalutazione del definitivo. Il preliminare, infatti, è considerato non più mero contratto che obbliga a contrarre, ma fonte degli effetti e dei diritti ed obblighi finali, con un sostanziale riavvicinamento all'idea francese secondo cui la promessa di vendita, vale vendita, temperata dalla necessità di riconoscere al definitivo il ruolo di modus adquirendi.


Questo orientamento emerge netto se si considerano le questioni che sono sorte in materia di preliminare di compravendita.

a) Il primo problema, in verità di carattere generale, è quello di stabilire il rapporto intercorrente tra preliminare e definitivo.


Secondo l'impostazione più tradizionale, non abbandonata nemmeno da chi rivaluta il preliminare solo in funzione della sentenza, il preliminare può fornire elementi per interpretare il definitivo sul piano della natura e dell'oggetto. Esso non rileva invece per quanto riguarda le singole pattuizioni e questo perché il definitivo assorbe in sé quelle preliminari, togliendo loro ogni efficacia negoziale. E ciò vale anche quando intervengano modifiche.


Si porta in tal modo alle estreme conseguenze l'idea del doppio contratto, di cui il primo solo strumentale al secondo, cosicché, in caso di divergenza, il secondo non potrebbe non prevalere, senza possibilità di indagare in ordine alla effettiva volontà dei contraenti di modificare i patti.


Senonché è lo stesso rapporto che lega il preliminare al definitivo che va riconsiderato. Se il definitivo "ha sempre più la funzione di un formulario astratto", può ben procedersi ad un accostamento all'ipotesi di definitivo per scrittura privata seguito da ripetizione notarile, cosicché la prospettiva si inverte, perché è al primo contratto che dovrà aversi riguardo. La volontà di modifica dovrà allora essere positivamente provata sia in caso di sequenza preliminare-definitivo, sia di ripetizione negoziale, solo potendosi discutere se in quest'ultimo caso non debba accentuarsi la presunzione di immodificabilità o, anche in caso di preliminare, non sia vero che i mutamenti del testo definitivo rispetto a quello preliminare debbano essere considerati come mere puntualizzazioni piuttosto che come modifiche e, parimenti, non possa darsi per scontato che, in ogni caso, le clausole del preliminare non riprodotte si debbano intendere espunte.


Dunque alle parti di un contratto preliminare, in virtù del principio di autonomia contrattuale, è bensì possibile, in sede di stipula del definitivo, modificare gli accordi, ma tale modifica non è implicitamente deducibile dalla mancata conformità di contenuto del definitivo al preliminare. Ne consegue che se, ad esempio, il preliminare prevede la vendita di una pluralità di beni, il definitivo che abbia avuto ad oggetto solo alcuni di essi rileva solo come adempimento parziale e non elimina l'obbligo di adempiere il preliminare per la restante parte, salvo che sia data la positiva prova di una volontà modificatrice.


In buona sostanza, dunque, tutto si gioca in termini di prova, perché è la volontà di modifica che va provata e non già la volontà di non ritenere esaurito il vigore del preliminare. Per giungere a questa conclusione è però necessario ammettere che il preliminare, nella realtà delle contrattazioni "non ha nulla a che vedere con quella costruzione astratta, di dubbia legittimità logico-giuridica, che il legislatore del 1941 [sic!] ritenne di rispecchiare nell'art. 1351". Infatti i c.d. contratti preliminari, nella pratica, "sono comuni contratti con i quali le parti, nel regolare i propri rapporti, inerenti nella maggior parte dei casi a una compravendita, graduano nel tempo le reciproche prestazioni, per ragioni di bilanciamento e di garanzie e in particolare differiscono l'effetto traslativo della proprietà". Pertanto il definitivo è bensì lo strumento offerto dall'ordinamento per attuare quell'effetto traslativo, ma ciò non toglie che la sua stipula "sia nient'altro che un puro e semplice adempimento delle obbligazioni assunte con il c.d. preliminare, che resta l'unico e vero regolamento contrattuale dei rapporti; lo stesso art. 2932 c.c. è una conferma indiretta, ma sicura, di questo assetto".


Questa drastica qualificazione dei rapporti preliminare-definitivo, un tempo contenuta nel corpo delle motivazioni, figura ora in qualche massima.


Naturalmente quanto fin qui osservato vale per il caso in cui la volontà modificatrice non emerga con evidenza dal modo in cui le parti formulano il definitivo: ad esempio, quando si modifica l'oggetto del preliminare o si sostituisce il pagamento del prezzo con la dazione di un bene, configurandosi così una permuta.


In questi casi, sempre che ricorra l'expressio causae, il definitivo ha senza dubbio natura contrattuale e va qualificato come contratto modificativo-estintivo del tipo datio in solutum, con ogni conseguenza quanto alla sua disciplina, in specie sul piano della causa solvendi, pur sempre ricorrente, con possibile applicazione, se del caso, dell'art. 1197, c. 2°.

b) Il secondo problema è quello del modo in cui va eseguito il preliminare di vendita ad effetti obbligatori. Va subito ribadito che dovrebbe più propriamente parlarsi di preliminare di vendita ad efficacia reale differita, cosicché non può di certo accostarsi questa fattispecie a quella del preliminare di contratto ad effetti obbligatori, di cui può discutersi l'utilità [infra § 9].


Ove si applicassero le regole, tradizionalmente elaborate, dell'obbligo a contrarre, il preliminare in tal caso dovrebbe essere adempiuto con la stipula di un definitivo di vendita obbligatoria. Ma così non è. Salvo che risulti un'espressa volontà dei contraenti in tal senso, si presume che l'adempimento del preliminare debba avvenire solo se e quando sia possibile concludere una vendita immediatamente traslativa.


Dal preliminare nasce dunque in tal caso a carico del promittente alienante l'obbligo di far conseguire al promittente acquirente la proprietà della cosa, nasce cioè un obbligo di dare, al quale sono strumentali la nascita e l'adempimento degli obblighi necessari a questo fine. Ciò significa che vi è bensì diversità tra preliminare di vendita e vendita, ma non già sul piano obbligatorio, quanto dal punto di vista del solo modus adquirendi che, in caso di vendita, coincide con il titulus, mentre in caso di preliminare si identifica con il definitivo, secondo il modello romanistico. Il promittente alienante dovrà dunque - al pari del venditore - procedere alla individuazione della cosa generica, far sì che la cosa futura venga ad esistenza o che la cosa altrui sia acquistata dal promittente acquirente.


In particolare l'acquisto di cosa altrui può essere assicurato sia acquistando il bene dal proprietario per poi rivenderlo alla controparte, sia inducendo il proprietario a consentire al trasferimento della proprietà, cosicché il preliminare sarà egualmente adempiuto con la conclusione di un contratto di vendita direttamente tra il promittente acquirente e il terzo.


Il contratto definitivo, a questo punto, scompare in quanto tale, essendo intervenuto tra soggetti parzialmente diversi, anche se permane un nesso di interdipendenza, in virtù del quale l'obbligo di dare a carico del promittente alienante di cosa altrui si estingue, ma, ad esempio, non si estingue la garanzia per l'evizione, né quella per i vizi, per gli oneri e per la libertà dell'immobile da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli da lui assunta nel preliminare.


Infatti il promittente acquirente, a conoscenza dell'altruità del bene, non potrebbe rifiutarsi di acquistare dal terzo, onde se, viceversa, ignorando l'altruità, egli, anziché risolvere il preliminare, contraesse con il terzo, lo farebbe liberamente, e allora, salvo espressa riserva nell'atto di acquisto, non potrebbe poi agire contro il promittente venditore.


Non sembra pertanto dubbio che, alla luce di questi orientamenti, il preliminare di vendita sia considerato alla stregua di una vendita obbligatoria.

c) La giurisprudenza è stata ed è all'avanguardia nella rivalutazione del preliminare come fonte degli effetti, anche per quanto riguarda il problema dei vizi, degli oneri ex art. 1489 e delle difformità della cosa promessa in vendita, che possono condurre ad una revisione del contratto, quale esito risarcitorio, a tutela del promittente acquirente.


Un tempo, quando al preliminare, anche di compravendita, si ricollegava un mero obbligo di fare, i rimedi contro vizi e difformità conseguivano necessariamente alla stipula del definitivo, essendo essi posti a tutela di chi ha già acquistato la proprietà. Si riconosceva al promittente acquirente solo il potere di chiedere la risoluzione del preliminare o di rifiutarsi di stipulare il definitivo. Che se poi il definitivo fosse stato stipulato, i rimedi erano discutibili, perché se i vizi si erano manifestati prima della stipula non erano più occulti.


Si cominciò poi a distinguere l'ipotesi in cui le parti avevano anticipato l'esecuzione di una o di entrambe le prestazioni finali, pagando il prezzo e consegnando la cosa. Si elaborò pertanto la categoria del preliminare ad effetti anticipati, che si riteneva avesse diritto ad una disciplina particolare, dovendo, all'anticipata esecuzione delle prestazioni, corrispondere un'anticipata tutela del promittente acquirente in punto di eccezione di inadempimento e poi di azione volta ad ottenere la riduzione del prezzo o l'eliminazione dei vizi. Tale impostazione è ancora attuale.


Il successo della nuova categoria contrattuale è dovuta a ciò, che essa permette di differenziare nettamente questa ipotesi da quella del contratto preliminare tradizionalmente inteso, che non prevede alcuna anticipata esecuzione. Di qui la possibilità di salvare i principi, ma nel contempo di venire incontro alle esigenze poste dai commerci, giungendo ad ipotizzare un preliminare atipico o complesso, ben distinto da quello c.d. puro.


Dottrina e giurisprudenza riconoscono che in tale ipotesi può parlarsi di vendita obbligatoria, con il definitivo che svolge il ruolo di modus adquirendi, mentre il preliminare c.d. puro manterrebbe la sua tradizionale configurazione: nel primo caso, dunque, vi sarebbe un obbligo di dare, nel secondo un obbligo di fare.


Senonché, con una decisione che, nella evoluzione concettuale del preliminare, ben può definirsi storica, le Sezioni Unite sono intervenute nel dibattito, spesso confuso e contraddittorio, negando rilievo alla distinzione ed affermando che qualsivoglia preliminare di vendita, con o senza effetti anticipati, dà luogo alla stessa intensa protezione in favore del promittente acquirente, tanto più in quanto si deve assicurare che l'interesse di costui alla sostanziale conservazione degli impegni assunti, non sia eluso da fatti ascrivibili al promittente alienante.


Se dunque, in caso di effetti anticipati, la tutela dovrebbe riguardare esclusivamente l'assetto pattizio voluto dalle parti, cioè il rapporto intermedio tra preliminare e definitivo, che ha scopo di garanzia connessa con la progressiva attuazione delle varie fasi in cui si svolge l'affare, e non il preliminare in sé e per sé ed il rapporto che ad esso consegue in termini di facere, la svolta nella direzione di un ampliamento della tutela, a prescindere dal rapporto intermedio, non può che passare attraverso una ridefinizione del rapporto che nasce dal preliminare.


Già in termini di logica giuridica è assurdo "che per far valere ragioni per le quali il contratto definitivo dovrebbe risolversi o modificarsi, si debba necessariamente prima stipularlo". Sul piano ricostruttivo, poi, deve riconoscersi che il rapporto giuridico che nasce dal preliminare è preparatorio degli effetti finali, perché "il definitivo è parte integrante comunque del preliminare e non viceversa" essendo atto di adempimento dell'obbligo che dal preliminare nasce.


Le Sezioni Unite, dunque, hanno affermato che la sentenza ex art. 2932 offre un rimedio contro il rifiuto di contrarre "ma non esaurisce la tutela contro l'inadempimento", che è affidata all'azione risarcitoria ex art. 1218, di cui quella volta alla riduzione del prezzo, in caso di vizi e difformità, è espressione. La prestazione dovuta dal promittente alienante "non si riduce all'elemento formale della prestazione del consenso, ma implica nella sostanza il trasferimento di quel determinato bene nella consistenza e con le caratteristiche fissate nel preliminare". Pertanto non può parlarsi di specifica garanzia in favore del compratore, ma di normale conseguenza del fatto che l'offerta da parte del promittente venditore di un bene che presenti difformità o vizi "viola il sostanziale impegno traslativo dello stesso promittente ed abilita la controparte ad utilizzare tutti i rimedi concessi dalle norme generali in tema di adempimento".


Non è chi non veda come, in buona sostanza, l'inadempimento così ipotizzato riguardi essenzialmente un obbligo di dare, a conferma del fatto che si è in presenza di una vendita obbligatoria e di un sistema "diretto a garantire al "creditore" di un bene - e non solo al "proprietario" - il raggiungimento del bene e non solamente il surrogato del risarcimento del danno". Può allora ben dirsi che, con il preliminare, le parti "si promettono "prestazioni" più che "consensi"" e che "lo stesso preliminare non si può distinguere da un definitivo ad effetti più o meno parzialmente differiti".


Non si tratta però di applicare in via analogica o diretta le norme sulla tutela dell'acquirente, quanto piuttosto di dare spazio al rimedio risarcitorio di carattere generale. Infatti non vengono in questione gli artt. 1495 e 1497 per la garanzia dei vizi.


È dunque possibile, ad esempio, avvalersi degli artt. 1460 e 1461, mentre il promittente acquirente può rifiutarsi di adempiere, cioè di concludere il definitivo, ogni qualvolta sia ravvisabile, da parte del promittente alienante, un adempimento inesatto, configurabile quando egli intenda trasferire in proprietà il bene promesso, benché esso sia quantitativamente o qualitativamente diverso, per fatti pregressi o sopravvenuti.


Così è in caso di difetto di certificato di abitabilità o di agibilità o di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipenda da inerzia del Comune o di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, quale sarebbe quella di un pignoramento.


Il promittente acquirente può però cautelarsi anche in sede di giudizio ex art. 2932, perché la sentenza potrà, ad esempio, condizionare il pagamento del prezzo all'estinzione, da parte del promittente venditore, della garanzia o del vincolo, mentre non potrà condannarlo a liberare la cosa da pesi di carattere reale da cui fosse gravata, trattandosi di un facere infungibile.


Si risolve così agevolmente anche il problema della possibilità di ottenere la condanna del promittente venditore ad eliminare a propria cura e spese i vizi o i difetti della cosa. In termini di applicazione della disciplina della vendita l'azione potrebbe essere ritenuta inammissibile, almeno se si resta ancorati all'idea che dalla vendita stessa non possa nascere un facere, ma solo un dare, ed infatti in tal senso è orientata qualche pronuncia della Suprema Corte. Ma se si riconosce che l'azione per l'esatto adempimento è ammissibile nel quadro più generale della tutela del contraente adempiente, non vi sono ostacoli per un'applicazione del principio anche in caso di preliminare, a prescindere dalla consegna anticipata.


Una tale pronuncia è infatti l'alternativa alla risoluzione, avuto riguardo alla prestazione dovuta che, come già osservato, è preparatoria rispetto all'esatto adempimento di quella finale e quindi su di essa si modella. Deve dunque riconoscersi che l'obbligazione del promittente venditore è "ad ampio spettro [perché] include qualunque prestazione (anche di "fare") necessaria ad assicurare la realizzazione di un risultato traslativo finale perfettamente conforme - anche sotto il profilo qualitativo - a quello programmato".


Del resto anche in tal caso la fattispecie potrebbe essere ricostruita come compensazione tra il debito da prezzo e il credito da spese sostenute ex art. 612-614 c.p.c., cosicché si giungerebbe, indirettamente, ad un risultato corrispondente ad una riduzione del prezzo stesso.


Se si assume questa prospettiva ben si comprende perché il promissario acquirente possa agire anche nelle more della stipula del definitivo, senza necessariamente dover cumulare l'azione di riduzione del prezzo o di esatto adempimento con quella ex art. 2932, quasi che presupposto ne fosse il previo acquisto della proprietà. L'unico limite è costituito dal fatto che il bene venga ad esistenza, se futuro, o comunque sia offerto con vizi, oneri o difformità tali da renderlo oggettivamente diverso per struttura e funzione rispetto a quello promesso, sia, cioè, qualificabile alla stregua di un aliud pro alio. Vizi, oneri o difformità devono dunque eventualmente incidere solo sul valore o su secondarie modalità di godimento.


Così in caso di preliminare di permuta di bene presente con bene futuro, se tale bene è poi costruito con una superficie superiore a quella prestabilita, è egualmente possibile pronunciare la sentenza costitutiva, con condanna a versare un conguaglio di prezzo.


Ciò spiega oltre tutto perché il giudice può pronunciare ex art. 2932 una sentenza non pedissequamente ricalcata sul preliminare. La fissazione di un prezzo ridotto per la cosa promessa in vendita è infatti l'esito di un inadempimento ed è quindi volta a dare attuazione alla volontà delle parti così come essa si era effettivamente formata e avrebbe dovuto essere osservata. Il promittente venditore non può dunque trincerarsi dietro il proprio inadempimento per invocare una pretesa impossibilità di pronunciare la sentenza traslativa.


L'azione risarcitoria, pur se autonoma e distinta rispetto a quelle poste a tutela dell'acquirente, ne condivide peraltro la sostanza disciplinare e quindi gli stessi presupposti di fatto. Pertanto, iniziata dal promittente acquirente azione risarcitoria per vizi della cosa nei confronti del promittente venditore-costruttore, ove, nelle more del giudizio, intervenga la stipula del definitivo "nulla vieta che tale azione, volta sostanzialmente al puntuale adempimento dell'obbligazione assunta dalla controparte, sia inquadrata, dopo la stipula della compravendita, nell'ambito dell'art. 1669 c.c.".


Ci si può infine domandare se l'inquadramento dei rapporti tra preliminare e definitivo in termini di impegno traslativo sia in grado di chiarire la situazione giuridica soggettiva di cui è titolare il promittente acquirente, il quale sia stato immesso anticipatamente nel godimento dell'immobile.


È bene precisare che tale immissione non giustifica causalmente l'eventale anticipazione del prezzo, non essendo l'una in funzione dell'altra. L'anticipazione, infatti, va valutata in sé e per sé, in termini di sostanziale maggiorazione del prezzo, onde non può parlarsi di pattuizione gratuita, quando ad essa non corrisponda l'immissione, né sarebbe necessario indagare circa la presenza, a pena di invalidità, di un interesse patrimoniale del promittente acquirente alla anticipazione senza immissione, essendo esso in re ipsa. L'affare, infatti, si identifica, per lui, con la conclusione del preliminare a quelle condizioni e non già con l'immissione anticipata.


Ciò premesso, quando c'è immissione, talvolta le parti regolano il rapporto come una locazione a termine. Essa, secondo la giurisprudenza, darebbe vita, in uno con il preliminare, ad un contratto misto cui, tra l'altro, non era, all'epoca della sua vigenza, applicabile la legge sull'equo canone.


Nel silenzio delle parti il problema è invece quello di stabilire se il promittente acquirente sia possessore. Naturalmente non basta la consegna per tale qualifica. Innanzi tutto l'obbligo di consegna derivante dal definitivo, non può dirsi consumato, con immissione nel possesso, ove la consegna stessa sia bensì anticipata, ma dovuta ad esigenze temporanee del promittente acquirente ed abbia perciò il carattere della precarietà.


In secondo luogo la consegna è atto di per sé neutro, dal quale, dunque, non può desumersi se l'accipiens possa, esercitando il potere di fatto, divenire possessore o resti mero detentore della cosa. La dottrina è oscillante, al pari della giurisprudenza, la quale talvolta definisce il promittente acquirente detentore qualificato, con inapplicabilità dell'art. 1148, ma con possibilità di agire con l'azione inibitoria ex art. 844, altre volte parla di possesso, con conseguente possibile usucapione.


In verità il problema è quello non già della consegna, ma del titolo che ad essa si accompagna e che deve, secondo i principi generali, avere efficacia reale per potersi configurare l'esercizio di un potere di fatto a titolo esclusivo in capo all'accipiens, conseguendo ad un titolo ad effetti obbligatori la mera detenzione, diversamente da quanto accadeva nel diritto romano classico, là dove la vendita obbligatoria trasferiva il possesso, assistito peraltro dall'obbligo, a carico del tradens, di garanzia per l'evizione.


Al fine di giustificare la situazione possessoria ci si affida allora ad una anticipazione della rilevanza del definitivo come titolo, posto che di esso si anticiperebbero gli effetti. In tal modo si postula però una mera virtualità, che non sembra idonea a sorreggere la consegna, la quale deve essere preceduta da un accordo, magari viziato, ma pur sempre atto a manifestare, da un lato, la volontà del tradens di dismettere la proprietà e quindi il possesso della cosa, e, dall'altro, la volontà dell'accipiens di iniziare ad esercitare il potere di fatto sulla cosa stessa.


Ecco perché l'accordo si identifica con un contratto ad effetti reali ex art. 1376, che però deve precedere e non già seguire la consegna, ed ecco perché non è ipotizzabile un contratto atipico traslativo del puro e semplice possesso, che, quale situazione di fatto e non di diritto, non può circolare.


Deve pertanto aversi riguardo al preliminare. Esso, precedendo la consegna, dovrebbe giustificare la dismissione e il correlativo inizio dell'esercizio del potere di fatto sulla cosa. Senza dubbio il preliminare non è in grado di sorreggere la situazione possessoria se ad esso si ricolleghino puramente e semplicemente effetti obbligatori di fare, cosicché è necessario assumere il punto di vista di chi nega che il c.d. definitivo sia un contratto e valorizza il preliminare, spostando su di esso e sul relativo accordo iniziale l'onere di giustificare l'intera operazione traslativa.


Se il definitivo va considerato alla stregua di un fatto che avvera la condizione apposta al preliminare o ha la funzione di rendere definitivi i suoi effetti, vi sarà un solo contratto e dunque un solo titolo, idoneo, come tale, a giustificare l'inizio dell'esercizio del possesso da parte del promittente acquirente.


Si determinerebbe così una situazione analoga, per taluni versi, a quella della vendita con riserva di proprietà, là dove l'acquirente è possessore fin dalla consegna, in virtù, appunto, della idoneità del titolo iniziale a produrre gli effetti giuridici finali, ovvero, in altra prospettiva, a dar vita ad un'aspettativa reale in capo all'acquirente-debitore.


L'accostamento è anche possibile ove il preliminare sia ricostruito in chiave di "contrattazione reale", perché il possesso conseguirebbe al trasferimento della proprietà inter partes, o di titolo attributivo di un ius ad rem in capo al promittente acquirente, con conseguente possibilità, ad esempio, di ottenere il sequestro giudiziale nel corso del giudizio ex art. 2932.


In questa prospettiva ben si colloca l'idea del preliminare di vendita quale vendita obbligatoria, da cui nasce un obbligo di dare. È vero che l'effetto traslativo consegue al modus adquirendi e non al titulus, ma è anche vero che, per quel che già è stato chiarito, si è in presenza di un atto solutorio non negoziale, che carica il preliminare quale titolo di una forza tutta particolare, anche se non decisiva, almeno se autonomamente considerato.


Non basta però osservare che il titolo preliminare "tende a realizzare il trasferimento della proprietà del bene". È vero che nell'ordinamento austriaco, in cui vige il sistema della scissione tra titulus e modus adquirendi, la traditio della cosa immobile prima dell'intavolazione, secondo taluni, attribuirebbe all'accipiens un'azione petitoria analoga a quella pubbliciana, nonché un'exceptio rei venditae et traditae nei confronti di chi abbia acquistato dall'alienante, ma pur non considerando che né la proprietà bonitaria o naturale, né l'actio pubbliciana sono state accolte nel nostro ordinamento anche là dove ancora vige il sistema dell'intavolazione, resta il fatto che, a prescindere dalla rilevanza che avrà a posteriori il titolo preliminare, la pur meno intensa tutela possessoria deve misurarsi con una vicenda ancora in itinere sul piano della creazione del modus adquirendi, non potendo l'anticipazione della consegna significare anticipazione della rilevanza del modus stesso, almeno a prescindere da ulteriori manifestazioni di volontà.


Ciò non toglie che la sequenza titulus-modus è la stessa che si ravvisa nell'ipotesi di proprietà fiduciaria, là dove il fiduciario gestisce il bene in nome proprio, ma per conto altrui, al pari del promittente alienante al quale incombe un dovere di custodia, che "implica il vincolo a tenere condotte che sono l'opposto della autonomia proprietaria, non solo perché il custode non può alterare lo stato giuridico e materiale del bene, ma perché orienta il proprio agire all'interesse altrui anziché al conseguimento del proprio".


Da questo punto di vista è dunque rilevante accertare se il promittente acquirente riconosce o non riconosce l'altruità del bene goduto, ed allora, sotto questo aspetto, quando l'intero prezzo è stato corrisposto e solo manca il modus adquirendi, è difficile negare che egli sia "legittimato a godere ad modum domini della cosa", in virtù di un rapporto "che non si riduce alla figura di un rapporto personale di godimento, ma inquadra in sé il momento del godimento [e] presiede lo svolgimento del programma contrattuale".


Viceversa quando il prezzo non è stato ancora versato, l'animus rem sibi habendi non è configurabile, perché il diritto all'acquisto è subordinato a tale adempimento anche in caso di esecuzione forzata (art. 2932 capoverso). Non può allora dirsi che l'obbligo della restituzione sia legato alla sola ipotesi di risoluzione consensuale, per affermare la situazione possessoria.


Se poi le parti hanno previsto che il prezzo sia pagato dopo il trasferimento della proprietà, al definitivo consegue l'iscrizione di ipoteca legale, che è in grado di garantire il venditore, al pari, in caso di esecuzione forzata, della sentenza soggetta a condizione [infra § 17], mentre nella fase preliminare l'unica garanzia ipotizzabile, in caso di consegna anticipata con rinvio del pagamento del prezzo, è proprio quella di mantenere in capo al promittente venditore il possesso della cosa.


In conclusione, laddove in caso di impossessamento mediante consegna prevale il titulus e in caso di apprensione unilaterale prevale l'animus, nel caso di preliminare di vendita, oltre al titulus è anche necessario che si esaurisca il contegno esecutivo finale, perché allora può configurarsi una sorta di interversione, idonea a definire in termini possessori una vicenda che, in virtù della sola consegna, manterrebbe in capo al tradens, in presenza di un titolo solo virtualmente traslativo, il potere di fatto sulla cosa, esercitato tramite il terzo detentore.


L'avvenuto o non avvenuto pagamento del prezzo a fronte del godimento del bene pone poi il problema dell'applicabilità dell'art. 1499. Certamente se il prezzo è stato versato anticipatamente il problema non nasce. Altrimenti, la risposta negativa discende secondo taluni dalla eccezionalità della norma, insuscettibile di applicazione analogica, e dal fatto che non possono decorrere interessi compensativi là dove il credito ancora non esiste.


In senso contrario, però, da un lato si nega che la norma non possa essere estesa per analogia e, dall'altro, si sottolinea che il pagamento degli interessi è correlato al vantaggio che deriva per la controparte dalla esecuzione anticipata della prestazione rispetto al tempo previsto nel contratto.


Può inoltre sottolinearsi che il credito per il prezzo più che inesistente è inesigibile, in quanto già nato, ma spostato nel tempo, di regola al momento della conclusione del definitivo. È questa un'ulteriore conseguenza del costruire il preliminare di vendita come vendita obbligatoria. In tal senso può contestarsi che nel preliminare di vendita non sia già in astratto ravvisabile l'esigenza di tutelare quell'equilibrio economico tra le prestazioni, che è alla base dell'art. 1499, atteso che con tale contratto le parti non si obbligano ad un mero facere (prestare il consenso).


Comunque è giusto ritenere che, in caso di risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente acquirente, costui, se vi è stata consegna anticipata, debba corrispondere al promittente alienante l'equivalente pecuniario dell'uso e del godimento del bene per il tempo compreso tra la consegna e la restituzione.

 

d) Un ultimo problema è quello di stabilire che cosa accade quando, concluso un preliminare di vendita con riserva di usufrutto, il promittente alienante muoia prima di aver stipulato il definitivo. Ci si è chiesti se gli eredi debbano concludere un definitivo di vendita dell'intera proprietà e, in difetto, possa il giudice pronunciare sentenza traslativa ex art. 2932. Identico problema nasce quando si promette di vendere la sola nuda proprietà, perché dell'usufrutto è titolare un terzo e poi costui muoia prima della stipula del definitivo.


Sul piano degli astratti principi il trasferimento della proprietà piena non dovrebbe essere giammai possibile, perché nelle more della stipula del definitivo il promittente alienante della nuda proprietà è ancora proprietario pieno e questa proprietà, nel primo caso ipotizzato, si trasferisce mortis causa agli eredi, i quali non potrebbero concludere un definitivo di vendita con riserva di usufrutto, che riguarderebbe la loro persona e non più, come previsto nel preliminare, quella del de cuius, ma non potrebbero nemmeno essere costretti a trasferire l'intera proprietà, perché ciò supporrebbe un'avvenuta consolidazione dell'usufrutto con la nuda proprietà ipotizzabile solo dopo la conclusione del definitivo e non già prima, quando la vicenda è a carattere obbligatorio e la scissione tra i due diritti non si è ancora verificata.


Analoga considerazione vale anche quando, nella seconda ipotesi, la consolidazione avviene in favore del promittente venditore della nuda proprietà, che non potrebbe essere costretto a trasferire la piena proprietà, né potrebbe riservarsi l'usufrutto.


Sotto questo aspetto, dunque, la risposta al quesito dovrebbe essere una e una sola: la risoluzione del preliminare per impossibilità sopravvenuta. È palesemente erroneo osservare, in senso contrario, che la sentenza potrebbe anche limitarsi a trasferire la nuda proprietà, cosicché "l'usufrutto estinto per morte dell'usufrutuario si sarebbe consolidato ex lege con la nuda proprietà dando così vita alla proprietà piena". Si è già detto, infatti, che l'usufrutto che il promittente alienante si riserva, è destinato a costituirsi solo con la conclusione del definitivo e quindi non può estinguersi per la morte di costui, intervenuta in un momento precedente, mentre se dell'usufrutto è titolare un terzo il consolidamento avviene nelle more della stipula e quindi prima del giudizio.


Senonché questa rigorosa soluzione va limitata alla sola ipotesi in cui la morte intervenga prima della scadenza del termine di adempimento del preliminare, perché se essa interviene dopo, vi sarà stato inadempimento e, in virtù del principio della perpetuatio obligationis, il rischio delle sopravvenienze potrà allora essere posto a carico dell'inadempiente e quindi anche dei suoi eredi, come accade, ad esempio, in caso di inedificabilità del fondo promesso in vendita, per modifica del piano regolatore, successiva all'inadempimento del promittente acquirente.


Certo si tratta pur sempre di una interpretazione estensiva del principio, ma essa è in grado di giustificare la diversa soluzione, considerando che, ove l'adempiento fosse stato tempestivo, il consolidamento in favore del promittente acquirente della nuda proprietà si sarebbe verificato. In tal senso la sentenza altro non farebbe, trasferendo la proprietà piena, se non attuare il regolamento di interessi voluto dalle parti ed ostacolato nella sua attuazione dell'inadempimento. Come si vede si tratta della stessa ratio che giustifica gli interventi modificativi appena visti in materia di vizi o difformità della cosa promessa in vendita.


Là dove non c'è inadempimento questa stessa soluzione potrebbe invece essere giustificata solo configurando, in favore del promittente acquirente, una situazione a carattere latamente reale, con totale identificazione tra preliminare di vendita e vendita pur sotto il profilo sostanziale e non già solo della tutela giudiziaria. Ma allora davvero si introdurrebbe anche in Italia il principio francese promessa di vendita, vale vendita. Se poi il preliminare è titulus adquirendi si è già osservato che nemmeno un'anticipata consegna potrebbe giustificare una protezione a carattere petitorio.


D'altra parte appare alquanto arduo percorrere strade diverse. Senza dubbio il rischio per la sopravvenienza (cioè per la morte del promittente alienante o del terzo usufruttuario nelle more della stipula) può essere convenzionalmente disciplinato, ma il patto dovrebbe essere espresso, perché comporterebbe uno spostamento del regolamento contrattuale e finirebbe quindi per configurare un contenuto alternativo non desumibile in base a semplici presunzioni.


In difetto di ciò non sembra possibile andare alla ricerca di criteri presuntivi basati sull'età del promittente alienante o del terzo e quindi sulla probabilità della sua morte. Chi vuole assicurarsi l'acquisto senza correre rischi può infatti pur sempre ricorrere alla vendita a termine iniziale o alla vendita per scrittura privata seguita da ripetizione per atto pubblico.


Questa dovrebbe essere, d'altro canto, la soluzione da dare sul piano qualificatorio all'eventuale contratto stipulato in articulo mortis o in avanzatissima età, là dove l'evento della morte fungerebbe da termine iniziale dell'effetto reale, considerando anche che il prezzo pattuito corrisponderebbe, in concreto nel primo caso ed anche in astratto nel secondo, a quello della vendita della piena proprietà.


L'unica cosa certa è che l'opposta conclusione comporterebbe un adattamento del preliminare, cioè una sostanziale modificazione, e non già una sua applicazione tal quale. Quando si dice che, ove non vi sia un accordo per una diversa distribuzione dei rischi, né è configurabile una diversità della prestazione, il rischio per le sopravvenienze future "graverà sul soggetto che se lo è caricato mediante il preliminare", che dovrà quindi essere eseguito senza tener conto delle sopravvenienze stesse, si dice cosa esatta e giusta. Ma quando poi si inquadra la vicenda in questione tra quelle che, da un lato, non determinano uno spostamento della prestazione e, dall'altro, obbligano a concludere il preliminare senza mutarne le clausole, cosicché "gli eredi devono concludere il definitivo per il prezzo indicato nel preliminare", si dice cosa che non appare né esatta, né giusta.


L'inesattezza è in ciò che, ammesso e non concesso che la prestazione definitiva non sia "di qualità e quantità diversa rispetto a quella promessa", resta il fatto che il preliminare non sarebbe eseguito tal quale, perché se il prezzo fissato resterebbe lo stesso, la controprestazione sarebbe diversa, con spostamento netto dell'equiibrio contrattuale. Il prezzo della vendita con riserva di usufrutto è, infatti, almeno di regola, stabilito in base a tabelle riferite a dati statistici, che verrebbero contraddetti da una morte prematura. Ed in ciò sarebbe l'ingiustizia.


Del resto se è vero che il rischio futuro deve gravare sul soggetto che se lo è caricato mediante il preliminare, non si vede perché esso dovrebbe individuarsi nella eventualità di dover alienare la piena proprietà allo stesso prezzo fissato per la vendita della nuda proprietà (cioè in favore del promittente acquirente), piuttosto che di dover rinegoziare l'affare, se del caso con gli eredi, sborsando una somma più elevata, rischio questo, di certo, più plausibilmente conseguente al preliminare, atteso lo spostamento nel tempo dell'effetto reale ed il fatto che il nuovo, più elevato prezzo sarebbe congruo rispetto alla controprestazione conseguita (acquisto della piena proprietà).


La giurisprudenza, per parte sua, solo in apparenza ha mutato avviso rispetto all'applicazione della norma sulla risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Sentenze più recenti hanno infatti bensì previsto l'obbligo per gli eredi di vendere la proprietà piena, ma in entrambi i casi la morte era intervenuta non già, come nel caso deciso in precedenza, nelle more della stipula del definitivo, quanto piuttosto nel corso del giudizio ex art. 2932, cosicché al principio della perpetuatio obligationis se ne aggiungeva anche un altro e cioè quello in base al quale deve evitarsi che i tempi del processo si ripercuotano negativamente nella sfera patrimoniale dell'attore vittorioso.


Di fronte a questa realtà ineccepibile non si capisce il motivo per il quale il giudice senta il bisogno di giustificare la soluzione più favorevole al promittente acquirente andando alla ricerca di ulteriori, opinabili e alquanto imprecise motivazioni, capaci solo di creare confusione e di indurre a ritenere che la soluzione stessa possa essere generalizzata(segue).

(*) Queste pagine sono parte di un capitolo del volume in tema di formazione e disciplina del contratto ,volume che è ventunesimo tomo del Trattato di diritto privato in corso di pubblicazione presso l'editore Giappichelli ,con i contenuti indicato da un circostanziato indice analitico dell'opera



PARTE PRIMA
Accordo delle parti e rapporti giuridici preparatori,
(DI FRANCESCO REALMONTE)

L'accordo contrattuale

1. Contratto e accordo
2. Il problema dell'accordo tra (dogma della) volontà e (teoria della) dichiarazione
3. La conclusione del contratto tra effettività del consenso e valutazioni legali tipiche
4. (Segue) Il dibattito giurisprudenziale in tema di criteri di distinzione tra puntuazione completa di clausole e perfezionamento contrattuale
5. La multiformità dei procedimenti che conducono al contratto rispetto alla "presunta" regola generale dello scambio di proposta e accettazione
5.1. L'elaborazione comune del testo. La formazione del contratto attraverso accordi parziali: le lettere d'intenti


Capitolo II
La dichiarazione contrattuale

1. La dichiarazione contrattuale come dichiarazione recettizia
2. La difformità tra dichiarazione emessa e dichiarazione ricevuta, la dichiarazione apparente
3. Significato e contenuto della regola di recettizietà
4. La recezione necessaria: elemento costitutivo o mero requisito d'efficacia
5. La trasmissione della dichiarazione e la conoscenza aliunde del destinatario
6. L'indirizzo del destinatario e la sua determinazione
7. La nozione di impossibilità
8. Le dichiarazioni che costituiscono esercizio di diritti potestativi


Capitolo III
La conclusione del contratto attraverso proposta e accettazione

1. Proposta e accettazione: natura giuridica e norme applicabili
2. I requisiti della proposta contrattuale
3. I requisiti dell'accettazione: il principio di conformità
4. (Segue) Tempestività e forma dell'accettazione
5. Dichiarazioni contrattuali espresse e dichiarazioni tacite. Il silenzio semplice e circostanziato


Capitolo IV
La formazione del contratto mediante l'inizio di esecuzione

1. L'art. 1327 c.c.: problemi
2. La natura della prestazione richiesta ai fini della conclusione del contratto e la protestatio contra factum
3. Il problema della mancanza di conformità rispetto alla proposta
4. Ambito applicativo e ratio della norma
5. Il momento del perfezionamento del contratto
6. Il problema della natura dell'inizio di esecuzione
7. L'obbligo di avviso ed il risarcimento del danno


Capitolo V
L'adesione di altre parti al contratto aperto

1. La norma dell'art. 1332 c.c.
2. Il contratto aperto e la pluralità delle parti: a) la figura del contratto plurilaterale
(Segue) b) La conclusione del contratto plurilaterale e l'art. 1332 c.c.
(Segue) c) I contratti associativi
3. L'applicabilità dell'art. 1332 c.c. ai contratti di scambio
4. La clausola di apertura: a) efficacia nei confronti degli stipulanti
(Segue) b) Efficacia verso i terzi

Capitolo VI
La formazione del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente

1. Precedenti e riferimenti comparatistici
2. Impostazione della trattazione
3. La fattispecie
4. Il procedimento di formazione: l'irrevocabilità della proposta
5. (Segue) Il mancato rifiuto dell'oblato
6. (Segue) Il termine per il rifiuto, il tempo ed il luogo della conclusione
7. L'ambito di applicazione della norma
8. Profili dogmatici: l'art. 1333 c.c. nella teoria generale del contratto
9. Conclusioni


Capitolo VII
La revoca della proposta e dell'accettazione

1. Il principio generale di revocabilità della proposta
2. Revoca e ius se poenitendi
3. Revoca e "ritiro" di proposta e accettazione. Loro modalità
4. Il (controverso) momento di efficacia della revoca della proposta
5. (Segue) Il modello proposto dal diritto uniforme: un indice sistematico?
6. Revoca e "ritiro" di proposta e accettazione nei contratti a formazione plurilaterale


Capitolo VIII
La sopravvenuta morte o incapacità  del dichiarante e la caducazione  della proposta e dell'accettazione

1. Gli artt. 1329, c. 2° e 1330 c.c.
2. La ratio della regola
3. La morte e l'incapacità sopravvenuta
4. La proposta e l'accettazione nell'esercizio dell'impresa
5. La natura dell'affare e le altre circostanze

Capitolo IX
L'irrevocabilità della proposta

1. Struttura della proposta irrevocabile
2. Struttura del contratto di opzione
3. Effetti della irrevocabilità
4. Il problema della trascrivibilità della proposta irrevocabile e dell'opzione
5. Profili di responsabilità
6. Il termine nella proposta irrevocabile
7. L'accettazione tardiva
8. L'accettazione difforme dalla proposta
9. Forma ed oggetto
10. Proposta irrevocabile ed opzione dirette a più persone. Cedibilità e apponibilità di riserva di nomina
11. La proposta ferma e l'opzione nelle condizioni generali di contratto e nei contratti con i consumatori



PARTE SECONDA
La responsabilità precontrattuale
(DI LUIGI ROVELLI)

Capitolo X
Rapporto precontrattuale e dovere di correttezza. Generalità

1. Il campo di applicazione dell'istituto
2. Cenni di diritto comparato: l'esperienza tedesca, quella francese, quella di Common Law
3. Il sistema fondato sulla clausola generale di buona fede precontrattuale. Limiti di tutela e potenzialità espansive
4. La contrattazione di massa. La nozione di "negoziazione individuale" nella direttiva europea e nella legge interna di attuazione


Capitolo XI
Responsabilità precontrattuale in caso di mancata conclusione del contratto

1. Doveri precontrattuali e libertà di concludere o meno il contratto
2. La fase preparatoria del contratto, nozione di trattative
3. Il recesso dalle trattative: opinioni dottrinali significative nella vigenza del codice civile italiano del 1865. La teoria di Faggella e il "tacito accordo precontrattuale"
4. L'art. 1337 c.c. vigente, fonte dell'obbligazione legale di buona fede precontrattuale
5. Nozione di buona fede oggettiva
6. Buona fede e "giusta causa" di recesso
7. Recesso abusivo (nozione e casistica)
8. Gli accordi parziali
9. Lettere d'intento: esperienze giurisprudenziali e criteri di redazione
10. Gli accordi di comportamento nella fase di formazione del contratto
11. La revoca della proposta
12. Dovere precontrattuale di buona fede e i contratti della p.a.
a) Evoluzione della giurisprudenza: dalla correttezza dell'amministratore alla correttezza del contraente
b) Doveri della p.a. dopo la stipula e prima dell'approvazione del contratto ad evidenza pubblica. Casistica
c) Culpa in contrahendo nella concessione di pubblici esercizi. Nessi fra la delibera amministrativa e la convenzione attuativa


Capitolo XII
Contratto concluso e violazione della buona fede precontrattuale

1. Ipotesi di responsabilità precontrattuale in fattispecie di contratto validamente concluso
2. Fattispecie estranee: i vizi della cosa venduta e la responsabilità ex art. 1494, c. 1°, c.c., la vendita di cosa altrui e la "risoluzione" di cui all'art. 1479, c. 1°
3. La responsabilità per contratto invalido (art. 1338) e l'equa ripartizione dei rischi (rilevanza della categoria del contratto inesistente)
4. Nullità del contratto e casi di responsabilità precontrattuale: l'ipotesi di responsabilità per mancata comunicazione di invalidità derivante da violazione di legge
5. Annullabilità per errore: regole di validità e regole di comportamento
a) La posizione dell'errante e quelle dell'altro contraente
b) Errore riconoscibile ed errore scusabile; l'errore riconosciuto
c) Errore bilaterale
d) Tutela del destinatario di dichiarazione negoziale recettizia che appare viziata
6. Il contratto concluso dall'incapace legale, e l'eccezionale ipotesi di validità di cui all'art. 1426 c.c. L'incapacità naturale
7. Il contratto viziato da dolo o da violenza. Il problema della violenza incidentale. Azione di annullamento e azione di risarcimento
8. Inefficacia del contratto e responsabilità in contrahendo
9. Il contratto concluso dal falsus procurator (eccezionali ipotesi di responsabilità del falsus procurator per l'interesse contrattuale positivo)
10. La c.d. rappresentanza apparente


Capitolo XIII
Natura della responsabilità

1. Ragioni della rilevanza dell'inquadramento teorico
2. I limiti all'estensione della culpa in contrahendo che, sotto l'abrogato codice, derivavano dalla necessità di ricostruirla entro la responsabilità aquiliana
3. Cenni sul fondamento della distinzione fra le due forme di responsabilità
4. Differenze di disciplina e aspetti comuni
5. L'orientamento della giurisprudenza e le teoriche extracontrattualistiche
6. L'autonomia della culpa in contrahendo rispetto all'art. 2043
7. Specificazione della regola di correttezza nella fase precontrattuale come regola di "governo di un progetto". Contenuto non solo negativo di tale regola
8. Divergenza tra la disciplina dell'art. 1338 e il regime del concorso di colpa del danneggiato: significato della regola di reciprocità
9. Relazione tra l'art. 1337 e l'art. 1175 c.c.
10. Struttura del rapporto obbligatorio precontrattuale e individuazione dei comportamenti "in obbligatione"
11. Rapporto tra l'art. 1337 e l'art. 1366: interpretazione, integrazione e la c.d. Hardship clause
12. Ricostruzione unitaria delle fattispecie di violazione della buona fede precontrattuale
13. Distribuzione dell'onere della prova, nelle varie ipotesi di responsabilità precontrattuale
14. Le parti del contratto e i soggetti della responsabilità precontrattuale
15. Culpa in contrahendo, e varie ipotesi di lesione aquiliana del credito alla prestazione precontrattuale, causata dalla diffusione di notizie inesatte e denigratorie
16. Le lettere di patronage: residualità di ipotesi di responsabilità precontrattuale
17. La responsabilità da prospetto
a) Il prospetto informativo per la sollecitazione del pubblico risparmio: natura e funzione nel quadro del contratto di investimento in valori mobiliari
b) Il prospetto di emissione
c) Ipotesi di responsabilità dell'emittente per "informazione difettosa"
d) Azione di annullamento e ipotesi di responsabilità precontrattuale
e) Casi di responsabilità in contrahendo dell'emittente verso l'acquirente di titoli nel mercato secondario
f) Responsabilità precontrattuale degli amministratori di società emittente per conclusione di contratto invalido
g) Prospetto di quotazione e responsabilità degli intermediari
h) Gli obblighi precontrattuali di informazione dell'intermediario
i) Invalidazione del contratto di investimento e responsabilità precontrattuale
l) Onere della prova e responsabilità degli intermediari
18. Il danno
a) La nozione di interesse negativo come interesse all'adempimento della obbligazione precontrattuale; specificazione delle diverse discipline
b) L'interesse negativo nell'elaborazione giurisprudenziale. Criteri limitativi del quantum risarcibile
c) La prevedibilità del danno
d) Il danno risarcibile per conclusione di contratto invalido
e) Il danno nel caso di rottura ingiustificata delle trattative. Criteri di determinazione del lucro-cessante
f) La perdita di "chances"
g) Il risarcimento del danno nell'ipotesi di dolo incidentale (e nei casi, previsti dalla legge) di violazione precontrattuale di correttezza, in ipotesi di conclusione di contratto valido ed efficace



PARTE TERZA
l'evoluzione della disciplina del contratto
(DI GUIDO ALPA)


Capitolo XIV
Indirizzi attuali

1. L'evoluzione della disciplina
2. I processi di armonizzazione e di unificazione del diritto contrattuale

2.1. I fondamenti
2.2. Il metodo
2.3. La costruzione sistematica
2.4. Esempi di raffronto dei testi
3. Alcune conclusioni
 

Capitolo XV
I Contratti dei Consumatori

1. Premessa: dai contratti di massa ai contratti dei consumatori
2. "Diritto privato europeo" e disciplina dei contratti
3. Nozione del consumatore e bipartizione sistematica tra contratti dei consumatori e contratti tra imprenditori
4. Linee generali
5. I presupposti applicativi
5.1. Presupposti soggettivi. Il consumatore ed il professionista
5.2. Presupposti oggettivi: il significativo squilibrio e la buona fede
6. L'accertamento della vessatorietà: i criteri negativi
6.1. La trattativa individuale
6.2. Le clausole riproduttive di disposizioni di legge e di convenzioni internazionali
6.3. Oggetto del contratto e trasparenza contrattuale
7. L'azione inibitoria
a) Profili generali
b) Legittimazione attiva e passiva
c) I presupposti dell'azione inibitoria cautelare. La giurisprudenza
8. Le singole presunzioni di vessatorietà: prime indicazioni giurisprudenziali
8.1. Clausole vessatorie
8.2. Clausole non vessatorie


Capitolo XVI (di Giuseppe Chine')
La contrattazione standardizzata

1. Premessa e generalità
2. Le condizioni generali di contratto
3. Il riferimento alla conoscenza o conoscibilità delle condizioni generali
4. La specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie
5. (Segue) Approvazione per iscritto e contratto a favore di terzo
6. Forme della sottoscrizione e tutela dell'aderente
7. Valenza dell'elencazione normativa delle clausole vessatorie
8. Le singole clausole vessatorie
8.1. Le clausole limitative di responsabilità
8.2. Le clausole che riconoscono facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione
8.3. Le clausole che stabiliscono decadenze a carico dell'aderente
8.4. Le clausole limitative della facoltà di opporre eccezioni
8.5. Le clausole che restringono la libertà contrattuale
8.6. Le clausole che stabiliscono la tacita proroga o rinnovazione del contratto
8.7. Le clausole compromissorie o derogatorie della competenza
9. Diritto vivente e deroghe alla disciplina delle clausole vessatorie
10. Clausole vessatorie, usi normativi e negoziali
11. La standardizzazione nei contratti della pubblica amministrazione
12. (Segue) Condizioni generali di contratto predisposte dalla pubblica amministrazione
13. Condizioni generali approvate da autorità pubbliche: i concorsi a pronostici ed i contratti del monopolista
14. I contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari
15. L'interpretazione dei contratti standard
16. (Segue) L'interpretatio contra proferentem nei contratti dei consumatori


PARTE QUARTA
contratto preliminare
(DI FRANCESCO GAZZONI)


Capitolo XVII
Contratto preliminare

1. Il preliminare tra scelta francese e tedesca
2. Le teorie
3. Il preliminare di vendita
4. Preliminare e trattative
5. Il preliminare di preliminare
6. Preliminare e definitivo per scrittura privata
7. Contratti preparatori in sequenza
8. La clausola per persona da nominare
9. L'ambito. I rapporti patrimoniali
10. (Segue) I rapporti non patrimoniali
11. I requisiti
12. La risoluzione
13. La rescissione
14. L'invalidità e la revocatoria
15. L'esecuzione forzata
16. (Segue) La sentenza costitutiva
17. (Segue) I vizi
18. (Segue) Le condizioni
19. (Segue) L'impossibilità
20. I conflitti. La trascrizione della domanda giudiziale
21. (Segue) La trascrizione del contratto