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Il diritto d'accesso ai documenti della P.A. e il rapporto tra quest'ultimo e il diritto alla riservatezza.

 

 

ANNALISA PANTALEO



 

Tribunale Amministrativo Regionale Lazio - sez. II bis- sent. 17 gennaio 2002, n. 1294; Pres. Giulia, Est. Conti

 

Il diritto di accesso ai documenti, ex art. 22 della legge n. 241/1990, è applicabile sia all’attività di diritto pubblico sia all’attività di diritto privato svolta dalla P.A. Nel caso di attività iure privatorum svolta da un ente pubblico economico, il diritto di accesso si applica, però, a patto che la predetta attività, pur se sottoposta al diritto comune, sia relativa alle modalità con cui è materialmente  gestito il servizio pubblico.

Siccome nel caso di specie  l’accesso riguarda la residua attività che il gestore del servizio pubblico svolge in regime di sostanziale concorrenza con il sistema bancario, dove è riconosciuto il diritto alla riservatezza, l’accesso ai documenti, in generale possibile, non può essere esercitato in quanto recessivo rispetto al diritto di riservatezza del gestore stesso sulla base di un giudizio di bilanciamento. 

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. Con ricorso proposto ex art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il ricorrente, un condomino, eccepisce il diniego opposto dall’ente Poste Italiane s.p.a. alla richiesta d’accesso ai documenti relativi al conto corrente postale n. 55379/17250002 intestato al condominio presso il quale il ricorrente stesso risiede.

Antecedentemente al giudizio, il ricorrente ha presentato all’Ufficio Servizi Finanziari delle Poste Italiane S.p.a. una richiesta d’accesso all’estratto del predetto conto corrente. Tale istanza è stata respinta. Avverso la stessa il ricorrente ha proposto ricorso, ex art. 29 della legge n. 675/1996, all’Ufficio del garante dei dati personali, il quale è stato respinto sull’assunto che detta richiesta costituiva espressione del diritto d’accesso ai documenti amministrativi, legge 241/1990. Successivamente il ricorrente ha riproposto l’istanza all’ente Poste Italiane s.p.a., la quale è stata nuovamente respinta.

Ritenendo tale diniego illegittimo il ricorrente ha proposto il ricorso al T.A.R. affinché quest’ultimo condannasse l’ente Poste Italiane s.p.a. ad esibire e consegnare i documenti richiesti.

Si è costituito l’ente Poste Italiane s.p.a. il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto lo stesso non sarebbe stato notificato ai controinteressati, quali contraddittori necessari.

Il T.A.R. ha respinto l’eccezione rilevando che il ricorso era stato notificato all’amministratore del condominio di cui trattasi. Ha, invece, rigettato il ricorso in quanto infondato nel merito.

           

NOTA

 

Il T.A.R. del Lazio, con la sentenza in epigrafe, si pronuncia sul delicato tema dei rapporti tra il diritto di accesso ai documenti della P.A. e il diritto alla riservatezza.

Nel caso sottoposto al sindacato del T.A.R. il ricorrente, nella fattispecie un condomino, propone ricorso avverso il diniego opposto dall’ente Poste Italiane s.p.a. alla richiesta di accesso all’estratto del conto corrente intestato al condominio, presso il quale il ricorrente stesso risiede.

            Il Tribunale, ribadendo in generale l’applicabilità del diritto di accesso all’attività svolta in regime privatistico dall’ente Poste Italiane s.p.a. (già in tal senso T.A.R. Lazio, Sez. II bis, 01 giugno 2001, n. 4836), precisa che, nel caso di specie, l’accesso non è esercitabile  in quanto recessivo rispetto al diritto alla riservatezza.

            Con tale sentenza, quindi, il T.A.R.: 1) si pronuncia sommariamente sull’ammissibilità del diritto di accesso ai documenti emanati dalla P.A. iure privatorum e 2) sviluppa il rapporto tra il diritto d’accesso ai documenti e il diritto alla riservatezza.

            Quanto al primo punto, il T.A.R. avalla l’orientamento ormai prevalente della giurisprudenza ad ammettere il diritto di accesso agli atti di diritto privato emanati dalla P.A. (tra le tante Consiglio di Stato, AP, 22 aprile 1999, n. 4)[1]. Tale orientamento fa leva sul dato formale dell’ampia nozione di documento amministrativo fornita dalla clausola residuale di cui all’art. 22 della legge n. 241 del 1990: il documento amministrativo è un atto “comunque utilizzato ai fini dell’attività amministrativa”. Si parla di attività amministrativa e nell’ambito della stessa è compresa sia l’attività di diritto pubblico sia l’attività di diritto privato svolta dalla P.A.[2]. Se il legislatore avesse voluto far dipendere l’operatività del diritto di accesso dal regime giuridico dell’attività svolta dalla P.A. lo avrebbe detto espressamente. A sostegno di tale orientamento basti la sentenza del T.A.R. Campania del 31 luglio 1996, n. 824 che afferma perentoriamente che “il canone ermeneutico ubi lex voluit dixit impone all’interprete di non introdurre distinzioni non previste dal legislatore”[3].

            Quanto al rapporto tra il diritto di accesso agli atti e il diritto alla riservatezza, il principio generale, desumibile dal diritto positivo, sancisce che “al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di fornire lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi”(art. 22, comma primo, della legge n. 241 del 1990).

            Fatto salvo tale principio, “i documenti amministrativi possono essere sottratti all’accesso…quando riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, di gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento all’interesse epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono” (art. 8, comma 5, lettera d DPR n. 352/1992).

            Dal diritto positivo si desume, quindi, che il diritto di accesso e il diritto alla riservatezza stanno tra loro in rapporto di regola ad eccezione, nel senso che il primo deve prevalere sul secondo, salvo nei casi di cui all’art.8, comma quinto, lettera d, del DPR n.352/19992.  

Anche la giurisprudenza maggioritaria si è pronunciata nel senso della prevalenza del diritto di accesso rispetto al diritto alla riservatezza del terzo “ogni qualvolta l’accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di interessi giuridici del richiedente” (tra le tante Consiglio di Stato, Sez. V, 22 giugno 1998, n. 923)[4]. In senso evolutivo è stato anche affermato che “la situazione giuridicamente rilevante che legittima all’accesso non si identifica necessariamente in un diritto soggettivo o in un interesse legittimo, ma anche in tutte quelle posizioni utili con cui l’ordinamento riconosce qualche forma di tutela, quali le aspettative e gli interessi diffusi” (T.A.R. Lazio, Sez. I, 21 marzo 1997, n. 471)[5].

            Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. ribadisce l’applicabilità del diritto di accesso all’attività svolta in regime privatistico dall’ente Poste Italiane s.p.a. ma, rifacendosi ad una parte della giurisprudenza, precisa che tale applicabilità è possibile sul presupposto che la predetta attività, pur se sottoposta al diritto comune, sia “relativa alle modalità con cui è materialmente gestito il servizio pubblico”. Siccome nel caso di specie “l’accesso riguarda la residua attività del gestore del pubblico servizio” il T.A.R. stabilisce che “il diritto di accesso è sì esercitabile ma a condizione che si manifesti  un interesse pubblico alla trasparenza prevalente rispetto a quello imprenditoriale della parte resistente alla riservatezza da valutare sulla base di vari indici tra cui il regime sostanziale dell’attività svolta dall’ente Poste Italiane s.p.a.”.

            E, proprio con riguardo a tale indice, si osserva che il documento richiesto dal ricorrente riguarda la gestione di un conto corrente, nell’ambito del servizio bancoposta, che è completamente autonomo rispetto al conto corrente postale e che è gestito dall’ente Poste Italiane s.p.a. in regime di sostanziale concorrenza con il sistema bancario, dove è riconosciuto il diritto alla riservatezza nei confronti degli interessi epistolari e finanziari di un soggetto (art.8, comma 5, lettera d del DPR n. 352 del 1992). In questo caso, quindi, il T.A.R. rileva che ove si dovesse ritenere prevalente l’interesse all’accesso rispetto all’interesse imprenditoriale alla riservatezza si provocherebbe una lesione dell’interesse pubblico al mantenimento di un regime concorrenziale paritario tra il sistema finanziario postale e il sistema bancario.

La decisione del Tribunale non richiede una particolare riflessione dato che essa è apprezzabile per lo sforzo fatto di bilanciare più interessi meritevoli di tutela: l’interesse alla trasparenza e l’interesse alla riservatezza che, nel caso di specie, incide sull’interesse pubblico al mantenimento di un regime concorrenziale tra il conto corrente postale, gestito con il sistema bancoposta, e il conto corrente bancario. Qualora, infatti, il Tribunale avesse riconosciuto prevalente l’interesse del condomino, in quanto possessore dello status di comunista della medesima comunità condominiale, alla trasparenza delle operazioni relative al conto corrente costituito per la gestione del condominio, rispetto al diritto alla riservatezza degli interessi epistolari e finanziari del condominio stesso, avrebbe creato, senza una valida giustificazione, una differenza in ordine alla tutela offerta ai due enti con indubbio vantaggio per l’ente bancario.

            Una maggiore attenzione merita, invece, l’orientamento della giurisprudenza, richiamato da questo Tribunale, secondo cui “l’applicabilità del diritto di accesso è possibile nei confronti dell’attività di diritto privato della P.A. solo se la stessa è relativa alle modalità con cui è materialmente gestito il servizio pubblico”[6]. Al riguardo una parte della dottrina ha obiettato che così come non esiste alcuna norma che faccia dipendere l’operatività del diritto d’accesso dal regime giuridico dell’attività svolta dalla P.A. allo stesso modo non esiste alcuna norma che stabilisca un collegamento tra il diritto d’accesso e la potestà pubblica tale da consentire lo stesso solo se gli atti iure privatorum della P.A. siano riferibili all’esercizio di un pubblico potere[7]. In base al c.d. principio di funzionalità, richiamato da tale dottrina, ciò che legittima l’esperibilità del diritto di accesso è la perseguibilità della soddisfazione di pubblici interessi e a tale fine è teleologicamente indirizzata sia l’attività di diritto amministrativo sia l’attività di diritto privato svolta dalla P.A. Per di più, con riguardo a quest’ultimo caso, è stato sostenuto che non solo nell’ipotesi in cui si avvalga di atti di diritto comune in luogo degli atti di diritto amministrativo per soddisfare un interesse pubblico, c.d. “attività di diritto privato”, ma anche nell’ipotesi in cui ricorra alla c.d. “attività privata”, attività volta ad assicurare la propria sopravvivenza mediante la provvista di quanto le occorra per lo svolgimento dei propri compiti, nell’attività della P.A. si riscontra pur sempre una vera e propria «immanenza…dell’interesse pubblico… in ordine all’attività di diritto privato»[8].

Ad avviso di chi scrive, l’orientamento dottrinale richiamato è da condividere.   

Usando le parole di Casetta,«è proprio la funzionalizzazione immanente all’intera attività della P.A., e quindi anche all’attività di diritto privato, che impone di distinguere tra l’attività contrattuale dei privati e quella della P.A.: i primi, nel rispetto della legge, sono liberi di perseguire i propri interessi, la seconda, nel rispetto della legge, deve, invece, sempre perseguire gli interessi pubblici»[9]. Inoltre, se non ci fosse tale funzionalizzazione non si spiegherebbe perché gli atti iure privatorum debbano essere ancorati ai canoni di buon andamento, correttezza e imparzialità al pari degli atti di diritto amministrativo. Al riguardo bisogna sottolineare che la sentenza del T.A.R. Sardegna, 24 ottobre 1995, n. 1683 ha, infatti, riconosciuto l’assoggettabilità alla disciplina del diritto d’accesso di documenti concernenti una gara d’appalto, in quanto “anche nella sua attività di diritto privato l’Amministrazione, sebbene svincolata dal rispetto delle forme procedimentali e delle modalità di controllo proprie dell’attività autoritativa, deve comunque ritenersi vincolata al rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione”[10].

 

 [1] Sembra ormai superato l’orientamento del Cons. St., sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412, in Foro it., 1995, III, 604, che aveva affermato che « se la legge 7 agosto 1990 n. 241 mira ad ottenere la correttezza, il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, questo obiettivo appare perseguibile nei confronti della pubblica amministrazione che si presenti come autorità. Laddove e nei limiti in cui l’ente agisca con il diritto dei privati, senza godere di potestà particolari o di situazioni di supremazia, non è giustificabile alcuna intrusione attraverso il mezzo dell’accesso ». Al riguardo si veda anche La trasparenza amministrativa a due anni dalla legge 7 agosto 1990 n. 241. Atti del Convegno di Siena del 30 ottobre 1992, a cura di Clarich M., in suppl. a Mondo Economico n. 9 del 27 febbraio 1993, 52, il quale, riportando l’orientamento al tempo seguito dall’Avvocatura dello Stato a proposito dell’applicabilità del diritto di accesso nei confronti degli enti pubblici economici, afferma che « la normativa si applica in senso funzionale, cioè si applica a quelle attività degli enti pubblici economici che costituiscono espressione di una potestà pubblicistica, non anche a quelle attività che si svolgono sul piano meramente privatistico ».

[2] OCCHIENA M., Diritto di accesso, atti di diritto privato e tutela della riservatezza dopo la legge sulla privacy, in Dir. proc. amm.,1998, fasc. 2, 387. L’Autore rileva che le recenti pronunce del Consiglio di Stato consentono di superare l’opposto orientamento giurisprudenziale, ormai minoritario, secondo cui “la nozione di documento amministrativo deve essere riferita esclusivamente all’esercizio di poteri pubblici in senso stretto, dato che il concetto amministrativo indica la funzione di potestà pubbliche autoritative”.

[3] T.A.R. Campania, Salerno, 31 luglio 1996, n. 824, in Trib. amm. reg., 1996, I, 3874.

Id. T.A.R. Lazio, Sez. III-ter, 10 giugno 1996, n. 1204, in Guida al diritto de Il Sole 24 Ore, 3 agosto 1996, n. 31, 91. Anche tale ultima sentenza si è pronunciata nel senso che dal dettato della legge non è possibile far derivare l’esistenza di un discrimine  fra attività di diritto privato e attività di diritto amministrativo ai fini dell’esercizio del diritto d’accesso.

[4] Consiglio di Stato, Sez. V, 22 giugno 1998, n. 923, in  Il Cons. Stato, 1998, I, 931 e seg.

Con nota di AZZONI V., Diritto all’accesso e diritto alla riservatezza, in Nuova Rassegna, 1998, n. 20, 2000. L’Autore rileva non solo l’importanza dei principi fissati dalla giurisprudenza verso tutti coloro che sono titolari di una situazione giuridicamente rilevante ai fini del diritto di accesso; ma sottolinea anche il “sollievo” che tali principi arrecano agli operatori delle pubbliche amministrazioni in quanto consentono agli stessi di uscire dall’imbarazzo fra il concedere e il negare: con la preoccupazione di scivolare, nell’un caso, nell’abuso e, nell’altro, nell’omissione.

[5] T.A.R. Lazio, Sez. I, 21 marzo 1997, n. 471, in Il Foro italiano, 1997, III, 397.

[6] T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 18 dicembre 1996, n. 515, in Trib. Amm. reg., 1996, I, 587, ha seguito lo stesso iter argomentativo per sottrarre alcuni atti di un ente pubblico economico (Ente Poste Italiane) all’accesso, adducendo proprio la carenza di inerenza di quei documenti rispetto all’attività propriamente amministrativa.

[7] OCCHIENA M., op. cit., 385 e seg.

[8] OCCHIENA M., op. loc. cit. Le parole tra virgolette sono di CASETTA E., Attività amministrativa, in Dig. disc. pubbl., I, 1987, 525. In tal senso anche CASSESE S., Le basi del diritto amministrativo, Torino, 1989, 83 e seg. L’autore sostiene che anche l’acquisto di beni e servizi indispensabili per il funzionamento  degli  uffici  incide  sul  pubblico  interesse,  poiché  attiene  all’organizzazione,  che  è in « rapporto di relazione necessaria con il regime pubblico ».

[9] CASETTA E., voce  Provvedimento e atto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., XII, Torino, 1997, 255.

[10] T.A.R. Sardegna, 24 ottobre 1995, n. 1683, in Trib. Amm. reg., 1995, I, 5056 e seg.