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Il diritto antitrust nel mercato bancario e nel mercato finanziario.

Marcello Bassani


Sommario: 1. Premessa; considerazioni introduttive sul sistema di tutela della concorrenza in generale. 2. La tutela della concorrenza nel mercato bancario. 3. Un caso emblematico di fattispecie "intersettiva" della normativa bancaria e di quella antitrust: il gruppo bancario cooperativo paritetico. 4. Cenni al mercato mobiliare ed assicurativo. 5. Considerazioni conclusive.

Legislazione: Regolamento n. 4064/1989/CE; Regolamento n. 3932/1992/CE; Regolamento n. 1310/1997/CE; R.d. n. 265 del1942 (Codice civile); L. 287 del 10 ottobre 1990; d. lgs. n. 385 del 1° settembre 1993; d. lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998; Regolamento adottato con delibera Consob n. 11971 del 14 maggio 1999.

Dottrina: Annunziata 2003; Campobasso 2002; Cassottana - Nuzzo 2002; Costi 2000; Costi 2001; Costi 2003; Donati - Volpe Putzolu 2002; Gentili 1993; Irti 2003; Lamandini 2003; Libertini 2002; Lupoi 2001; Santagata 2003; Siani 2002; Vanzetti - Di Cataldo 2003;


1. Quello del diritto antitrust è un problema che, nell'ambito di qualsivoglia sistema nazionale che voglia davvero definirsi a "capitalismo maturo", non può non costituire oggetto di adeguata riflessione, soluzione e disciplina. La disciplina della concorrenza costituisce infatti una caratteristica che contribuisce a connotare in positivo i tratti comuni a tutti i più grandi sistemi ad economia industrializzata maggiormente evoluti. Ma prima di passare ad analizzare specificamente la disciplina antitrust, così come delineata dall'ordinamento italiano, per poi procedere all'esame della sua compenetrazione nei settori specifici del mercato bancario e del mercato finanziario, pare opportuno soffermarsi brevemente sulla descrizione della concorrenza, come fenomeno a sé, indipendentemente dalla sua regolazione giuridica.
In quest'ottica va anzitutto osservato come la disciplina della concorrenza sia stata introdotta, in pressoché tutti gli ordinamenti caratterizzati da un'economia industrializzata sviluppata al punto da potersi realmente definire "a capitalismo maturo" solamente in tempi relativamente assai recenti. Basti considerare, infatti, come gli Stati Uniti D'America, nazione tradizionalmente antesignana in molti settori dell'economia, nonché nella loro regolazione giuridica, si siano dotati di una disciplina giuridica della concorrenza soltanto con l'approvazione, nel 1890, dello "Sherman Act", che costituisce, a livello mondiale, il primo esempio di legislazione "antitrust" .
E tale nomenclatura non dovrebbe peraltro costituire oggetto di meraviglia sol che si rifletta sul fatto che, in quel sistema giuridico - economico, il mezzo più diffuso per aggirare le norme poste a presidio del "bene concorrenza" era costituito proprio dall'istituto del trust, tanto conosciuto ed utilizzato nei sistemi così detti di "common law", quanto aborrito (almeno allora - forse perché non adeguatamente conosciuto) nei sistemi così detti di "civil law". Gli imprenditori più attivi, infatti, (classico è negli esempi della letteratura di settore il caso di Rockfeller) erano soliti costituire in trust alcune o parti di talune loro aziende al fine di non risultarne i diretti titolari ed amministratori, eludendo così le norme antimonopolistiche .
Per quanto attiene all'Europa, v'è da riconoscere come i Paesi del vecchio continente abbiano avvertito il bisogno di dotarsi di una legislazione antitrust solamente nel secondo dopoguerra. Da questa esigenza può peraltro dirsi nata la normativa a tutela della concorrenza contenuta nel trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (oggi più semplicemente Comunità Europea - CE).
Quanto all'Italia, il nostro Paese si è dotato di una legislazione in materia solo nel 1990 (sebbene vi sia da porre all'attenzione come fossero state già da tempo adottate iniziative parlamentari non andate mai a buon fine per la ripetuta scadenza anticipata della legislatura ) con l'approvazione della famosa legge n. 287 del 10 Ottobre 1990, la quale, oltre a porre i cardini della disciplina della concorrenza nel nostro Paese, istituisce, con l'articolo 10 , l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, istituita, seguendo una prassi ormai nota da alcuni anni al nostro sistema, nella forma di Autorità amministrativa indipendente (similmente pertanto alla CONSOB, all'ISVAP ed alla Banca d'Italia) e deputata alla vigilanza in tema di intese, accordi e deliberazioni, nonché rispetto a tutte le attività "che abbiano per oggetto o per effetto" di restringere o falsare il gioco della concorrenza sul mercato nazionale o su di una sua parte rilevante.
Prima di passare, però, all'esame specifico delle singole norme della l. 287/'90 si ritiene utile ancora qualche precisazione. Va anzitutto osservato come il nostro ordinamento abbia riguardo al tema della concorrenza prevedendola già in norme di rango costituzionale. Può infatti ritenersi pacifico come l'art. 41 della nostra Carta Costituzionale, nel sancire che "L'iniziativa economica privata è libera" e che "Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana", affermi la necessaria presenza, nel nostro ordinamento positivo, di una norma (intesa in senso ampio, cioè di disciplina legislativa) che preveda e tuteli quello che, con efficace formula, è stato definito "il bene giuridico concorrenza" .
Nello stesso saggio, peraltro, con formula altrettanto efficace, si sintetizza la disciplina complessiva della concorrenza nel nostro ordinamento osservando come siano rinvenibili tre diversi profili di rilevanza del "bene giuridico concorrenza": e cioè la libertà di concorrenza, accezione nella quale essa costituirebbe solo uno dei possibili contenuti della libertà d'iniziativa economica, ma anche "la tutela della concorrenza" nonché "la promozione della concorrenza", accezioni in cui il concetto rilevante risulta essere quello di concorrenza effettiva .
E a questo punto non può farsi a meno di ricordare come un fine giurista del nostro tempo non abbia tralasciato di ricordare come il legislatore, nel momento stesso in cui da ingresso nell'ordinamento alla tutela della concorrenza, accetti l'idea di "tutelare la lotta", in quanto quest'ultima idea sarebbe connaturata nella stessa etimologia del termine concorrere, dal latino cumcurrere, vale a dire "correre", o meglio "competere", con altri.
Passando ora brevemente all'esame del contenuto della legge antitrust italiana, prima di procedere ad osservare i suoi effetti sui mercati bancario e finanziario in particolare, si può affermare quanto segue. Va anzitutto osservato come le fattispecie tipizzate e ritenute illecite dalla norma possano, in via di prima approssimazione, farsi rientrare nell'alveo di tre categorie, ed i particolare: 1) intese restrittive della concorrenza, a loro volta scomponibili nelle tre fattispecie degli accordi, delle deliberazioni e delle pratiche concordate fra imprese , quando abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il "gioco" della concorrenza all'interno del mercato nazionale o di una sua parte rilevante (cfr. art. 2 l. 287/'90); 2) abuso di posizione dominante, da parte di una o più imprese (cfr. art. 3 . 287/'90) e 3) operazioni di concentrazione (cfr artt. 5 e 6 l. 287/'90).
Con riguardo alle disposizioni appena richiamate si può anzitutto osservare come il legislatore provveda a tipizzare talune situazioni nelle quali possa ravvisarsi sicuramente violazione delle norme su esposte; e deve inoltre ritenersi che, nel caso di intese vietate nonché di abuso di posizione dominante, ci si trovi dinanzi ad un'elencazione non tassativa, bensì aperta. Infatti l'art. 2, al 2° comma, nel vietare le intese restrittive della concorrenza, afferma testualmente che esse possano verificarsi "anche attraverso attività consistenti nel….(omissis)"; e, dal canto suo, l'art. 3, comma 1°, in tema di abuso di posizione dominante, nel vietare tale pratica, prosegue sancendo "…, ed è inoltre vietato:…(omissis)".
Nel caso, invece, di operazioni di concentrazione, deve ritenersi che l'elenco di cui all'art. 5 della l. 287/'90 sia tassativo, in quanto non contenente analoga clausola di "apertura". Ma preme ancora osservare come vi sia un altro punto che pare accomunare le fattispecie di cui agli articoli 2 e 3 della l.287; infatti, se si fa eccezione per il caso di cui alla lettera c) del comma 2° dell'art. 2 (ripartizioni dei mercati e/o delle fonti di approvvigionamento), si può facilmente osservare come le fattispecie illecite esemplificate dal legislatore per i casi di intese restrittive della concorrenza e di abuso di posizione dominante risultino del tutto simili .

2. Dopo aver presentato per vie generali la disciplina della concorrenza nel nostro ordinamento, pare ora possibile passare all'esame degli effetti della disciplina medesima nell'ambito del mercato bancario e finanziario .
A tal proposito va rilevato come, per quanto attiene in special modo alla disciplina della concorrenza nel mercato bancario, la l. 287/'90 preveda una norma ad hoc. L' articolo 20, 1° comma, infatti, prevede espressamente che la vigilanza sulla concorrenza tanto sulle aziende che sugli istituti di credito venga demandata alla competente Autorità di vigilanza, vale a dire alla Banca d'Italia.
Rinviando ad altro punto del presente lavoro l'indicazione di talune tesi ad avviso delle quali (fra i vari profili da esse esaminati) seri problemi sarebbero sorti in relazione alla circostanza per cui la medesima autorità di vigilanza, vale a dire la Banca d'Italia, si sarebbe trovata a svolgere funzioni fra loro ad alto rischio di conflittualità, chi scrive, trovandosi d'accordo con l'Autore sopra richiamato, ritiene di poter correttamente affermare che la Banca d'Italia, nello svolgimento delle sue funzioni di vigilanza sulla stabilità ed il buon funzionamento del sistema finanziario (cfr. art. 5 del d. lgs. 1° settembre 1993 n. 385, così detto Testo Unico delle disposizioni in materia bancaria e creditizia - di seguito T.U.B.) debba applicare le norme a tutela della concorrenza, così come impostole dall'art. 20, 2° comma, l. 287/'90, avendo esclusivo riguardo ai principi contenuti nella disciplina in esame, ed in particolare a quelli di cui agli artt. 2, 3, 4 e 6 della medesima.
Peraltro, applicando rigorosamente le disposizioni citate, nonché le restanti norme poste dal T.U.B. a tutela del credito, si imporrà con tutta evidenza la necessità di escludere la competenza della Banca d'Italia ogni qual volta l'intesa, l'abuso di posizione dominante ovvero la concentrazione, pur riguardando settori nei quali operano anche le banche, non veda coinvolta alcuna di esse. Sarà ad esempio di esclusiva competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato la valutazione riguardante l'esistenza di una violazione alle norme della legge antitrust nel caso di concentrazione fra due o più società di intermediazione mobiliare o fra due o più società di leasing, pur costituendo, questi, settori nei quali la presenza di imprese bancarie risulta particolarmente diffusa .
Deve pertanto ritenersi che la Banca d'Italia, una volta acquisito il parere dell'Autorità garante richiesto dal 3° comma dell'articolo 20 (parere che, secondo il dettato della disposizione richiamata, dovrà essere reso entro 30 giorni dal ricevimento, da parte della medesima Autorità garante, della documentazione relativa al caso, altrimenti operando un principio assimilabile al silenzio - assenso risultando preclusa all'Autorità Antitrust la possibilità di pronunciarsi eventualmente in opposizione al proseguimento dell'attività istruttoria della Banca d'Italia), nell'adottare il provvedimento di sua competenza dovrà, nell'applicare i principi posti a presidio del bene giuridico concorrenza, tenere esclusivamente i conto i principi posti dalla nostra legislazione antitrust.
Con ciò, peraltro, si vuole ribadire come non debbano essere completamente sacrificate le funzioni di vigilanza dirette a tutelare la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati nell'ottica della stabilità del sistema finanziario, ma soltanto che l'applicazione di esse venga attuata coniugandole con l'ineludibile e rigorosa applicazione della legislazione antitrust.
A questo punto, può risultare interessante svolgere qualche ulteriore osservazione de iure condendo. Una prima osservazione che può essere svolta riguarda innanzitutto la circostanza per la quale il fatto di aver assegnato la vigilanza in tema di concorrenza in ambito bancario all'Autorità di vigilanza sulle banche, anziché all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, costituisce un tratto peculiare dell'ordinamento italiano, che vale a distinguerlo nei confronti degli altri ordinamenti comunitari, non risultando, peraltro, di facile comprensione le ragioni di tale scelta.
Si potrebbe, a conforto d una tale opzione, affermare che essa affondi le proprie radici "nei fini speciali del credito", accolti già nella legge bancaria del 1936-'38, la quale assegnava alle attività di concessione di finanziamenti finalità non coincidenti con quelle che avrebbero poi trovato ingresso (per il tramite dell'articolo 47) nella Carta costituzionale del decennio successivo relativamente alle altre attività economiche. Ma una tale affermazione, sembra, a parere di chi scrive , non avere adeguato fondamento per almeno due ordini di ragioni.
Pare anzitutto anacronistico il richiamo alla legge bancaria del 1936-'38, in quanto la concezione dell'"impresa bancaria" delineata da quel provvedimento normativo può ritenersi senza dubbio smentita dalla "costruzione" del "nuovo ordinamento bancario" da parte del T.U.B., nonché da parte della legge 287/'90. In secondo luogo, come è stato evidenziato più sopra nel presente lavoro, risulta contrario allo spirito del nostro ordinamento positivo postulare la possibilità che la Banca d'Italia, nel vigilare sul mercato bancario, possa disattendere i principi della legge antitrust medesima.

3. Un'ulteriore fattispecie interessante ai nostri fini, nella quale risulta possibile individuare profili di intersezione fra disciplina antitrust e disciplina dell'esercizio del credito, po' considerarsi quella del così detto "gruppo cooperativo bancario paritetico" . A tal proposito, utili ed interessanti possono ritenersi talune considerazioni svolte da importanti studiosi del settore . Va anzitutto osservato come sia stato lucidamente dimostrato, ai fini che qui ci interessano, come non risulti contraria al nostro ordinamento l'esistenza di un gruppo bancario il quale annoveri fra le sue componenti una o più banche di credito cooperativo in posizione diversa da quella di capogruppo .
Ciò potrebbe avvenire sulla base di un contratto così detto "di dominio" con il quale le banche di credito cooperativo ben potrebbero attribuire, per il tramite di detto contratto, il controllo sulle proprie aziende ad altri enti creditizi. E' ben vero, infatti, che per le banche di credito cooperativo non è configurabile un controllo azionario, ma, alla stregua dell'articolo 2359, comma 1°, del Codice Civile, interpretato anche alla luce della recente riforma del diritto societario, risulta pienamente lecito un accordo di tal fatta. Ciò, s'intende, mantenendo fermi i principi che la società "dominante" dovrà rispettare nell'esercitare il controllo contrattualmente acquisito.
Ed una tale conclusione può ritenersi rinvigorita dalla considerazione che l'articolo 2545-sexies del Codice Civile detta una compiuta disciplina dei contratti regolanti il fenomeno dei gruppi che coinvolgano una cooperativa in posizione diversa da quella di capogruppo . La figura del gruppo cooperativo bancario paritetico pone, peraltro, problemi di compatibilità con la disciplina a tutela della concorrenza .
In particolare, la disciplina antitrust, ed in particolare quella in materia di intese, costituirebbe "un'insuperabile ostacolo" per ogni forma di concentrazione di sistemiche pretenda di coordinare l'azione commerciale delle banche aderenti all'intesa, con particolare riguardo all'espansione territoriale e alla fissazione di prezzi o di condizioni uniformi.
Non si potrebbe, a questo punto, fare a meno di richiamare il provvedimento della Banca d'Italia n. 45 del 2002, con il quale l'Autorità di vigilanza, pur opportunamente riconoscendo l'importante ruolo svolto per il sistema delle banche di credito cooperativo dalle strutture federali, le quali "apportano conoscenze e professionalità che consentono alla bcc (leggasi banca di credito cooperativo) di mantenere competitività ed adeguata diversificazione dell'offerta alla clientela nonostante le ridotte dimensioni e i carattere localistico dell'attività esercitata", ha chiaramente messo in guardia dall'effettuare nelle sedi federali scambi di informazioni sensibili sotto il profilo concorrenziale, sì da condizionare l'autonomia delle singole banche.
"La concorrenza richiede infatti - prosegue la Banca d'Italia nell'ambito del provvedimento menzionato - che ogni operatore agisca sul mercato in maniera indipendente, senza avere la possibilità di conoscere il comportamento dei propri concorrenti e quindi di coordinare la propria condotta con quella dei rivali". Ne risulta con chiarezza che, allo stato attuale dell'organizzazione di sistema, le banche di credito cooperativo sono normativamente tenute al massimo di concorrenzialità non solo esterna (e cioè nei confronti delle altre banche) ma anche interna (nei confronti delle consorelle), e che gli scambi di informazioni fra loro, siano essi formali od informali, ogni qualvolta riguardino materie suscettibili di incidere sulle scelte competitive, presentano un elevato grado di "pericolosità", di cui può essere talora difficile valutare ex ante ogni riflesso.
Inoltre, anche gli accordi di esclusiva nella distribuzione di prodotti di sistema rimangono soggetti alle regole generali in tema di intese, senza poter beneficiare di alcun regime speciale in considerazione dell'unitarietà di sistema. In conclusione, desiderando indagare sul trattamento che andrà riservato ai gruppi cooperativi bancari paritetici ai fini della disciplina antitrust, sarà sufficiente osservare quanto segue. Premesso che importanza essenziale rivestirà a questo fine l'interpretazione delle Autorità di vigilanza , va detto come sembra preferibile inquadrare tale fenomeno nella fattispecie delle operazioni di concentrazione .
Ciò, innanzitutto, per il fatto che le stesse fonti comunitarie (ed in primis la Commissione, con una sua comunicazione menzionata ) sembrano propendere per questo inquadramento. Ed in secondo luogo perché nello stesso senso sembrano indicare taluni principi enunciati dall'Autorità antitrust italiana taluni anni addietro . Va peraltro osservato come la costituzione di un gruppo cooperativo bancario paritetico possa porre dei problemi alla luce della disciplina antitrust anche laddove si ritenga di applicare a tale fattispecie la disciplina delle imprese comuni, così come prevista dall'art. 5 della l. 287/'90 interpretato alla luce delle modifiche introdotte al regolamento comunitario di cui sopra (il n. 4064/1989) dal regolamento n. 1310/1997, sebbene con la doverosa precisazione per cui in tal caso l'applicazione della disciplina delle imprese comuni verrebbe applicata solamente in via analogica.
L'art. 5, comma 1°, lettera a), riconduce alla nozione di concentrazione anche la fattispecie in cui "due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un'impresa comune", precisando tuttavia, al comma 3°, che ciò non vale per le operazioni "aventi quale oggetto o effetto principale il coordinamento di imprese indipendenti". Questa previsione è stata chiarita a livello comunitario, con il su menzionato regolamento n. 1310 del 1997, affermando che tutte le operazioni che, seppur coordinando l'azione delle imprese interessate, ne comportano una modificazione strutturale, vanno in linea di principio valutate in base alla disciplina delle concentrazioni in quanto idonee a costituire un'impresa comune a pieno titolo.
Sebbene, comunque, l'accennata assimilazione della fattispecie del gruppo paritetico a quella dell'impresa comune, per quanto impropria a rigor di logica, potrebbe richiedere che la valutazione del gruppo avvenisse anche in base al criterio dell'eliminazione della concorrenza (e quindi non solo sulla base del criterio della costituzione o del rafforzamento di una posizione dominante), deve tuttavia ritenersi che neppure per tal via sarebbe possibile all'Autorità di vigilanza pervenire ad un divieto dell'operazione.
In conclusione sul punto, deve pertanto ritenersi quanto segue. E' ben possibile che un gruppo bancario paritetico incentrato sul potere di direzione e coordinamento di una struttura di vertice possa sussumersi nella nozione di concentrazione ai sensi e per gli effetti degli artt. 5 e 7 della l. 287/'90; ma solo laddove il contratto istitutivo del gruppo realizzi ciò che il progetto di nuovo regolamento in materia di concentrazioni presentato dalla Commissione CE l'11 dicembre 2002 espressamente definisce "una modifica duratura de controllo" e attribuisca alla società di vertice un potere di effettiva direzione e coordinamento dell'attività delle banche facenti parte del gruppo.
Da ciò la logica conseguenza per cui, ai fini dell'applicazione della disciplina antitrust sarà necessario riscontrare come il potere di direzione e coordinamento abbia ad oggetto la complessiva attività d'impresa svolta dalle società del gruppo, riguardata tuttavia non già sotto il profilo del così detto "day to day management" (ossia della così detta ordinaria, o quotidiana, amministrazione di ciascuna società aderente, che ben potrebbe rimanere di competenza esclusiva degli organi delle singole banche facenti parte del gruppo), bensì sotto il profilo della così detta gestione strategica.
Seguendo una tale impostazione, peraltro, il contratto sociale nonché lo statuto della controllante dovrebbero prevedere stringenti poteri di coordinamento strategico-operativo diretti ad assicurare e aumentare l'efficienza operativa e la stabilità delle singole bcc aderenti al gruppo nonché l'ottimizzazione della medesima organizzazione di gruppo.

4. Prima di concludere, pare opportuno accennare ai legami fra disciplina della concorrenza e disciplina del mercato mobiliare (disciplina quest'ultima oggi contenuta nel d. lgs. N. 58 del 24 febbraio 1998, così detto testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria - di seguito T.U.F.). A tal fine va preliminarmente osservato come le ipotesi più importanti e frequenti nelle quali possa verificarsi un'intersezione fra le due discipline siano costitute da operazioni di concentrazione fra imprese conseguenti al buon esito di procedure di offerta pubblica di acquisto .
Ed è proprio in relazione a tali fattispecie che la disciplina sulla concorrenza pone importanti principi. L'articolo 6 della l. 287/'90, infatti, afferma testualmente che "L'offerta pubblica d'acquisto che possa dar luogo ad operazioni di concentrazione soggetta alla comunicazione di cui al comma 1 (il quale a sua volta prevede che le operazioni di concentrazione previste dall'art. 5 della l. 287/'90 debbano essere preventivamente comunicate all'Autorità garante) deve essere comunicata all'Autorità contestualmente alla sua comunicazione alla Commissione nazionale per le società e la borsa" (id est la CONSOB).
Assai rilevante risulta essere anche la disposizione del comma successivo, ai sensi del quale "Nel caso di offerta pubblica di acquisto comunicata all'Autorità ai sensi del comma 5, l'Autorità deve notificare l'avvio dell'istruttoria entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione e contestualmente darne comunicazione alla Commissione nazionale per le società e la borsa". Ma non può sottacersi nemmeno l'esigenza, sancita formalmente dal regolamento adottato con delibera Consob n. 11971 del 14 maggio 1999 , che il documento informativo richiesto da quest'ultimo provvedimento ai fini del valido avvio della procedura di O.P.A., debba essere corredato dall'autorizzazione dell'Autorità Antitrust .
Anche in questo caso può rilevarsi come, in similitudine con la ratio delle disposizioni antitrust in materia di aziende ed istituti di credito, il legislatore, pur non snaturando la funzione delle diverse autorità di vigilanza mediante la privazione dei "loro compiti istituzionali", ha tuttavia inteso istituire un procedimento che fosse, da un lato, snello nel senso di non caricare eccessivamente i privati soggetti di oneri nei confronti delle pubbliche autorità, e, dall'altro, di garantire comunque un controllo su rilevanti operazioni economiche che rispondesse a canoni di fondo del nostro ordinamento, quali la non eccessiva rigidità dirigistica della Stato nei confronti dell'economia, ma anche il corretto funzionamento del sistema economico e dei controlli su di esso istituiti.
Sempre in quest'ottica si segnala, peraltro (anche nella consapevolezza che ciò esula, anche se solo in parte , dai fini del presente lavoro) la previsione di cui all'articolo 20, comma 4°, l. 287/'90, la quale, con riguardo alle imprese assicurative, impone un procedimento per molti versi simile (ma anche con un'inversione delle funzioni in capo alle rispettive autorità di controllo) a quello posto per le aziende e gli istituti di credito .
Con riguardo alle imprese assicurative va peraltro aggiunto come tanto la legislazione nazionale che quella comunitaria prevedano la possibilità, stabilita a favore delle competenti Autorità di vigilanza, di stabilire esenzioni dai divieti riguardanti operazioni vietate ai sensi della legge antitrust a favore di intese, o categorie di intese, che possano contribuire a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico-economico.
In quest'ottica, particolare menzione merita il regolamento 3932/92 Ce del 21 dicembre 1992, con il quale la Commissione ha disposto l'esenzione nei confronti di accordi, decisioni di associazioni di imprese e pratiche concordate nel settore delle assicurazioni, che abbiano per oggetto: a) la fissazione in comune di tariffe di premi di rischio (quella parte del premio di tariffa che costituisce i corrispettivo del rischio), basate su statistiche collettive o sul numero dei sinistri; b) la fissazione di condizioni tipo di assicurazione; c) la copertura in comune di certi tipi di rischi; d) la fissazione in comune di norme relative alla valutazione ed al riconoscimento di apparecchiature di sicurezza. Come peraltro acutamente osservato in dottrina , subordinate peraltro ad una serie di condizioni , troverebbero la propria ratio giustificativa, nella considerazione della specificità tecnica ed economica dell'attività assicurativa e del beneficio che può derivare ai consumatori dalla cooperazione delle imprese nelle materie indicate dal citato regolamento comunitario.

5. Concludendo, pare utile e interessante osservare come il nostro ordinamento, nel disciplinare i controlli da parte di pubbliche autorità sulle più rilevanti operazioni economiche, ponga, a carico dei privati soggetti che tali operazioni intendano porre in essere, una sorta di "doppia barriera", nel senso che esse dovranno superare (salvo il caso delle operazioni riguardanti il settore bancario, ove, come abbiamo avuto modo di osservare, tutti i controlli sono demandati alla competenza della Banca d'Italia) una sorta di doppio controllo, risultando necessario che consti il parere positivo (o, quanto meno, laddove così richiesto, che non consti il parere negativo) di due diverse Autorità .
In quest'ottica appare lodevole sia l'intento del legislatore di non caricare eccessivamente di oneri i privati soggetti che intendano intraprendere operazioni economiche di rilevante entità, sia, dall'altro lato, le vie seguite per realizzare tale intento nella contingenza delle situazioni. Sembra d'altronde utile a chi scrive ribadire, nel contesto di un dibattito istituzionale sorto negli ultimi tempi nel nostro Paese, l'utilità che potrebbe derivare al nostro sistema economico dall'accorpamento delle funzioni ora attribuite alle diverse Autorità di vigilanza (penso alla CONSOB, all'ISVAP, alla Banca d'Italia, ma per certi versi anche all'Autorità Antitrust per quelli che possono essere i profili di suo interesse nelle operazioni soggette al controllo delle altre autorità menzionate) in capo ad un unico costituendo "ente" o autorità che assommi in sé le diverse funzioni.
E, magari, una modalità di cui tener conto in fase di attuazione di un tale accorpamento potrebbe essere quella per cui l'Autorità risultante da tale procedimento fosse dotata di sezioni diverse, ciascuna specializzata nel tipo di controlli prima affidato alle preesistenti autorità. Verrebbe in tal modo salvaguardato l'approccio finalistico attualmente impresso a gran parte dei controlli su operazioni economiche (ci si riferisce in special modo al controllo affidato a Banca d'Italia e CONSOB), con l'ovvio vantaggio, d'altra parte, di concentrare tutte le procedure "amministrative" di controllo in capo ad un'unica autorità, con evidenti riduzioni di tempi e di costi, e con conseguente beneficio per l'intero sistema.
Un unico punto da tener eventualmente in rilievo potrebbe essere costituito dalla necessità di dotare la costituenda struttura di personale istruito e preparato ad affrontare le problematiche derivanti dall'intersezione di così complesse discipline. Sembra che il recente evolversi di talune (a tratti drammatiche) vicende economiche che vedono coinvolte grosse imprese del nostro Paese abbiano portato l'attuale governo (chi scrive si riferisce al momento attuale, e cioè al dicembre 2003) a prevedere una riforma delle Autorità di vigilanza sul nostro sistema economico ; lungi dal ritenere che le considerazioni contenute nel presente lavoro possano costituire un qualche suggerimento alle persone di particolare preparazione ed esperienza preposte all'elaborazione del progetto di riforma, ci si augura semplicemente che, nel momento in cui si è avvertita l'esigenza di porre mano al complessivo sistema delle nostre Autorità di vigilanza, si abbia l'accortezza di non apportare una riforma che, in un non molto lungo torno di anni, possa dover essere nuovamente rivisitata.