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Mercato finanziario, fonti normative, regolamenti della CONSOB


FILIPPO DURANTE

 

 

Sommario: 1. ll sistema delle fonti nella disciplina dei mercati finanziari; 2.  La collocazione dei regolamenti della Consob, fonte secondaria sui generis; 3. Il meccanismo di delegificazione; 4. Le differenze con la deregolamentazione;  5. La tripartizione della legge 400/1988 ed i regolamenti della Consob; 6. L’incidenza del potere normativo sui rapporti interprivati: effetti diretti orizzontali e verticali; 7. La prevedibilità ex ante degli ambiti affidati al legislatore e all’Autorità; 8. Compatibilità dei regolamenti delegati e dei regolamenti indipendenti con il principio di legalità e con la riserva di legge relativa; 9. Altri profili di legittimità costituzionale; 10. I regolamenti sostanzialmente indipendenti dopo la riforma del diritto societario.

 

 

1. Il sistema delle fonti nella disciplina dei mercati finanziari

 

Nel settore dei mercati finanziari si riscontra una serie di tendenze che oggi caratterizzano la sistematica delle fonti del diritto: il policentrismo delle sedi; l’impossibilità di compiere una ricognizione dell’assetto normativo sulla base del solo criterio gerarchico; il processo di “decodificazione” e di detronizzazione della legge, schiacciata dalla copiosa produzione normativa europea e dal consolidarsi del fenomeno delle Autorità regolative. Inoltre, sarebbe miope un osservatore che oggi pretendesse di considerare solo le fonti stricto sensu, disconoscendo la presenza di una moltitudine di formanti che – sebbene non producano norme – paradossalmente hanno anch’esse “valenza normativa”: il riferimento più evidente è agli indirizzi elaborati dall’IOSCO e dal Financial Stability Forum, ma anche agli atti di persuasione morale della CONSOB [1] e della Banca d’Italia. Nei mercati finanziari è lampante anche la percezione di un processo di privatizzazione delle formanti, caratterizzato dall’arretramento delle fonti pubblicistiche e da un, seppur lento, emergere di fenomeni di autoregolamentazione: è sufficiente, a tale riguardo, constatare l’importanza dei regolamenti delle società di gestione del mercato, di quelle di gestione accentrata, di quelle di liquidazione, ma è opportuno considerare altresì il ruolo assunto da una pluralità di codici deontologici di self-regulation

Al vertice costituzionale del sistema normativo si pone il principio della libertà d’iniziativa economica privata, sancito dal primo comma dell’art. 41 della Costituzione [1], ma posizione apicale riveste soprattutto l’art. 47 [2], che – nell’incoraggiare e tutelare il risparmio “in tutte le sue forme” e nel sancire il favor per l’accesso di quello popolare all’investimento azionario – costituisce il vero e proprio vertice kelseniano della normazione in materia di mercati finanziari [3]. Principi che, inoltre, s’iscrivono in un più ampio habitat costituzionale” [4], al quale contribuiscono, quantomeno a livello materiale, anche i principi di trasparenza, correttezza dei comportamenti, tutela degli investitori, stabilità, buon funzionamento del sistema finanziario, sana e prudente gestione, concorrenza [5]. Contesto nel quale, ancora una volta, assume crescente importanza il rilevo dei principi dell’Unione Europea, come sanciti dai Trattati (e da quello che in futuro costituirà la Costituzione europea), ma anche a volte dagli atti di diritto comunitario derivato.

Il riferimento è in particolare alle direttive europee che, è bene ricordarlo, se anche non contengono principi collocabili a livello di costituzione materiale, assumono comunque un’importanza fondamentale nella creazione delle norme primarie di diritto interno [6] Ruolo che a fortiori assumono con il Financial Services Action Plan [7],  in un climax di rilevanza che potrebbe condurre in futuro ad una regolazione unificata ed all’istituzione di un’Authority  europea [8]

Nell’ambito delle fonti primarie di diritto interno [9], rilievo a parte merita il TUF, d. lgs. 58/1998, di attuazione della legge delega 52/1996 [10], che opera una sistematizzazione del panorama legislativo precedente e costituisce oggi un corpus unitario di riferimento del settore dei mercati finanziari [11].

Il TUF utilizza “la tecnica di legislazione per principi” [12]: la legge, in sostanza, si limita a stabilire le linee-guida, le regole fondamentali, le griglie essenziali della complessa disciplina dei mercati finanziari. Le norme specifiche, che la vasta congerie di leggi precedenti al TUF pure conteneva in abbondanza, sono invece delegate al potere regolamentare del Ministero dell’Economia, della Banca d’Italia e, soprattutto, della CONSOB: si tratta, in questo senso, di una ripartizione che assume, di fatto, i caratteri di una gigantesca “delegificazione” di sistema. Secondo la migliore dottrina, si generalizza – nel rapporto tra legge e regolamento – l’utilizzo della tecnica alla base della relazione che intercorre tra la legge di delega ed il decreto legislativo: la differenza consiste nella circostanza che in questo caso la delega non è esercitatile solo una tantum, ma potenzialmente lo è in via permanente [13]. Un  fenomeno, questo, davvero interessante, se si considera che il potere  affidato ai regolamenti della CONSOB non si limita solo alla definizione di regole applicative ed esecutive di norme già stabilite in via legislativa, ma talvolta concerne materie amplissime ed incide su libertà e  diritti di cittadini ed imprese che si collocano nell’habitat costituzionale cui prima si è accennato. Si crea, così, un “sistema a matrioske”, in cui gli articoli del TUF costituiscono solo la scatola, il contenuto della quale – talvolta in maniera davvero preponderante – è invece costituito dalle disposizioni regolamentari rinviate: la CONSOB, nell’emanare le norme secondarie, è limitata solo dalla singola disposizione di rinvio – a volte disposizione davvero scarna – e dalle norme di costituzione economica, comprendendo tra queste i principi del TUF che assumono, quantomeno a livello materiale, rilievo costituzionale. Risulta evidente, già da questi primi accenni, la rilevanza di tale scelta di sistema, che attribuisce alla CONSOB un ruolo di policy maker che in alcune occasioni essa esercita con una discrezionalità equiparabile quasi a quella del legislatore.

 

 

2. La collocazione dei regolamenti della Consob, fonte secondaria sui generis

 

Atipia [14], potere “eccezionalissimo” [15], fonte formalmente secondaria e sostanzialmente primaria [16], polo normativo autosufficiente [17], ma anche  riserva di tecnicità [18], atto subprimario [19], strumento che scardina il sistema tradizionale delle fonti [20], legge derivata [21]: non sono mancate le formule parossistiche ed i neologismi utilizzati dalla dottrina per descrivere il fenomeno del potere regolamentare della CONSOB.  Espressioni ad effetto che sono state utilizzate per tentare di delineare non solo la normatività di tali atti, ma anche per evidenziare la difficoltà di collocarli nella tradizionale sistematica delle fonti.

Stante la indiscutibile subordinazione gerarchica al TUF e alle altre leggi ascrittive di potere, tuttavia,  le norme prodotte dalle disposizioni emanate dalla CONSOB scaturiscono senz’altro da una fonte secondaria. Questo assunto, lungi dal rappresentare un punto d’arrivo, schiude tuttavia numerosi, altri problemi. In primis, è bene considerare che il continuum legge-regolamento, nei mercati finanziari, si presenta in forme dissimili da altri settori: la legge, in alcune occasioni approfondita, talvolta tuttavia si limita davvero a stabilire i principi e a compiere un elenco di finalità alle quali il potere subordinato è vincolato. Si tratta, in alcuni casi, di indicazioni teleologiche tutte da interpretare, prive di un intelligibile contenuto definitorio, non accompagnate da un’approfondita disciplina contenutistica, a volte espressione di interessi necessariamente in contrapposizione. E se il bilanciamento con gli interessi esclusi – si pensi alla tentazione di impostazioni dirigistiche o legate alla pubblicizzazione dell’economia - è preventivamente realizzato dal legislatore, il contemperamento di quelli espressivi delle finalità elencate è demandato invece proprio al policy making della CONSOB. Delega che è giustificata dall’esperienza settoriale e dalla preparazione tecnica dell’organismo, in grado di traslare a livello di regolazione le esigenze di un mercato particolarmente mutevole.

Alla luce di ciò, è bene domandarsi se la sottordinazione alla fonte primaria si manifesti nel modo canonico ovvero soffra di eccezioni. Autorevole dottrina, a tale proposito, ha avanzato tre ipotesi nelle quali le disposizioni del regolamento della CONSOB sarebbero in grado, in caso di antinomia, di prevalere su quelle stabilite da fonti primarie [22].

La prima posizione, plausibile, sostiene che i regolamenti della Commissione – sebbene subordinati alle leggi imperative in virtù del criterio di gerarchia – prevarrebbero sulle leggi che stabiliscono norme dispositive: norme che, in quanto tali, sono derogabili dall’autonomia negoziale e che, a fortiori, sarebbero remissive nei confronti di disposizioni stabilite da un organo dotato di una legittimazione congiunta, proveniente dalla fonte primaria e dall’expertise, e volto proprio ad esaltare l’autonomia privata secondo un principio di proporzionalità [23]

 Ben più ardita è la scuola di pensiero che considera i regolamenti della CONSOB come una fonte subprimaria: necessariamente sottordinata al TUF e alle altre leggi specialistiche che le attribuiscono i poteri, ma prevalente, in virtù di tale investitura, sulle leggi che viceversa disciplinano settori differenti [24]. Non occorrerebbe evocare la teoria della prevalenza delle norme sulla normazione, tra l’altro insufficiente in tale caso, né sostenere che il TUF, istituendo una fonte secondaria prevalente sulle altre leggi, assurga a un ruolo super-primario: basterebbe invece utilizzare il criterio della competenza anche nel rapporto legge-regolamento, sebbene tale impostazione sia oggi tutt’altro che pacifica.

Ancor meno condivisa è, invece, la teoria che valorizza l’ordinamento comunitario ed un’interpretazione forte dell’art. 2 del TUF a tal punto da considerare le disposizioni regolamentari della CONSOB addirittura come fonte primaria dell’ordinamento, alla luce del loro inquadramento nel network europeo CESR e del primautè della legislazione comunitaria su quella nazionale [25]. Che i principi comunitari contribuiscano in maniera rilevante all’inquadramento costituzionale delle Autorità indipendenti è lapalissiano; che tale contributo, invece, sia talmente devastante da determinare sic et simpliciter la prevalenza del policy making della CONSOB sulle leggi sembra troppo. Diverso discorso vale, invece, per l’eventuale legge antinomica nei confronti del regolamento esecutivo di direttive: essa può senz’altro essere disapplicata dai giudici, ma ciò sembra oggi valere anche nel caso di assoluta inadempienza del rule maker nazionale nel recepire la direttiva europea. Di carattere quasi sociologico, infine, è la constatazione per cui, pur essendo soverchiato dalla legge, il regolamento CONSOB  spesso occupa spazi e compie operazioni ad essa demandate: tanto che, solo sul piano dell’effettività, tale atto può dirsi di livello primario in quanto non si limita alla mera esecuzione, ma contribuisce alla mise en ouvre delle regole fondamentali [26].

 Se il criterio gerarchico vacilla, sotto la scure dell’expertise, in relazione a particolari tipologie di leggi, sicuramente esso soccombe allorquando si constata il rapporto che intercorre tra i regolamenti  della CONSOB e le fonti equiordionate. E’ osservazione unanime, infatti, che nelle materie demandate alla potestà normativa della Commissione le sue disposizioni prevalgono su tutte le altre norme secondarie eventualmente contrastanti, fossero anche regolamenti governativi o ministeriali. Ciò accade non sulla base del tradizionale criterio della lex superior, insuscettibile di decretare la norma prevalente tra fonti equiordinate, e nemmeno sulla base di quello cronologico, palesemente insufficiente perché costringerebbe la CONSOB ad emanare sempre deliberazioni successive a quelle governative [27]. Viene in gioco, secondo opinione ormai condivisa, il criterio della competenza: parametro che da una parte è particolarmente indicato per un’Autorità il cui fondamento è proprio la specializzazione [28] e che dall’altro si propone sempre più come complementare a quello gerarchico in un ordinamento fondato sul policentrismo delle fonti. Infine, i regolamenti della CONSOB sono vincolanti nei confronti degli atti amministrativi delle stessa Commissione, di cui costituiscono parametro di legittimità, e, viceversa, sono essi stessi legittimi solo nella misura in cui il loro iter procedimentale sia conforme a quanto disposto dai regolamenti auto-organizzativi.

Si tratta, insomma, di una fonte ibrida, che si interfaccia con le altre norme in maniera disomogenea e che si situa nel sistema in una posizione trasversale ai parametri della gerarchia e della competenza: ecco il perché delle tante formule prima proposte, dovute al fatto che se fosse letto sulla base del solo criterio della lex superior, il rule making della CONSOB darebbe l’impressione di essere ospite di un ascensore impazzito.

 

3. Il meccanismo di delegificazione

 

La delegificazione è un meccanismo con il quale il legislatore delega alle fonti secondarie materie che in precedenza erano regolate da norme primarie. Tuttavia, è bene evidenziare che  quella del TUF non è delegificazione in senso tecnico, intendendo per tale quella esercitata mediante la procedura introdotta per i regolamenti governativi [29]. Non viene mutuato, infatti, il congegno previsto  dal secondo comma dell’art. 17 della l. 400/1988, laddove – per aggirare l’ostacolo dell’indisponibilità da parte della legge delle materie da essa “preoccupate” – viene codificato un particolare escamotage di origine dottrinaria [30]: è la legge successiva, secondo il tradizionale criterio cronologico, ad abrogare quella precedente, quantunque sotto la condizione sospensiva dell’entrata in vigore dei regolamenti cui essa rinvia. Il TUF, invece, disciplina lo “scheletro” della regolamentazione delle materie in passato normate nello specifico da una moltitudine di leggi e, nel contempo, istituisce un apparato fondato sulla “cogestione” del rule making tra Parlamento e Autorità indipendente. Nell’istituire una disciplina di fonte primaria meno invasiva rispetto a quella preesistente, il TUF procede senza necessità di artificiose congetture all’abrogazione dell’alluvione di leggi che sistematizza:  eppure il legislatore assume un atteggiamento self-restraint analogo a quello della delegificazione in senso tecnico, in quanto in concreto devolve interi ambiti di materie al potere di normazione secondaria della CONSOB [31].

Analoga è la ratio, quella di ridurre l’inflazione legislativa e di accelerare gli iter necessari per la normazione, troppo farraginosi almeno fintantoché si continuerà a vigere in un sistema di bicameralismo perfetto [32]. Analogo è l’effetto, vale a dire l’amministrativizzazione della legge o, meglio ancora, la detronizzazione della fonte primaria: fenomeno che consiste nel contempo in una  riduzione di spazi, ma anche in una sua valorizzazione, affermandosi essa sempre più come sede dei principi costitutivi della materia. Il dispositivo utilizzato è anche più incisivo, non limitandosi a una devoluzione una tantum del potere di normazione alle fonti secondarie: nel caso del TUF il meccanismo è dirompente, essendo incontestato il fatto che  la materia è ormai derubricata alla sede regolamentare e potendo tranquillamente una deliberazione successiva della CONSOB abrogare il regolamento precedente e disciplinare la medesima materia [33]. Analoga, invece, è la possibilità di rilegificazione: una successiva legge, infatti, potrebbe sempre intervenire per “rioccupare” gli ambiti delegati, quantomeno esplicitando apertis verbis una simile intenzione [34].

Il parallelismo tra la delega ai regolamenti governativi ed il rinvio alla normazione della CONSOB, inoltre,  offre lo spunto per un’ulteriore constatazione: se nel primo caso la “fuga dalla legge”, nei fatti, è risultata inferiore alle aspettative,  la logica del TUF si è invece concretizzata perfettamente e senza turbolenze ascrivibili al periodo di rodaggio [35].

 

    4. Le differenze con la deregolamentazione

 

La delegificazione è un fenomeno potenzialmente diverso da quello denominato deregolamentazione [36]: l’attribuzione di determinati compiti normativi alle fonti secondarie comporta, anzi, una “riregolamentazione” e, comunque, non è escluso che possa determinare una regolamentazione maggiormente intrusiva. Il rischio, evidenziato da taluni autori, è che un ampio “mandato” alla normazione di dettaglio possa, sotto mentite spoglie, comportare maggiore pervasività dell’ intervento statale [37]: non va negato, tuttavia, che la CONSOB è comunque vincolata a conformarsi ad un principio di soft regulation [38] e ad elaborare quella che è stata definita “regolazione condizionale” [39]. La conseguenza è che la delegificazione, in concreto, costituisce in questo campo comunque espressione di un atteggiamento culturale di maggiore apertura verso l’autonomia privata, quantunque non si esprima nelle forme totalizzanti della “degiuridificazione”.

 

5. La tripartizione della legge 400/1988 ed i regolamenti della Consob

 

Si è notato che i regolamenti della CONSOB sno nella maggior parte dei casi delegificati: va evidenziato, mutuando formule elaborate dalla dottrina e poi recepite dalla l. 400/1988 sul rule making del Governo, che essi possono a loro volta scindersi in regolamenti esecutivi ed integrativi.

I primi, in realtà, sono poco significativi: si limitano, infatti, alla mera applicazione di regole integralmente fissate a livello primario e possono emanarsi perfino in assenza di una formale investitura da parte della legge. 

Ben più interessanti, invece, sono gli atti delegificati  per eccellenza, vale a dire quelli volti ad integrare con normativa di dettaglio i principi stabiliti dalla normazione primaria: a tale riguardo talune recenti sentenze hanno statuito l’ammissibilità del sindacato costituzionale sui regolamenti governativi “per eccesso di delega”, revirement che potrebbe interessare anche le deliberazioni della CONSOB [40].

Sicuramente incostituzionale, invece, dovrebbe considerarsi la legge penale delegificante: il rinvio a norme secondarie che non siano puramente esecutive, infatti, non è ammesso in materie coperte da riserve assolute di legge, sebbene si tratti di un fenomeno che solo di recente è stato completamente espunto dal sistema [41].

Più problematico è riconoscere l’ammissibilità di regolamenti altrettanto creativi, sebbene non delegificati: si tratta dei regolamenti indipendenti, aventi ad oggetto materie prive di qualsiasi previa disciplina di fonte legislativa. Si vedrà che se l’eterogenesi subita dal principio di legalità consente l’assunzione di tali deliberazioni, ad onor del vero la riserva relativa di legge sancita dall’art. 41 della Cost. costituisce un ostacolo insormontabile. In concreto, tuttavia, non risulta agevole distinguere, all’interno di un regolamento, aspetti direttamente riconducibili alla delega legislativa ed aspetti vertenti su materie assolutamente sgombre di previa normazione: il confine tende a configurarsi come sempre più labile quanto più generico è il principio fissato dal TUF, nel qual caso può parlarsi di regolamenti sostanzialmente indipendenti.

Interessante, però, sarà osservare come evolverà la prassi nell’eventualità che una direttiva comunitaria disciplini un aspetto privo di normazione primaria in Italia [42] e se, in tale caso, sarà considerato ammissibile un recepimento diretto mediante regolamento della CONSOB [43].

 

      6. L’incidenza del potere normativo sui rapporti interprivati: effetti diretti orizzontali e verticali

 

E’ opinione ormai consolidata quella che individua nei regolamenti della CONSOB non solo un’espressione di potestà ontologicamente normativa, ma anche una fonte idonea ad incidere con modalità particolarmente incisive sulla sfera giuridica soggettiva dei destinatari delle norme [44].

Si tratta, insomma, di disposizioni costitutive di diritto, che vanno ad integrare l’ordinamento giuridico generale, a condizionare l’autonomia negoziale, ad incidere sui rapporti interprivati, a costituire un parametro generale ed astratto della validità degli atti e dei comportamenti realizzati dagli operatori del mercato. Prescindendo dal problema della collocazione nella sistematica delle fonti e dall’esito della risoluzione di eventuali antinomie, insomma, l’efficacia esterna delle norme prodotte dalla CONSOB nell’esercizio della sua potestà regolamentare non differisce, in quanto ad effetti prodotti sull’agire dei privati, dalle norme che derivano dall’ermeneusi di una legge o di un regolamento governativo. Tali regole sono, insomma, parte integrante dell’ordinamento generale [45]: salva l’eventuale illegittimità della disposizione che le prevede o la loro natura indipendente, nulla osta a che simili norme possano costituire fonte di invalidità o di inefficacia di un negozio giuridico, ovvero fattispecie astratta con cui confrontare un comportamento colpevole o doloso ad esse contrario e in relazione alla quale stabilire la responsabilità del suo autore. Considerazione che sembrerebbe addirittura pleonastica, ma che è  invece opportuno chiarire in limine, onde evidenziare l’artificiosità di quelle posizione dottrinarie che – forse condizionate dalla antica disputa circa la caratterizzazione della Commissione come ordinamento sezionale autonomo – negano efficacia esterna alle norme dell’Autorità.

E’ il caso di quegli autori che aderiscono a tesi talmente riduzioniste circa la portata dei regolamenti della CONSOB da porre addirittura in discussione la loro capacità di generare norme [46].  Il limite teleologico individuato sovente dalle leggi – lungi dal costituire una semplice modalità di delimitazione dell’ambito delegato al policy making della Commissione – costituirebbe secondo tale teoria la spia della natura amministrativa di tali atti. Teoria che si spinge anche oltre, avvicinando, di fatto, i regolamenti della CONSOB ad atti meramente persuasivi, inidonei a vincolare i soggetti destinatari, quantomeno con riferimento all’ordinamento generale.

Esisterebbe, insomma, una summa divisio: ad una dimensione verticale e “pubblicistica”, concernente la relazione che intercorre tra la CONSOB e l’operatore destinatario delle disposizioni,  se ne contrapporrebbe una orizzontale e “privatistica”, inerente ai rapporti esistenti tra il destinatario della disposizione e gli altri soggetti del mercato. Fin qui nulla di nuovo, se non fosse che tale teoria limita la rilevanza dei regolamenti della CONSOB esclusivamente al primo rapporto: essi sarebbero meno che amministrativi, essendo finalizzati in maniera immediata alla sola vigilanza della CONSOB e prescrivendo agli operatori del mercato obblighi che sono tali solo verso la Commissione di vigilanza [47]. Si tratta, a parere della più avveduta dottrina, di una notevole forzatura: è evidente, infatti, la distanza che intercorre tra chi nega che fine ultimo della vigilanza sia la tutela dei risparmiatori, sostenendo che l’informazione è invece funzionale allo scopo obiettivo dello sviluppo dei mercati finanziari [48], e chi invece addirittura esclude l’efficacia  dei regolamenti della CONSOB sui rapporti interprivati. Secondo questa posizione eterodossa, infatti, la violazione degli obblighi sanciti dai “provvedimenti” della CONSOB comporterebbe, ex se, le sole conseguenze interdittive e sanzionatorie, che così costituirebbero l’unica valvola di chiusura del sistema [49]. La supposta strumentalità degli obblighi al solo esercizio della supervisione da parte della Commissione, insomma, escluderebbe che la violazione dei “precetti” stabiliti dalla CONSOB possa ripercuotersi sul regime della responsabilità extracontrattuale e contrattuale e su validità ed efficacia dei contratti [50].

Da una parte, insomma, la mancata ottemperanza ad obblighi e divieti sanciti in via regolamentare determinerebbe effetti solo indiretti sui rapporti negoziali posti tra privati: potrebbe essere sufficiente esclusivamente ad integrare la colpa inerente al neminem laedere, a determinare un’inversione dell’onere della prova nell’ambito della responsabilità contrattuale ed a provocare la nullità di contratti per assenza di elementi essenziali prestabiliti per via di fonte primaria. In tutti e tre i casi, tuttavia, l’effetto degli atti dell’Autorità sulle relazioni tra privati avrebbe carattere eventuale e riflesso, perché quello immediato sarebbe invece ricollegabile direttamente alla legge.

Dall’altra, invece, il rispetto di tali regole da parte dell’operatore privato, pure idoneo ad immunizzarlo dalle sanzioni amministrative pecuniarie e dai divieti della CONSOB, non costituirebbe una garanzia di “salvezza” dagli effetti negativi nell’ordinamento giuridico generale: il giudice potrebbe, infatti, pur sempre riconoscere o stabilire l’invalidità di un negozio ovvero un risarcimento dei danni a beneficio, ad esempio, dell’investitore. Compito dei regolamenti della CONSOB – nell’ambito dei rapporti tra operatori – sarebbe solo quello di interpretare in relazione a fattispecie dettagliate le clausole generali, mediante un’ermeneusi che tuttavia spetterebbe in primis al giudice e che questi potrebbe, dunque, sempre ricostruire in modo diverso.

Così argomentando, tuttavia, tale teoria non si limita ad attribuire al giudice la possibilità di disapplicare od annullare il regolamento illegittimo, ma gli devolve il potere di considerarlo tamquam non esset in relazione perfino all’opportunità del suo contenuto [51]. La conseguenza, allora, sarebbe un sindacato ben più pervasivo dell’eccesso di potere ed idoneo ad incidere fin nel merito, derubricando i regolamenti della CONSOB ad un ruolo addirittura minore rispetto a quello attribuito, da taluni autori, finanche ai suoi atti di moral suasion.

Secondo la dottrina maggioritaria, viceversa, o un regolamento della CONSOB è legittimo, avendo allora efficacia diretta anche nei rapporti interprivati,  o esso è illegittimo, in tal caso non avendo applicazione neanche nella dimensione pubblicistica e verticale [52]. Tutto sta, allora, nell’individuare i profili di legittimità dei regolamenti della CONSOB: si pone, in particolare, il problema della prevedibilità ex ante degli spazi da affidare a legislatore, CONSOB e giudice e, soprattutto, quello dell’ammissibilità dei regolamenti sostanzialmente indipendenti.

 

7. La prevedibilità ex ante degli ambiti affidati al legislatore e all’Autorità

 

Salvo il problema della compatibilità costituzionale, la dottrina si è chiesta se risulta possibile identificare a priori lo spessore delle leggi e dei regolamenti. E’ preferibile la teoria secondo cui non esiste un metodo per “quantificare” in via generale l’ambito di scelte da delegare alla potestà normativa della CONSOB: una volta adempiuto a ciò che è necessario perché sia rispettata la riserva di legge, è nella disponibilità del legislatore ripartire – con una modulazione “a geometria variabile”,  affidata alla sua discrezionalità – la sfera delle competenze.

La conferma è fornita dal diverso “spazio” delegato alla CONSOB: spazio esiguo in relazione alla disciplina di alcuni aspetti dell’intermediazione, laddove il legislatore ha preferito regolare in prima persona fattispecie considerate delicate, che tuttavia diventa particolarmente esteso allorquando alla Commissione è affidato il compito di disciplinare gli obblighi di informazione concernenti le sollecitazioni all’investimento, i meccanismi delle scalate ovvero la regola della concentrazione delle negoziazioni nei mercati regolamentati.

Il discrimen tra l’ambito detenuto dal legislatore e quello devoluto alla CONSOB  non può, dunque, essere costituito dalla nozione di discrezionalità tecnica: certamente la complessità di determinate fattispecie e l’expertise di cui è titolare l’Autorità indipendente giocano un ruolo di prim’ordine, ma non si può disconoscere che la stessa nozione di discrezionalità tecnica è ontologicamente duttile. Da una parte, infatti, non si può negare che anche il legislatore si addentra talvolta nella disciplina di materie particolarmente specifiche; dall’altra non si può davvero confondere la neutralità della CONSOB [53] rispetto agli interessi  con la preclusione della possibilità di compiere scelte intrinsecamente discrezionali e, dunque, ponderazione di interessi [54]. E’ evidente che, ad esempio, la scelta sull’obbligo di concentrazione o anche la regolamentazione delle tecniche di collocamento a distanza presuppongono la considerazione dei diversi interessi sottesi, considerazione che è tecnica nella misura in cui lo sono anche le scelte del legislatore [55].

Assunto che equivale a negare che possa assumere valore discretivo, se non a livello meramente tendenziale, la distinzione tra questioni con preferenze diffuse, che andrebbero aggregate, registrate e bilanciate –  e che sarebbero appannaggio del legislatore – e questioni ad esse strumentali, prive di preferenze diffuse, da affidare alla CONSOB [56].

E tuttavia, non rappresenta la panacea della questione nemmeno quella teoria che, partendo dall’assunto che compito della Commissione è ridurre l’incompletezza delle norme primarie, distingue gli ambiti di law – laddove il legislatore detta norme dettagliate ed univoche ed è precluso alla CONSOB intervenire – da quelle di policy, laddove l’Autorità interviene, in luogo del giudice, a colmare  le lacune della legge [57].

Si vedrà, invece, che il limite oltre il quale il legislatore non può delegificare è segnato proprio dall’ampiezza della riserva di legge: se i regolamenti della CONSOB, anche surrettiziamente, travalicano tale limite, debbono essere considerati illegittimi, e in quanto tali sono inefficaci sia nei rapporti interprivati e sia nei rapporti con la Commissione medesima.

 

8. Compatibilità dei regolamenti delegati e dei regolamenti indipendenti con il principio di legalità e con la riserva di legge relativa

 

La delega alla normazione secondaria non è preclusa dal principio di legalità.

Se inteso nella sua accezione sostanziale e più risalente, tale principio presuppone la piena conformità alla legge della disposizione di fonte secondaria e la sua derivazione da una previo conferimento da parte di un atto di normazione primaria [58]: ciò che non frapporrebbe problemi alla delegificazione di ampi settori le cui scelte di fondo permangono, tuttavia, attribuite ad un atto equiparato alla legge. Se fosse costituzionalizzato,  il principio di legalità inteso in senso sostanziale potrebbe invece precludere l’ammissibilità di regolamenti indipendenti della CONSOB, che abbiano cioè ad oggetto materie non previamente normate dalla legge.

Anche in questo caso, tuttavia, bisogna affermare che il principio di legalità non costituisce un ostacolo, in quanto esso ha subìto una profonda eterogenesi: la migliore dottrina, infatti, ritiene che esso sia soddisfatto anche dall’emanazione di regolamenti, purché essi siano scaturigine di norme e non siano dunque atti amministrativi [59]. Il principio di legalità, alla luce della “crisi della legge”, sarebbe oggi  dunque degradato a mero principio di normatività, richiedendo che i provvedimenti amministrativi abbiano come legittimazione una qualsivoglia fonte e non invece, che la fonte normativa secondaria abbia legittimazione in una norma sovraordinata [60].

Discretivo, invece, è il profilo della riserva di legge presente al terzo comma dell’art. 41 della Cost., nel quale si stabilisce il principio secondo cui  è la legge, non la norma secondaria, a determinare “i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. A prescindere dalla constatazione secondo cui il significato ricavabile da tale disposizione - mediante un’ermeneusi che tenga minimamente in conto i principi comunitari - è profondamente cambiato [61], va affermato senza timore di smentita che si tratta di riserva di legge relativa: anzi, si può sostenere che il terzo comma dell’art. 41 costituisca un esempio paradigmatico della più raffinata nozione di “riserva a carattere aperto” [62], introdotta dalla sent. 383/1998 della Corte Costituzionale, che focalizza l’attenzione proprio sulla possibilità che la legge demandi ampi spazi di policy making ad atti subordinati. Ne consegue che,  salvo il problema dei regolamenti sostanzialmente indipendenti, non si pongono problemi di legittimità per i regolamenti che, in quanto delegati, sono integrativi del disposto di fonte primaria. Anzi, può sostenersi che  il meccanismo della “normazione per principi” introdotto dal TUF sembra tagliato su misura alla riserva relativa di legge: la fonte primaria, limitandosi a stabilire le linee fondamentali e ad operare gli essenziali bilanciamenti di interessi, ottempera proprio al dettato costituzionale che le assegna in esclusiva tale compito. Un analogo meccanismo, d’altra parte, è previsto dal secondo comma dell’art. 42 della Cost. [63], e anche in quel caso ai poteri “normativi” dei Comuni, e in particolare alla redazione dei Piani Regolatori Generali, sono affidate scelte di dettaglio dei principi stabiliti in via di normazione primaria: un parallelismo, quello tra i “regolamenti” urbanistici e edilizi degli enti territoriali e il rule making della CONSOB, che – al di là di una sicura forzatura – è stato proposto in dottrina anche per sgombrare il campo da ogni dubbio circa la coerenza del rinvio con la riserva di legge.

Diverso è il problema del rapporto tra la riserva legge relativa di cui al terzo comma dell’art. 41 e l’ammissibilità dei regolamenti indipendenti. Ebbene – a parte le teorie, residuali, che assegnano al principio di competenza ovvero all’autarchia comunitaria una portata tale da scardinare perfino il dettato costituzionale [64]– risulta evidente che la  nozione di riserva di legge, ancorché relativa, sia intrinsecamente contraddetta da un regolamento che si situi in uno spazio non occupato preventivamente da una legge. A livello empirico, ci si può certo chiedere se il vuoto assoluto – e di lacune se ne creano con una certa frequenza in un settore che si evolve così repentinamente – sia davvero preferibile ad una regolazione predisposta esclusivamente dall’Autorità competente: sta di fatto che la riserva di legge costituisce un argine insuperabile e sembra consigliare un diverso modello di intervento normativo della CONSOB, quello per cui la Commissione suggerisce al Parlamento o al governo di legiferare [65].

Posta l’insuscettibilità di un atto della CONSOB inerente ad un ambito non coperto preventivamente dalla legge, tuttavia, è opportuno compiere un passo indietro e domandarsi se sia addirittura configurabile un regolamento indipendente. Una parte della dottrina, minoritaria, nega in assoluto tale possibilità, in virtù della considerazione per cui non esisterebbero materie sguarnite dalla copertura legislativa: la completezza sarebbe assicurata dalla presenza degli istituti dell’analogia e dell’interpretazione estensiva [66].

Prescindendo da tali argomentazioni, tuttavia, si può affermare che il problema si pone sotto una differente veste, e con maggiore virulenza, proprio in relazione al potere normativo della CONSOB. A pensarci bene, una previa legge “delegificante” potrebbe sempre essere rintracciata nei tre ambiti dell’intermediazione, dei mercati, delle società emittenti: gli artt. 5 e 6 del TUF, infatti, assegnano genericamente alla CONSOB la vigilanza su trasparenza e correttezza dei comportamenti di società d’investimento e di gestione collettiva; l’art. 74 del TUF impone il controllo sui mercati regolamentati finalizzato a trasparenza, ordinato svolgimento delle negoziazioni, tutela degli investitori; l’art. 91 del TUF, analogamente, limita i poteri regolamentari della Commissione in relazione agli obiettivi di trasparenza, efficienza e tutela degli investitori [67]. Ci si potrebbe chiedere, insomma, se tali attribuzioni contengano un quid pluris rispetto alle singole devoluzioni di potere accordate dalle altre disposizioni del TUF [68] e se, dunque, possano essere considerate come disposizioni “delegificanti” autonome [69]. In tal caso, l’ambito di legge sarebbe già occupato da esse e, dunque, la categoria dei regolamenti formalmente indipendenti risulterebbe composta solo dagli atti già illegittimi, vale a dire quelli assolutamente esorbitanti dall’ambito di competenza attribuito alla Commissione. Un’operazione interpretativa plausibile, questa, che avrebbe almeno il merito di evidenziare l’aleatorietà delle disquisizioni nominalistiche e di cogliere  il nocciolo del problema di costituzionalità in relazione alla riserva di legge di cui all’art. 41 della Cost. Problema che si pone in questi termini: atteso che esiste una delegificazione di fatto [70],  è compatibile con la riserva di legge il meccanismo che si realizza mediante rinvii legislativi particolarmente ampi, che devolvono al regolamento spazi di decisione generalmente riservati alla fonte primaria? [71] Quesito che, a pensarci bene, coincide con quello della coerenza con la riserva di previsioni legislative sufficienti esclusivamente a non far configurare come formalmente indipendenti determinate deliberazioni della Commissione [72]. Il che, ancora, corrisponde al problema della legittimità di atti regolamentari che, formalmente secondari, sono in realtà sostanzialmente primari [73]. Insomma, tutto torna: se in precedenza si era affermato che non esiste un criterio precostituito – come quello della discrezionalità tecnica, quello delle preferenze secondarie o quello della dicotomia law/policy – per  “quantificare” l’ampiezza della delega, alla luce del problema di costituzionalità è opportuno affermare che tale ambito non deve comunque trasbordare nello spazio riservato alla legge. Sarebbe opportuno, allora, che la Corte Costituzionale – piuttosto che chiudersi nel non liquet ovvero, com’è accaduto in Francia [74], produrre sentenze in quantità industriale – stabilisca l’ampiezza della riserva relativa di legge con specifico riferimento ai mercati finanziari [75].

 

        9. Altri profili di legittimità costituzionale

 

La costituzionalità  del potere normativo della CONSOB è tematica che si pone in relazione anche ad altri profili, diversi e logicamente antecedenti rispetto alla compatibilità del potere normativo della Commissione con la riserva di legge.

E’ unanimemente condivisa l’affermazione secondo cui l’assenza, in Costituzione, di un esplicito titolo legittimante il potere normativo delle Autorità indipendenti non costituisce un ostacolo [76] al riconoscimento della sua legittimità costituzionale [77]. La compatibilità  è corroborata dallo strabismo della Costituzione in relazione alla sistematica delle fonti: essa istituisce un numeris clausus di fonti primarie, ma prevede un sistema “aperto” di fonti secondarie, scelta che nell’ultimo decennio si è rivelata particolarmente avveduta in relazione alla fuga dalla legge e all’esplosione di fonti sottordinate. Ne consegue che l’art. 87 della Carta Fondamentale – nel prevedere espressamente il potere regolamentare del Governo – non rappresenta un ostacolo all’affermazione di altre fonti equiordinate, limitandosi a stabilire esclusivamente la doverosità dell’esistenza di un rule making dell’Esecutivo. Analogamente a quanto accade in Francia, dove pure l’equivalente disposizione è suscettibile di diverse interpretazioni che hanno coinvolto anche il Consiglio Costituzionale [78], l’art. 87 della Cost. di sicuro non stabilisce un monopolio del potere normativo di fonte secondaria e, dunque, consente ai regolamenti della Commissione di incastonarsi senza difficoltà tra le maglie costituzionali [79]

Di sicuro non potrà ricavarsi una presunta incostituzionalità del potere normativo della CONSOB, in quanto organismo privo di legittimazione rappresentativa, con riferimento al combinato disposto degli artt. 1 e 70 della Cost. [80] Problema ormai risolto dalla dottrina, che configura un modello democratico fondato sull’output: la legittimazione della Commissione deriva dal sindacato sulla partecipazione, e dunque sul coinvolgimento degli interessati nel processo decisionale [81], dall’analisi d’impatto della regolamentazione [82], dai checks and balances, da un meccanismo di accountability diffusa.

Bilanciamento dei poteri che viene in gioco in relazione anche alla supposta illegittimità del potere normativo della CONSOB con riferimento agli artt. 24 e 101  della Cost, vale a dire alle norme  che assegnano ai giudici la funzione giurisdizionale. Sarebbe incompatibile con tali norme, secondo una posizione assolutamente minoritaria, la configurazione della CONSOB come organismo che detta regole e, nel contempo, controlla il loro rispetto e irroga, fino ad oggi per i soli promotori finanziari, le sanzioni amministrative.  Problema che, tuttavia, non si pone per due considerazioni liminari: la Costituzione non assegna alla Magistratura il monopolio della funzione “giustiziale”; il potere amministrativo di controllo e quello paragiurisdizionale non precludono il successivo esplicarsi del diritto di azione e di difesa presso i tribunali amministrativi od ordina

10. I regolamenti sostanzialmente indipendenti dopo la riforma del diritto societario

Le considerazioni finora svolte assumono rilevanza anche alla luce della riforma del diritto societario, introdotta dal d. lgs. 6/2003, che ha novellato il capo quinto del titolo quinto del libro quinto del c.c.  La normazione secondaria della CONSOB, infatti, contribuirà alla risoluzione di eventuali antinomie e dubbi interpretativi sussistenti  tra il TUF e il d. lgs. 6/2003. Problemi che si potranno proporre, ancorché l’art. 2325-bis del c.c. novellato stabilisca, al secondo comma, che le disposizioni del capo concernente il modello-base unitario “si applicano alle società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati in quanto non diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali” e nonostante la puntuale novellazione del TUF e dello stesso d.lgs. 6/2003 operata dal d. lgs. 37/2004.

Tale ultimo decreto - recando disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi 5 e 6 del 2003 per il coordinamento con il TUB ed il TUF - risolve molte  incongruenze e  dubbi che, ad onta del criterio dell’art. 2325-bis, erano stati sollevati dalla riforma del diritto societario circa l’applicabilità di singole sue regole alle emittenti quotate. In particolare, tale iniziativa legislativa si muove nel senso di “di garantire il massimo grado di applicabilità della riforma delle società a…quelle quotate” [83] riconoscendo, nonostante le titubanze dottrinarie [84], la coerenza dei modelli societari alternativi – quello monistico e quello dualistico [85] -, nonché adeguando la disciplina alla pluralità di azioni e strumenti partecipativi suscettibili di essere emessi [86].

Il nuovo c.c. distingue tra società di capitale chiuse, vale a dire non quotate e con azioni non diffuse in maniera rilevante, e società di capitale aperte, “che fanno ricorso al capitale di rischio” [87]. Sfrangiamento a lungo invocato, quantunque appaia paradossale la sua emersione in concomitanza con fenomeni che rendono più labile la distinzione tra capitale di credito e capitale di rischio [88].  Il blocco delle società aperte comprende, a sua volta, quelle “emittenti azioni quotate in mercati regolamentati” e quelle emittenti azioni – non, dunque, strumenti [89] – diffuse. Quest’ultima species è definita mediante rinvio al rule making della CONSOB, e si tratta forse della delega normativa più rilevante, in quanto in virtù della stessa la Commissione è deputata ad individuare i criteri distintivi tra società chiuse e società aperte diffuse: con deliberazione 14372/2003, la CONSOB ha modificato i parametri quantitativi [90] ed ha introdotto criteri qualitativi [91] per attestare la diffusione rilevante presso il pubblico [92]. Va segnalato, tuttavia, che si tratta di una delega normativa sui generis, in quanto, diversamente da ciò che accade di solito, costituisce un rinvio recettizio: ne consegue che i criteri fissati dalla CONSOB ed in vigore il primo gennaio 2004 sono recepiti dalla disciplina codicistica sulle società diffuse e non saranno variati, in relazione alla disciplina civilistica, neanche in caso di modifica del regolamento della Commissione stessa [93]. La società con azioni diffuse, così come individuata dalla CONSOB, è disciplinata dalle regole del c.c. che concernono la generalità delle società di capitale, ma anche dalle disposizioni aventi a riguardo le “società che fanno ricorso al capitale di rischio” e da quelle norme del TUF [94] che già in precedenza assimilavano tale modello a quello delle emittenti going public [95].

Per le società quotate, viceversa, opera il criterio di risoluzione delle antinomie introdotto dal secondo comma dell’art. 2325-bis del c.c., per cui prevalgono le disposizioni specifiche del TUF [96]. Vi si applicano, per quanto non specificamente previsto dal TUF,  anche le regole del c.c. aventi direttamente riferimento alle società quotate [97] ovvero, in loro assenza, quelle concernenti il genus delle società che fanno ricorso al capitale di rischio. E non basta, perché secondo il criterio di sussidiarietà, laddove non dovessero sussistere tali norme, riemergono le regole codicistiche che costituiscono la base unitaria, vale a dire il “diritto azionario comune”.

I conflitti tra norme sembrano così scongiurati, e invece la loro risoluzione dipende da cosa s’intende per “diversamente disposto” dal TUF: interpretazione che, sebbene fortemente agevolata dal decreto legislativo correttivo della riforma, non potrà prescindere dal rilievo delle norme elaborate dalla CONSOB, tra l’altro destinataria di nuove attribuzioni regolamentari [98]. Quid juris se il TUF regola una disciplina, ma non compiutamente [99]? E quid juris se il codice civile prevede regole su materie non specificamente normate dal TUF, quando tali regole propongono tuttavia problemi di compatibilità con il sistema introdotto dal Testo Unico [100]? Si percepisce subito che assoluto rilievo, nello sbrogliare eventuali matasse, assumeranno i regolamenti della CONSOB. Non fosse altro perché i due quesiti precedenti tendono a sovrapporsi nel caso in cui il rule making della CONSOB si fondi esclusivamente sul rinvio “in bianco” dell’art. 91 del TUF, che così assurgerebbe a disciplina specifica rispetto a quella del codice. Come dire, se permarranno dubbi nonostante il d. lgs. 37/2004, la riforma del diritto societario potrebbe accentuare il problema della costituzionalità dei regolamenti sostanzialmente indipendenti e quello dell’ampiezza della riserva di legge: emergerebbe, infatti, un caso paradigmatico di come tali regolamenti, in presenza di una delega scarna del TUF e in virtù del criterio di cui all’art. 2325-bis del c.c., potrebbero addirittura prevalere sulle norme primarie del codice civile. Il problema si proporrà drasticamente nel caso in cui  la CONSOB decidesse di aderire agli orientamenti dottrinari che, allarmati dall’apertura all’atipico, richiedono per le società going public un intervento eteronomo restrittivo di normazione secondaria. Sebbene tale approccio sia da scongiurare - in quanto si contrapporrebbe all’apprezzabile ratio legis di valorizzazione dell’autonomia negoziale -, è abbastanza agevole preconizzare che proprio la riforma societaria determinerà l’esplosione del problema di legittimità costituzionale dei regolamenti indipendenti: sarà ancor più importante, dunque, interrogarsi sulla portata della riserva di legge di cui all’art. 41 comma 3 della Cost.  


 

 

[1] Principio bilanciato, nel secondo comma, dal valore dell’utilità sociale e dalle garanzie della sicurezza, della libertà e della dignità umana: si è osservato che tale contemperamento  è fortemente relativizzato dal blocco dei principi comunitari, che - con tutta la loro attitudine normativa ed ermeneutica -  trascendono la libertà d’intrapresa per sancire l’identità delle libertà politiche con la priorità del mercato.

[2] A. FAZIO, Indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, Audizione presso le Commissioni riunite VI e X di Camera e Senato, 20 gennaio 2004, ha concluso la sua relazione con la constatazione secondo cui “nella visione dei Costituenti la difesa del risparmio non è disgiunta dal riconoscimento del ruolo delle istituzioni e della loro autonomia”.

[3] Posizione non intaccata dai non secondari problemi interpretativi che tale disposizione pone, anche alla luce del non trascurabile rilievo del diverso contesto storico in cui fu redatta la nostra Carta Costituzionale. La disposizione, infatti, risulterebbe compatibile sia con un modello d’intervento dirigista e sia con un modello liberista. Problemi interessanti e delicati, solo in parte trattati da F. MERUSI, Commentario della Costituzione, Bologna, 1980, che è opportuno quantomeno elencare: si discute se l’art. 47 della Cost. sia una specificazione dell’art. 41 della Cost. oppure, tutelando la liquidità e la moneta, esso sia addirittura un prius rispetto alla libertà d’iniziativa economica; si discute circa il rapporto tra il risparmio e il credito e se le forme di risparmio non connesse al credito abbiano una tutela minor generis; si discute se il riferimento alla Repubblica istituisca in materia una riserva di legge ovvero se sia compatibile con l’incoraggiamento al risparmio anche l’esclusivo utilizzo di mezzi diversi (normazione secondaria, provvedimenti amministrativi). E ancora ci si chiede: se le destinazioni del risparmio di cui al secondo comma sono meramente esemplificative; se i titoli azionari, essendo anche titoli di partecipazione, rientrano nelle destinazioni incoraggiate; se il risparmio popolare si riferisce solo alle forme più semplici ed in particolare a quelle dei lavoratori subordinati.  Tutti problemi che non possono prescindere dall’evoluzione dell’economia italiana e dai principi dell’Unione Europea.

[4] Rilevanza assumono i principi dell’uguaglianza  (art. 3 della Cost.) – intesa da ormai consolidata giurisprudenza come necessità di non trattare in modo dissimile situazioni simili e come affermazione del criterio della ragionevolezza -,  della correlazione tra diritti inviolabili dell’uomo e doveri inderogabili di solidarietà (art. 2 della Cost.)   e della libertà d’informazione (art. 21 della Cost.), intesa anche come libertà nell’essere informati.

[5] Così M. BESSONE, I mercati mobiliari, Milano, 2002, p. 46.

[6] A. SEGNI, I mercati e i valori mobiliari, in Trattato di Dir. Amm., a cura di S. CASSESE, Milano, 2003,, p. 2961, iscrive le direttive comunitarie al primo livello di disciplina, in contrapposizione al secondo livello, caratterizzato dalle norme primarie interne. L’Autore scinde anche le direttive comunitarie in tre filoni: quello dell’intermediazione, quello dei mercati regolamentati e quello della circolazione dei prodotti.

[7] Senza considerare i casi in cui la detronizzazione della legge nazionale è davvero evidente, laddove questa viene by-passata dal recepimento immediato delle direttive comunitarie da parte dei regolamenti della CONSOB: fenomeno che è accentuato con l’applicazione al Piano di direttive della procedura di Lamfalussy e con il conseguente ruolo attribuito al CESR, l’organo che riunisce le singole, omologhe Autorità di vigilanza nazionali..

[8] M. BESSONE, Il diritto privato europeo dei mercati finanziari, www.studiocelentano.it/lenuovevocideldiritto. L’Autore evidenzia, in particolare, come il sistema delle fonti sia oggi multiforme proprio per la rilevanza assunta dai principi e dalle disposizioni comunitarie: fenomeno che si spiega soprattutto con l’impatto della globalizzazione sulla disciplina dei mercati finanziari.

[9] Tra le fonti primarie spiccano, come evidenziato: il codice civile, in particolare il titolo quinto del libro quinto, come recentemente modificato dal d.lgs. 6/2003 e dal d.lgs. 37/2004; la l. 216/1974, di conversione del decreto legge 95/1974 sull’assetto della CONSOB e sulla sua regolamentazione interna; l’art. 129 del d.lgs. 385/1993 (TUB) su emissioni e offerte di valori mobiliari; la l. 124/1993, come successivamente modificata dalla l. 335/1995 e dal d.lgs. 47/2000, sui fondi-pensione; la l. 213/1998, nella parte in cui disciplina la dematerializzazione; la l. 130/1999, sulla cartolarizzazione dei crediti.

[10] Si tratta, in particolare, degli artt. 8 e 21 di tale legge, che è “legge comunitaria” per il 1994.

[11] Il Testo Unico è composto da sei parti. La prima, composta di soli quattro articoli, concerne le “disposizioni comuni”: oltre al “vocabolario”, come è stato etichettato dalla dottrina l’art. 1, sono disciplinati la collaborazione tra Enti, il rapporto con il diritto comunitario ed il potere regolamentare di Banca d’Italia e CONSOB. La seconda parte, composta da ben quattro titoli, attiene all’intermediazione, laddove particolare rilevanza assume la summa divisio tra servizi d’investimento e gestione collettiva del risparmio. La terza parte, composta da due titoli, afferisce alla disciplina dei mercati – regolamentati e non regolamentati – e alla gestione accentrata degli strumenti finanziari.  La quarta parte, composta da tre titoli, concerne le società con prodotti quotati in Borsa ovvero altrimenti diffusi in maniera rilevante presso il pubblico: in tale parte non solo è prevista una disciplina ad hoc per le società going public, con particolare riguardo ai diritti degli azionisti di minoranza, ma è  regolata anche la sollecitazione all’investimento e al disinvestimento. Seguono la parte quinta – composta da due titoli, concernenti rispettivamente le sanzioni penali e quelle amministrative – e, infine, le disposizioni transitorie e finali.

[12] I disegni di legge di riforma della vigilanza in esame al Parlamento accrescerebbero non solo la potestà ispettiva e sanzionatoria della nuova CONSOB, ma anche il suo potere regolamentare. La proposta  di legge che ha come relatori gli onorevoli CONTE e GAMBINI, d’altra parte, creerebbe un meccanismo di “cogestione decisoria”: l’introduzione nell’ambito del procedimento decisionale delle deliberazioni del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) ricalcherebbe il procedimento previsto all’art. 9 del TUB per talune deliberazioni della Banca d’Italia. .

[13] Così , R. RORDORF, La Consob come autorità indipendente nella tutela del risparmio, in Il Foro Ital., 2000, p. 147, secondo cui “in qualche modo il rapporto tra norma primaria e norma regolamentare assomiglia” a quello tra la legge parlamentare contenente principi e criteri direttivi e quella delegata. Il commissario della CONSOB precisa che “in verità, vi è anche di più: perché non si tratta di una delega limitata nel tempo, il cui esercizio si consuma con l’emanazione” del complesso di disposizioni, “bensì di una delega permanente a disciplinare determinate aree di competenza e a modificarne in ogni momento la disciplina”, salvo il fenomeno della rilegificazione.

[14] Così M.S. GIANNINI, CONSOB, in CONSOB. L’istituzione e la legge penale, Milano, 1987, a cura di G.M. FLICK,, p. 59, che evidenzia così la particolarità della CONSOB rispetto agli “enti reggenti di settore” e agli ordinamenti sezionali da una parte, alle fonti tradizionali dell’ordinamento generale dall’altra. Allo stesso modo, F. PIGA e A. SEGNI, Società e borsa (CONSOB), in Encicl. Del Dir.

[15] L’espressione è di V. CERULLI IRELLI, Audizione davanti alla I Commissione (Affari Costituzionali), 12 maggio 1999.

[16] E’ la tesi di G. DE MINICO, Antitrust e Consob. Obiettivi e funzioni, Padova, 1997, p. 275, secondo cui in molte occasioni il regolamento della CONSOB occupa spazi che tradizionalmente sono appannaggio della legge. “L’atipico rapporto che corre tra una legge, che contiene poco più che norme in bianco sulla competenza, e il suo regolamento, che tutto è, salvo che di attuazione, è la traduzione in termini funzionali di una relazione intersoggettiva che vede, da un lato, il potere politico cedere una quota della propria azione di governo, benché settoriale, ai nuovi soggetti “politici”, i quali, d’altro canto, nel farla propria, …esercitano un potere sostanzialmente politico attraverso atti non politici”. Ciò che, per l’Autrice, non può che tradursi in un problema di costituzionalità, atteso che in alcuni casi i regolamenti sono, di fatto, indipendenti.

[17] Proprio per evidenziare il ruolo sostanziale di fonte primaria che talvolta è attribuito al potere normativo della CONSOB, G. DE MINICO, Antitrust e Consob. Obiettivi e funzioni, cit, p. 228, qualifica come tale il rule making della Commissione.

[18] La formula è utilizzata sempre da M. S. GIANNINI, CONSOB, cit, il quale afferma che all’autonomia decisionale – consistente nell’esclusione del vaglio di legittimità dell’Esecutivo – si affianca anche l’autonomia normativa, vale a dire la non vincolatività degli indirizzi e delle direttive politiche governative.

[19] Si tratta di un’altra espressione di M. S. GIANNINI, CONSOB, cit, p. 60, usata per sostenere che non c’è subordinazione gerarchica nei confronti delle leggi dispositive. “Avevo proposto di chiamarle norme subprimarie, per dire che sottostanno a norme imperative primarie (di legge) ma non ad altro”.

[20] Così F. PIGA, Conclusioni, in , in CONSOB. L’istituzione e la legge penale, cit, p. 231, cit. Nello stesso senso G. GUARINO, Atti Parlam., seduta del 30 gennaio 1999, che parla di “poteri normativi esterni del tutto sconosciuti nel nostro ordinamento”.

[21] L’espressione è di R. RORDORF, La Consob come autorità indipendente nella tutela del risparmio, cit , p. 147.

[22] Contra A. PREDIERI, La posizione istituzionale  della Consob nell’apparato amministrativo, in CONSOB. L’istituzione e la legge penale, cit, p. 221, il quale sostiene che tali regolamenti sono fonte secondaria tout court, senza deroghe. Ne consegue che essi “devono rispettare le norme sovraordinate e cioè quelle costituzionali o di legge ordinaria (e quelle comunitarie), senza possibilità di deroga o di abrogazione delle stesse, con rispetto del principio di legalità e delle riserve di legge, ove vi siano”. Analogamente F. CINTIOLI, I regolamenti delle Autorità indipendenti nel sistema delle fonti tra esigenze della regolazione e prospettive della giurisdizione, in www.giustizia-amministrativa.it, , p. 5, laddove sostiene che affermare la prevalenza della teoria dei poteri impliciti, per la CONSOB come per le altre Authorities, non equivale a sostenere la prevalenza dei regolamenti sulle leggi. Nello stesso senso E. CARDI e P. VALENTINO, L’istituzione CONSOB. Funzioni e struttura, in Mercati finanziari, testi e materiali a cura di M. BESSONE.

[23] E’ la posizione di M. S. GIANNINI, CONSOB, cit, p. 59, che parla di fonte primaria minor generis rispetto alle legge. Secondo l’Autore, non solo si tratta di norme che prevalgono su quelle dispositive di legge, ma  che possono anche occupare materie non previamente coperte dalla legge. GIANNINI, insomma, sostiene l’ammissibilità dei regolamenti indipendenti.

[24] Così A. SEGNI, I mercati e i valori mobiliari, cit, p. 2964, laddove afferma che “unico vincolo di subordinazione di tali atti (nonché limite del sindacato giurisdizionale esperibile su di essi) è nei confronti della legge che ne è fonte, e alla quale essi danno attuazione”. Anche F. MERUSI e M. PASSARO, Autorità indipendenti, in Encicl. Del Dir. Aggiorn. VI, p. 186, afferma che “in virtù della competenza normativa attribuita dalla legge prevalgono nei confronti di qualsiasi altra norma emanata da fonti normative incompetenti, ivi compresi i regolamenti statali e le stesse leggi che non disciplinano espressamente la materia”. E nonostante lo scetticismo, lo stesso A. PREDIERI, La posizione istituzionale della Consob nell’apparato amministrativo, cit, p. 217, parla di “gerarchia rispetto alla legge, e in particolare a quella abilitante che determina caso per caso l’estensione dell’area”.

[25] E’ la tesi di F. MERUSI, Le leggi del mercato, Bologna, 2002, p. 96. Lo stesso Autore, in Autorità indipendenti, cit, p. 186, attribuisce il supposto ruolo di fonte primaria a taluni regolamenti CONSOB in diretto riferimento alla derivazione comunitaria. Esisterebbe, infatti, uno sfrangiamento tra i regolamenti: quelli di esecuzione e quelli che, invece, assurgerebbero a vertice normativo dell’ordinamento. In relazione a questi ultimi atti, MERUSI si chiede: “i regolamenti esclusivi sono dunque fonti primarie? Il caso è meno scandaloso di quanto sia apparso…In realtà il potere di regolamentazione esclusiva è attribuito …da norme comunitarie. Con la conseguenza che il prevalere dei regolamenti esclusivi anche su fonti primarie statali altro non è che una forma particolare di prevalenza del diritto federale sul diritto dello Stato federato”. Più moderata la posizione di S. CASSESE, La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa-CONSOB e i poteri indipendenti, p. 416, che si limita a considerare l’importanza di accordi di cooperazione con le istituzioni europee nel rule making della CONSOB.

[26] La considerazione è di N. MARZONA, Il potere normativo delle Autorità indipendenti, in I garanti delle regole, Bologna. 1996, p. 98.  Per A. SEGNI, I mercati e i valori mobiliari, cit, p. 2965, va riscontrato comunque un “fenomeno di progressivo arretramento della legge e…la conseguente espansione degli spazi lasciati alla regolamentazione di settore”. Ed infatti, “molte volte, mancando di limiti precisi” la delega legislativa, “la regolamentazione viene a perdere ogni connotato di normativa di attuazione, per guadagnare gli ampi spazi concessi dalla disciplina di rango primario”.

[27] Così A. PREDIERI, La posizione istituzionale della Consob nell’apparato amministrativo, cit, p. 221, secondo cui rispetto ai regolamenti di altri soggetti, chiunque essi siano, “quello della Consob è in posizione di equiordinazione, con relazioni governate non dal principio di gerarchia, inapplicabile in questo caso, ma da quello di competenza”. L’Autore, successivamente, afferma che la normazione secondaria è separata dal principio di competenza: “le serie normative si pongono come subsistemi di norme in parallelo come colonne”.

[28] N. MARZONA, Il potere normativo delle Autorità indipendenti, p. 101, afferma che il “criterio di competenza…si sostituisce al principio gerarchico, in coerenza con la posizione indipendente delle entità in esame e con la signoria della conoscenza dei problemi del settore”.

[29] Nel senso che si tratta di delegificazione S. NICODEMO, Gli atti normativi delle Autorità indipendenti, Padova, 2000, p. 136, la quale, già in riferimento agli atti emanati ex art. 20 della l. 1/1991, sostiene che essi si possono “ricondurre alla categoria delle disposizione di forza regolamentare e di natura delegata”.

[30] N. LUPO, Dalla legge al regolamento, Bologna, 2003, p. 39.

[31] Così M. BESSONE, I mercati mobiliari, p. 4, che evidenzia come “si è operato privilegiando il metodo, la tecnica istituzionale e le finalità dei processi di delegificazione”. L’Autore rileva che “molto spesso con le disposizione di fonte primaria si sono stabilite soltanto regole di grande principio rinviando alle disposizioni di fonte secondaria la definizione puntuale del regime di singole fattispecie”.  La differenza con la delegificazione in senso tecnico è, dunque, semmai solo quantitativa e non anche qualitativa:  la maggioranza della dottrina, d’altra parte, ritiene che anche nella delegificazione di cui alla l. 400/1988 il legislatore debba determinare le norme generali regolatrici della materia. Non è escluso, inoltre, che anche nel rinviare alla potestà regolamentare governativa, il legislatore operi alla stregua del TUF, derogando al meccanismo formale architettato dalla legge 400/88: salvo considerare tale legge, in quanto di normazione sulla normazione, fonte super-primaria e dunque inderogabile implicitamente da un atto equiordinato cronologicamente successivo.

[32] Il problema potrebbe parzialmente essere riconsiderato se dovesse assestarsi un sistema di bicameralismo imperfetto, come prefigurato dal disegno di legge che recepisce la bozza di Lorenzago (stampato della Camera dei Deputati n.4862), approvato il 25 marzo 2004 in prima deliberazione dal Senato, come atto n. 2544. Il settore dei mercati finanziari, essendo riservato esclusivamente allo Stato, sarebbe demandato alla competenza della sola Camera dei Deputati, con una sensibile accelerazione dell’iter legislativo. Il Senato, che sarebbe federale per competenze e non per composizione, potrebbe solo proporre modifiche, sulle quali tuttavia sarebbe la Camera a decidere in via definitiva, come evidenzia V. LIPPOLIS, Il bicameralismo e il Senato federale, in La Costituzione promessa, volume della Fondazione Magna Carta, p. 75, SOVERIA MANNELLI, 2004.

[33] La dottrina, invece, si domanda se un simile processo possa realizzarsi anche nella delegificazione stricto sensu: proprio l’espediente dell’abrogazione sotto condizione sospensiva, infatti, potrebbe costituire un ostacolo all’affermazione di una degradazione permanente delle fattispecie da regolare.

[34] Profilo che sembrerebbe rendere aleatoria e transeunte la delegificazione e che, invece, è da una parte costituzionalmente necessario, dall’altra costituisce la migliore garanzia che la scelta di attribuire il rule making a fonti sottordinate sia nel tempo corroborata da chi è pur sempre espressione della sovranità popolare.

[35] La CONSOB operò ab initio la scelta di raccogliere le norme di specificazione al TUF in tre blocchi – coincidenti con le principali materie ad essa affidate: intermediazione, emittenti, mercati – in coerenza con la scelta di chiarezza alla base anche della creazione di un Testo Unico. Il risultato è che la derubricazione di molte materie al rango di normazione secondaria non vulnera, ma anzi esalta l’intellegibilità: si può senz’altro affermare, in questo settore molto più che in altri, che oggi nessun operatore può prescindere dalla profonda conoscenza delle norme secondarie, senza che questo fattore determini pregiudizio in termini di certezza  del diritto.

[36] Ci si riferisce ai due sensi tradizionali di deregolamentazione, come evidenziati da A. LA SPINA e G. MAJONE, Lo Stato regolatore, Bologna, 2000, p. 127. Il primo coincide con la degiuridificazione e consiste nella soppressione di una norma, nel declassamento di un fenomeno al ruolo di non giuridico: in tale senso è nozione assolutamente non coincidente con quella di delegificazione, che consiste evidentemente in una riregolamentazione. Ma anche nella seconda accezione – quella di regole meno intrusive – essa non coincide necessariamente con il fenomeno della delegificazione, che, sebbene di fatto sia associata ad un atteggiamento maggiormente aperto verso il mercato, è concetto giuridico adiaforo rispetto alla pervasività dello Stato e consiste solo in un’attribuzione di una fonte diversa. Stessa considerazione è realizzata da G. DE MINICO, Antitrust e CONSOB. Obiettivi e funzioni, cit, p. 59, che pure aderisce alla seconda accezione e definisce deregulation la devoluzione di poteri normativi compiuta a favore delle agencies statunitensi. La deregulation pro-competitiva, secondo l’Autrice, potrebbe essere sintetizzata dallo slogan di G. AMATO “meno norme e norme diverse” e consiste nella regolazione condizionale, che pone condizioni e non regola processi, che detta le norme proibitive che costituiscono la cornice e non consiste in una frenetica produzione di tipo afflittivo. 

[37] G. BRUZZONE, La regolazione intrusiva oggi, in Mercato Conc. Regole, 2002, p. 467, secondo cui  non esiste necessariamente correlazione tra numero di testi legislativi e regolazione intrusiva. Sul rischio che dalla “riregolazione” possa discendere, sotto mentite spoglie, un nuovo modello di regolazione intrusiva, anche S. CASSESE, Soffocati da troppe regole, in Il Sole 24 Ore, 16 novembre 1998.

[38]  M. BESSONE, I mercati mobiliari, cit, p. 9, evidenzia il ruolo di protagonista svolto dai mezzi e dagli istituti del diritto privato, il cui intero repertorio è utilizzato da soggetti pubblici. Secondo BESSONE, la scelta del pluralismo e della privatizzazione e, dunque, dell’abbandono di qualsiasi policy di pubblica direzione è stata compiuta, e “modalità di ordinamento della materia diverse…appartengono ad un passato che non ritornerà”.

[39] S. CASSESE, La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa-CONSOB e i poteri indipendenti, in Riv. Soc., 1994, p. 416,  evidenzia come la finalità dei regolamenti vada ricercata nella competition enforced by law e come le norme non siano conformative o direttive: il che equivale a dire che la CONSOB regola processi, non risultati, e che l’interesse principale  quello dei privati, non quello statale.

[40] Così N. LUPO, Dalla legge al regolamento, cit, p. 116, che evidenzia come la sent. 251/2001 della Corte Cost. abbia ritenuto che la delegificazione non si attua qualora il regolamento ecceda la delega prevista dalla legge. La suddetta pronuncia, infatti, afferma che “la disciplina tuttora vigente deve ritenersi quella contenuta nella legge” e non quella del “regolamento, intervenuto su aspetti sostanziali della materia…al di là della disciplina per la quale, sola, era abilitato, con ciò rendendosi inoperante la clausola” delegificante. Si discute, tuttavia, se questo approccio possa tramutarsi in un sindacato dei regolamenti delegificati.

[41] Lo evidenzia M. BESSONE, I mercati mobiliari, cit, p. 169, che afferma che le norme penali di rinvio a disposizioni extrapenali costituiscono “un punto di caduta” dell’ordinamento. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale-leggi complementari, Milano, 2002, p. 11, sottolinea “le carenze di una tecnica legislativa” che fino al d.lgs. 366/2001 aveva avuto “scarso o nullo rispetto del principio di stretta legalità e dei criteri ottimali per la redazione delle norme incriminatici (in particolare di quelli di tipicità e di determinatezza)”.

[42]  La potestà di attuare direttive è riconosciuta a partire dalla l. 428/1990 , che delega al Governo l’individuazione delle materie in cui la CONSOB è abilitata a recepire le direttive. E’ rilevante notare che, in passato, la CONSOB si auto-attribuì tale potere: nella legislazione precedente alla legge comunitaria del 1990, infatti, la Commissione non era titolare per devoluzione eteronoma di tale potere. Sull’argomento S. NICCOLAI, I poteri garanti della Costituzione e le Autorità indipendenti, Pisa, 1996, p. 203, la quale ricorda che – pur non rientrando nella categoria dei regolamenti contemplati per attuare le direttive sulla base delle leggi 183/1987 e 86/1989 – le delibere 1622/1984 sull’ammissione alle borse e soprattutto 4173/1989 su prospetti e sollecitazioni hanno “di fatto…attuato una direttiva…senza previa delega del Governo e addirittura prima che questa fosse recepita nel nostro ordinamento”. L’Autrice ricorda che la CONSOB, nella relazioni di accompagnamento, si sforzò di evidenziare il ruolo secondario delle proprie delibere affermando che aveva provveduto solo nei limiti in cui “l’attuazione della direttiva non comporta modificazione del quadro normativo vigente”. Argomento non convincente per la NICCOLAI, secondo la quale, prima della l. 428/1990, si trattava di “auto-attribuzione dei poteri” e  del sintomo “di come la Consob si consideri il vero legislatore del settore delle borse e dei mercati societari”. Il fenomeno dell’attuazione diretta è accentuato con la procedura di Lamfalussy, per quanto l’art. 3 del TUF si limiti a prevedere solo l’applicazione di regolamenti e raccomandazioni comunitari.

[43] Il problema era posto già da F. PIGA, Conclusioni, in CONSOB. L’istituzione e le leggi penali,  p. 237, il quale sostenne che “nell’individuazione della qualificazione giuridica da riconoscere a questi nostri regolamenti può esser d’aiuto la considerazione che, tramite essi, troveranno attuazione nel nostro ordinamento alcune fondamentali direttive comunitarie”. Tale fenomeno negli anni Ottanta era ancora più insolito, perché era sicuro che in quel periodo “il grado gerarchico, nella scala dei valori normativi, dell’atto di attuazione delle direttive comunitarie è certamente quello della legge formale”.

[44] Così A. SEGNI, I mercati e i valori mobiliari, cit, p. 2964, secondo cui “l’attività regolamentare è fonte di atti normativi di carattere generale aventi efficacia esterna”. E ancora, F. CAPRIGLIONE e G. MONTEDORO, Società e Borsa (CONSOB), in Encicl. Del Dir. Aggiorn. VI,  p. 1036, secondo cui l’ampiezza dei poteri regolamentari si evince dalla circostanza per cui essi “toccano aspetti rilevanti della disciplina dei rapporti interprivati”.  Per S. NICCOLAI, I poteri garanti della Costituzione e le Autorità indipendenti, cit, p. 262, “la potestà regolamentare della Consob…rappresenta il primo caso…in cui un ente che non appartiene alla pubblica amministrazione può normare su rapporti di diritto privato”.

[45] M. S. GIANNINI, CONSOB, cit, nega per questo la natura di “ordinamento settoriale, o sezionale”. Particolarmente incisivo è il parallelismo con l’ordinamento militare: “In parole semplici, perché si è detto, tanto tempo fa, che l’ordinamento militare è un ordinamento settoriale? Perché l’ordinamento militare adotta delle norme interne, da cui conseguono qualificazioni di comportamenti dei militari, degli appartenenti all’ordinamento, le quali non hanno alcuna rilevanza verso l’esterno”. Fenomeno che, invece, non si riscontra nella CONSOB: “le proposizioni precettive della Consob hanno efficacia esterna, il giudice le deve applicare, perché definiscono o qualificano comportamenti di soggetti assoggettati alle potestà normative della Consob stessa”.

[46] E’ la tesi di P. LAZZARA, La potestà regolamentare della Commissione Nazionale per le società e la borsa in materia d’intermediazione finanziaria, in Riv. Amm. e delle Acque Pubbl., 1995, pp. 703 e ss. E’ evidente che la posizione dottrinaria, nel contributo citato limitata alla sola regolazione concernente l’intermediazione, è tuttavia talmente estesa da riguardare tutti i settori in cui la CONSOB esercita il proprio potere normativo.

[47] P. LAZZARA, La potestà regolamentare della Commissione Nazionale per le società e la borsa in materia d’intermediazione finanziaria, cit, p. 723, afferma che “gli obblighi stabiliti dai regolamenti sono strumentali all’attività di vigilanza della CONSOB e risultano difficilmente valutabili dai singoli clienti”. Inoltre, a p. 724, sostiene che “va esclusa l’efficacia diretta dei regolamenti sulla relazione intermediario-terzo così come sulla validità dei relativi atti negoziali”.

[48] Così G. DE MINICO, Antitrust e Consob, obiettivi e funzioni, p. 171, secondo la quale la regolamentazione sull’informazione non è direttamente finalizzata a tutelare i risparmiatori e non assegna loro diritti soggettivi. In realtà, lo scopo sarebbe canalizzare le scelte degli stessi investitori sul mercato finanziario anziché su altre forme di utilizzazione del risparmio, predisponendo le misure sufficienti a garantire uno standard di notizie adeguato per avere consapevolezza del rischio. La finalità, insomma, sarebbe oggettiva e non soggettiva, e l’Autrice corrobora tale posizione con una serie di esempi, a partire dalla legittimazione ad impugnare fino al regime di sanzioni amministrative pecuniarie e di sanzioni penali.

[49] P. LAZZARA, cit, p. 723, il quale sostiene che “appare quindi di tutta evidenza come il sistema di vigilanza pubblica sia chiuso non dalle sanzioni civilistiche (come le generiche previsioni di nullità…) ma dai poteri interdettivi e sanzionatori nei confronti degli intermediari”.

[50] P. LAZZARA, cit, p. 725, il quale perora la causa di “chi – de jure condendo – avrebbe preferito una più chiara divisione dei piani: le regole di comportamento potevano continuare a trarsi dal codice civile e dal diritto comune mentre le regole operative e tecniche potevano assumere valenza…deontologica senza una loro immediata trasposizione nel rapporto contrattuale tra intermediario e cliente”. Soluzione che, però, per LAZZARA è proponibile anche de jure condito: “un corretto approccio ermeneutico consente – a mio avviso – di pervenire al medesimo risultato; attraverso la considerazione degli obblighi di comportamento di fonte regolamentare alla stregua di norme la cui violazione – passibile di sanzioni amministrative - non produce effetti diretti sulla validità dei contratti d’investimento e sulla responsabilità degli intermediari rispetto ai terzi”.

[51] P. LAZZARA, cit, p. 720, a tale proposito è esplicito. Proprio per “la sicura rilevanza pubblicistica del regolamento”, che “non autorizza l’interprete…ad affermare la diretta incidenza di tale disciplina sul rapporto privato”, “la sostanziale fedeltà del regolamento sugli intermediari non vale in linea di principio ad escludere il potere del giudice civile di operare una ricostruzione delle regole del rapporto intermediario-investitore in ossequio al dato legislativo ma in contrasto con le previsioni del regolamento CONSOB”. Insomma, nei rapporti di diritto privato il regolamento CONSOB avrebbe la valenza di un atto meramente persuasivo, tale anche verso il giudice, al quale permarrebbe la “prerogativa istituzionale” della ricostruzione ermeneutica del dato legislativo. La problematica è di attualità, come ricorda G. CATALANO, Nota a sentenza, in Foro it., 1998, p. 3292, in relazione alla sent. della Cassazione n. 11279/1997 la quale, pur non aderendo alla teoria di LAZZARA, ha ritenuto illegittima una disposizione di un regolamento CONSOB rispetto ad una possibile interpretazione della legge istitutiva del potere.

[52] L’esempio migliore è fornito dall’art. 30 del regolamento 11522/1998, attuazione degli artt. 6 e 23 del TUF. Poiché quest’ultima disposizione prescrive direttamente la nullità relativa del contratto relativo ad un servizio d’investimento in difetto di forma, tale effetto si produce solo allorquando vengano violate le regole afferenti alla forma previste nel regolamento. Non così, invece, in relazione alle disposizioni che prevedono il contenuto del contratto, in quanto la legge abilita il regolamento a prescrivere tali regole non correlandovi però direttamente la nullità in caso di violazione. Diversamente, invece, accade per l’analogo regolamento previsto dalla Banca d’Italia in relazione all’intermediazione non bancaria, in quanto l’ottavo comma dell’art. 117 individua anche nella violazione delle regole contenutistiche un fatto punito con la nullità. Secondo la teoria di LAZZARA, la norma derivante dall’art. 30 del regolamento intermediari, in quanto priva di legittimazione, avrebbe efficacia solo nella dimensione verticale, così come però accadrebbe anche qualora costituisse l’applicazione di un rinvio specifico. Viceversa, per la dottrina maggioritaria, o tale norma è efficace in virtù dell’interpretazione forte della delega di cui all’art. 6 del TUF, che ascrive alla CONSOB  la potestà di dettare regole in materia di correttezza dei contegni tra intermediario e investitore, ovvero essa è invalida, e in tal caso non avrebbe efficacia neanche nella dimensione verticale e pubblicistica. Il problema, ovviamente, si pone a fortori per la disciplina del contratto di gestione del portafoglio d’investimento – art. 39 del regolamento 11522/1998 -, che è disciplina molto più particolareggiata, così come si porrà in maniera più virulenta se sarà approvata la bozza di riforma dello stesso regolamento presentata nel 2003, che prevede regole contenutistiche specifiche anche per gli altri contratti d’investimento.

[53] Contra L. TORCHIA, Gli interessi affidati alla cura delle autorità indipendenti,in I garanti delle regole, p. 59, la quale sostiene che, se è vero che le regole sono poste a tutela dei privati e non della Pubblica Amministrazione, allora l’Autorità indipendente è neutrale tout court, vale a dire che essa è impossibilitata a ponderare e comporre gli interessi dei privati. La regolazione delle Autorità sarebbe equivalente al controllo del giudice e, dunque, priva di discrezionalità, in quanto esse avrebbero il compito esclusivo di mantenere e garantire l’assetto che è prodotto dell’apprezzamento del legislatore: la neutralità si differenzierebbe dall’imparzialità proprio per l’assenza di discrezionalità. Di diverso avviso, opportunamente, G. DE MINICO,  Antitrust e CONSOB. Obiettivi e funzioni, cit, p. 275, secondo cui il potere regolamentare è essenzialmente ponderazione di interessi e comparazione tra le finalità, spesso configgenti, di cui il legislatore spesso si limita a stilare un elenco.

[54] Sull’argomento, ottimamente, S. NICCOLAI, I poteri garanti della Costituzione e le Autorità indipendenti, cit, p. 206, la quale nega che necessariamente l’assenza di funzioni “dirigiste”, volte ad indirizzare il settore, coincida con l’assenza di discrezionalità del potere normativo della CONSOB. Se fosse così, infatti, “la sottolineatura del carattere non dirigistico…finisce, quasi paradossalmente, per condannarla a un rango amministrativo…e nasconde il fatto che anche quando si tratta di eseguire un fine “non finalistico” (garantire l’informazione dei mercati finanziari) si dà comunque una (componente di) scelta sul come eseguirlo”. Insomma, l’assenza di una dimensione di programmazione funzionale ad interessi pubblici stricto sensu non implica che l’attività della CONSOB si limiti meramente all’applicazione di leggi o alla “ricognizione” di “regole tecniche scritte nella necessità delle cose del settore”.

[55] Se a ciò si aggiunge che la giurisprudenza amministrativa, nel distinguere tra forte e debole, ha ulteriormente problematizzato la vexata quaestio dell’intensità della discrezionalità tecnica, si ha il quadro abbastanza nitido per negare che tale nozione possa costituire il confine tra la normazione legislativa e quella secondaria. Il riferimento è in particolare al revirement costituito dalle sentt. 1247 e 6217 del 2001, pronunciate rispettivamente dalla quinta e dalla sesta sezione del Consiglio di Stato, le quali – assieme all’ordin. 2176/2001 della stessa sesta sezione - distinguono tra scienze esatte e scienze inesatte. Vertendosi in materia di scienze esatte, gli accertamenti tecnici sono semlici, fondandosi su criteri ampiamente utilizzati, e l’attività è sostanzialmente vincolata: ne consegue che il giudice può svolgere un sindacato forte, avvalendosi della consulenza tecnica d’ufficio. Se viceversa gli accertamenti tecnici sono complessi, in quanto i metodi scientifici non sono collaudati, l’esito dell’operare per discrezionalità tecnica è incerto e il giudice può compiere  esclusivamente un sindacato blando.   Così G. SAPORITO, Consulenze tecniche e discrezionalità, www.giust.it,  il quale afferma che ora è sindacabile l’operato delle Autorità indipendenti, ma che bisogna distinguere l’intensità della discrezionalità.

[56] E’ la tesi di F. DENOZZA,  Discrezione e deferenza: il controllo giudiziario sugli atti delle autorità indipendenti “regolatrici”, in Merc. Conc. Reg,, 2000, p. 484, secondo cui la distinzione tra preferenze diffuse da aggregare e contemperare e preferenze strumentali da supportare con pertinenti motivazioni costituirebbe “il modello di ripartizione in grado di assicurare il più efficiente sfruttamento delle capacità di ciascuno dei poteri esistenti”. In particolare, laddove il legislatore non ha normato interamente una materia, se si tratta di preferenze semplici – e non di preferenze strumentali - l’Autorità indipendente non sarebbe legittimata ad intervenire, dovendo essere il giudice ad interpretare il silenzio legislativo. 

[57] A. MACCHIATI, Poca deferenza e molta discrezione (ma dei giudici), in Mercato Conc. Reg., 2001, p. 363. Secondo quest’impostazione, se è presente una disciplina dettagliata di fonte primaria – law – l’Autorità non può intervenire, dovendo essere il giudice ad interpretare le regole; laddove, invece, la legge lascia uno spazio di intervento “politico”, è l’Autorità indipendente a poter intervenire. Tesi criticata da F. DENOZZA, Discrezione e deferenza: il controllo giudiziario sugli atti delle autorità indipendenti “regolatrici”, cit,  p. 484, secondo cui non esistono norme complete, l’Autorità indipendente può anche emanare regole esecutive e il giudice può intervenire altresì su clausole generali.

[58] Sostiene tale accezione L. CARLASSARRE, Regolamento, in Enc. del Dir.

[59] Così N. LUPO, Dalla legge al regolamento, cit, p. 372, secondo cui negli anni Novanta si è affermata “una lettura del principio di legalità, fino ad allora rimasta minoritaria, inteso come obbligo per l’attività amministrativa (e non per quella normativa) delle pubbliche amministrazioni di conformarsi ad una previa norma, da qualsivoglia fonte essa sia posta”. Ne consegue che i regolamenti indipendenti, salva la riserva di legge, sono ritenuti conformi a Costituzione. Nello stesso senso M. S. GIANNINI, Regolamento, in Enc. del Dir., il quale sostiene che il principio di legalità non si fonda più sulla precedenza della legge, ma si limita a confermare che unico trait d’union della potestà regolamentare – che è nozione particolarmente eterogenea – è il non appartenere al rango primario.

[60] Anche N. MARZONA, I poteri normativi delle Autorità indipendenti, cit, p. 100, sostiene che  la valorizzazione delle fonti secondarie si è sostituita ad impostazioni formalistiche e pseudo-garantiste fondate sull’accezione sostanziale del principio di legalità.

[61] Oggi ci si deve riferire all’attività privata, molto più che a quella pubblica, e in relazione ad essa al controllo, molto più che alla programmazione.

[62] Così, tra gli altri, N. LUPO, Dalla legge al regolamento, cit, p. 21 e A. PREDIERI,  La posizione istituzionale della Consob nell’apparato amministrativo, cit, p. 214, che parla di “sistema chiuso solo a livello delle fonti legislative e costituzionali”.

[63] L’art. 42 della Cost. fa riferimento ai modi d’acquisto, ai modi di godimento ed ai limiti con cui la legge riconosce e garantisce la proprietà privata

[64] Anche S. NICCOLAI, I poteri garanti della Costituzione e le autorità indipendenti, cit, p. 262, ritiene compatibili i regolamenti indipendenti e la “primarietà” delle norme della CONSOB con la Costituzione. L’Autrice ritiene, da una parte, che il considerare tali regolamenti come fonte secondaria sarebbe solo un escamotage che non corrisponde alla realtà di fatto e che, dall’altra, l’illegittimità costituzionale non è proponibile alla luce della degradazione del principio di legalità e del presupposto per cui “le autorità non si muovono in un ambito costituzionale indifferente”. 

F. DENOZZA, Discrezione e deferenza: il controllo giudiziario sugli atti delle autorità indipendenti “regolatrici”, pur esprimendo dubbi circa l’applicabilità in Italia di un tale principio, commenta la sentenza Chevron vs. NRDC, num. 2778/1984, della Corte Suprema americana, definendola “una delle più importanti degli ultimi decenni”. Tale pronuncia ha ammesso i regolamenti indipendenti delle Agenzie, fondandosi sulla teoria della delegazione implicita, in base alla quale “il legislatore ha delegato alle autorità indipendenti la decisione di tutti i casi compresi nelle materie di loro competenza, su cui il legislatore stesso non si è pronunziato indicandone una precisa soluzione”.

[65] Così C. RABITTI BEDOGNI, Incontro sui poteri della CONSOB, 13 gennaio 2003, Università LUISS, secondo cui la CONSOB deve scrupolosamente evitare di produrre normazione secondaria extra-legem, anche nel caso in cui l’esercizio di tale potere garantirebbe il perfezionamento della tutela degli investitori e il superamento dello iato sussistente tra una realtà in continua evoluzione ed un rule maker in affannoso inseguimento.

[66] Così N. LUPO, Dalla legge al regolamento, cit, p. 63.

[67] M. BESSONE, I mercati mobiliari, cit, p. 33, evidenzia proprio che “deliberazioni della CONSOB…integrano le norme del TUF, dovendosi poi considerare che in più di un caso si tratta di norme in bianco e di espresso rinvio ai poteri di autentico law making dell’autorità amministrativa”.  Sebbene in rare occasioni la CONSOB non “ha interpretato in senso forte i suoi poteri normativi”, l’Autore evidenzia come essa ha svolto un ruolo determinante, “talvolta spingendo le garanzie di tutela dell’investitore più avanti di quanto non fosse espressamente stabilito dalla legge”. 

[68] R. RORDORF, La Consob come autorità indipendente nella tutela del risparmio, cit , p. 146, chiarisce che si tratta, per ogni ambito, di “una norma che, in termini generali e con valenza sistematica, individua il compito essenziale della Consob, poi dettagliatamente specificato nel più minuto reticolo di altre disposizioni”.

[69] G. DE MINICO, Antitrust e CONSOB. Obiettivi e funzioni, cit, p. 245. In questo caso, si potrebbe dire – secondo l’Autrice, che però evidenzia come il problema non sia così risolto – che non si pone un problema di riserva di legge in quanto gli atti della CONSOB sono così autorizzati, non risultando dunque praeter legem. “Secondo quanto impone la legalità formale”, infatti, “non si tratterebbe di un’autoassunzione di potere ad opera della stessa autorità, ma, più correttamente, di un esercizio espressamente autorizzato per legge”.

[70] Il problema è ben posto da A. MAZZONI, Le fonti del diritto commerciale tra memorie storiche e scenari futuri, in Riv. Soc., 2001, p. 878, che scinde la valutazione. Da un punto di vista della legittimità, l’attribuzione alla CONSOB di “fattispecie e situazioni che…la normazione primaria, cioè la legge in senso stretto, dovrebbe regolare direttamente, quanto meno indicando i paletti…fa gridare…al vizio d’incostituzionalità”. Tanto più che l’assenza di questi paletti comporta “il potere di Consob di modificare in qualunque momento di proprie iniziativa regole che hanno valore di legge”. Diversa è la valutazione di opportunità, perché la scelta di attribuire alla legge solo “i precetti di struttura e d’impianto” ha comportato ottimi risultati.

[71] La domanda è posta da V. CERULLI IRELLI, Aspetti costituzionali e giuridici delle Autorità, in L’indipendenza delle Autorità, Bologna, 2001, p. 57, che si chiede, “con riferimento alla normazione vigente”, “se attribuzioni di potere normativo dal contenuto così ampio e con gli altri caratteri che presentano, possano ritenersi conformi a Costituzione”. L’Autore sostiene la necessità di recepire in Italia il principio affermato, con varie sentenze, dal Consiglio costituzionale francese, che ha stabilito la compatibilità costituzionale solo in presenza di precisi limiti. Continua l’Autore: “Il potere normativo delle Autorità non può che avere un contenuto di dettaglio, restando affidata alla legge la determinazione dei contenuti fondamentali delle singole materie”, in quanto il sistema della delegificazione sarebbe attuabile solo verso i regolamenti governativi.  

[72] In tal caso, per P. SCHLESINGER, Natura e limiti delle responsabilità delle Autorità, p. 74, si assisterebbe ad uno snaturamento dell’identità della CONSOB e ad una sua “politicizzazione”. Dubbi sulla costituzionalità pone anche G. DE MINICO, Antitrust e CONSOB. Obiettivi e funzioni, cit, p. 245, per la quale non è sufficiente un mero rinvio in bianco o un semplice elenco di finalità a soddisfare la riserva di legge. “Il fatto che il titolo legittimante…sia contenuto in una legge, non contribuisce minimamente a delimitare lo spazio di autonomia decisionale affidato alla Consob, perché il titolo è mera attribuzione di competenza – fatta eccezione per la generica affermazione di valori…- non anche norma di relazione, cioè principio di disciplina del rapporto…Ne consegue che l’intervento di regolamenti accostabili a quelli indipendenti” è di dubbia costituzionalità.

[73] Problema risolto positivamente da P. F. LOTITO, Il testo unico in materia di intermediazione finanziaria, in Osservatorio sulle fonti 1998, Milano, 1998, p. 54. Contra, invece, N. IRTI, Notazioni esegetiche sulla vendita a domicilio dei valori mobiliari, in Sistema finanziario e controlli: dall’impresa al mercato, Milano, 1986, p. 106, il quale critica quanto meno l’invasione compiuta dai regolamenti, sostanzialmente indipendenti, che occupano materie non delegate e non occupate dalla legge.

[74] La Corte Costituzionale francese, nella decisione 217/1986, ha stabilito che la legge deve non solo attribuire competenze specifiche, ma circoscrivere in modo acconcio l’oggetto dell’attribuzione e limitare la discrezionalità dell’Autorità indipendente perfino in assenza di riserva di legge. Il Governo, invece, può emanare regolamenti anche formalmente indipendenti ai sensi degli artt. 34 e 37 della Costituzione transalpina.

[75] M. BESSONE, I mercati mobiliari, p. 39, il quale sostiene che “alla delegificazione segna un limite la riserva di legge stabilita all’art. 41 (e si tratta di limite invalicabile)”. BESSONE ammette però che “entro quel limite il ricorso ad una normativa flessibile è tuttavia fattore di segno positivo”.

[76] E vale la pena di ricordare come i principi comunitari abbiano sovrapposto all’interpretazione tradizionale dei principi costituzionali nazionali un sistema di valori che vuole lo Stato impegnato in economia più nel ruolo di arbitro che di mediano di spinta.

[77] E ciò in virtù soprattutto di una corretta ermeneusi della stessa Carta fondamentale, in esito alla quale appare evidente che l’assenza di una Grund Norm espressamente abilitante esprime una sorta di “neutralità interessata della Costituzione” rispetto al problema: neutralità, in quanto la compatibilità costituzionale non equivale certamente a imprescindibilità, e tuttavia interessata, in quanto tale potere normativo incide direttamente su valori che hanno una rilevante dignità super-primaria. La Costituzione, da un punto di vista sostanziale, stabilisce infatti  principi di costituzione economica – come quello della libertà d’iniziativa economica o della tutela del risparmio – e diritti inviolabili della persona – al pari trattamento, alla libertà d’informazione - di cui il potere normativo della CONSOB è espressione e che costituiscono, nel contempo, un fondamento indiretto e un parametro di legittimità degli atti della Commissione. F. CINTIOLI, I regolamenti delle Autorità indipendenti nel sistema delle fonti tra esigenze della regolazione e prospettive della giurisdizione, in www.giustizia-amministrativa.it, cit, p. 3, sostiene che, sebbene “la Carta fondamentale resta silente a proposito delle Autorità indipendenti”, tale “silenzio…oggi preoccupa meno che ieri”. Il dibattito non può trascurare, inoltre, il rilievo della perplessa nozione di costituzione materiale: se si è già ricordato che l’elenco delle finalità individuate dal TUF potrebbe essere assurto, di fatto, al rango super-primario, sarebbe opportuno domandarsi se anche il modulo delle Autorità indipendenti sia stato proiettato in tale spazio dalla prassi istituzionale.  Insomma, riconosciuta la coerenza di tale fourth branch of Governement con un sistema costruito quando un simile archetipo era sconosciuto, ci si potrebbe chiedere se il suo ingresso da protagonista nel dialogo istituzionale e nelle dinamiche politico-economiche abbia reso la CONSOB parte integrante e necessaria del diritto vivente.

[78] Così G. DE MINICO, Antitrust e CONSOB. Obiettivi e funzioni, cit, p. 238, la quale ricorda come l’art. 21 della Cost. transalpina sia suscettibile sia di un’interpretazione che attribuisce al governo il monopolio della potestà regolamentare, sia di un’interpretazione nel senso della non tassatività delle norme subprimarie. Il Consiglio Costituzionale, sebbene tradizionalmente scettico verso le Autorità indipendenti e la COB, ha drasticamente rifiutato la prima ipotesi nella decisione 217/1986.

[79] Ne consegue che la CONSOB opera sotto l’ombrello di due valvole di sfogo ordinamentali, corrispondenti ai due poteri principali che essa esplica, a sua volta, in settori  pregni di significato costituzionale: quello normativo, ancorato alla non tassatività delle fonti secondarie; quello amministrativo, che viene esercitato sulla base del principio di neutralità, come risulta da un’interpretazione evolutiva dell’art. 97 della Cost.. Di diverso avviso è E. CARDI, La CONSOB come istituzione comunitaria, in Studi in memoria di F. PIGA, cit, p. 1150, il quale sostiene che l’attribuzione di potere normativo alla CONSOB si pone in contrasto con la norma costituzionale dell’art. 87 della Cost. “Se l’appello ai principi costituzionali ha un senso occorre chiedersi con quale logica si dà attuazione ai principi costituzionali in totale elusione delle norme sulle fonti disciplinate da altra legge di attuazione costituzionale”. La soluzione, per CARDI, è considerare i regolamenti della CONSOB come atti amministrativi generali, ciò che tuttavia non li priverebbe, secondo l’Autore, della possibilità di incidere direttamente sui rapporti interprivati.

[80] Il problema è posto, tra gli altri,  da V. CERULLI IRELLI, Aspetti costituzionali e giuridici delle Autorità, cit, p. 57, in cui si chiede “se ad Autorità di governo di settore, non responsabili politicamente, possano essere attribuiti nel nostro ordinamento costituzionale poteri normativi”. La risposta è fornita da S. CASSESE, La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – CONSOB ei poteri indipendenti, cit.,  p. 422, che chiama in causa T. JEFFERSON, secondo cui condicio sine qua non per un buon governo è il “dividerlo tra molti, distribuendo a ciascuno esattamente le funzioni che è in grado di assolvere”. E’ la teoria “madisoniana”, contraria alla tirannia della maggioranza, evocata da A. LA SPINA e G. MAJONE, cit, p. 167, e che S. CASSESE riconduce anche all’insegnamento di A. DE TOCQUEVILLE, il quale “metteva in luce il pericolo del dispotismo democratico, della tirannide legislativa derivante dal matrimonio tra democrazia e centralizzazione”.

[81] La partecipazione di associazioni di categoria e soggetti interessati al processo di formazione dei testi regolamentari potrà seguire il modello comunitario della comitologia, quello nordamericano del notice and comment ovvero utilizzare forme di consultazione più flessibili. Qualsiasi sarà la prassi che si consoliderà, le forme “contenziose” di rule making non serviranno solo ad accrescere l’accountability della CONSOB, ma anche e soprattutto ad innestare la competenza tecnica dei commissari su un background conoscitivo che è pur sempre necessario per adottare la soluzione normativa migliore. Si percepisce immediatamente, infatti, che i contatti con gli operatori del mercato e la consulenza illuminata di panel di esperti possono costituire le tecniche più opportune per procacciarsi la conoscenza di elementi di fatto: solo il contraddittorio può consentire le cognizioni funzionali a colmare l’asimmetria informativa di cui è vittima la Commissione rispetto alle imprese che sono parte integrante del mercato. Eppure, non sarà indifferente la metodologia specifica che sarà adottata dalla CONSOB, in quanto essa dovrà, da una parte, essere in grado di massimizzare le acquisizioni informative e, dall’altra, contenere gli anticorpi nei confronti dei rischi di cattura. Se l’indipendenza dal Governo è funzionale proprio ad evitare indebite interferenze di natura politica od economica, è a fortiori necessario che i condizionamenti provenienti dalle lobby non rientrino dalla finestra mediante la formalizzazione di procedimenti normativi di tipo concertativo. E’ possibile, infatti, che la registrazione di preferenze e prese di posizione degli attori del mercato trascolori in sconvenienti pressioni o, comunque, renda il processo di formazione delle regole vulnerabile a quegli interessi in grado di far percepire le proprie esigenze come  diffuse.  Non è indifferente al problema, tra gli altri accorgimenti, il meccanismo di consultazioni nei processi normativi: se la partecipazione non deve limitarsi ad una formale “visita di cortesia”, occorre anche impedire che si inneschino rapporti  negoziali con i soggetti con cui la CONSOB interloquisce. E se non è probabilmente necessario addivenire ad una rigida separazione di fasi - tale per cui solo gli uffici potrebbero intrattenere rapporti con i soggetti interessati, mentre il collegio deputato alla decisione dovrebbe limitarsi a prendere atto delle risultanze “istruttorie” -, è pur sempre indispensabile tener conto della delicatezza della fase di consultazione, momento istituzionale in cui si gioca il trade-off tra decisioni consapevoli e pericolo di “accalappiamento” da parte dei regolati

[82] In questo senso si è mosso recentemente il legislatore italiano, che all’art. 12 della l. 229/2003, per la prima volta, ha prescritto “l’analisi di impatto delle funzioni di vigilanza e di regolazione delle autorità amministrative indipendenti”. Tale ultima legge, dopo un iter farraginoso, ha infatti demandato ai regolamenti di organizzazione interna delle Autorità indipendenti la predisposizione di “forme o metodi di analisi dell’impatto della regolamentazione per l’emanazione di atti di competenza…e, comunque, di regolazione”, nonché la strutturazione di meccanismi di “verifica degli effetti derivanti dall’applicazione…di clausole e condizioni contrattuali normativamente previsti”. La stessa legge ha introdotto un nuovo raccordo istituzionale, opportunamente con il Parlamento, prevedendo la trasmissione alle Camere, da parte delle Autorità, di “relazioni di analisi di impatto della regolamentazione da loro realizzate”.

[83] Relazione illustrativa del decreto legislativo, laddove si evidenzia che tale linea ispiratrice è funzionale all’obiettivo di rendere compatibili le società quotate con le innovazioni normative, offrendo “anche a queste imprese la possibilità di sfruttare a pieno le potenzialità di sviluppo e di incremento della competitività” assicurate mediante la “maggiore duttilità delle forme societarie”.  Obiettivo che, tuttavia, ha tenuto conto delle peculiarità delle società going public, tanto marcate da far paventare in passato alla dottrina l’ipotesi che esse costituissero un tipo ad hoc: contemperamento in cui si è necessariamente tenuto conto degli interventi normativi della CONSOB, organismo che dovrà emanare a sua volta regolamenti attuativi delle modifiche.

[84] Ad esempio F. ZABBAN, L’incidenza della riforma del diritto societario sulle società quotate, www.notarlex.it, prima del decreto correttivo negava  l’applicabilità alle società quotate dei sistemi alternativi di controllo interno, nonostante il fatto che già l’art. 223 septies delle disposizioni di attuazione al c.c. stabilisse che “ogni riferimento al collegio sindacale… presente nelle leggi speciali è da intendersi effettuato anche al consiglio di sorveglianza”. 

[85] Nonostante si preveda per le società quotate un regime più rigoroso, la  sezione quinta del capo secondo del titolo terzo della parte quarta del TUF  attribuisce comunque alla loro autonomia statutaria la possibilità di optare per regimi differenti da quello tradizionale del collegio sindacale. In particolare  - come si evince dai nuovi commi 6 ter e 6 quater dell’art. 1 del TUF  - si potrà optare per il sistema monistico, in cui l’amministrazione spetta al consiglio d’amministrazione e la vigilanza ad un comitato di controllo della gestione nominato all’interno dello stesso consiglio d’amministrazione. Si potrà inoltre scegliere il sistema dualistico, che viceversa si fonda sull’attribuzione dell’amministrazione al comitato di gestione, mentre è il comitato di sorveglianza a svolgere i compiti di controllo, ma anche talune competenze tradizionalmente attribuite all’assemblea. Per entrambi i modelli, come anche per quello tradizionale, al nuovo comma 3-bis dell’art. 13 del TUF sono previsti requisiti d’indipendenza per gli organi di controllo.    

[86] Il decreto legislativo correttivo risolve numerosi problemi concernenti i nuovi strumenti finanziari: ad esempio, ai fini della nozione di partecipazione rilevante nell’OPA obbligatoria successiva. Inoltre, introduce l’art. 147-bis del TUF, che prevede assemblee di categoria per i nuovi strumenti partecipativi previsti all’art. 2376 del c.c.

[87] Le società chiuse, finanziandosi mediante il contributo del ristretto numero di azionisti o mediante il credito bancario, sono disciplinate con ampio rinvio all’autonomia statutaria; le società aperte, viceversa, sono assoggettare a parametri più rigidi, perché la compagine sociale è allargata ad un numero cospicuo di azionisti-risparmiatori.

[88] F. ZABBAN, L’incidenza della riforma del diritto societario sulle società quotate, evidenzia come la figura dello strumento partecipativo, introdotta proprio dalla riforma VIETTI, fa sfumare la distinzione tra i due concetti: “sarà compito dell’interprete…verificare fino a quale punto potrà eventualmente dilatarsi il concetto di azione”.

[89] Il c.c. parla solo di azioni, mentre l’art. 116 del TUF si riferisce a  “strumenti” diffusi in maniera rilevante: la riforma del regolamento 11971/1999, operata con deliberazione 14372/2003, distingue le società emittenti  azioni diffuse, ricomprese nella disciplina delle società aperte, e quelle con obbligazioni diffuse. In quest’ultimo caso – non ricompreso nell’ambito delle società aperte – la modifica del 2003 del regolamento conferma i vecchi criteri quantitativi del patrimonio non inferiore a cinque milioni di Euro e del numero di obbligazionisti superiori a duecento. L’apposito documento di consultazione della CONSOB, datato 11 dicembre 2003, www.consob.it, infatti evidenzia come “la disciplina introdotta dal nuovo codice civile…non si applica…agli emittenti che a seguito di un ricorso al capitale di debito presentino titoli obbligazionari”, per cui “non si ritiene…opportuno, al momento, modificare i criteri in vigore per tali ultimi emittenti anche in considerazione del fatto che una loro eventuale modifica potrà essere effettuata anche dopo il 31 dicembre 2003”. Infatti, non rientrando gli emittenti di obbligazioni diffuse nelle società aperte, non sono oggetto del rinvio alla disciplina in vigore il primo gennaio 2004.

[90] I criteri previsti attualmente sono dotati di maggiore stabilità rispetto a quelli previgenti, che erano fondati sul patrimonio netto non inferiore a cinque milioni di Euro e su un numero di azionisti maggiore di duecento. Oggi, come riferito, la nozione di società con azioni diffuse fa riferimento al numero degli azionisti, alla percentuale di capitale rappresentata dai soci non di controllo e alle dimensioni dell’attività sociale: quest’ultimo criterio non è più parametrato al patrimonio netto, bensì al superamento di due dei tre limiti previsti dal c.c. per individuare le società non abilitate a redigere un bilancio in forma abbreviata.

[91] Si tratta di criteri “oggettivi volti ad individuare i casi in cui la società, pur non essendo quotata, si rivolga al mercato per il suo finanziamento”. Il Documento di consultazione, cit, insiste sul fatto che i parametri individuati sottendono l’intenzione di rivolgersi al mercato.

[92] L’art. 2325-bis del c.c. è richiamato dall’art. 111-bis delle norme transitorie e di attuazione del c.c, secondo cui la misura di diffusione rilevante “è quella stabilita dall’art. 116” del TUF “e risultante dalla data del 1 gennaio 2004”. Ai sensi della disposizione del TUF “la CONSOB stabilisce con regolamento i criteri per l’individuazione di tali emittenti”, per cui addirittura si rinviano oggi alla CONSOB le regole per distinguere le società chiuse da quelle aperte. La modifica del regolamento 11971/1999, operata dalla delibera 14372/2003, stabilisce oggi all’art. 2 bis tali criteri. Sono emittenti azioni diffuse le società che – non avendo la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata – hanno altresì azionisti diversi dai soci di controllo in numero superiore a 200 e con una percentuale di capitale sociale maggiore del 5%. Pur in assenza di tali criteri quantitativi, si considerano diffuse le azioni che hanno costituito oggetto di sollecitazione all’investimento, corrispettivo di OPAS o oggetto di collocamento, nonché quelle scambiate a determinate condizioni nei mercati non regolamentati e quelle emesse da banche o acquistate e sottoscritte presso di loro. Questi ultimi sono criteri qualitativi che – come evidenzia Il Sole 24 Ore del 30 dicembre 2003, Stretta Consob sugli emittenti – si fondano sulla volontarietà da parte della società di rivolgersi al mercato dei capitali. Non si considerano, pur in presenza di tali requisiti, emittenti azioni diffuse le società aventi come oggetto esclusivo lo svolgimento di attività lucrative di utilità sociale e quelle volte al godimento di beni e servizi da parte dei soci, mentre non sono azioni diffuse quelle soggette per legge a limite di circolazione. Il nuovo art. 112 del regolamento 11971/1999 prevede che la CONSOB può esentare le società diffuse dall’obbligo di fornire informazioni rilevanti, informazione periodica e altre informazioni quando queste non siano importanti per gli investitori.

[93] Così il Documento di consultazione, cit: il codice “cristallizza…ai soli fini civilistici, la nozione di emittenti azioni diffuse contenuta nel Regolamento Consob alla data del 1 gennaio 2004; la predetta nozione potrà essere successivamente modificata – sempre ai suddetti fini – solo con una norma primaria che modifichi l’art. 111-bis delle disposizioni di attuazione del Codice Civile”. Successivamente il documento chiarisce che “quella valida ai fini civilistici sarà comunque la definizione di società con azioni diffuse esistente all’1 gennaio 2004: eventuali modifiche ad essa adottate successivamente dalla Consob non avrebbero effetti sull’applicabilità delle norme del codice civile, ma soltanto degli obblighi previsti dall’art. 116 del TUF”.

[94] In realtà il Documento di consultazione, cit, avanzava l’ipotesi di “distinguere due categorie di emittenti con azioni diffuse: una rilevante ai fini civilistici e l’altra rilevante soltanto per gli obblighi informativi e di revisione contabile previsti dall’art. 116 del TUF”. Tale soluzione, tuttavia, non è stata adottata dalla deliberazione 14372/2003, che ha stabilito una nozione unica di società emittente con azioni diffuse, salva l’applicabilità dell’art. 116 anche alle emittenti obbligazioni diffuse. Tale scelta era stata già resa nota dal Documento di esito delle consultazioni del 24 dicembre 2003, in virtù delle osservazioni dell’ABI e dell’ASSONIME. La CONSOB, infatti, rilevava che “ha costituito oggetto di rilievi critici l’ipotesi di un doppio elenco di azioni diffuse, uno a fini civilistici e l’altro a fini informativi”. La CONSOB, , allora, “considerato che l’ipotesi di un doppio elenco era stata presentata nel documento di consultazione come sottoposta ad una valutazione da parte dei soggetti consultati ed in considerazione delle risposte negative ricevute…ritiene di non trasporre tale soluzione nel testo normativo”.

[95] Il riferimento è agli artt. 114 e 115 del TUF, in materia di informazioni al pubblico e alla CONSOB, e all’art. 156 del TUF, in materia di assoggettamento al controllo dei revisori.

[96] Tale criterio, tuttavia, opera solo in relazione alle materie regolate dal TUF, che non esaurisce la disciplina delle società quotate.

[97] Si fa riferimento, ad esempio, al quarto comma dell’art. 2412 del c.c. in materia di limiti all’emissione di obbligazioni.

[98] Ad esempio, il nuovo art. 105 del TUF, in materia di OPA obbligatoria, attribuisce alla CONSOB la potestà di includere nel capitale rilevante, attesa la congerie di nuovi strumenti finanziari, le “categorie di azioni che attribuiscono diritto di voto su uno o più argomenti diversi tenuto conto della natura e del tipo di influenza sulla gestione della società che può avere il loro esercizio”.  Allo stesso modo, il nuovo art. 106 del TUF al comma 3-bis attribuisce alla CONSOB la potestà di stabilire le ipotesi rilevanti, ai fini dell’OPA totalitaria, del possesso congiunto di azioni e strumenti finanziari che attribuiscono diritti di voto: unici limiti stabiliti dal legislatore sono l’onerosità dell’acquisto e l’equivalenza di potere complessivo con la detenzione del 30% delle azioni con diritto di voto sulla nomina degli amministratori. Infine, il nuovo art. 120 del TUF delega al rule making della CONSOB l’individuazione degli strumenti con diritto di voto che, in relazione ad argomenti specifici, possono costituire partecipazione rilevante. 

[99] Prevale la disciplina parziale del TUF o vanno integrate le disposizioni della legge speciale con quelle del codice civile?

[100] Così F. ZABBAN, L’incidenza della riforma del diritto societario sulle società quotate, cit, secondo cui “in tal caso si tratterà pur di vedere se il TUF detti regole che possono indurre l’interprete a ritenere inapplicabili le regole introdotte dalla riforma”. Secondo l’Autore, questo “giudizio di compatibilità,…questa prova di resistenza, va condotta avendo anche riguardo alla normazione secondaria”.