INFORMAZIONE FINANZIARIA, NEED FOR DISCLOSURE ,
EFFICIENZA DEL MERCATO MOBILIAREGiulia Cataldi
1. Mercato mobiliare e “asimmetrie informative”
Il mercato in cui si realizzano gli scambi aventi ad oggetto
strumenti finanziari quotati, quotandi o, in ogni caso,
largamente diffusi tra il pubblico, è il luogo in cui si
incontrano, si confrontano, si compendiano le istanze
dell’offerta e della domanda manifestate da investitori
appartenenti a differenti categorie sociali ed economiche:
operatori specializzati, investitori istituzionali, piccoli
risparmiatori, soggetti caratterizzati da obiettivi diversi e da
differenti competenze, soggetti dotati di più o meno
accentuate capacità di raccolta, elaborazione e valutazione
delle informazioni utili e necessarie ad impostare strategie
di investimento o, per contro, assolutamente sprovvisti di tale
capacità. Tali soggetti convergono tutti nell’istituzione
“mercato”, deputata a favorire l’allocazione delle risorse
disponibili mediante lo scambio tra denaro e strumenti di
investimento.
Come si sa la istituzione mercato costituisce oggetto di una
speciale disciplina di settore ovunque caratterizzata
dall’operare di autorità di pubblica vigilanza rese titolari dei
poterei necessari per assicurare efficiente dinamica, integrità
e trasparenza delle operazioni di mercato, essendo allora da
considerare quanto in punto di finalità nel contesto del diritto
europeo dell’economia finanziaria avvicina la Consob
dell’ordinamento italiano alle missioni istituzionali dell‘
inglese Financial Services Authority e di BaFin, il
Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht così come
alla CNMV,la Comisión Nacional del Mercado de Valores
quale organismo encargado de la supervisión e inspección
de los mercados de valores españoles e alla francese
Autorité des marchés financiers (l’AMF che in forza della
legge di securitè financiere dell’agosto 2003 ha sostituito la
Cob e altre autorità del pubblico controllo). E le analisi in
prospettiva di comparazione avvertono che ovunque sono
presenti in posizione principale i problemi di disciplina della
informazione finanziaria.
In ogni sistema di mercato dei tempi di capitalismo
maturo risulta infatti inevitabile e grave (1) la formazione di
“asimmetrie informative” fra gli operatori. Come si è spesso
rilevato
(2), in tempi passati il mercato si era sempre identificato
nel luogo in cui domanda ed offerta di beni si incontravano
fisicamente: tutte le informazioni erano poste a disposizione
degli operatori sia perché limitate sotto il profilo
quantitativo, sia perché la loro acquisizione era
relativamente facile. Oggi invece il mercato non è più un
luogo fisicamente identificato e l’abbattimento
(3) delle
barriere spaziali solleva problemi in ordine alla circolazione
delle informazioni. Diviene quindi inevitabile la formazione
delle asimmetrie informative tra i diversi operatori, ciò
pregiudicando la razionalità delle scelte e, di riflesso, la
funzionalità e l’efficienza del sistema. In quest’ottica, il
raggiungimento di un mercato efficiente e funzionale
richiede la realizzazione di un ambiente informativo tale da
consentire a tutti gli operatori il compimento delle proprie
scelte in maniera consapevole, responsabile e razionale
(4).
Il mercato deve assolvere “una funzione di garanzia di
libero accesso non solo formale ed astratto, ma sostanziale
ed effettivo, una funzione di meccanismo aperto senza
ostacoli e frizioni di sorta ai consapevoli interventi da parte
delle più disparate categorie di soggetti” (5), il presupposto del
libero accesso, inteso come possibilità di intervento
consapevole, si pone, così, come pre-condizione essenziale
per la realizzazione di un efficiente sistema di allocazione
delle risorse. Perché tale obiettivo possa essere perseguito
occorre quantomeno ridurre le più gravi asimmetrie e,
segnatamente, quelle informative, le quali possono negare
le funzioni proprie del mercato (ed i relativi benefici) e
mettere seriamente a repentaglio la posizione soggettiva dei
singoli investitori.
2. L’informazione finanziaria quale presupposto essenziale dei processi di “decision making”
L’abituale e largo appello che gli emittenti quotati rivolgono
al pubblico risparmio postula che questi rispondano in
maniera esaustiva al need for disclosure espresso dai
risparmiatori-investitori, così che questi possano disporre
degli elementi informativi necessari a fondare i loro processi
di “decision making”, finalizzati all’assunzione di decisioni
di investimento circa la migliore allocazione del loro
risparmio (6).
L’esigenza di trasparenza informativa nel settore finanziario
risulta particolarmente pressante se si considera la natura intrinseca dei
prodotti finanziari oggetto di negoziazioni e di scambio sui mercati mobiliari:
questi sono infatti “beni futuri”, di consistenza essenzialmente giuridica.
L’esatta individuazione e la possibilità di apprezzamento di questi beni
giuridici, essendo assente qualunque realtà fisica o merceologica, percepibile
in sé, dipende unicamente dal grado di informazione conseguibile circa le loro
caratteristiche e la loro precisa consistenza
(7).
La già rilevata problematica dell’asimmetria informativa si
manifesta proprio a tal riguardo. L’informazione (unico
mezzo, secondo quanto appena riportato, di “percezione”
dell’“oggetto giuridico” proprio di ogni potenziale
negoziazione finanziaria) non è in possesso del
risparmiatore-investitore, ma è, invece, nella piena
disponibilità del negoziatore istituzionale o professionale. Il
prodotto finanziario diventa così per il
risparmiatore-investitore un “bene intrinsecamente
“pericoloso”, ossia con margini di rischio elevatissimi, tanto
più elevati quanto maggiore è il gap nelle informazioni di
cui dispone il cliente” (8) .
E’ bene sottolineare come associata ad ogni operazione di
investimento sul mercato mobiliare vi sia sempre una
“immanente” componente di rischio; il problema non è
quindi quello di azzerare tale componente, bensì quello di
far sì che il risparmiatore sopporti “solo” il rischio inerente al
proprio investimento in quanto tale, non anche i rischi
connessi ad un difetto di conoscenza circa il contenuto del
titolo negoziato e le circostanze che possono incidere sulla
sua consistenza e sulla sua stessa esistenza. Ne consegue,
quindi, che deve essere garantita
all’investitore-risparmiatore l’acquisizione del maggior
numero di informazioni rilevanti circa i valori reali dei titoli
esistenti sul mercato, in modo da ridurre i rischi inerenti alla
oggettiva “pericolosità” insita nei beni negoziati. Tutto ciò,
se da un verso dovrebbe consentire al risparmiatore
allocazioni ottimali di risorse ed impieghi capaci di
maggiore redditività, dall’altro dovrebbe portare anche a
garantire l’efficienza, il buon funzionamento e l’integrità
stessa del mercato.
3. Informazione, efficienza del mercato mobiliare e
dinamiche di formazione dei prezzi
Un mercato finanziario efficiente è innanzitutto un
“sofisticato meccanismo che raccoglie e sintetizza
informazione: in tempo reale, dati aggregati e disaggregati,
a livello nazionale ed internazionale, sui processi politici e
su quelli economici, vengono valutati ed analizzati dagli
operatori, a modifica delle loro strategie di investimento, e
vengono quindi incorporati nel prezzo dei titoli” (9).
A tal proposito, è stato osservato come “l’informazione fa il
prezzo del prodotto finanziario sul mercato; ed il prezzo, a
propria volta, esprime la sintesi delle informazioni di cui il
mercato dispone”
(10): un mercato può perciò dirsi in
condizione di efficienza quando è in grado di apprezzare le
informazioni in esso disponibili, un mercato in cui, in
sostanza, il prezzo risulti idoneo a riflettere tali informazioni.
La formazione dei prezzi può quindi essere concepita come
un processo di aggregazione dell’informazione di cui
dispongono i diversi operatori: attraverso i prezzi, quelli più
informati trasmettono l’informazione a coloro che sono meno
informati. “I mercati dei capitali trasmettono le informazioni
sui rendimenti delle attività reali e dei processi produttivi,
quelli in essere e quelli da finanziare; in questo senso il
valore di un titolo dipende dal modo in cui il sistema dei
prezzi trasferisce questa informazione: tanto più rapido e
preciso, tanto sarà più efficiente”
(11).
In particolare, un mercato può essere definito in condizione
di “efficienza informativa”
(12) se i prezzi dei titoli osservati in
ogni momento sono basati su di una corretta valutazione di
tutte le informazioni disponibili in quel momento: il prezzo di
un titolo è, allora, la risultante delle aspettative che gli
operatori, alla luce degli elementi informativi a loro
disposizione, hanno sul titolo stesso
(13).
Da queste constatazioni prende le mosse il dibattito
giuridico-economico circa l’opportunità di prescrivere regole
imperative che impongano agli emittenti quotati di rendere
pubbliche tutte le notizie rilevanti per una corretta
valutazione dei titoli da essi emessi e che, più in generale,
mirino ad assicurare la completezza e la veridicità delle
informazioni fornite al mercato ed alla Autorità di vigilanza.
4. Due modelli di regime informativo: mandatory e
voluntary disclosure
4.1 Imprescindibilità e peculiarità del regime di
mandatory discloure a garanzia dell’efficienza informativa
del mercato
L’informazione societaria - intesa quale insieme degli
adempimenti informativi e dei comportamenti che
l’ordinamento settoriale del mercato mobiliare pone a carico
degli emittenti - è ormai assunta al rango di “bene pubblico”
(14), considerato che, pur avendo prima facie ad oggetto affari
privati di persone fisiche e giuridiche, tuttavia essa risulta
trascendere l’interesse di tali soggetti, investendo
inevitabilmente anche le scelte ed i comportamenti dei
cc.dd. “stakeholders”, portatori anch’essi di interessi
meritevoli di tutela, e del mercato in generale.
La giustificazione dell’intervento imperativo del legislatore a
sostegno della trasparenza informativa (che si sostanzia
nell’imposizione di un regime di “mandatory disclosure” o
“informativa obbligatoria”) prende le mosse dalla
affermazione della valenza pubblicistica attribuita al
“bene-informazione societaria” e dalla constatazione circa
la tendenziale inadeguatezza ed insufficienza delle
informazioni fornite dagli emittenti su base volontaria
(vigendo cioè un regime di “voluntary disclosure”), in
assenza di una qualsivoglia regolazione delle dinamiche di
disclosure a livello normativo
(15).
Occorre quindi porre l’accento non tanto sul “se” intervenire
a livello legislativo, ma sul “come” configurare l’intervento
precettivo, una volta asseritane l’imprescindibilità.
Al fine di abbracciare una realtà così variegata e mutevole
quale è quella dell’imprenditoria societaria e dei mercati
finanziari, è necessario che l’ordinamento fissi un minimum
normativo obbligatorio di informazioni da fornire al mercato,
caratterizzato da una certa elasticità e tempestività (quanto
più l’accesso all’informazione sarà difficile, tanto più lento
sarà il meccanismo di trasferimento dell’informazione nei
prezzi e tanto minore la funzionalità del mercato), posto che
il settore considerato si distingue per una sua “estrema
dinamicità, che sopravanza sempre di gran lunga la capacità
del legislatore di prevedere in modo specifico e preciso i
singoli problemi destinati poi a manifestarsi” (16) . Deve essere
inoltre considerato il fatto che, alla luce di quanto prima
osservato, in condizioni di efficienza “informativa” del
mercato, il prezzo del titolo dovrebbe poter riflettere le
informazioni disponibili sul mercato stesso; ciò posto, ne
risulta che eccesso di informazioni potrebbe tradursi in una
continua modificazione del prezzo dei titoli, offrendo
notevoli chances a chi si pone sul mercato con intenti
meramente speculativi ,aggravando però, al contempo, la
posizione di quei soggetti che, al contrario, hanno effettuato
l’investimento ad altri fini, non prettamente speculativi (17).
Così, pur potendo e dovendo in alcuni casi l’operatore
economico integrare il minimum informativo prefissato a
livello ordinamentale, occorrerà talvolta non eccedere in
questo senso, per non rischiare quella che è stata definita
una “disinformazione per indigestione” (18).
4.2 Le ragioni principali del fallimento della “voluntary
disclosure”: la “teoria delle esternalità” e il “dilemma del
prigioniero”
La misura dell’ampiezza della voluntary disclosure
scaturisce da un’analisi costi-benefici
(19) che l’emittente
effettua, in quanto produrre e diffondere informazione
innegabilmente comporta dei costi ( “diretti” o “indiretti”
(20) )
per i soggetti interessati. In particolare, l’informazione
assume la veste di costo “indiretto” allorchè la si ponga in
relazione al pericolo di perdita di competitività, riflesso
eventuale di una politica societaria orientata verso la
trasparenza informativa. A questo proposito, va rilevato
come le società che si accingono alla disclosure si trovino a
dover affrontare il c.d. “dilemma del prigioniero” (21): gli
emittenti, infatti, non sono in grado di vagliare a priori la
genuinità delle politiche di disclosure dei loro concorrenti.
Non sapendo quindi a quale grado, in termini concreti,
questi ultimi spingeranno il loro tasso di informativa, gli
emittenti singolarmente considerati, per non rischiare di
essere troppo “onesti”, diffondendo interamente le
informazioni e favorendo così quelle società che invece
“ingannano” il mercato circa la portata della loro disclosure,
tendono così, “fisiologicamente”, ad una disclosure
incompleta.
L’informazione ha la caratteristica, una volta prodotta, di
essere acquisibile, in linea di principio, da qualsiasi soggetto
diverso dal produttore originario, ad un costo inferiore
rispetto a quello sostenuto da quest’ultimo. In altri termini, si
osserva che l’attività di produzione dell’informazione dà
luogo in tal caso ad una “esternalità positiva”
(22). Secondo la
teoria dell’esternalità, quando i benefici di una determinata
attività non ricadono interamente sul soggetto che li ha
generati, la quantità di risorse che viene destinata alla
predetta attività è inferiore alla quantità ottima dal punto di
vista sociale.
Perciò, constatata la presenza di tali esternalità, è possibile
indurre gli emittenti a destinare alla disclosure una quantità
ottima di risorse solo qualora siano assicurati dei
meccanismi in grado di “internalizzare” le esternalità,
meccanismi, cioè, in grado di far ricadere sul soggetto che le
ha prodotte i benefici da esse derivanti. Ecco quindi che
l’intervento pubblico dovrebbe muoversi in questo senso,
poiché, altrimenti, in virtù della asserita presenza di
esternalità che senza dubbio sfavoriscono chi diffonde
informazioni, non vi potrebbe essere un tasso di disclosure
sufficiente in assenza di previsioni legislative che si rendono
perciò indispensabili.
5. I flussi informativi degli emittenti quotati: la disciplina del
Testo Unico dell’intermediazione finanziaria (d. lgs. n.
58/1998)
Nell’ordinamento italiano le diverse manifestazioni in cui
solitamente si concretizzano le relazioni tra emittenti e
pubblico degli investitori risultano essere inquadrate a livello
sistematico nella normativa di cui al Titolo III (“Emittenti”),
Capo I (“Informazione societaria”), del Testo Unico
dell’intermediazione finanziaria
(23). (in breve, il “Tuf”), il quale
ha configurato un set di disposizioni (gli artt. da 113 a 118)
atte per l’appunto a determinare gli oneri di disclosure
gravanti sugli emittenti ed a garantire la correttezza
dell’esercizio della funzione informativa del mercato, dati i
risvolti in termini di efficienza dello stesso che essa
comporta.
In particolare, tale apparato normativo pone una summa
divisio degli obblighi di disclosure in “Comunicazioni al
pubblico” (art. 114 Tuf) e “Comunicazioni alla Consob” (art.
115 Tuf), oltre a disciplinare l’informazione dovuta dagli
emittenti in sede di ammissione alla quotazione (art. 113 Tuf)
ed a prevedere un apposito regime in materia di redazione
del bilancio consolidato (art. 117 Tuf (24)), riconosciuto così
quale insostituibile strumento di informazione sulla realtà
economico-finanziaria dei gruppi di società. Degna di nota è
anche la disposizione ex art. 116 Tuf, la quale, con
significativa estensione di campo della disciplina della
trasparenza informativa, stabilisce che i doveri di disclosure
ex artt. 114 e 115 Tuf gravano anche sugli emittenti strumenti
finanziari che, ancorché non quotati in mercati
regolamentati, siano comunque “diffusi tra il pubblico in
misura rilevante”
(25). Da ciò consegue un significativo
ampliamento dell’ambito degli investitori che possono
contare su di una elevata soglia di trasparenza delle
condizioni di negoziazione degli strumenti finanziari.
L’art. 114 Tuf, in particolare, disciplina i flussi informativi
aventi ad oggetto i cc.dd. “fatti price sensitive” (26) (vale a dire
quelli che, verificandosi “nella sfera di attività” del soggetto
e non essendo “di pubblico dominio”, possono, “se resi
pubblici”, influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti
finanziari), contemplando un dovere di disclosure
continuativo a carico degli emittenti circa tali fatti, senza che
sia quindi necessaria una specifica disposizione dell’Autorità
di vigilanza in tal senso. Il legislatore del Tuf si è avvalso
della consueta policy del rinvio alle competenze
regolamentari della Consob al fine di determinare quali fatti
possano essere considerati price sensitive e come essi
debbano essere comunicati al pubblico (27). Tuttavia, in accordo
al disposto del terzo comma dell’art. 114 Tuf, alla Consob
risulta comunque attribuito il potere di richiedere agli
emittenti, in via generale o particolare, la pubblicazione di
notizie e documenti necessari per l’informazione al
pubblico.
L’art. 115 Tuf delinea gli obblighi di disclosure non già nei
confronti del pubblico, bensì della stessa Consob. Nella
disciplina posta dal Testo Unico finanziario gli interventi
della Consob finalizzati all’acquisizione di dati e notizie
sono distinti in due gruppi: la richiesta di comunicazione di
notizie
(28) agli emittenti quotati, ai soggetti che li controllano
ed alle società dagli stessi controllate, e le attività istruttorie,
come l’assunzione di notizie da amministratori, sindaci,
dirigenti, società di revisione e le ispezioni
(29). Comune ad
entrambe le tipologie di interventi è la finalità dell’esercizio
dei poteri suddetti da parte della Consob, che si sostanzia, ai
sensi di quanto previsto dal primo comma dell’art. 115,
nell’esigenza di “vigilare sulla correttezza delle informazioni
fornite al pubblico”: l’attività conoscitiva dell’Autorità di
controllo, sia che si manifesti attraverso l’imposizione di
obblighi di comunicazione, sia che si svolga attraverso
attività ispettiva, deve quindi avere come obiettivo il
controllo sulla correttezza dell’informazione destinata al
pubblico
(30).
La pubblicazione del c.d. “prospetto di quotazione”
(disciplinato dall’art. 113 Tuf) prima dell’inizio delle
negoziazioni degli strumenti finanziari in un mercato
regolamentato costituisce non tanto una condizione cui il
listing stesso risulta subordinato, quanto piuttosto un mero
strumento di informazione la cui disponibilità è ritenuta
necessaria per la tutela dei potenziali investitori
(31).
Per quanto concerne la determinazione del contenuto (32) e delle modalità di pubblicazione del prospetto di quotazione,
la disposizione dell’art. 113 Tuf rimanda ancora una volta a
quanto stabilito dalla Consob a livello regolamentare (33),
attribuendo inoltre alla società di gestione del mercato un
ruolo di tutto rilievo in materia (34). Infatti, il secondo comma,
lett. c), della suddetta disposizione, prevede che l’autorità di
vigilanza detti le disposizioni necessarie al coordinamento
delle proprie funzioni con quelle delle società di gestione
dei mercati regolamentati
(35); in particolare, previa richiesta di
queste ultime, la Consob può affidare loro, “tenuto anche
conto delle caratteristiche dei singoli mercati”, compiti
inerenti al controllo del prospetto informativo.
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(1) La
letteratura è pressoché unanime nel riconoscere il
carattere utopistico della teoria del “market egalitarianism”,
che postula il raggiungimento di una condizione di par
condicio informativa in capo a tutti i soggetti convergenti nel
mercato mobiliare. Secondo S.SEMINARA, La tutela penale
del mercato finanziario, in C.Pedrazzi-A.Alessandri-L.Foffani-S.Seminara-G.Spagnolo,
Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna, 2000, p. 621,
“occorre prendere le distanze dalle teorie volte ad auspicare
un irrealizzabile market egalitarianism; in ogni caso, mai
questa par condicio potrebbe tradursi nella disponibilità, da
parte degli investitori, delle medesime conoscenze, poiché
tale situazione impedirebbe l’incontro della domanda con
l’offerta ed il mercato cesserebbe di funzionare”; lo stesso A.
considera poi come “l’efficienza del mercato annovera tra i
suoi presupposti anche l’attività di coloro che, attraverso
analisi di settore, ricerche sulle serie storiche dei prezzi,
studi di documenti contabili societari ecc., investono tempo e
denaro nella individuazione di elementi e dati non ancora
incorporati nel prezzo dei titoli, conseguendo così posizioni
di vantaggio conoscitivo lecitamente utilizzabili a fini
professionali o speculativi”. Richiama a tal proposito il c.d.
“paradosso dell’informazione” o “paradosso di Grossmann”
(secondo cui l’imporre a tutti i costi la diffusione di tutte le
informazioni determinandone la non remunerazione
produrrebbe l’effetto perverso di scoraggiare l’attività di
ricerca, elaborazione, produzione, in una parola,
dell’informazione stessa), F.MACCABRUNI, Insider trading e
analisi economica del diritto, in Giur.comm., 1995, I, n. 4, p.
607.
(2) V. A.NERVI, La nozione giuridica di informazione e la
disciplina di mercato. Argomenti di discussione, in
Riv.dir.comm., 1998, I, vol. II, n. 9-10/11-12, p. 862.
(3) A
titolo esemplificativo si consideri quello che
M.BESSONE, in I mercati mobiliari, Milano, 2002, p. 87 ss.,
definisce “il problema Internet”, osservando come “si
impiegano con crescente intensità, e sono parte importante
della new economy originata dalla rivoluzione digitale
ormai numerose e sempre più pervasive tecniche di contatto
che non comportano la presenza fisica e simultanea
dell’impresa offerente e dell’investitore. Ne conseguono
strategie di mercato, forme di interazione tra intermediario
ed investitori, nuovi assetti dell’economia finanziaria che
sono in ogni senso molto più di un variante delle tradizionali
modalità dell’offerta “fuori sede” (p. 89). Constatato il
“carattere transnazionale della rete informatica che si
movimenta via Internet”, l’A. auspica un vigoroso intervento
in proposito delle autorità che hannocompetenze e
responsabilità in materia finanziaria, posto che “all’atto
pratico la materia finanziaria continua ad essere grave punto
di caduta dell’ordinamento comunitario dell’e-commerce”
(p. 90).
(4) Ogni
scelta operativa presuppone infatti la raccolta, la
gestione e la valutazione di una gran quantità di dati. Nel
considerare la convenienza ad investire in determinati
strumenti finanziari si fa per lo più riferimento a parametri
desumibili dai dati economici di base, quali la solidità
patrimoniale e le prospettive di redditività futura relative
all’investimento. Ugualmente possono assumere rilievo sia
notizie attinenti alla sfera soggettiva degli amministratori e
dei soci controllanti degli emittenti, sia notizie riguardanti gli
strumenti in questione, elaborate, a livello di studi e
ricerche, da intermediari ed analisti.
(5) Così R.MAVIGLIA-R.MAVIGLIA, L’informazione societaria,
in C.DI NOIA-R.RAZZANTE (a cura di), Il nuovo diritto
societario e dell’intermediazione finanziaria. Guida al Testo
unico della finanza ed ai provvedimenti attuativi, Padova,
1999, p. 339.
(6) Posto
che soltanto una distribuzione capillare ed
omogenea delle informazioni disponibili può consentire la
realizzazione di un mercato correttamente funzionante e,
pertanto, idoneo a favorire l’efficiente allocazione delle
risorse disponibili, R.MAVIGLIA-R.MAVIGLIA, L’informazione
societaria, cit., p. 340, evidenziano come “il problema
dell’efficienza “allocazionale” (…) si traduce in quello dell’efficienza
realizzazione dell’obiettivo, strumentale, della posizione
delle condizioni di base perché gli investitori siano in grado di valutare correttamente come allocare il proprio denaro”.
(7) “La caratteristica fondamentale del mercato finanziario è quella di avere ad oggetto una ricchezza virtuale: quando si offre al pubblico un prodotto finanziario si offre sostanzialmente l’informazione di una ricchezza e, quindi, per definizione una ricchezza fisicamente assente, in quanto l’informazione, che talora è una entità che costituisce un bene in sé e per sé, nel nostro caso ha un valore decisivo. (…) Nel mercato finanziario il “prodotto” è pura e nuda conoscenza, informazione di una ricchezza assente”: così E.BOCCHINI, Introduzione al diritto commerciale nella new economy, Padova, 2001, p. 110.
(8)
V.SCALISI, Dovere di informazione e attività di
intermediazione mobiliare, in Riv.dir.civ., 1994, II, p. 179.
(9)
G.CAMMARANO, in ASSOGESTIONI, Trasparenza
dell’informazione societaria per l’efficienza del mercato
finanziario. Atti della giornata di studio organizzata
dall’Assogestioni, Milano, 6-7 giugno 1994, in Quaderni di
documentazione e ricerca, Roma, 1995, n. 13, p. 7.
(10) Cfr.
R.RORDORF, Importanza e limiti dell’informazione
nei mercati finanziari, in Giur.comm., 2003, I, n. 29, p. 773.
(11) In
questo senso, A.FERRARI-E.GUALANDRI-A.LANDI-P.VEZZANI, Strumenti,
mercati ed intermediari finanziari, Torino, 1997, p. 190.
(12) V. E.F.FAMA, Efficient capital markets: a review of the
theory and empirical works, in Journal of finance, 1970, n.
25, p. 383 ss. In particolare, l’Autore distingue tre livelli di
“efficienza informativa”: efficienza debole (“weak form”),
efficienza semiforte (“semistrong form”), efficienza forte
(“strong form”). Nel primo caso i prezzi riflettono le sole
informazioni storiche (ovvero le informazioni contenute nei
prezzi precedenti); nel secondo caso, i prezzi riflettono le
informazioni disponibili alla generalità degli operatori,
compresi, per esempio, gli annual reports, gli annunci di
dividendi, le previsioni degli utili, il cambiamento dei
principi contabili utilizzati ed anche i prezzi passati.
Nell’ultimo caso l’A. ravvisa l’ipotesi in cui i prezzi riflettono
tutte le informazioni disponibili, pubbliche e private. In
questa ipotesi, nessuno potrebbe sfruttare le c.d. inside
informations, perché il mercato sarebbe in grado di
riconoscere subito chi agisce per utilizzare informazioni
riservate ed il prezzo si adeguerebbe immediatamente
prima che l’insider possa agire a fini speculativi, comprando
o vendendo un titolo.
(13) Di conseguenza,
secondo quanto osserva
F.MACCABRUNI, Insider trading ed analisi economica del
diritto, cit., p. 599, “in situazione di efficienza, quindi, il
mercato dei titoli è in grado di essere quanto più possibile
“liquido”, ovvero di assicurare sempre una pronta
convertibilità dei titoli negoziati ad una valutazione che può
dirsi equa”.
(14) Cfr.
R.RORDORF, Importanza e limiti dell’informazione
nei mercati finanziari, cit., p. 775; R.COSTI, L’informazione
societaria ed i mercati regolamentati, in Le Soc., 1998, n. 8,
p. 878 ss.
(15) In
questo senso si veda, uno per tutti,
R.KRAAKMAN-P.DAVIES-H.HANSMANN-G.HERTIG-K.HOPT-H.K
ANDA-E.ROCK, The anatomy of corporate law-A comparative
and functional approach, Oxford University Press, 2004, p.
204: “despite criticism, the majority view among both scolars
and regulators is that public companies would underproduce
information in the absence of mandatory disclosure (...)”
(16) V.ancora
R.RORDORF, Importanza e limiti
dell’informazione nei mercati finanziari, cit., p. 775.
(17)
Semplificando, i soggetti in surplus monetario che si
pongono sul mercato possono essere raggruppati in due
macrocategorie: gli “azionisti–risparmiatori” e gli
“azionisti–imprenditori”. Si può poi aggiungere che vi sono
soggetti che compiono un investimento che intende essere
duraturo e quelli che invece intendono speculare sulla
prospettiva di un veloce capital gain: la prima tipologia
richiede di essere tutelata proprio nei confronti del carattere
“volatile” che può caratterizzare alcuni titoli, carattere che,
al contrario, è visto con favore dagli appartenenti alla
seconda tipologia di soggetti, per i quali questo rappresenta
infatti la principale possibilità di guadagno.
(18) Così F.GRANDE STEVENS, Interesse dell’impresa ed
interesse del mercato: ricerca del punto di equilibrio, in Le
Soc., 1998, n. 8, p. 887.
(19) L’informativa
volontaria è in astratto suscettibile di
portare con sé alcuni benefici, primo fra tutti il
miglioramento dell’immagine aziendale. Quindi, anche la
necessità di ricorrere ai mercati internazionali per
l’ottenimento dei fondi sulle diverse piazze finanziarie ha il
suo peso nella determinazione di un atteggiamento più o
meno aperto nei confronti della disclosure. C.CATTANEO,
L’informativa “volontaria” nelle società quotate, in Riv. it. di
ragioneria ed economia aziendale, luglio-agosto 2000, p.
380, rileva come “numerosi studi hanno inteso valutare le
relazioni tra caratteristiche aziendali e disclosure. Dalla
maggior parte delle verifiche empiriche è emerso che le
società operanti in campo transnazionale (le cosiddette
“multinationals”) e che hanno titoli quotati su più piazze
finanziarie (le cosiddette “multilisting”) manifestano una
maggiore sensibilità in questo senso”. La riduzione
dell’incertezza legata alle performances presenti e future
favorisce l’attrattività della società nei confronti dei mercati
finanziari internazionali.
(20) C.CATTANEO,
L’informativa “volontaria” nelle società
quotate: alcune osservazioni, 378 ss., distingue tra costi
diretti e costi indiretti. I costi del primo tipo sono relativi alla
produzione dell’informativa e alla sua diffusione ai vari
destinatari. I costi indiretti “vengono legati principalmente
alla perdita di competitività dell’azienda nei confronti dei
concorrenti a causa delle informazioni diffuse, ma in
qualche misura sono connessi anche ad una maggiore
supposta contenziosità dovuta alla diffusione delle
informazioni, nonché al possibile impatto su alcune attività
aziendali”.
(21) Il
“dilemma del prigioniero” è un noto modello di gioco
teorico, proprio delle scienze sociali. Il suo scopo è quello di
illustrare le tendenze comportamentali dei soggetti,
considerati come gruppo e come singoli individui, quando
non possono cooperare l’uno con l’altro. Questo modello
considera la situazione di due complici di un furto che,
arrestati, aspettano di essere interrogati dalla polizia.
Essendo in due stanze separate, ciascuno ignora se il
complice deciderà di confessare o di rimanere in silenzio. La
migliore soluzione per il “gruppo” sarebbe il silenzio di
entrambi. Qualora, infatti, uno confessasse, e l’altro, invece,
ignaro della condotta del complice, si rifiutasse di parlare,
quest’ultimo si troverebbe a ricevere un trattamento più duro
rispetto a quello riservato al complice reo confesso. Non
conoscendo quello che farà il complice, il singolo sospetto
agisce in una prospettiva non più “di gruppo”, bensì “di
singolo”, perché si rende conto che, indipendentemente
dalla condotta del complice, l’unico modo per salvaguardare
la sua posizione è confessare. Si vuole così dimostrare
come, quando un gruppo è impossibilitato a collaborare,
allora gli individui, che tendono in quell’occasione a
perseguire il loro personale interesse, si trovano a prendere
decisioni che non risultano sicuramente ottimali per il resto
del gruppo.
(22) Cfr.
J.R.MACEY, Efficient capital markets, corporate
disclosure and Enron, in Giur.comm., 2003, I, n. 29, p. 764 ss.
(23) Si
noti come il regime dell’informativa societaria era
stato introdotto, seppur a livello embrionale, dalla legge n.
216/1974, istitutiva della Consob ed emanata in seguito ad un
lungo dibattito sulla riforma della disciplina delle società
azionarie. Tale legge regolava l’informazione
sistematicamente dovuta alla Consob (art. 4, in seguito
abrogato dall’art. 214 del d. lgs. n. 58/98), oltre all’informazione ulteriore
che, in modo puntuale, la stessa
Consob poteva richiedere alle società di comunicarle (art. 3,
lett. c)) ovvero di fornire direttamente al mercato (art. 3, lett.
b)), al fine di assicurare la trasparenza circa l’attività sociale.
Il concetto di informazione societaria compiva, grazie a
questa legge, un “salto” notevole; infatti, il modello di
informativa societaria previsto dal Codice Civile presentava
lacune significative, in quanto non prestava la dovuta,
specifica attenzione al fenomeno delle società facenti
appello al risparmio diffuso, collocando i propri titoli presso
il pubblico. La disciplina della materia era quindi
configurata, prima della legge n. 216, come un’informazione
per i soci, anziché per il pubblico: la suddetta legge,
rispondendo alle carenze strutturali dell’informazione
societaria di matrice codicistica in relazione ai soggetti che
fanno appello al pubblico risparmio tramite il canale
borsistico, ha avuto il merito di spostare l’accento, sotto il
profilo dei soggetti destinatari delle informazioni stesse,
dagli azionisti al pubblico in generale. Alla impostazione
della legge n. 216, imperniata su un flusso di informazioni
diretto dalle società alla Consob (con possibilità per
quest’ultima di individuare quali tra le informazioni ad essa
trasmesse dovessero essere divulgate la mercato), si affianca
nel 1991, con l’avvento della legge n. 157 (meglio nota come
“legge insider trading”), una impostazione che impone alle
società di diffondere di propria iniziativa l’informazione al
mercato, spettando all’Autorità di controllo il compito di
verificare ex post l’osservanza della regola (cfr. art. 6, primo
comma, l. 157/91, anch’esso successivamente abrogato
dall’art. 214 del Tuf). Tuttavia, nonostante l’evoluzione
normativa registrata dall’ordinamento a partire dalla legge
n. 216/74, permanevano nel sistema sovrapposizioni e
discrasie che rendevano difficile per l’interprete, costretto a
partire da varie norme sparse a caso nell’ordinamento, la
ricostruzione di una trama unitaria in materia di obblighi di
disclosure. Il Testo Unico finanziario del 1998 appare perciò
come il punto di approdo del processo di regolamentazione
della disciplina della trasparenza informativa societaria,
costituendo un provvedimento normativo in grado di
razionalizzare la materia ed assicurare un coerente sistema
di regole sul processo di elaborazione e diffusione delle
informazioni rilevanti.
(24)
In sintesi, tale disposizione sancisce in capo agli
emittenti che accedono alla quotazione nei mercati
regolamentati l’inapplicabilità di taluni casi di esonero
dall’obbligo di redazione del bilancio consolidato previsti
dalla legge. La dottrina ha salutato con favore tale
previsione normativa, rilevando come tale norma
rappresenti “un evidente riconoscimento del ruolo del
bilancio consolidato quale strumento informativo necessario
agli investitori per le loro scelte” (ROTA, Informazione
contabile, in C.RABITTI BEDOGNI (a cura di), Il Testo Unico
della intermediazione finanziaria, Milano, Giuffrè, 1998, p.
632). Il bilancio consolidato ha conosciuto nel tempo
un’evoluzione legata principalmente alle esigenze
conoscitive degli investitori e, più in generale, dei mercati
degli strumenti finanziari, e solo successivamente è stato
fatto oggetto di obbligo generalizzato in capo alle imprese
capogruppo da parte delle varie normative nazionali.
Mettono in luce “l’originaria vocazione borsistica” della
disciplina del bilancio consolidato
G.E.COLOMBO-G.OLIVIERI, Il bilancio consolidato, in
G.E.COLOMBO-G.B.PORTALE (diretto da), Trattato delle
società per azioni, vol. VII, Torino, Utet, 1994, p. 580 ss., ove
si evidenzia come “la prassi di redigere bilanci consolidati
nasce e si afferma contemporaneamente negli Stati Uniti
d’America ed in Gran Bretagna tra la fine del
diciannovesimo ed i primi decenni del ventesimo secolo. (…)
Un altro dato caratterizzante l’esperienza anglosassone in
subiecta materia è rappresentato dalla prima emersione del
fenomeno a livello normativo, la quale avviene, in entrambi
i menzionati ordinamenti, nell’ambito della speciale
disciplina dettata per le società quotate in borsa su impulso
dei rispettivi organi di controllo. Così dapprima la Securities
and Exchange Commission (SEC) statunitense intorno alla
metà degli anni ’30 e, pochi anni dopo, la Borsa di Londra,
imposero ai soggetti che intendevano quotarsi la redazione
di prospetti contabili su base consolidata al fine di migliorare
l’informazione dei risparmiatori e la trasparenza di quei
mercati. (…)”.
(25) Il legislatore del Tuf non riporta nella disposizione ex
art. 116 i caratteri qualificanti gli “emittenti strumenti
finanziari diffusi tra il pubblico”, demandando al c.d.
“Regolamento Emittenti” (adottato dalla Consob con
delibera n. 11971/99 e successivamente modificato) il
compito di determinare con esattezza tali criteri definitori. In
particolare, ai sensi dell’art. 2-bis del suddetto Regolamento,
la qualificazione di “emittenti strumenti finanziari diffusi tra
il pubblico” compete oggi agli “emittenti italiani che
contestualmente: a) abbiano azionisti, diversi dai soci di
controllo in numero superiore a 200, che detengano
complessivamente una percentuale di capitale sociale
almeno pari al 5%; b) non abbiano possibilità di redigere il
bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’art. 2435-bis, 1
comma, del codice civile”. Va precisato come, ai sensi del
comma secondo dello stesso art. 2-bis del Reg. Emittenti, il
superamento dei limiti numerici e quantitativi espressi dal
comma primo della medesima disposizione deve concorrere
con l’effettivo ricorso al mercato dei capitali, comprovato da
criteri qualitativi costituiti da circostanze alternative relative
alle azioni, che devono essere state oggetto di una
sollecitazione all’investimento, di un’offerta pubblica di
scambio o di un collocamento sul mercato, o essere
negoziate su sistemi di scambio organizzati o emesse da
banche e acquistate o sottoscritte presso loro sedi e
dipendenze. Per una completa analisi dai rilievi critici della
nozione di emittenti diffusi tra il pubblico in misura rilevante
si segnala G.D.MOSCO, Le società con azioni diffuse tra il
pubblico in misura rilevante fra definizione, norme
imperative e autonomia privata. Uno scalino sbeccato, da
riparare in fretta, in Riv.soc., 2004, n. 4, p. 863 ss.
(26) L’art.
114 Tuf non offre un ausilio diretto per stabilire
quando una determinata informazione possa dirsi
effettivamente rilevante per la formazione dei prezzi: si
tratta, in verità, di un profilo centrale della disciplina
dell’informazione continua, giacchè i relativi obblighi di
informazione interessano per l’appunto i fatti che, se resi
pubblici, sarebbero idonei ad influenzare “sensibilmente” il
prezzo degli strumenti finanziari. Con riferimento alla
problematica attinente l’esatta identificazione del contenuto
e della portata della nozione di fatto price sensitive, va
rilevato come il Regolamento Consob n. 11971/1999 (cui lo
stesso art. 114 Tuf rimanda) non individua in concreto,
neanche a titolo esemplificativo, fatti od operazioni aventi
una tale caratteristica, limitandosi ad imporre la
comunicazione al pubblico “dei fatti previsti dall’art. 114,
comma 1, del Testo Unico” (art. 66 del Regolamento). La
norma secondaria opera così un rinvio integrale alla nozione
formulata dalla norma primaria del Tuf, ciò comportando un
maggior onere per gli emittenti, i quali sono chiamati a
ponderare autonomamente l’idoneità dei fatti che si
verifichino nel corso dell’esercizio a condizionare, in misura
sensibile, l’andamento dei prezzi degli strumenti finanziari,
senza poter fare affidamento su una elencazione prestabilita
di fatti presuntivamente rilevanti. In particolare, la
valutazione della price sensitivity cui sono chiamati gli
emittenti presenta non lievi difficoltà, in quanto questi sono
tenuti a fornire ex ante, come astratta ed aprioristica
opinione di tali soggetti circa l’apprezzabile grado di
possibilità dell’evento temuto, la valutazione del potenziale
impatto sul prezzo della notizia oggetto dell’obbligo di
disclosure. In tale ambito, le società tendono per lo più a
fare affidamento sulla esperienza maturata in proprio o da
altre società soggette agli stessi obblighi nell’osservazione
dell’andamento dei prezzi: la probabilità di una sensibile
variazione delle quotazioni resta, infatti, la condizione cui
avere riguardo al fine di stabilire la significatività delle
notizie. Contra v. ASSONIME, L’informazione societaria nel
Testo Unico della finanza: il commento dell’Assonime
(Circolare n. 58/99), in Riv.soc., 1999, II, p. 803, ove si mette in
dubbio l’efficacia del criterio di valutazione ex ante della
rilevanza del fatto. Viene osservato come “(…) risulta assai
complicato, quando non addirittura impossibile, il tentativo
di codificare le reazioni del mercato al verificarsi di
determinati fatti. Solo per eventi di macroscopico rilievo
quali, ad esempio, la decisione di procedere a una fusione
ovvero quella di effettuare un aumento di capitale finalizzato
all’acquisizione di una partecipazione strategica, una
“lettura” del fatto ex ante è possibile sulla base di comuni
dati di esperienza. In ogni altro caso, la decisione di
informare o meno il mercato non si poggia su appaganti
parametri di riferimento e resta pertanto esposta al rischio
della censurabilità ex post”.
(27) Ai sensi dell’art. 66, comma primo, del Reg. Emittenti
Consob, le informazioni rilevanti sono rese pubbliche
attraverso l’invio di un comunicato “alla società di gestione
del mercato che lo mette immediatamente a disposizione
del pubblico” e “ad almeno due agenzie di stampa”. Tale
comunicato deve essere portato a conoscenza della Consob
al più tardi nello stesso momento in cui viene messa a
disposizione del pubblico; il terzo comma del suddetto art.
66 del Regolamento dispone peraltro che “ove il comunicato
debba essere diffuso durante lo svolgimento delle
contrattazioni, esso è trasmesso alla Consob e alla società di
gestione del mercato almeno quindici minuti prima della sua
diffusione”. Tale previsione ha la funzione di consentire
all’organo di vigilanza e a quello del mercato di valutare la
opportunità di intervenire al fine di chiedere integrazioni del
comunicato ovvero di adottare interventi cautelativi sul
mercato, quali, ad esempio, i provvedimenti di sospensione
delle negoziazioni. Sempre con riferimento alle modalità
previste per l’adempimento degli obblighi di comunicazione
dell’informazione price sensitive, l’art. 67 del Regolamento
dispone altresì la possibilità per la società di gestione del
mercato di stabilire “modalità di comunicazione al mercato
e al pubblico diverse da quelle indicate all’art. 66”, purché
“idonee a garantire un uguale grado di diffusione delle
informazioni”.
(28) Sotto
il profilo degli obblighi di comunicazione, l’art. 115 Tuf non formula un elenco, neppure minimale, delle
informazioni oggetto dell’obbligo, come invece si rinveniva
precedentemente all’art. 4 della già citata legge n. 216/74, il
quale presupponeva un nucleo minimo di informazioni
tipizzate, le quali dovevano essere inviate all’organo di
controllo. Il Tuf si limita a porre pochi principi di carattere
generale, destinati ad essere integrati dall’azione della
Consob: è rimesso dunque a tale Autorità il compito di
statuire al riguardo, tanto con richieste di natura specifica ed
individuale, quanto con atti di carattere generale.
(29)
Va precisato come i dati raccolti dalla Consob
nell’esercizio di tali attività sono coperti dal segreto d’ufficio
ex comma decimo, art. 4, Tuf, al fine di impedire che le
informazioni raccolte possano essere utilizzate per fini
diversi da quelli relativi all’informazione del mercato.
(30) Completano il quadro delle potestà attribuite dall’art. 115 Tuf all’Autorità di vigilanza il potere di quest’ultima di
esercitare l’attività conoscitiva nei confronti dei titolari di
partecipazioni rilevanti e nell’ipotesi di sindacati di voto (art.
115, secondo comma); la disposizione del comma terzo
dell’art. 115 pone invece in capo alla Consob il potere di
richiedere l’indicazione nominativa dei soci o dei fiducianti,
costituendo così la specificazione del potere di imporre la
comunicazione di dati e notizie disciplinato dall’art. 115,
primo comma, lett. a), e contribuendo inoltre a realizzare la
trasparenza degli assetti proprietari delle società quotate,
eliminando ogni dubbio circa la composizione del capitale
sociale.
(31) In sostanza” -
osserva M.MAZZARELLA, Commento
all’art. 113, in G.ALPA-F.CAPRIGLIONE (a cura di),
Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, Padova, Cedam, 1998, p. 1047 -
“la pubblicazione del prospetto rappresenta il primo obbligo
dell’emittente ed assolve alle esigenze di informazione del
pubblico dei risparmiatori al cui soddisfacimento sono
preordinate le norme in materia di obblighi degli emittenti
quotati in borsa”. Così inteso il prospetto di quotazione, ecco
che le informazioni che gli emittenti rendono note al
momento della ammissione a quotazione degli strumenti
finanziari “costituiscono (parte di) un flusso continuo, avente
connotati di organicità e teso teleologicamente a conseguire
il risultato di assicurare un’informazione idonea (..) a
consentire l’apprezzamento del valore del titolo da parte del
mercato”.
(32) Prima facie,
secondo quanto disposto dal primo comma
dell’art. 113 Tuf, il prospetto di quotazione deve contenere
“le informazioni indicate nell’art. 94, comma 2” dello stesso
Tuf, disciplinante a sua volta il prospetto informativo da
emanarsi in occasione di appello al pubblico risparmio. Tale
espresso rinvio sancisce a livello legislativo l’identità di
finalità del prospetto di ammissione ex art. 113 e del
prospetto di offerta ex art. 94 Tuf: tale assimilazione è stata
riconosciuta dalla dottrina, che ha provveduto ad accostare
ed inquadrare “entro una più ampia categoria giuridica
definibile in termini di “ricorso al mercato mobiliare”
(G.FERRARINI, Sollecitazione del risparmio e quotazione in
borsa, in G.E.COLOMBO-G.B.PORTALE (diretto da), Trattato
delle società per azioni, vol. X, Torino, Utet, 1993, p. 185) i
distinti fenomeni della quotazione e della sollecitazione
all’investimento.
(33) Cfr.
rispettivamente gli artt. 53 e 56 del Regolamento
Emittenti Consob.
(34) Si ricorda che funzione e responsabilità tipica della
società di gestione de mercato è quella relativa al listing. In
attuazione delle competenze affidatele, Borsa Italiana
S.p.A., società autorizzata alla gestione del mercato ai sensi
dell’art. 63 Tuf, ha deliberato il “Regolamento dei mercati
organizzati e gestiti da Borsa Italiana s.p.a.”, nella cui Parte II (rubricata per l’appunto “Ammissione alla quotazione
ufficiale di borsa”), detta le condizioni richieste ai fini
dell’ammissione a quotazione. La disciplina italiana in
questo contesto trova significativa corrispondenza con quella
francese; in quest’ultimo Paese le imprese-mercato
(premesso che i mercati sono gestiti da entreprises de
marchè) – quale è, ad esempio, SBF-Bourse de Paris –
hanno, tra gli altri, il compito di provvedere all’ammissione
degli strumenti finanziari alla quotazione. Nell’ordinamento
tedesco l’ammissione alla quotazione è disciplinata nella
terza parte della legge di borsa (Borsengesetz) ed in un
apposito decreto (Borsenzulassungsverordnung); preposta
all’ammissione è la Zulassungsstelle, autorità amministrativa
pubblica costituita, in forma di commissione, presso ciascuna
borsa. Sono dunque presenti elementi di autodisciplina, ma
in un cornice pubblica, nella quale la Zulassungsstelle è
affiancata da altri organi, quale il Consiglio di borsa, che è
composto di esponenti dei vari settori interessati ed ha poteri
di organizzazione e gestione della borsa. “In sintesi, le
funzioni che il nostro diritto e quello francese concentrano
nelle società di gestione dei mercati sono da diritto tedesco
distribuite tra vari organi pubblici (con elementi di
autodisciplina) (…)”: G.FERRARINI, L’ammissione a
quotazione: natura, funzione, responsabilità e self-listing, in
An.giur.econ., 2002, n. 1, pp. 26-27 (cui si rimanda anche per
una puntuale analisi della disciplina del listing in altri
ordinamenti).
(35) Per quanto riguarda l’aspetto relativo al coordinamento
fra le competenze della Consob e della società di gestione
del mercato (materia peraltro già considerata dall’abrogato
Reg. Consob n. 11125/1997), si veda l’art. 52 del Reg. n.
11971/99, sopra commentato e riportato.
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