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La legittimazione delle autorità indipendenti ad essere parte nei conflitti di attribuzione


FILIPPO DURANTE

 

 


Sommario: 1. Le caratteristiche delle Autorità indipendenti: una novità nell’ordinamento istituzionale; 2. Indipendenza e accountability: il controllo plurimo e diffuso come alternativa al sindacato pervasivo della Magistratura; 3. I conflitti d’attribuzione e il silenzio della dottrina; 4. Il riconoscimento formale in Costituzione delle Autorità indipendenti previsto dal disegno di legge AS-2544-A; 5. La riforma del Titolo V della Costituzione e la coesistenza tra Autorità indipendenti e Regioni; 6. Le due ordinanze del 1995 che hanno negato l’ammissibilità dei conflitti avverso il Garante per la Radiodiffusione e l’Editoria; 7. L’ordinanza n. 137 del 2000: cambia l’Autorità di vigilanza, non le apodittiche motivazioni della Consulta; 8. Conflitto di attribuzioni tra Autorità e Regioni: due pronunce “silenziose”; 9. Un conflitto di attribuzioni tra Magistratura e legislatore per l’attribuzione all’Autorità di compiti quasi-giurisdizionali?; 10. Le sei possibili obiezioni alla legittimazione delle Autorità indipendenti ad essere parte dei conflitti; 11. La prima obiezione: i conflitti d’attribuzione sono solo ricognitivi, non sono efficaci; 12. La seconda obiezione: ai conflitti di attribuzione si preferiscono i gentlemen agreements; 13. La terza obiezione: le Autorità indipendenti non dichiarano definitivamente la volontà di un potere; 14. La quarta obiezione: le Autorità indipendenti non sono un potere dello Stato; 15. La quinta obiezione: le Autorità indipendenti non appartengono allo Stato-persona; 16. La sesta obiezione: l’assenza di uno specifico rilievo costituzionale; 17. L’ambiente costituzionale delle Autorità indipendenti; 18. La legittimazione passiva come strumento di accountability; 19. Conflitti d’attribuzione tra le diverse Autorità di vigilanza operanti nel settore dei mercati finanziari?

 

 

1.   Le caratteristiche delle Autorità indipendenti: una novità nell’ordinamento istituzionale.

                Le Autorità indipendenti sono sorte in Italia in assenza di un disegno organico, in seguito a spinte eteronome e a difficoltà congiunturali: sono la Banca d’Italia, la CONSOB, l’ISVAP, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, il Garante per la protezione dei dati personali, l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici[1], l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e, probabilmente, la COVIP.

La spontaneità che caratterizza la loro istituzione, oltre alla diversità dei settori interessati, costituisce uno dei motivi principali dell’eterogeneità di poteri e discipline che contraddistingue questi soggetti istituzionali[2].

Il Leitmotiv, tuttavia, è costituito dalle caratteristiche che, sebbene siano il frutto di un’elaborazione di astrazione[3], contraddistinguono in modi e misure diverse tutte  le Autorità indipendenti

a) La “separatezza dal Governo” è sicuramente il tratto distintivo[4]: l’Esecutivo tendenzialmente non assume poteri di indirizzo e di controllo  nei loro confronti, quand’anche – è il caso delle Autorità cosiddette di prima generazione – talvolta partecipi alla nomina dei loro componenti. Tali organismi, infatti, si “sganciano” dal continuum Parlamento - Governo - Pubblica Amministrazione  secondo cui ogni articolazione amministrativa è riconducibile ad un dicastero. D’altra parte, sarebbe inutiliter data la previsione di competenze specialistiche qualora i membri dovessero essere vincolati alle direttive governative. Sulla selezione degli strumenti di accountability, imprescindibili per non tramutare l’indipendenza in autoreferenzialità, è in atto un interessante dibattito: in particolare, si discute sull’eventualità che l’indipendenza sia tale anche rispetto al Parlamento[5] ovvero sull’eventualità che tali organismi rispondano davanti alle Camere[6]. L’affermazione della “dipendenza” dal Parlamento, infatti, consentirebbe di formalizzare la procedimentalizzazione dei rapporti con le Autorità nei regolamenti parlamentari e di introdurre l’unificazione delle relazioni con un’attività d’indirizzo intersettoriale da parte delle Camere. Novità delicata, quest’ultima, in rapporto alla considerazione che tali soggetti istituzionali sono stati creati anche per evitare la “tirannia della maggioranza” in società plurali e per bilanciare l’introduzione del sistema elettorale maggioritario e dello spoil system[7].   

b) La legittimazione ex art. 97 della Cost. garantirebbe un “appiglio” costituzionale sostitutivo rispetto a quello della responsabilità ministeriale nei confronti del Parlamento[8]: risulta evidente come ad un Governo impossibilitato ad emanare direttive ed indirizzi non possa essere imputata, neanche in eligendo o in vigilando, la responsabilità per l’attività delle Authorities.

c) Emissione monetaria, mercati finanziari, contratti ed imprese assicurative, antitrust, scioperi nei servizi pubblici essenziali, energia e gas, telecomunicazioni, lavori pubblici, riservatezza, previdenza pensionistica privata: le Autorità indipendenti sono istituite in settori specifici e sensibili, i quali richiedono un’elevata specializzazione e la necessità di flessibile adeguamento della normativa. Tanto che la “delega” del legislatore è stata paragonata al trust[9].

d) Le Authorities si collocano fuori dal circuito rappresentativo: la loro legittimazione è, viceversa, nella procedura, nell’efficacia degli atti, nei controlli diffusi, nella tecnicità.  Una parte della dottrina ha parlato, a riguardo, di modello madisoniano[10].

e) Caratteristica da molti sottolineata è la neutralità, intesa come assenza di invasività della politica nelle regole del gioco del mercato: in particolare, tali organismi segnano il superamento del modello della programmazione economica sancito dal comma terzo dell’art. 41 della Cost. La neutralità non vuol dire, tuttavia, assenza di discrezionalità.

 f) Missione specifica delle Autorità che regolano e vigilano settori economici è l’affermazione del principio istituzionale del mercato: considerazione, questa, che giustifica l’impatto dirompente assunto dall’Unione Europea nel consolidamento delle stesse.  E’ in particolare Giuseppe Guarino[11] a sottolineare come una simile “rivoluzione copernicana” sia imputabile all’affermazione del principio del mercato: il cittadino e l’impresa hanno assunto addirittura una posizione di preminenza rispetto allo Stato e si è affermata la necessità di tutelare l’impresa dall’ingerenza dello Stato.

Dello stesso avviso Merusi, secondo cui missione specifica delle Autorità indipendenti sarebbe quella di garantire il contraddittorio economico, paragonato molto efficacemente al litisconsorzio necessario[12], contro i fallimenti del governo e contro i fallimenti del mercato stesso. A questo modello si sottrarrebbe solo il Garante per la protezione dei dati personali. La circostanza che questa sia  l’ultima Authority ad essere stata istituita in senso cronologico può essere anche letta come un segno: potrebbe rappresentare, infatti, l’antesignana di nuovi soggetti di garanzia in settori non economici[13].

g) Collegata alla prevalenza di tali organismi nei settori economici è la loro inerenza a politiche che, pur avendo effetti indiretti redistributivi, sono caratterizzate dalla finalità dell’efficienza.

h) Per alcuni autori, decisiva caratteristica è l’inquadramento delle stesse in un’ottica europea:  molte Autorità indipendenti italiane sono sorte in virtù dell’attuazione di direttive comunitarie, mentre quelle della cosiddetta prima generazione - la Banca d’Italia soprattutto, ma anche la CONSOB dopo l’istituzione del CESR – sono ormai inserite in reti europee più o meno radicate e talvolta hanno assunto i connotati dell’indipendenza in vista degli assestamenti comunitari.           

i) Ultima caratteristica è la pluralità di poteri esercitati: quelli normativi, quelli quasi-normativi – vale a dire di moral suasion o, comunque, di soft law -,  quelli amministrativi, quelli paragiurisdizionali[14] - basti pensare alle funzioni conciliative  o di aggiudicazione -, quelli istruttori ed ispettivi. Non vanno dimenticate, inoltre, le funzioni di proposizione e di consultazione nei confronti del legislatore ed i compiti “sostitutivi” dei privati. Tutte le Autorità si contraddistinguono per essere una sorta di “ordinamenti in miniatura”: questa commistione di diversi compiti rappresenta il motivo per cui si usa parlare, come si vedrà impropriamente, di fourth branch of government[15] .

 

 

2.   Indipendenza e accountability: il controllo plurimo e diffuso come alternativa al sindacato pervasivo della Magistratura.

Il vero problema che involge le Autorità indipendenti è il rapporto che intercorre tra indipendenza e responsabilità, sulla cui natura incide prevalentemente l’individuazione dell’esatta collocazione istituzionale di tali organismi.

Imprescindibilmente connesso è il dilemma  che Gustavo Ghidini[16] sintetizza con il quesito “A chi rispondono costoro?” e che potrebbe essere posto anche con l’interrogativo “Chi controlla i controllori?”.

Le soluzioni prospettabili sono due: da una parte, quella di un controllo “diffuso” sulle Autorità indipendenti, esercitabile da diverse istituzioni e con diversi strumenti, nessuno dei quali però totalizzante; dall’altra, invece, un controllo pervasivo da parte della Magistratura e della Corte dei Conti, opzione questa verso cui sembra si stia avviando, non senza difficoltà, il sistema italiano.

Il primo modello affianca la “diffusione dei poteri”, tipica di un sistema fondato sul bilanciamento degli stessi, alla “dispersione dei controlli” sulle Autorità indipendenti: per usare le parole di Marcello Clarich[17], in un sistema così strutturato “l’accountability può essere assicurata creando una pluralità di legami non esclusivi con una pluralità di interlocutori” e, in particolare, “condizioni istituzionali atte a far sì che nessuno in particolare controlli le Autorità e che, ciò nondimeno, esse siano sotto controllo”.

Si tratterebbe, insomma, di polverizzare il controllo sulle Autorità, garantendone così la neutralità, obbligando le stesse tuttavia a “dar conto” ad una pluralità di soggetti diversi, accentuandone così la responsabilità: un sistema virtuoso, insomma, che però è necessario progettare organicamente, onde evitare che qualche squilibrio tra neutralità e accountability possa travolgere, con un effetto-domino, l’intero sistema istituzionale.

Esisterebbero, in questo modo, diversi canali per neutralizzare il pericolo della degenerazione in autoreferenzialità: primi fra tutti, i meccanismi di raccordo con il Parlamento e la legittimazione attiva e passiva delle Autorità indipendenti per i conflitti di attribuzione. A questi si aggiungano l’eventuale assoggettamento di alcuni atti regolamentari al sindacato di costituzionalità, la sottoponibilità a referendum, il peer review (sindacato di soggetti altrettanto qualificati), l’analisi costi/benefici, il finanziamento privato.

 

 

3.   I conflitti d’attribuzione e il silenzio della dottrina

 La legittimazione delle Autorità indipendenti a partecipare ai conflitti d’attribuzione rappresenterebbe un efficace strumento, tra i tanti possibili, di un “controllo diffuso”, per contemperare la responsabilità con l’indipendenza.

 L’art. 134 della Costituzione, infatti, assegna alla Corte Costituzionale il compito di giudicare “sui conflitti d’attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni”: l’assoggettamento delle Authorities a tali giudizi di accertamento sicuramente non ne minerebbe l’autonomia, avendo come arbitro un’istituzione super partes quale la Consulta.

La legge 11 marzo 1953, n. 87, nell’attuare il dettato costituzionale in materia di conflitto tra poteri dello Stato,  sancisce all’art. 37 che, “ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione”, esso “è risoluto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”.  In esito a tale accertamento, secondo l’art. 38 della medesima legge, la Consulta “risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione e, ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla”.

Sorprende che la dottrina, tanto prolifica nel controvertere in materia di Autorità indipendenti, non si sia mai entusiasmata nell’esaminare l’ammissibilità e l’utilità del riconoscimento a tali organismi della legittimazione ad essere parte di conflitti d’attribuzione[18].

La legittimazione passiva, in particolare, istituzionalizzerebbe un meccanismo per “sanzionare” questi organismi allorché essi esorbitino dall’ambito ad essi ascritto, mentre la legittimazione attiva tutelerebbe la loro indipendenza da indebite iniziative lesive altrui: due facce della stessa medaglia, a riprova di come i conflitti d’attribuzione sembrano essere stati creati ad hoc per contemperare indipendenza e responsabilità delle Autorità indipendenti.

Non occorre ergersi a profeti per preconizzare l’imminente esplosione di un simile dibattito, soprattutto alla luce di due novità costituzionali che potrebbero modificare i termini della questione o, quanto meno, accendere su di essa i riflettori con maggiore incisività.

 

 

4.   Il riconoscimento formale in Costituzione delle Autorità indipendenti previsto dal disegno di legge AS-2544-A

Per quanto concerne la vexata questio della legittimazione delle Autorità il riferimento è, prima di tutto, al disegno di legge costituzionale AS 2544-A, di riforma della seconda parte della Costituzione: tale proposta, approvata in prima lettura dal Senato, è stata elaborata dalla I Commissione del Senato a seguito di modificazioni del disegno di legge AS 2544, presentato dal Governo e maggiormente noto alle cronache di stampa come la risultante della cosiddetta bozza di Lorenzago.

L’art. 87 della Costituzione, qualora venisse modificata da tale progetto di riforma, infatti, assegnerebbe  al Presidente della Repubblica la potestà di nominare “i Presidenti delle autorità amministrative indipendenti”: tale potere, ai sensi dell’art. 89 della Costituzione come risulterebbe dalla novellazione, verrebbe esercitato senza necessità di proposta o controfirma del Presidente del Consiglio o del ministro competente, conformemente a ciò che accadrebbe per la nomina del Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e dei giudici costituzionali designati dal Capo dello Stato[19].

Tale riforma determinerebbe, dunque,  il primo formale riconoscimento in Costituzione per le Autorità indipendenti, il loro battesimo nel livello super-primario delle fonti normative.

Si vedrà che potrebbe anche non occorrere un esplicito ancoraggio per riconoscere agli organismi in questione un rilievo costituzionale: tuttavia, la previsione di un’apposita disposizione nella Carta Fondamentale potrebbe assumere un effetto dirompente nello sbloccare il dibattito in questione.

Di tale avviso è l’allora commissario della CONSOB Lamberto Cardia, il quale - nell’audizione del 23 gennaio 2002 tenuta nell’ambito dell’indagine conoscitiva “Il ruolo delle Autorità Indipendenti nell’ordinamento italiano fra controllo, garanzia e regolamentazione” - ha sostenuto che  “l’aver individuato nella Costituzione …la base del riconoscimento degli interessi posti a fondamento delle Autorità Indipendenti…consente di costruire un legame tra la nostra carta Costituzionale e gli organismi indipendenti, dando ad essi fondata legittimazione”.  L’attuale Presidente dell’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari, pur consapevole di tale ombrello costituzionale, propone di attuare “con un autonomo provvedimento legislativo una specifica “copertura” costituzionale…per le Autorità di maggiore rilevanza”: iniziativa, questa, che secondo Cardia “renderebbe possibile sollevare conflitti tra i poteri dello Stato” e, in questo modo, “consentirebbe di evitare sconfinamenti reciproci tra Autorità e rafforzerebbe un controllo sull’attività delle stesse non lesivo della loro indipendenza”.

La novellazione prevista dal disegno di legge in esame aprirebbe un importante spiraglio, quantunque in tale ottica appaia discutibile la sufficienza di un richiamo meramente nominalistico.

Ben maggiore impatto avrebbe avuto, infatti, la proposta di legge di modifica costituzionale partorita nella scorsa legislatura dalla cosiddetta Commissione Bicamerale: tale progetto, modificando l’art. 109 della Cost., prevedeva l’elezione dei componenti delle Autorità indipendenti a maggioranza qualificata da parte del Senato e avrebbe introdotto una riserva di legge in materia di istituzione di tali organismi, di condizioni e di caratteristiche dei membri, subordinata inoltre all’attribuzione ad essi di compiti di vigilanza o garanzia[20].

Altre proposte di legge, prive di soverchie velleità, avevano ipotizzato un riconoscimento sostanziale in Costituzione delle Autorità indipendenti[21].

 

 

5.   La riforma del Titolo V della Costituzione e la coesistenza tra Autorità indipendenti e Regioni

Sul piano dell’utilità del riconoscimento agli organismi in questione della capacità processuale ad essere parte dei conflitti di attribuzione, viceversa, rilievo assume la modifica del Titolo V della Costituzione, operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3.

La modificazione in senso federalista dell’assetto istituzionale dell’ordinamento - con la generalità-residualità delle materie di competenza esclusiva della legislazione regionale e con l’incremento delle materie di competenza concorrente o bipartita - ha determinato, infatti, un’inflazione di ricorsi per conflitti d’attribuzione tra Stato e Regioni,  attesa anche l’ambiguità di talune previsioni di ascrizione di poteri e la presenza di materie-scopo, trasversali ad altre[22].

Tale rivoluzione potrebbe determinare sconvolgimenti istituzionali altresì per le Autorità indipendenti: la materia dei lavori pubblici, infatti, sembra essere ora attribuita alla competenza esclusiva delle Regioni, mentre quelle della “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia”, dell’”ordinamento della comunicazione”, della “previdenza complementare e integrativa”[23] e  delle “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale”, con tutte le ambiguità e i dubbi interpretativi del caso, sono  ascritte alla legislazione concorrente di Stato e  Regioni,  quantunque siano settori specialistici nel cui ambito operano apposite Autorità indipendenti[24].

Una parte della dottrina si è chiesta se, in virtù di tale ripartizione di attribuzioni, le Regioni possono considerarsi legittimate ad istituire proprie Autorità indipendenti in settori così specialistici e, in tal caso, quali potrebbero essere le sfere di competenza degli organismi nazionali e quali, invece, quelle ad appannaggio delle Authorities regionali[25].

Pur prescindendo dall’esame di tale prospettiva - che appare, invero, non di imminente attualità, ma che pure è opportuno prendere in considerazione -, va comunque ribadito che la riforma del Titolo V della Costituzione accrescerà considerevolmente le possibili sovrapposizioni tra Autorità indipendenti ed altri soggetti istituzionali: talune Authorities,  infatti, dovranno coabitare in determinati settori con il potere amministrativo e finanche con il potere normativo di ogni singola Regione, esponendosi in tal modo all’incremento di potenziali, reciproche invasioni di campo. Invasioni suscettibili di un vertiginoso aumento allorché maturerà la consapevolezza delle proprie potestà, e con essa le rivendicazioni, da parte delle singole Regioni: uno scenario prossimo, atteso ad esempio che l’art. 11  comma 6 dello Statuto della Regione Toscana - approvato in seconda lettura lo scorso 19 luglio 2004 - stabilisce che il Consiglio regionale, “come organo di rappresentanza della comunità regionale,…mantiene rapporti con le autorità indipendenti”.

Il pericolo assume connotati ancor più drastici se si considera l’attuale sesto comma dell’art. 117 della Cost, secondo cui “la potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia” diversa da quelle, tassative, ascritte alla competenza esclusiva statale: ne consegue che se erroneamente si considerassero le Autorità indipendenti “centrali” come una parte integrante dello Stato-persona[26], nelle materie di competenza bipartita esse addirittura non potrebbero esercitare i compiti di rule making che le hanno contraddistinte in questo decennio.

Infine, è possibile un incremento degli attriti se si esamina altresì che le Autorità indipendenti operano prevalentemente in settori ad alta densità di normazione dell’Unione Europea e che proprio in base al nuovo art. 117 della Cost. Stato e Regioni debbono esercitare la rispettiva potestà legislativa “nel rispetto…dei vincoli dell’ordinamento comunitario”.

La prospettiva non dovrebbe mutare qualora il Titolo V della Costituzione fosse modificato con la suddetta riforma paventata dal disegno di legge costituzionale AS 2544-A: tale proposta, pur apportando sostanziali innovazioni in materia di rapporti istituzionali tra Stato e Regioni, lascerebbe inalterato il monopolio regionale sulla potestà normativa secondaria nelle materie non esclusivamente statali e, inoltre, non intaccherebbe l’attribuzione anche al rule making  delle Regioni delle materie dei lavori pubblici, della comunicazione, della previdenza pensionistica privata, degli istituti di credito regionali e dell’energia. Nel settore della “produzione, trasporto, distribuzione nazionale dell’energia”, anzi, l’art. 118 della Cost., come risulterebbe dalla novellazione, attribuirebbe alla legge statale il compito di disciplinare “forme d’intesa  e coordinamento” con le Regioni: l’Autorità per l’energia elettrica e il gas opererebbe, dunque, in un settore a cavallo non soltanto tra i poteri legislativo,  amministrativo e giudiziario, ma altresì in un ambito particolarmente rovente quanto a rapporti tra competenza normativa statale e regionale.    

Il nuovo quadro istituzionale, insomma, determinerà un aumento degli sconfinamenti di ruoli e, dunque, la valorizzazione dei conflitti d’attribuzione[27]: proprio nell’ottica del potenziamento di tale strumento risolutivo delle controversie, infatti, il suddetto disegno di legge prevede il rafforzamento del ruolo super partes della Corte Costituzionale con la nomina di sei tra i suoi diciannove membri ad opera del Senato Federale della Repubblica[28].

 

 

6.    Le due ordinanze del 1995 che hanno negato l’ammissibilità dei conflitti avverso il Garante per la Radiodiffusione e l’Editoria.

Se la dottrina si è dimostrata restia a dibattere sul tema in questione, la Corte Costituzionale si è espressa in sporadiche occasioni decidendo con ordinanza.

Nell’ordinanza n. 118 del 7 aprile 1995[29], la Consulta decise nel senso dell’inammissibilità del conflitto di attribuzioni proposto dal comitato dei promotori e presentatori di alcuni referendum contro il Garante per la radiodiffusione e l’editoria[30].

 La Consulta motivò l’inammissibilità con la carenza del requisito oggettivo necessario per decidere sui conflitti d’attribuzione: in pratica, ritenne che il provvedimento del Garante del 22 marzo 1995  non incidesse lesivamente nella sfera di attribuzioni costituzionalmente riconosciuta ai ricorrenti, senza nulla statuire circa il profilo soggettivo e, dunque, secondo la dottrina, postulando implicitamente la legittimazione passiva dell’Autorità indipendente.

Di diverso profilo, invece, è stata l’ordinanza con cui la Corte Costituzionale, dopo meno di due mesi ed in una questione analoga sollevata dai promotori e presentatori di referendum,   ha dichiarato l’inammissibilità di un altro conflitto d’attribuzione proposto contro il Garante per la radiodiffusione e l’editoria. In questo caso, infatti, la Consulta ha negato la sussistenza dei requisiti soggettivi atti a legittimare passivamente il Garante, tacendo viceversa sulla condizione oggettiva della lesività di una sfera di competenze costituzionalmente garantita: un’inversione dell’ordine decisorio rispetto alla precedente ordinanza che ha determinato legittime critiche da parte della dottrina e che è sintomo dell’inquietudine connessa ad una tale presa di posizione[31].

In particolare, nell’ordinanza 226 del 2 giugno 1995[32], si è negata la suscettibilità dell’Autorità indipendente ad essere parte di un conflitto di attribuzioni, “nonostante la particolare posizione di indipendenza riservata all’organo nell’ordinamento”  e riconosciuta dallo stesso Giudice delle leggi, sotto tre profili: le attribuzioni del Garante sono “disciplinate dalla legge ordinaria”; tali attribuzioni “non assumono uno specifico rilievo costituzionale”; tali attribuzioni non “sono tali da giustificare…il riferimento all’organo stesso della competenza a dichiarare in via definitiva la volontà di uno dei poteri dello Stato”.

Gli unici commenti di dottrina sostennero fin d’allora l’autonomia dei primi due profili con cui la Corte negò la legittimazione del Garante contestando, viceversa, la posizione secondo cui essi costituissero un unico motivo: in particolare, si affermò che la suddetta statuizione “potrebbe significare che le attribuzioni del Garante non hanno rilievo costituzionale in quanto sono fondate su legge ordinaria”, ma anche e più ragionevolmente che “ le attribuzioni del Garante, le quali sono fondate su legge ordinaria, mancano anche di rilievo costituzionale”[33]. L’ambiguità di questa ed altre affermazioni dell’ordinanza del giugno 1995 parvero alla migliore dottrina come uno “spiraglio” lasciato aperto a future, imminenti riconsiderazioni sul tema della posizione istituzionale delle Autorità indipendenti e, nel contempo, come un sintomo della funzione meramente interlocutoria della pronuncia in questione[34].

 

 

7.   L’ordinanza n. 137 del 2000: cambia l’Autorità di vigilanza, non le apodittiche motivazioni della Consulta

Non fu così. Ed infatti ben cinque anni dopo, nell’ordinanza n. 137 del 12 maggio 2000[35], la Consulta ha negato con formule assolutamente identiche la legittimazione passiva per i conflitti d’attribuzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni[36], che frattanto, con la l. 249/1997, aveva assunto tra gli altri i poteri precedentemente esercitatati dal Garante per la radiodiffusione e l’editoria[37].

La Consulta, in effetti, si è attenuta fedelmente al suo dictum del 1995, dimostrando così di  assumere un orientamento consolidato nel senso della preclusione alle Authorities dell’utilizzo di tale strumento.

  “E’ inammissibile - si legge, infatti, nell’ordinanza della Corte -…il conflitto…promosso nei confronti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per carenza del requisito soggettivo di quest’ultima, in quanto essa, benché goda di una posizione di particolare indipendenza nei confronti dell’ordinamento, esercita attribuzioni disciplinate dalla legge ordinaria, prive - al pari di quelle svolte dal preesistente Garante per la radiodiffusione e l’editoria, al quale è succeduta - di uno specifico rilievo costituzionale e, quindi, non idonee a fondare le competenze della medesima a dichiarare definitivamente la volontà di uno dei poteri dello Stato”.

Una pronuncia che, oltre a non risolvere i dubbi interpretativi scatenati dalla precedente ordinanza, ne ha sollevati degli altri, attesa l’oscurità dell’utilizzo dell’avverbio “quindi”, adoperato per  collegare il profilo dell’assenza di specifico rilievo costituzionale a quello, in verità autonomo, dell’inidoneità a dichiarare definitivamente la volontà di un potere dello Stato. Si può senz’altro pensare che tale avverbio sia stato usato con valore temporale o congiuntivo, nel senso di “e da ultimo”, e non anche con il più comune, ma in questo contesto irragionevole,  valore causale, nel senso di “per tale motivo”: resta, tuttavia, la scarsa intellegibilità della formula, che si innesta, a sua volta, sull’apoditticità di un orientamento che richiederebbe di essere suffragato con argomentazioni  incisive e con motivazioni meno stereotipate.

 

 

8.   Conflitto di attribuzioni tra Autorità e Regioni: due pronunce “silenziose”

La determinazione del 2000 è precedente alla riforma del Titolo V della Costituzione: a leggere tra le righe di una recente ordinanza della Consulta, la n. 504 del novembre 2002[38], tuttavia, sembra che neanche la prospettiva di una guerra fredda permanente con le Regioni possa indurre i giudici di Piazza del Quirinale ad operare l’auspicato revirement.

Ed infatti, la Corte, con la suddetta pronuncia, ha dichiarato estinto un processo relativo ad un conflitto d’attribuzione in virtù della rinuncia allo stesso dell’ente proponente, la Regione Trentino Alto Adige, motivata a sua volta con il riconoscimento dell’altrui competenza operato dalla controparte. Oggetto della disputa era la competenza normativa a disciplinare le banche regionali, che prima della riforma costituzionale era ascritta solo alle Regioni a statuto speciale: nella fattispecie, talune note delle filiali di Trento e Bolzano della Banca d’Italia avevano rivendicato, viceversa, l’applicazione della normativa regolamentare statale, ma la Consulta nulla aveva avuto da eccepire allorché la Regione Trentino Alto Adige aveva proposto conflitto d’attribuzione nei confronti del Governo e non, invece, nei confronti della Banca d’Italia.

Se è stata interpretata correttamente tale presa di posizione della Corte Costituzionale, il principio non dovrebbe essere modificato con l’attribuzione anche alle Regioni ordinarie, operata con la legge costituzionale  3/2001, della competenza bipartita a normare in materia di banche regionali: un riparto di competenze che è stato aspramente criticato per altri motivi, vale a dire per l’inconsistenza dell’obsoleto elenco degli istituti di credito inserito dal legislatore costituzionale[39], e che in virtù di tale incertezza sulla nozione di “banca regionale” potrebbe altresì scatenare dissidi tra la Banca Centrale e le singole Regioni.

Un analogo silenzio della Consulta, inoltre, si riscontra nell’ordinanza n. 378 del 23 luglio 2002[40], che ha dichiarato l’estinzione dei processi concernenti tre conflitti d’attribuzione sollevati dalla Provincia autonoma di Trento: l’oggetto era rappresentato dalla delibera dell’Autorità di garanzia nelle comunicazioni di approvazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze e da due successive delibere integrative approvate dallo stesso organismo. La Provincia di Trento, infatti, contestava la violazione del proprio Statuto, in quanto l’Autorità di garanzia nelle comunicazioni avrebbe adottato tali atti senza che fosse maturata la necessaria intesa con l’Ente locale e altresì senza indicare eventuali ragioni di interesse nazionale, unico presupposto in presenza del quale sarebbe stata ammessa la decisione unilaterale dell’organismo indipendente.

La Provincia, tuttavia, aveva proposto il conflitto inerente a tali provvedimenti dell’Autorità indipendente non già contro la medesima Autorità, bensì nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri: la Corte Costituzionale, tuttavia, non si è espressa né sul merito della questione, né sulla corretta individuazione del legittimato passivo, essendo intercorsi frattanto contatti tra le due parti contendenti ed essendo stata raggiunta amichevolmente un’intesa tra le stesse.

Ma fino a quando potrà durare questo interessato silenzio?

 

 

9.   Un conflitto di attribuzioni tra Magistratura e legislatore per l’attribuzione all’Autorità di compiti quasi-giurisdizionali?

Solo in un altro caso, infine, la Consulta è stata investita  di un conflitto di attribuzioni avente ad oggetto, sotto un diverso profilo, le competenze ed i poteri ascritti ad un’Autorità indipendente. Si tratta di un conflitto sollevato dal Giudice di pace di Scandiano nei confronti del legislatore, che, istituendo il Garante per la protezione dei dati personali con la legge 675/1996, avrebbe attribuito alla nuova Autorità compiti paragiurisdizionali in conflitto con il monopolio sul controllo che viceversa la Costituzione, agli artt. 104 e 105, avrebbe fondato in favore della Magistratura.

Il Giudice di pace emiliano, per contestare al Garante della Privacy l’esercizio di attribuzioni che costituzionalmente spetterebbero solo alla Magistratura, ha individuato come convenuto il legislatore, “reo” di aver assegnato suddette competenze all’Autorità indipendente.

In particolare, il giudice contestava la possibilità per il Garante di svolgere indagini e atti di vigilanza, di compiere ispezioni e atti di accertamento, nonché di comminare sanzioni nei confronti di “qualsiasi persona fisica e giuridica” e, dunque,  finanche dei magistrati.

La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 244 del 17 giugno 1999[41], non si pronunciò sull’individuazione del legislatore quale legittimato passivo, ma dichiarò inammissibile il conflitto per carenza del requisito soggettivo del Giudice di pace, in quanto nel caso di specie il ricorrente agiva in qualità di coordinatore dell’ufficio.

Ci si chiede, tuttavia, quale possa essere l’esito di un tale conflitto qualora fosse sollevato da un qualsivoglia altro giudice, operante in fase decidente e non già come coordinatore, e soprattutto se legittimato passivo debba essere il legislatore o, viceversa, l’Autorità indipendente con poteri quasi-judicial.

 

 

10.        Le sei possibili obiezioni alla legittimazione delle Autorità indipendenti ad essere parte dei conflitti

Sei sono le possibili obiezioni che si potrebbero muovere all’utilizzo dei conflitti di attribuzione come strumento per garantire indipendenza ed accountability alle Autorithies: due rilievi  concernono l’efficacia pratica di una simile soluzione, mentre i quattro restanti argomenti mirano a negare tout court  la loro titolarità  ad essere parte di tali giudizi.

Si potrebbe obiettare, infatti, che: i conflitti d’attribuzione non risolverebbero il problema della responsabilità istituzionale di tali organismi, essendo solo strumenti ricognitivi delle sfere di attribuzione; sono stati raramente sollevati nell’effettività; le Autorità indipendenti non sono organi di vertice dei poteri;  anche se lo fossero, non sono parte integrante dei poteri tradizionali; anche se lo fossero, non appartengono allo Stato-persona; non sono previste esplicitamente in Costituzione.

 

 

11.        La prima obiezione: i conflitti d’attribuzione sono solo ricognitivi, non sono efficaci

La prima obiezione è parzialmente corretta, poiché critica l’utilità dei conflitti d’attribuzione ai fini del “controllo dei controllori”, atteso che il giudizio della  Corte Costituzionale inerisce, ai sensi del già citato art. 37 della legge 87/1953, soltanto alla “delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri” in caso di sovrapposizioni.

Si ribadisce, tuttavia, che in una logica di “controlli diffusi” i conflitti d’attribuzione sarebbero non l’unico, ma solo uno dei plurimi legami istituzionali cui assoggettare le Autorità e che essi, in tale ottica, sarebbero  preziosi nei casi di straripamenti dell’attività di tali organismi o di minaccia alla loro indipendenza da parte di altri organi.

Tali ipotesi sono frequenti proprio perché le Autorità indipendenti - esercitando sia poteri normativi, sia poteri amministrativi, sia poteri di controllo quasi giudiziali - sono particolarmente esposte al rischio di overlapping, a maggior ragione allorché talune di esse esplicano i propri compiti in settori attribuiti solo o anche al potere legislativo regionale.

E’ bene, tuttavia, compiere talune precisazioni.

Prima di tutto, il rischio di un conflitto di attribuzioni tra Autorità indipendenti e Magistratura si profila solo nei casi in cui taluni organismi - in particolare il Garante per la protezione dei dati personali, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e la Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali -  sono deputati a svolgere compiti di indagine, di controllo, di cura e risoluzione delle controversie, di irrogazione di sanzioni.

Solo in caso di invasioni eclatanti, inoltre, può ipotizzarsi un contrasto suscettibile di essere risolto dalla Corte Costituzionale allorché le Autorità indipendenti denuncino un sindacato troppo penetrante da parte del giudice ordinario, di quello amministrativo o di quello contabile. Il problema dell’accountability si incentra proprio sui limiti imposti al controllo sugli atti e sui comportamenti delle Autorità - in particolare per ciò che concerne le misure cautelari e il sindacato su discrezionalità tecnica ed eccesso di potere -, ma non spetta alla Consulta in sede di conflitto di attribuzioni il compito di tracciare i confini della verifica giurisprudenziale e di controllare di volta in volta il rispetto di tali steccati.  Autorevole dottrina, infatti, ritiene che le Authorities, se fossero legittimate, potrebbero proporre conflitto “nei soli limiti in cui il sindacato sull’atto comprometta in modo diretto e specifico l’interesse costituzionale di cui l’autorità è esclusiva depositaria”[42].

A maggior ragione, non sono suscettibili di essere oggetto di conflitto di attribuzioni i contrasti tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo circa la legittimazione a decidere in materia di atti e comportamenti delle Autorità indipendenti. E’ senz’altro vero che  in tale settore è labile il discrimen tra diritto soggettivo ed interesse legittimo e che sono particolarmente controverse le formule di attribuzione di blocchi di materie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a maggior ragione in seguito alla recente sentenza manipolativa 204/2004 della Corte Costituzionale che ha modificato gli artt. 33 e 34 del d.lgs. 80/1998; è innegabile, tuttavia, che tali contrasti vertono su questioni di giurisdizione devolute alla competenza della Corte di Cassazione ed insuscettibili, anche per espressa previsione dell’art. 37 della legge 87/1953, di essere risolte mediante conflitto di attribuzioni.  

 

 

12.        La seconda obiezione: ai conflitti di attribuzione si preferiscono i gentlemen agreements

La seconda obiezione evidenzia, invece, come i conflitti d’attribuzione – su cui vertevano grandi aspettative da parte dei Padri Costituenti – siano stati scarsamente utilizzati nell’effettività in un cinquantennio di vita repubblicana, essendo state risolte le sovrapposizioni istituzionali dalle dinamiche politiche e dai gentlemen agreements tra i contendenti[43].

Dato incontrovertibile, questo, ma che non necessariamente sarebbe confermato anche per eventuali contrasti che vedono come protagoniste le Autorità indipendenti.

Da una parte, infatti, i conflitti finora sollevati hanno avuto generalmente come soggetti passivi gli organi giurisdizionali e questo lascia preconizzare un loro utilizzo anche verso gli organismi più spiccatamente paragiurisdizionali.

Dall’altra, come si è già rimarcato,  le Autorità esercitano poteri amministrativi, normativi e semigiurisdizionali, ponendosi nel crocevia del panorama istituzionale ed esponendosi ontologicamente a rischi di conflitti d’attribuzione.

Infine, bisogna considerare che proprio la minaccia di un conflitto d’attribuzioni induce i soggetti istituzionali a comporre amichevolmente le controversie.

 

 

13.        La terza obiezione: le Autorità indipendenti non dichiarano definitivamente la volontà di un potere

La terza obiezione, invece, sposta l’attenzione sulla legittimità: secondo questa posizione le Autorità indipendenti non sono “organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono”, come richiede l’art. 37 della legge 87/1953[44].

Orbene, a prescindere dall’individuazione della nozione di potere, si può invece affermare che la potestà di compiere la richiesta attività definitiva sia in re ipsa nell’indipendenza di questi organi.

L’indipendenza, infatti, postula l’estrinsecazione definitiva della volontà e determina nei confronti di tali organismi lo status di istituzioni superiores non recognescentes. D’altra parte, è indiscussa l’insuscettibilità degli atti amministrativi delle Autorità indipendenti ad essere impugnati mediante ricorsi gerarchici propri ed impropri, mentre una consistente dottrina nega finanche la proponibilità avverso tali provvedimenti dei ricorsi straordinari al Capo dello Stato, a causa del ruolo assunto nel loro ambito dal Consiglio dei Ministri[45].

Non a caso, è proprio l’indipendenza non solo della Magistratura - “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” ex art. 104 comma 1 della Cost -, ma anche di ogni singolo magistrato[46] - costituzionalmente sancita all’art. 107, comma 3, allorché si statuisce che “i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzione”[47] - ad aver determinato l’orientamento consolidato della Corte Costituzionale che ritiene legittimato attivo e passivo qualsivoglia giudice o pubblico ministero.

A parte la constatazione empirica per cui, allo stato dell’arte, è un nonsense ritenere ammissibile un conflitto d’attribuzioni sollevato dal Giudice di Pace del più piccolo paese d’Italia e non offrire tale strumento istituzionale al Governatore della Banca d’Italia ovvero all’Autorità antitrust, va inoltre contestato l’assunto espresso dalla Consulta nel 1995 e nel 2000 secondo cui, “nonostante la particolare posizione di indipendenza riservata all’organo nell’ordinamento”, l’Autorità  “esercita attribuzioni… non idonee a fondare le competenze della medesima a dichiarare definitivamente la volontà di uno dei poteri dello Stato”[48].

La condizione della suscettibilità a dichiarare definitivamente la volontà di un potere, infatti, è autonoma dagli altri presupposti soggettivi richiesti per essere ammessi a sollevare conflitto di attribuzioni e coincide con il requisito dell’indipendenza: di qui la contraddittorietà della statuizione immotivata della Corte Costituzionale, atteso che non è possibile dichiarare definitivamente la volontà del proprio potere senza essere indipendenti, ma anche che non è possibile essere indipendenti senza dichiarare definitivamente la volontà del proprio potere[49].

Non a caso, i giudici di Piazza del Quirinale hanno reiteratamente negato la legittimazione ad essere parte dei conflitti d’attribuzione dei direttori generali dei dicasteri[50] e dei singoli ministri[51] in quanto impossibilitati a dichiarare definitivamente la volontà del potere esecutivo: tale impossibilità è stata motivata proprio con il loro inquadramento nel sistema istituzionale fondato sull’art. 95 della Cost., che prevede la responsabilità ministeriale e del Consiglio dei Ministri e, dunque, un complesso verticisticamente organizzato con all’apice il Governo nella sua collegialità.  Viceversa, il sancta sanctorum della dottrina amministrativistica, come si vedrà, fonda la legittimità costituzionale delle Autorità indipendenti su una lettura rinforzata del principio di imparzialità della Pubblica Amministrazione sancito dall’art. 97 della Cost: enucleandosi dall’imparzialità il principio di neutralità, infatti, si riconosce l’indipendenza dal Governo delle Authorities e la loro insuscettibilità ad essere ricondotte nel meccanismo istituzionale delineato dall’art. 95 della Cost. Il sillogismo aristotelico, allora, sembra corretto: se i Ministeri non sono competenti a dichiarare definitivamente la volontà del proprio potere, e dunque non sono in posizione di indipendenza, perché inseriti nel circuito rappresentativo della responsabilità ex art. 95 della Cost., e se le Autorità allorché esplicano poteri amministrativi non trovano il proprio fondamento nella medesima disposizione, allora le Autorità in quanto indipendenti sono deputate a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono.

Assolutamente fuori luogo, considerata l’autonomia del criterio dell’indipendenza, è il rilievo causale che presumibilmente la Consulta ha voluto attribuire all’assenza di specifico rilievo costituzionale delle attribuzioni: si tratta, in effetti, di una condizione separata e distinta rispetto a quella dell’idoneità a dichiarare la volontà definitiva di un potere dello Stato[52]. Ed infatti, la Corte Costituzionale ha ammesso con giurisprudenza consolidata la legittimazione attiva a proporre conflitti di attribuzione della Corte dei Conti[53] e della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura[54] motivando tale decisum sia con lo specifico rilievo costituzionale delle competenze assegnate a tali soggetti, sia - sub specie di competenza a dichiarare il volere definitivo del potere - con la loro posizione di indipendenza nell’ordinamento: una riprova, questa, dell’autonomia dei due requisiti e, dunque, della fumosità del terzo rilievo mosso alla legittimazione delle Authorities.

Ne’ può ritenersi che la Corte Costituzionale abbia negato il richiesto status soggettivo alle Autorità indipendenti non  già in quanto prive di posizione apicale, bensì in quanto la loro non subordinazione gerarchica si situa al di fuori dei canonici tre poteri: il requisito dell’indipendenza e quello della partecipazione ad un potere dello Stato sono distinti, ancorché coordinati, e dunque la Consulta in tal caso avrebbe dovuto negare la legittimazione sostanziale, vale a dire l’appartenenza al potere, e non già la legittimazione processuale, e dunque la suscettibilità a dichiararne definitivamente la volontà. La Corte, insomma, se avesse ritenuto di escludere la possibilità di resistere ad una  vindicatio potestatis a causa di una supposta estraneità delle Autorità rispetto alla tripartizione dei poteri, avrebbe dovuto correttamente motivare tale decisione negando l’appartenenza ad un potere, non già l’idoneità a dichiararne definitivamente la volontà[55].

Dunque, è evidente l’aporia in cui è incorsa la Corte Costituzionale negando la legittimazione alle Authorities. Delle due l’una: o si deve individuare come soggetto processuale in vece dell’Autorità il Parlamento o addirittura il Governo, circostanza questa che costituirebbe un palese vulnus all’indipendenza[56], o invece si deve giungere all’assurda conclusione secondo cui mai un’attività di un organismo indipendente lesiva di un’attribuzione di un’altra istituzione, e viceversa, possono essere oggetto di un conflitto di attribuzioni. Tale ultima conclusione è assurda se solo si considera la vicenda che ha condotto all’ordinanza n. 378/2002 della Corte Costituzionale, vale a dire il conflitto sollevato dalla Provincia autonoma di Trento avverso tre delibere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni[57]. Risulta evidente che se non fosse stata istituita tale Autorità, il piano nazionale di assegnazione delle frequenze sarebbe stato approvato da un’articolazione ministeriale e come tale sarebbe stato legittimamente oggetto di un conflitto d’attribuzione: non si vede, allora, perché dotare le Autorità indipendenti della “guarentigia” dell’assenza di legittimazione passiva e, inoltre, privare le stesse dell’opportunità della legittimazione attiva.

 

 

14.        La quarta obiezione: le Autorità indipendenti non sono un potere dello Stato

Il quarto rilievo consiste proprio nella negazione della legittimazione sostanziale a partecipare ai conflitti da parte delle Authorities e, dunque, nell’affermazione secondo cui esse, quantunque  autonome, non appartengono alla tradizionale tricotomia dei poteri codificata da Montesquieu e tralatiziamente giunta fino ai giorni nostri.

Affermazione, questa, che autorevole dottrina smonta solo parzialmente[58],  ponendosi nella medesima ottica di divisione dei poteri e considerando in qualche modo le Autorità indipendenti come un quarto potere.  Probabilmente, invece, un simile assunto può essere contestato ancor più in radice negando che i poteri in senso oggettivo si radichino specularmene in poteri in senso soggettivo, intesi come complessi di organi gerarchicamente organizzati[59].

La tematica inerente alla nozione di potere dello Stato ed al superamento del principio di separazione dei poteri, invero, richiederebbe ben altri approfondimenti e, pertanto, può essere solo segnalata come argomento degno di primaria attenzione.

Va solo ricordato come ormai ampia dottrina teorizzi l’assenza in Costituzione della tripartizione dei poteri, almeno in senso soggettivo, o comunque il superamento del disegno costituzionale originario ascrivibile alla fisiologica dinamica istituzionale che ha contraddistinto il Paese in mezzo secolo: dunque, le Autorità indipendenti sarebbero legittimate non perché esse costituiscono un quarto potere in senso soggettivo – ciò che a questo punto non sarebbe corretto dire – ma perché non esistono affatto poteri in senso soggettivo [60].

Secondo tale teoria, in particolare, non è più possibile fotografare l’architettura istituzionale dell’ordinamento secondo i rigidi schemi della separazione soggettiva dei poteri, bensì ci si dovrebbe riferire ad una costellazione di poteri oggettivamente intesi, bilanciati tra loro secondo il modello dei pesi e contrappesi[61].

Le Autorità indipendenti, in tale ottica, costituiscono soggetti istituzionali in grado di esplicare funzioni trasversali rispetto alla canonica tripartizione dei poteri: quantunque il legislatore si sforzi di definirle “amministrative”[62], in realtà esse esercitano anche compiti normativi e paragiurisdizionali e, nell’esercitare tali poteri oggettivamente intesi, si connotano per una spiccata indipendenza che dovrebbe garantire loro il passepartout per i conflitti di attribuzione[63].

La teoria della moltiplicazione dei poteri, lungi dal costituire una stravaganza dottrinaria, è stata implicitamente obliterata dalla Corte Costituzionale proprio in materia di conflitti d’attribuzione, avendo la Consulta ammesso a partecipare soggetti istituzionali che sono poi stati etichettati come come organi-potere e come poteri-organo. Proprio l’elaborazione di queste due figure, invero, costituisce un duro colpo alla fissità della ricostruzione tradizionale ed apre un importante varco al riconoscimento del potere delle Autorità indipendenti di proporre conflitti d’attribuzione.

All’interno dei tre originari complessi soggettivi, infatti, esisterebbero organi-potere, come i singoli giudici[64]. A tale riguardo si obietta che proprio nella Pubblica Amministrazione, in quanto gerarchicamente organizzata, sarebbero difficilmente configurabili tali soggetti: tale obiezione, tuttavia, si scontra con l’argomentazione che nega la riconduzione di tutti i compiti delle Autorità indipendenti alla funzione amministrativa e con il rilievo secondo cui proprio tali organismi, quando sono esplicazione del potere amministrativo, vulnerano il principio del monopolio della responsabilità governativa sancita dall’art. 95 della Cost.

Più che organi-potere, tuttavia, le Autorità indipendenti costituiscono dei veri poteri-organo, vale a dire soggetti non riconducibili tout court ad uno dei poteri appartenenti alla tassonomia tradizionale, ma ciò nonostante autorizzati a partecipare ai conflitti. Il fatto che la Consulta abbia ammesso la legittimazione di altri  poteri-organo - il Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale, il Parlamento in seduta comune, il Consiglio Superiore della Magistratura, addirittura l’ex Capo dello Stato[65]-, in effetti, costituisce il termometro di un assetto istituzionale complesso e difficilmente assoggettabile a semplificazioni ricostruttive e rappresenta un precedente che difficilmente potrà essere trascurato dal giudice di costituzionalità.

 

 

15.        La quinta obiezione: le Autorità indipendenti non appartengono allo Stato-persona

La quinta obiezione, pur riconoscendo lo status di potere alle Autorità indipendenti, nega loro quello di “potere dello Stato”.

L’argomentazione muove da un’interpretazione letterale dell’art. 134 della Cost: tale disposizione, infatti, enuclea prima i “conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato” e poi  quelli “tra lo Stato e le Regioni”, oltre che i conflitti tra Regioni.

Per la dottrina dominante, una simile formulazione non si presta ad equivoci: poiché le Regioni appartengono allo Stato-ordinamento e in tale disposizione sono poste in alternativa allo Stato, quest’ultima dicitura si riferisce esclusivamente allo Stato-persona. Atteso che le Regioni sono gli unici soggetti istituzionali esulanti dallo Stato-persona cui la Costituzione ascrive il potere di essere parte di conflitti d’attribuzioni, non sarebbero ammissibili conflitti intersoggettivi diversi da quelli tra Stato-persona e Regioni e, dunque, le Autorità indipendenti - che pure sono inquadrabili nello Stato-ordinamento senza poter essere inglobate nello Stato-persona - non sarebbero legittimate alla medesima partecipazione.

In verità questa posizione dottrinaria, pur ben argomentata, è stata smentita di fatto dalla Corte Costituzionale[66], allorché essa ha riconosciuto - con orientamento consolidato, vidimato finanche dalle due ordinanze che hanno negato la legittimazione passiva delle Autorità indipendenti - l’identità di potere dello Stato al gruppo di elettori composto da cinquecentomila promotori del referendum e dunque allorché ha ritenuto ammissibile il conflitto sollevato dal suo comitato rappresentativo[67]. Ora, il conflitto tra tale comitato promotore ed il Governo non può considerarsi senz’altro intrasoggettivo, non potendo il gruppo di elettori essere iscritto nello Stato-persona: non si vede perché allora una tale chance non possa essere offerta altresì a figure istituzionali di ben altro rilievo e situate nel baricentro dell’ordinamento, che pertanto necessiterebbero dei conflitti d’attribuzione come extrema ratio per risolvere i frequenti attriti cui sono soggette, come strumento ulteriore di accountability, ma anche come rilevante presidio dell’indipendenza avverso indebite ingerenze altrui. 

 

 

16.        La sesta obiezione: l’assenza di uno specifico rilievo costituzionale

 Il vero ostacolo al riconoscimento alle Autorità indipendenti della legittimazione ad essere parte dei conflitti, in realtà, è costituito dall’assenza - per utilizzare le parole utilizzate dalla stessa Corte Costituzionale nelle citate ordinanze nn. 226 del 1995 e  137 del 2000 - di “uno specifico rilievo costituzionale” delle rispettive attribuzioni[68].

Invero, sembra che proprio la mancanza di uno “specifico rilievo costituzionale” costituisca il discrimen tra le Autorità indipendenti ed il comitato promotore del referendum[69]: anche per quest’ultimo soggetto, infatti, si pongono le altre obiezioni di legittimità mosse alle Autorità indipendenti, ma tali rilievi - uniti alla sua natura ontologicamente transeunte - non hanno precluso alla Consulta di  riconoscerlo quale soggetto ammesso a proporre conflitti di attribuzioni. Tale orientamento, infatti, è stato affermato risolutamente in virtù di una disposizione costituzionale -l’art. 75 della Cost -  che, quantunque stringatamente, ascrive a cinquecentomila elettori il potere di richiedere l’indizione di un referendum abrogativo. Sebbene la Carta Costituzionale non menzioni esplicitamente il comitato promotore, insomma, il riferimento super-primario alla potestà degli elettori di proporre un referendum costituisce un “ombrello” sufficiente ad attribuire “specifico rilievo costituzionale” ai compiti da esso esplicati.

Ma davvero de jure condito si può sostenere che manca uno “specifico rilievo costituzionale” per i poteri esercitati dalle Autorità indipendenti?

Come precedentemente evidenziato, le due pronunce della Consulta hanno fatto riferimento, in maniera volutamente equivoca, sia all’assenza di specifico rilievo costituzionale, sia al fatto che le attribuzioni delle Autorità sono “disciplinate dalla legge ordinaria”: in entrambi i casi, la Corte Costituzionale non ha chiarito se la mancanza di un richiamo precipuo in Costituzione comporti  inevitabilmente la negazione di dignità costituzionale. Ci si chiede, insomma, se la specificità del ruolo costituzionale delle attribuzioni possa sussistere a prescindere da un esplicito riconoscimento nella Carta o, viceversa, se l’assenza di un formale riferimento costituzionale sia di impedimento alla partecipazione ai conflitti d’attribuzione[70].

La risposta a tali quesiti, invero, non può prescindere dalla considerazione secondo cui non è l’art. 134 della Cost., bensì l’art. 37 della l.  87/1953 - che, si ricorda, è disposizione di fonte solo primaria, come tale già interpretata estensivamente dalla Corte - a richiedere un rango costituzionale per le attribuzioni su cui è possibile configgere dinanzi alla Consulta.

Soprattutto, va evidenziato  che il suddetto articolo specifica che “il conflitto tra poteri dello Stato è risoluto dalla Corte costituzionale se insorge… per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”.

L’utilizzo, da parte del legislatore, del termine “norma”, anziché del termine “disposizione”, è sintomatico della possibilità di ammettere al giudizio della Corte Costituzionale anche i conflitti tra soggetti istituzionali non formalmente previsti in Costituzione, esercenti attribuzioni non espressamente codificate nella Carta Fondamentale, purché tali istituzioni e tali compiti si collochino in un “ambiente super-primario”. E’ norma, infatti, il significato che si desume dalla disposizione a seguito di un’operazione ermeneutica complessa, nella quale sono utilizzati anche i criteri dell’interpretazione sistematica e quelli fondati sulla ratio legis, la quale si astrae dalla volontà del legislatore-persona fisica per adeguarsi al mutato contesto storico e normativo: il significato dell’enunciato, insomma, si depsicologizza.

E’ evidente, allora, che il rilievo costituzionale delle attribuzioni - quantunque debba essere specifico, secondo il dictum della Corte - può sussistere anche mancando una formale menzione in Costituzione,  laddove però tali funzioni si situino in un habitat che abbia spessore costituzionale.

D’altra parte, la Consulta ha ammesso la capacità sostanziale e processuale dell’Ufficio centrale per il referendum, in relazione al quale “la legge ordinaria rappresentava la fonte sia delle attribuzioni che della stessa esistenza dell’organo”[71].

 

 

17.        L’ambiente costituzionale delle Autorità indipendenti

 L’introduzione così massiccia di Autorità indipendenti nel nostro ordinamento, in realtà, ha  rappresentato una  rottura costituzionale rispetto all’architettura istituzionale  prefigurata nella nostra Carta fondamentale.

Pur tuttavia, non occorre scomodare la controversa nozione di “costituzione materiale” per affermare che tutte le Autorità indipendenti sono ubicate in un ambiente ad alta densità costituzionale e che, dunque, esplicano funzioni di indubbio rilievo super-primario.

E’ unanime, infatti, la constatazione della compatibilità di tali organismi con il nostro ordinamento costituzionale, ipotizzando taluni autori finanche l’imprescindibilità della loro indipendenza e, dunque, l’incostituzionalità di un eventuale atto di fonte primaria che relativizzi la loro autonomia rispetto al Governo: le loro caratteristiche, infatti, sono così originali e dirompenti da imporre lo sforzo di individuare già  de jure condito un ancoraggio costituzionale.

a) Nell’esplicazione dei poteri amministrativi, le Autorità indipendenti trovano il fondamento legittimante nel principio d’imparzialità, sancito all’art. 97 della Costituzione. Tale disposizione stabilisce che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.

Secondo la tesi in parola, questa disposizione avrebbe subìto un’evoluzione, assumendo su di sé il carico di proporre un diverso archetipo di amministrazione.

In sostanza, l’imparzialità dell’art. 97 genererebbe oggi due norme tra loro parallele. Da una parte, imporrebbe trattamenti ragionevoli e non discriminatori nell’attività della Pubblica Amministrazione tradizionale, raccordata alla responsabilità individuale dei ministri e a quella collegiale del Consiglio dei Ministri; dall’altra, legittimerebbe un diverso modello di Amministrazione[72], neutrale fino al punto da esercitare la propria attività in modo da rispettare le regole del gioco, senza posporre i  principi inerenti al settore regolato ad interessi pubblici ultronei. Si delineano, insomma, almeno due moduli di amministrazione. Il primo, che fino a qualche decennio fa si proponeva come l’unico e che  segue il modello affermato dalla l. 1483/1953, consiste in articolazioni burocratiche riconducibili alle agenzie dei vari dicasteri e per la cui attività “i ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri”. Responsabilità ministeriale cui fa necessariamente da contraltare un rapporto di supremazia o, almeno, di condizionamento  che si esplica in direttive, atti d’indirizzo, controllo degli atti, approvazione dei bilanci. Il secondo, invece, si plasma nelle Autorità indipendenti, che frantumano la tradizionale organizzazione ministeriale, non sono subordinati al Governo ma “soltanto alla legge” e compiono attività per le quali risulta impossibile la responsabilità ministeriale[73].

E’ curioso constatare come l’individuazione del fondamento delle Autorità nel principio di imparzialità sia stata proposta in primis dalla dottrina francese[74] e come al silenzio della Corte  Costituzionale italiana si contrapponga un frenetico attivismo del Conseil Constitutionnel[75]. Il Consiglio transalpino, che pure ha relativizzato il ruolo di tali organismi, ha ancorato questo modello di amministrazione alla sensibilità di taluni settori e ha però stabilito come la eventuale soppressione di una Autorità non possa avvenire se non con la contestuale predisposizione di altri organismi o procedimenti idonei a perseguire le finalità per le quali detta Autorità era stata originariamente istituita. Come a dire: in Francia le autorità sono depotenziate, nel senso che sono più amministrative e meno indipendenti, e tuttavia esse sono costituzionalmente necessitate.

b) Un altro tentativo per “ormeggiare” costituzionalmente l’attività amministrativa delle Autorità indipendenti  valorizza il principio di “buon andamento”, sancito dallo stesso art. 97 della Cost., letto alla luce dei sub-principi di economicità ed efficacia di cui all’art. 1 della l. 241/1990. Si è detto, infatti, che in settori strategici - in cui è possibile un’attività fondata non sul dirigismo, ma  sulla specializzazione - il buon andamento può essere assicurato solo, o meglio, attraverso le scelte discrezionali di un organismo indipendente e tecnico.

c) L’assenza, nella nostra Costituzione, di un numerus clausus di fonti secondarie e  la relatività di molte riserve di legge costituirebbero, invece, le valvole super-primarie idonee a facoltizzare lo svolgimento di attività normativa da parte delle Autorità indipendenti.

d) La garanzia del diritto di azione e di difesa, l’impugnabilità di tutti gli atti amministrativi davanti alla giustizia ordinaria o amministrativa, ma anche l’assenza - nella fase precedente a tale sindacato - di un monopolio da parte della stessa Magistratura sulle attività di ispezione, di controllo e di risoluzione delle controversie garantiscono, ancora, la compatibilità con il nostro sistema ordinamentale dell’esercizio di attività paragiurisdizionale da parte delle Autorità indipendenti.

e) I tentativi precedenti costituiscono sforzi sicuramente sufficienti a giustificare la presenza degli organismi in questione, ma non anche a dimostrare la loro necessaria presenza nell’ordinamento. Diversa l’impostazione di Merusi, che delinea le Autorità indipendenti come “enti autarchici comunitari”  ed individua la doverosità della loro permanenza nella supremazia della normazione dell’Unione europea rispetto alla Costituzione italiana. L’autore, in particolare, riscontra come tutte le Autorità indipendenti oggi sussistenti in Italia – con l’ unica eccezione della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali[76] – derivino la loro funzione dalla normativa comunitaria o, in ogni caso, si collochino “negli interstizi” della disciplina dell’Unione Europea, tanto da far addirittura ritenere che l’affidamento di determinati settori alle Autorità indipendenti risulti costituzionalmente necessitato ex articolo 11 della Cost[77]. Secondo parte della dottrina, inoltre, il riconoscimento della primautè dell’ordinamento comunitario - sebbene non si tratti di sovraordinazione gerarchica stricto sensu, essendo tale ordinamento coordinato e distinto rispetto a quello nazionale, secondo la tesi dualista imperante - risulterebbe potenziata dalla riforma del Titolo V della Cost., operata con la già citata legge costituzionale n. 3/2001: il nuovo art. 117 della Cost, infatti, impone il vincolo del rispetto del law making comunitario sia allo Stato e sia alle Regioni, così introducendo anche formalmente e vigorosamente il riconoscimento dell’Unione europea nella nostra Carta fondamentale[78].

Le Autorità regolative, che sarebbero ineliminabili in virtù delle suddette due disposizioni costituzionali, si caratterizzerebbero come una riedizione, su scala europea, degli enti autarchici istituiti dalla legge Rattazzi: come questi ultimi, sarebbero e promanazione dell’istituzione centrale (per gli enti autarchici lo Stato, per le Autorità l’Unione Europea) da un punto di vista funzionale, mentre solo da un punto di vista organizzativo sarebbero appannaggio dell’ordinamento nazionale. Dunque, il legislatore  potrebbe incidere solo sulla loro struttura: una prospettiva che, secondo Merusi, de jure condendo potrebbe addirittura essere superata mediante un assoggettamento anche organizzativo ai vincoli comunitari. Tale evenienza si realizzerebbe se anche in altri settori sensibili si dovesse seguire il modello del Sistema Europeo delle Banche Centrali, laddove, per ciò che concerne la funzione monetaria, le banche centrali nazionali sono derubricate a meri organi della Banca Centrale Europea[79].

Il tentativo di Merusi è stravagante[80] e, forse, provocatorio: tuttavia è opportuno non sottovalutarlo, se solo si considera - ad esempio - il parere reso lo scorso 11 maggio 2004  dalla Banca Centrale Europea[81] su richiesta del Ministero dell’Economia con riguardo al disegno di legge unificato del 5 maggio 2004 di riforma delle Autorità di vigilanza sui mercati finanziari.

La BCE, in particolare, si felicita per la scelta di confermare le funzioni di controllo prudenziale alla Banca d’Italia e sostiene che “è essenziale assicurare che la riforma e la sua concreta attuazione siano conformi alle disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea sull’indipendenza della banca centrale”, ma anche “che sia prestata la debita attenzione ad assicurare l’indipendenza operativa delle autorità di vigilanza”. Lo stesso parere, pur riconoscendo la legittimità di una norma che limiti la durata del mandato del Governatore della Banca d’Italia, osserva che “qualunque riorganizzazione di una banca centrale che abbia effetto sul mandato del suo governatore dovrebbe prevedere che il Governatore in carica possa continuare a espletare i propri compiti fino alla fine del proprio mandato”: nell’invocare un regime transitorio compatibile con lo statuto SEBC, la BCE ritiene illegittima la disposizione di revoca ex lege del Governatore in carica prevista dal disegno di legge. Ancora. il suddetto parere impone il consenso della Banca d’Italia al trasferimento delle dotazioni patrimoniali dell’Ufficio Italiano Cambi ad una nuova agenzia e si compiace per l’indebolimento del ruolo del CICR rispetto alla proposta originaria del Governo, AC 4705, perché altrimenti sarebbero sorti “dubbi sull’adeguatezza della tutela operativa delle autorità di vigilanza”: espressioni che testimoniano l’imprescindibilità della presenza delle Autorità indipendenti.

Tale imprescindibilità, invero, interessa  le funzioni di vigilanza sul sistema creditizio e su quello dei mercati finanziari non soltanto perché nel nostro ordinamento, a differenza di altri, l’organismo deputato a tali compiti di supervisione è il medesimo che svolge anche la funzione monetaria in qualità di organo del Sistema Europeo delle Banche Centrali. Preoccupazioni analoghe circa la lesione dell’indipendenza sono stati espressi dalla BCE, infatti, anche in relazione a Commissioni estere di vigilanza sul sistema finanziario, sebbene tali organismi non coincidessero con le locali banche centrali[82]: in effetti, in base all’art. 2 paragrafo 1 della Decisione del Consiglio 98/415/CE del 29 giugno 1998, la BCE è competente a formulare un parere obbligatorio non solo in materia di progetti di legge riguardanti una banca centrale nazionale, ma altresì in materia di progetti concernenti le istituzioni di vigilanza sui mercati finanziari suscettibili di influenzare la stabilità di tali organismi. Sintomo, questo, che effettivamente iniziano a consolidarsi dei vincoli esogeni al riformismo statale in grado di rendere intangibile e dunque costituzionalmente necessitata l’indipendenza delle Autorità di garanzia.

  f) Altri tentativi, invece, hanno ancorato la legittimità delle Autorità indipendenti direttamente alle disposizioni che, di volta in volta, riconoscono i diritti costituzionalmente garantiti che esse tutelano o contemperano[83]. E così si è evocata molto opportunamente la teoria delle “istituzioni delle libertà”[84], riconducibile ad Augusto Barbera[85]. Il ricorso del comitato promotore del referendum che invocava il conflitto d’attribuzione contro l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel 2000, propugnava proprio la tesi secondo cui “nulla impedisce che nella Costituzione risieda la attribuzione…cioè la funzione di garanzia dell’imparzialità e della completezza dell’informazione…., mentre nella legge ordinaria si rinvengano le regole relative alle modalità di funzionamento dell’autorità, cioè l’identificazione in concreto della sua competenza, ovvero la misura dell’attribuzione”.

Accanto alle singole disposizioni della Carta, gran parte delle Autorità indipendenti risulterebbero legittimate dai primi due commi dell’art. 41 della Cost., i quali stabiliscono che “l’iniziativa economica privata è libera” e che tuttavia “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. In particolare, si sostiene che la libertà d’iniziativa economica ha subìto nei decenni una profonda eterogenesi e che essa coincide oggi, alla luce della “nuova costituzione economica”  di cui talune Autorità indipendenti sono componenti necessarie[86], con il principio istituzionale del mercato.

Sorprende, a tale riguardo, che un problema così complesso sia stato liquidato con un’affermazione tranciante ed apodittica come quella con cui la Corte Costituzionale, in due occasioni e a distanza di ben cinque anni, ha negato “specifico rilievo costituzionale” alle competenze delle Autorità indipendenti.

g) Tali considerazioni, ovviamente, non escludono l’utilità di una  costituzionalizzazione esplicita delle Autorità indipendenti: tuttavia in tale caso, per dissipare definitivamente qualsivoglia obiezione sulla loro legittimazione nei conflitti d’attribuzione, sarebbe preferibile la disciplina di apposite garanzie e funzioni, e non già un semplice richiamo quale quello ipotizzato dal disegno di legge 2544-A.

 

 

18.        La legittimazione passiva come strumento di accountability

Si è detto che la legittimazione attiva nei conflitti d’attribuzione costituirebbe un utile presidio per l’indipendenza delle Autorità, ma che - nonostante le argomentazioni dottrinali sopra esposte - la Corte Costituzionale discutibilmente nega l’utilizzo di tale strumento per la supposta assenza di rilievo costituzionale di tali competenze.

Non si vede, tuttavia, perché non garantire quantomeno la legittimazione a resistere in tali conflitti, che pure costituirebbe un utile meccanismo di accountability.

Si pensi all’ipotesi - non proprio di scuola, considerato che i tre casi di cui è stata interessata la Corte costituzionale nel 1995 e nel 2000 attenevano proprio a tali fattispecie - in cui un’Autorità indipendente esorbiti dalle proprie attribuzioni ed invada competenze altrui che siano ascritte dalla Costituzione ad istituzioni ivi riconosciute.

In tale caso, dovrebbe essere assicurata a tali ultime istituzioni la potestà di chiamare in causa le Authorities, così come esse indiscutibilmente possono proporre una vindicatio potestatis nei confronti di organismi che tuttavia sono formalmente previsti in Costituzione.

 

 

19.        Conflitti d’attribuzione tra le diverse Autorità di vigilanza operanti nel settore dei mercati finanziari?

         Si è finora proposto il riconoscimento della legittimazione attiva o, quantomeno, di quella passiva per i conflitti d’attribuzione sussistenti tra una singola Autorità indipendente e la Magistratura, la Pubblica Amministratore od il legislatore, nazionale o regionale.

Più problematico, invece, è riconoscere l’ammissibilità dei conflitti d’attribuzione in caso di sovrapposizioni e invasioni di campo tra diverse Autorità indipendenti.

Soprattutto nel settore della vigilanza sul sistema finanziario, infatti, possono essere frequenti le dispute sull’appartenenza di determinate competenze tra CONSOB, Banca d’Italia, ISVAP, COVIP e Autorità garante della concorrenza e del mercato: tale riparto di attribuzioni è tracciato da diverse leggi tendenzialmente sulla base dei criteri dell’attività esercitata dai soggetti vigilati e della finalità del controllo, ma è altresì affidato al principio di leale collaborazione tra le Autorità, all’esercizio congiunto di taluni poteri ed agli strumenti di consulenza, nonché è temperato dalla mutua inopponibilità del segreto d’ufficio.

Nonostante ciò, in più occasioni si sono creati attriti tra le diverse Authorities circa la spettanza di determinati poteri: per evitare dissidi, legislatore e dottrina hanno in più occasioni proposto strumenti alternativi o aggiuntivi di risoluzione delle controversie.

Si è a lungo discusso, infatti, sull’istituzione di un’Autorità unica di supervisione dei mercati finanziari - secondo il modello che imperversa nell’Europa non mediterranea e che è stato accolto in Inghilterra con l’istituzione della Financial Services Authority - o anche su un’opera di razionalizzazione degli organismi di vigilanza, seguendo l’architettura francese che affida il controllo all’Autorité des Marchés Financiers in materia bancaria e finanziaria ed alla Commission de Control des Assurance, Mutuelles et Institutions de Prévoyance in materia di assicurazioni e previdenza pensionistica privata.

Si è altresì proposto di istituzionalizzare come unico criterio di ripartizione delle competenze quello per finalità, eliminando le deroghe che tuttora sussistono, ovvero di istituire un Comitato di Coordinamento tra i diversi organismi, o ancora di affidare al Parlamento il compito di dettare indirizzi intersettoriali e di raccordo, o, infine, di ascrivere al Ministero dell’Economia e delle Finanze o al Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) la funzione di alta vigilanza sul sistema  e, conseguentemente, il compito di fungere da bretella tra i diversi organismi. Quest’ultima proposta è stata avanzata dalla Commissione Sarcinelli  nel 1991, che suggeriva al vertice il Ministero del Tesoro ed un comitato di saggi[87], e da Padoa-Schioppa, che individuava tale organo di raccordo nel CICR[88].  Il Parlamento[89] ed il Ministero dell’economia[90], rispettivamente nel 2000 e nel 2002,  si sono auto-candidati come  fonte di indirizzi intersettoriali, mentre i disegni di legge di riforma della vigilanza attualmente in esame al Parlamento prediligono l’istituzione di un Comitato di coordinamento[91], la costituzione di un Sistema di vigilanza che salvaguardi l’autonomia delle singole Autorità[92], la creazione di una Commissione parlamentare ad hoc[93] o l’attribuzione di compiti di direzione al CICR[94].

Quest’ultima soluzione, in particolare, è rifiutata da una parte della dottrina, che considera tale disegno istituzionale incompatibile con l’indipendenza delle Autorità: una virtuosa via di mezzo tra il sistema della collaborazione e del coordinamento mediante una struttura apicale potrebbe  essere rappresentata, allora, dalla valorizzazione dei conflitti d’attribuzione tra i vari organismi, che non pregiudicherebbe la loro indipendenza demandando alla Corte Costituzionale le decisioni.

Tuttavia, come segnalato, appare improbabile l’utilizzo dei conflitti d’attribuzione non già per delimitare il campo di attività delle singole Autorità rispetto a quelle di soggetti istituzionali diversi, ma addirittura come una sorta di actio finium regundorum per accertare la sfera di competenza di ciascuna Autorità rispetto alle altre operanti nel medesimo settore: i criteri di riparto per attività e per finalità non si possono chiaramente desumere dalla Costituzione  e ancora troppe sono le deroghe agli stessi disciplinate da puntuali disposizioni di legge ordinaria.

Ciò nonostante, de jure condendo l’istituzionalizzazione di talune Autorità mediante una parziale disciplina in Costituzione o almeno l’introduzione in essa di disposizioni che rinviino anche implicitamente ad un criterio di suddivisione delle competenze di vigilanza avrebbe il benefico effetto di consentire anche la proposizione di conflitti d’attribuzione tra gli organismi di supervisione dei mercati finanziari.

Ciò che secondo l’attuale presidente della CONSOB Cardia[95], lungi dall’alimentare tensioni e turbolenze istituzionali, costituirebbe una garanzia anche preventiva contro gli straripamenti ed un prezioso strumento per comporre ragionevolmente i dissidi.



[1] Le maggiori perplessità sorgono per l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. 

[2] In esito all’ “Indagine conoscitiva sulle Autorità amministrative indipendenti”, deliberata dalla Commissione Affari Costituzionali il 19 gennaio 1999  e conclusasi il 4 aprile 2000, lo Schema di documento conclusivo dell’indagine sulle Autorità indipendenti  della I Commissione, Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni – Camera Deputati sottolinea come l’eterogeneità delle discipline sia “derivante probabilmente da due cause: la frammentarietà degli interventi legislativi” e “la peculiarità di ciascun organismo, anche in relazione ai compiti ad esso affidati”. 

[3] Meccanismo di astrazione che è fortemente contestato da quegli autori – come G. AMATO, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Autorità indipendenti e principi costituzionali, Padova, 1999, p. 13 – i quali condannano l’”inesorabile fascino che esercitano sempre, e anche sui più avveduti, le semplificazioni unificanti”.

[4] Lo Schema di documento conclusivo, cit, ribadisce tuttavia come “l’indipendenza si ricava attraverso una serie di indici rivelatori, di cui non è necessaria la compresenza, ma una valutazione sistematica e ponderata”: a riprova, evidenzia come una “totale franchigia dall’indirizzo politico-governativo” sarebbe incompatibile con il primo comma dell’art. 25 della l. 287/1990 in materia antitrust.  Tale disposizione, sebbene mai applicata, prevede che il “Consiglio dei Ministri, su proposta” oggi del Ministro delle Attività Produttive, “determina in linea generale e preventiva i criteri sulla base dei quali l’Autorità può eccezionalmente autorizzare, per rilevanti interessi generali dell’economia nazionale nell’ambito dell’integrazione europea, operazioni di concentrazione vietate ai sensi dell’articolo 6”. Disposizione probabilmente in contrasto con le norme del Trattato comunitario:  le determinazioni del Consiglio dei Ministri potrebbero configgere non solo con il divieto di aiuti di Stato, ma addirittura con la normativa antitrust dell’Unione, soprattutto alla luce del fatto che “l’interpretazione delle norme” del primo titolo della l. 287/1990  “è effettuata in base ai principi dell’ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza” (art. 1 comma 4 legge 287/1990). Altri casi di direttive sono gli indirizzi governativi di politica generale e l’indicazione delle esigenze di sviluppo nel DPEF (art. 1 comma 1 l. 481/1995), nonché gli indirizzi specifici dell’Esecutivo per la salvaguardia del sistema elettrico nazionale  (art. 1 del d. lgs. 79/1999), entrambi vincolanti per l’Autorità dell’energia e del gas.

[5] E’ la posizione, tra gli altri, di F. MERUSI e M. PASSARO, Le Autorità indipendenti, Bologna, 2003, p. 1, i quali ritengono che le “autorità amministrative indipendenti…non hanno legami con nessun organo politico costituzionale, non col governo, ma neppure col parlamento” . Dello stesso avviso S. CASSESE, La crisi dello Stato, Bari, 2002, p. 24, laddove ritiene che “il Parlamento, nel delegare il potere normativo a corpi indipendenti, conserva il controllo su di essi, nominandone i titolari. Questi, poi, operano in piena indipendenza anche nei confronti del Parlamento, a differenza delle agenzie americane”.

[6] E’, questa, la tesi di V. CERULLI IRELLI, Aspetti costituzionali e giuridici delle Autorità, in L’indipendenza delle Autorità, Bologna, 2001, p. 54, il quale ribadisce che “indipendenza non significa però che le Autorità sono indipendenti anche dal Parlamento. Anzi, dobbiamo affermare proprio l’opposto, perché esse, come Autorità di governo di settore, rispondono in principio al Parlamento, come ne risponde il governo generale del Paese”. CERULLI IRELLI sostiene, infatti, che “il Parlamento, come sede della sovranità generale, è anche la sede delle Autorità indipendenti” in almeno due sensi: la legge ne ha piena disponibilità e il Parlamento potrebbe dettare indirizzi, obiettivi e criteri, quantunque sia lo stesso CERULLI IRELLI ad evidenziare l’assenza di riscontro legislativo per questa sua teoria.  

[7] Inoltre il Parlamento ha già a disposizione la legge ordinaria per modificare le Autorità, le quali sono già “istituzionalmente” da esso dipendenti: tanto che S. CASSESE, La crisi dello Stato, cit, p. 26 evidenzia come le Authorities, paradossalmente, sottraggano il Parlamento dal controllo del Governo. In particolare, CASSESE nota come il Governo, pur essendo promanazione e dunque vigilato dal Parlamento, controlli a sua volta quest’ultimo mediante le iniziative legislative, il rapporto con la maggioranza, l’utilizzo della richiesta di fiducia.  L’Autore, tuttavia, nota come l’istituzione delle Autorità da parte del Parlamento sottragga talune aree al Governo, consentendo al Parlamento di “supervisionare” taluni settori delicati senza il “controllo” dell’Esecutivo. 

[8] Conclusione cui è giunto perfino il Conseil Constitutionneil francese, il quale – a fronte dell’art. 20 della Costituzione transalpina, ben più stringente di quella italiana nel sancire l’esclusività del modello della responsabilità ministeriale – ha affermato la legittimità di soggetti estranei a tale circuito, sebbene abbia relativizzato l’indipendenza degli stessi con altri strumenti istituzionali.

[9] Così A. LA SPINA e G. MAJONE, Lo Stato regolatore, Bologna, 2000, p. 218, secondo cui la delega  risulta paragonabile più all’istituto del trust che a quello dell’agenzia: il settlor-Parlamento delegherebbe un “diritto di proprietà politica” al trustee-Autorità indipendente, il quale sarebbe vincolato all’interesse di lungo periodo (la missione specifica), ma potrebbe legittimamente compiere scelte di breve periodo divergenti da quelle desiderate dal “delegante”. 

[10] A. LA SPINA e G. MAJONE, Lo Stato regolatore, cit, p. 167 e ss.

[11] G. GUARINO, Le Autorità Garanti nel sistema giuridico, in Autorità indipendenti e principi costituzionali, Padova, 1999, p. 35. 

[12] L’espressione è di F. MERUSI e M. PASSARO, Le leggi del mercato, Bologna, 2002, p. 64, i quali affermano che l’esercizio del rule making da parte delle Autorità “stabilisce soltanto regole processuali perché tutti i cittadini possano esercitare ad armi pari la stessa libertà consistente nel concorrere in un mercato “rilevante”, cioè in un luogo giuridico nel quale si possa formare un litisconsorzio fra tutti gli interessati al contraddittorio”. 

[13] Bisogna considerare anche le funzioni di tutela del pluralismo, una volta di competenza del Garante per radiodiffusione ed editoria ed ora ereditate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Inoltre il Regolamento comunitario 2002/178, che prevede l’istituzione a livello comunitario di un’Autorità per la sicurezza alimentare, dovrebbe trovare nelle ancillari istituende Autorities nazionali degli enti-organo. Segnali provengono anche dalla Francia, dove, in esito ai risultati della commissione parlamentare Stasi, il 17 dicembre 2003 il presidente Chirac ha annunciato un’Authority contro le discriminazioni ed a garanzia della non ostentazione di simboli religiosi e politici in luoghi pubblici.

[14] Sono tali alcune funzioni contenziose dell’Autorità antitrust, quelle di conciliazione, arbitrato e valutazione dei reclami dell’Autorità per il gas e l’energia, quelle di mediazione dei conflitti della Commissione sullo sciopero, quelle arbitrali del Garante della privacy, quelle di risoluzione delle controversie in materia di telecomunicazione, nonché i procedimenti per l’irrogazione delle sanzioni condotte dalla CONSOB  e dalla Banca d’Italia. I disegni di legge di riforma della vigilanza sui mercati finanziari, in particolare, prevedono l’attribuzione alla CONSOB-AMEF non solo del potere di seguire il procedimento contenzioso, bensì anche quello di comminare le sanzioni: compito che attualmente le è ascritto solo nei riguardi dei promotori finanziari. Tali proposte, tuttavia, non prevedono - a differenza di ciò che è stato legislativamente introdotto in Francia con riguardo all’Autorité des Marches Financiers -  l’istituzione di un apposita commissione sanzionatoria, distinta dagli uffici che svolgono compiti istruttori.

[15] Piuttosto che l’istituzione di un quarto potere, insomma, l’affermazione delle Autorità indipendenti ha determinato un “mescolamento” ed un bilanciamento dei tre poteri, radicatisi così in un unico soggetto

[16] G. GHIDINI, Ripensare il sistema a partire dall’indipendenza, , in L’indipendenza delle Autorità, p. 105.

[17] M. CLARICH, Un approccio madisoniano, in L’indipendenza delle Autorità, cit, p. 92.

[18] Autorevole eccezione è quella di F. CARINGELLA e R. GAROFOLI, Le Autorità indipendenti, Napoli, 2000.

[19] Viceversa, il testo originario predisposto dal Governo avrebbe previsto la proposta o la controfirma del Presidente del Consiglio o del ministro competente per la nomina dei presidenti delle Autorità indipendenti. Tale disposizione aveva sollevato perplessità da parte della dottrina, che ne scorgeva un tentativo per intaccare l’indipendenza degli organismi: il testo attuale del disegno di legge risulta dalla modificazione approvata nella seduta 573 del 25 marzo 2003.

[20] Il testo, approvato il 30 giugno 1997, avrebbe introdotto il seguente art. 109: “Per lo svolgimento di attività di garanzia o di vigilanza su determinate materie, la legge può istituire apposite Autorità. Il Senato della Repubblica elegge a maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti i titolari delle Autorità  garanzia e di vigilanza. La legge ne stabilisce la durata del mandato, i requisiti di eleggibilità e le condizioni di indipendenza nello svolgimento delle funzioni”.

[21] Il riferimento, in particolare, è ad un progetto di legge d’iniziativa parlamentare: si tratta dell’atto AC 6512, presentato alla Camera dei deputati il 27 ottobre 1999. Tale proposta introduce vagamente il riferimento ai diritti costituzionali e fonda gli organismi indipendenti sul principio d’imparzialità. In particolare, il testo prevede che “per l’esercizio di funzioni di garanzia, regolazione e vigilanza a tutela di diritti di libertà e interessi garantiti dalla Costituzione, la legge può istituire apposite Autorità secondo i principi di imparzialità e di adeguatezza. Il Parlamento elegge, a maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti, i soggetti titolari delle Autorità di cui al primo comma. La legge stabilisce la durata del mandato, i requisiti di eleggibilità e le garanzie di indipendenza delle Autorità. Le Autorità riferiscono ad una Commissione parlamentare, istituita per legge, sui risultati dell’attività svolta ed ogni qualvolta ciò sia richiesto”.

[22] La Corte Costituzionale ha infatti stabilito che una ragionevole interpretazione del nuovo art. 117 della Cost. presuppone l’enucleazione di una summa divisio: da una parte esistono materie in senso stretto, con oggetto specifico e puntuale, e dall’altra esistono materie-scopo, ontologicamente interferenti con altre materie cui esse sono trasversali. Le materie-scopo, avendo valenza pervasiva e non totalizzante, interagiscono con altri settori - con i quali quanto meno è necessario un contemperamento - e come tale rendono doveroso un esame particolarmente attento per individuare il riparto di competenze legislative tra Stato e Regione.

[23] Particolarmente problematica è la previsione del nuovo art. 117 della Cost., che attribuisce il settore della previdenza sociale e quello dei mercati finanziari alla potestà legislativa statale, mentre assegna la materia della previdenza pensionistica privata - che dei due precedenti ambiti è il crocevia - alla competenza concorrente: su tale argomento, G. CIOCCA, Il sistema previdenziale ed il federalismo, in Argom. Dir. del Lav., 3/2003, pp. 739 e ss.

[24] Una scelta che va in controtendenza rispetto all’art. 1 comma 4 lett. a) della legge 15 marzo 1997 n. 57, la quale esclude dal conferimento alle Regioni di compiti e funzioni di amministrazione quelli “di regolazione e controllo già attribuiti con legge statale ad apposite autorità indipendenti”.

[25] Il problema è posto, anche in un’ottica comparatistica, da G. GRASSO, Autorità amministrative indipendenti e Regioni tra vecchio e nuovo Titolo V della Costituzione: alcuni elementi di discussione, in Quaderni Regionali 2003, pp. 791 e ss.  In particolare, l’Autore sostiene che le Regioni hanno “titolo ad intervenire negli ambiti di competenze delle Autorità” e che “questa potrebbe essere la via per definire un primo “statuto” di autorità indipendenti regionali”: in tal caso, si porrebbe sia il problema della “regionalizzazione di quelle Autorità indipendenti che agiscono nelle materie di competenza legislativa concorrente (regionalizzazione parziale) o di competenza residuale (regionalizzazione piena)”., sia il problema del decentramento organizzativo degli organismi indipendenti nazionali.

[26] E’ la posizione di G. GEMMA, Garante per la radiodiffusione e l’editoria e conflitti d’attribuzione fra poteri dello Stato, in Giur. Cost., 1995, p. 1665, secondo cui è “forzata” la posizione, valida solo “in un senso metaforico”, che configura il vecchio Garante per l’editoria “come un organo dello Stato-comunità”. Per GEMMA “il Garante è un “organo centrale dello Stato”, incorporato nell’amministrazione statale”.

[27] Per G. GRASSO, Autorità amministrative indipendenti e Regioni tra vecchio e nuovo Titolo V della Costituzione: alcuni elementi di discussione, cit, p. 829, “proprio l’ipotesi di conflitto tra Autorità indipendenti e Regioni può diventare il “chiavistello” per legittimare la qualificazione delle prime come poteri dello Stato”. Bisogna, infatti, “pensare ad un trasferimento di questi contrasti nell’alveo dei conflitti costituzionali, con l’indicazione di nuovi poteri e soggetti costituzionali”.

[28] L’art. 135 della Costituzione, come risulterebbe dall’approvazione del disegno di legge AS 2544-A, prevede infatti la nomina di cinque giudici da parte del Presidente della Repubblica, di tre giudici da parte della Camera, di cinque membri da parte delle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa e dei restanti sei membri da parte del Senato federale. Tale ultima scelta è stata motivata con la necessità di riequilibrare la composizione della Corte in un’ottica federalista, ma la soluzione adottata non è completamente garantista per le Regioni in quanto il Senato sarebbe federale per competenze e non per composizione.

[29] Tale pronuncia è pubblicata su Foro It., 1995, I, p. 1403, su Cons. St., 1995, II, p. 625, su Giur. Cost., 1995, p. 942 e su Dir. inforn. 1995, p. 842.

[30] G. GEMMA, Garante per la radiodiffusione e l’editoria e conflitti d’attribuzione fra poteri dello Stato, cit, p. 1662, sostiene che “la Corte ha definito un orientamento giurisprudenziale che vale…, ci sembra si possa affermare senza forzature, anche ai casi in cui si possa delineare un conflitto che involga altre autorità amministrative indipendenti”. Diversamente S. NICCOLAI, Quando nasce un potere, in Giur. Cost., 1995, p. 1677, secondo cui “data la grande eterogeneità degli organismi …non è consentita…la automatica conclusione che il diniego…debba valere per tutta la categoria”.

[31]  G. GEMMA, Garante per la radiodiffusione e l’editoria e conflitti d’attribuzione fra poteri dello Stato, cit, p. 1662 sostiene che “questa statuizione…poteva già essere formulata in occasione del primo giudizio di ammissibilità del conflitto e costituire un completamento di motivazione di quella decisione, nonché un fattore di orientamento delle iniziative processuali del comitato promotore del referendum”. Dunque, per GEMMA, nella seconda occasione “la Corte - composta dagli stessi giudici ed avente il medesimo giudice redattore-”, ha seguito il medesimo iter logico della prima pronuncia e, dunque, ha esaminato prima il requisito oggettivo, ritenendolo in questa occasione sussistente.  

[32] Ordinanza pubblicata su Giur. Cost. 1995, pp. 1658 e ss.

[33] S. NICCOLAI, Quando nasce un potere, cit, p. 1675.

[34] S. NICCOLAI, Quando nasce un potere, cit, p. 1672, parla di “primo segno di un travaglio che domani potrebbe farci assistere alla nascita, in via interpretativa, di un potere dello Stato”..

[35] Pubblicata in Giur. Cost., 2000, pp. 1321 e ss. Nella stessa ordinanza, la Consulta ha ammesso come legittimata passiva la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

[36] I promotori dei sette referendum del 21 maggio 2000 lamentavano la lesione della loro sfera costituzionale di attribuzioni in virtù del fatto che gli atti dell’Autorità non imponevano regole che garantissero informazioni di carattere istituzionale, positivo, obiettivo e neutrale, così come richiede la l. 28/2000. Nel ricorso, il comitato promotore sostenevano :“Per ciò che concerne l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dirà la Corte se esa può considerarsi legittimata passiva al conflitto, anche in relazione all’ampia produzione dottrinale che sostiene come tutte le autorità indipendenti siano configurabili quali poteri dello Stato”.

[37] Tale organismo  è strutturalmente complesso e dispone di ben quattro organi in virtù della pluralità ed eterogeneità delle funzioni cui è preposto. Le missioni, infatti, possono bipartirsi in due macrogruppi: da una parte, quella di favorire con l’amministrazione e la regolazione il processo di privatizzazione e liberalizzazione, la qualità dei servizi ed il prezzo delle tariffe nelle telecomunicazioni; dall’altra, coopta la missione prima attribuita proprio al Garante per la radiodiffusione e l’editoria, istituito con la l. 223/1990 ai fini di promuovere pluralismo, imparzialità e obiettività dell’informazione.

[38] Pubblicata in Giur. Cost. 2002, pp. 4126 e ss.

[39] Il nuovo art. 117, comma 2 della Cost. assegna alla competenza bipartita “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”. Un’indicazione impropria: tali categorie di banche, infatti, erano previste dall’art. 1 della legge bancaria del 1936, ma non sono più presenti nel d.lgs. 385/1993. Ne consegue che deve intendersi presente la competenza bipartita sulle “banche regionali”, salvo stabilire i criteri per individuare tale nozione.

[40] La pronuncia è pubblicata in Giur. Cost., 2002, pp. 2818 e ss., con nota di M. MANETTI, pp. 2823 e ss. Regioni e autorità indipendenti in conflitto.

[41] Pubblicata su Foro It., 1999, I, p. 3452.

[42] G. GUARINO, Le Autorità Garanti nel sistema giuridico, cit, p. 35. Il problema dell’ammissibilità di un conflitto di attribuzioni inerente all’intensità del controllo giurisprudenziale è  stato affrontato dalla Corte Costituzionale in relazione a possibili conflitti tra Pubblica Amministrazione e giudici ed è stato risolto positivamente solo in caso di invasioni grossolane e comunque solo in seguito di una pronuncia di ultimo grado.

[43] Lo evidenzia V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale II, Padova, 1998,. p. 411, secondo cui il progetto dei Costituenti, “malamente ed incompiutamente svolto dalla legge n. 87, solo in minima parte…è riuscito a realizzarsi nel concreto dell’esperienza giuridica”: “gli operatori politici a livello costituzionale hanno costantemente preferito comporre (o talora dissimulare) nella dinamica dei rapporti di forza tra loro intercorrenti …contrasti e divergenze”.

[44] Si potrebbe evidenziare come primo rilievo che questo requisito soggettivo è fissato non già dalla Costituzione, bensì dalla legge 87/1953, la quale, essendo ordinaria, sarebbe derogabile da un qualsivoglia atto equiordinato: a meno a sua volta di non aderire alla tesi dello sfrangiamento del grado gerarchico primario e, dunque, della superiorità delle leggi ordinarie rinforzate, in quanto costituzionalmente necessitate, rispetto a quelle ordinarie semplici.

[45] Nel ricorso straordinario, infatti, il Consiglio dei Ministri potrebbe contraddire il parere obbligatorio e non vincolante del Consiglio di Stato, ciò che sarebbe in palese contrasto con la “separatezza” delle Autorità dal Governo.

[46] L’orientamento consolidato ritiene sussistente “la legittimazione attiva e passiva…in capo al giudice per le indagini preliminari ed alla procura della Repubblica presso un tribunale essendo i singoli organi giurisprudenziali…in posizione di piena indipendenza costituzionalmente garantita”. In questi termini, l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 379 del 2 novembre 1996.

[47] I pubblici ministeri, inoltre, sono considerati legittimati attivi e deputati a dichiarare la volontà definitiva del potere cui appartengono anche in virtù della necessaria “indipendenza nell’esercizio delle attribuzioni inerenti all’indagine finalizzata all’esercizio obbligatorio dell’azione penale”. In questi termini, tra le altre, si esprime l’ordinanza n. 521 del 21 novembre 2000.

[48] Il comitato promotore del referendum che propose il conflitto del 2000, nel ricorso, obiettò proprio questo rilievo alla Consulta: “se si intende per definitività dell’atto l’impossibilità che l’atto sia rimosso o annullato da altri organi dello stesso potere, non si dovrebbe negare tale qualità agli atti del garante, a nulla rilevando che essi siano suscettibili di annullamento o di non applicazione in sede giudiziaria, cioè da parte di altro e diverso potere dello Stato”.

[49] Lo rileva anche S. NICCOLAI, Quando nasce un potere, cit, p. 1677, secondo cui “tenendo ferma l’equazione atto non rimuovibile né annullabile uguale atto definitivo, è difficile comprendere perché, ad avviso della Corte, gli atti del garante non sono definitivi”. Secondo l’Autrice tale “contraddizione…non è forse che il riflesso, la fedele traduzione, della collocazione delle autorità indipendenti nel nostro sistema…: organismi che di fatto sono poteri, ma che non sono facilmente raccordabili col nostro disegno costituzionale e proprio perché sono indipendenti”.

[50] Ci si riferisce all’ordinanza della Corte Costituzionale n. 112 del 20 aprile 2000, che afferma l’inammissibilità di un conflitto di attribuzioni “perché, sotto il profilo soggettivo, deve escludersi che al direttore generale del Ministero delle finanze, in quanto organo puramente amministrativo, spetti quella legittimazione passiva che spetta solo al governo nella sua collegialità”.

[51] Tra le tante, va segnalata l’ordinanza n. 216 del 31 maggio 1995: “la legittimazione a resistere…va riconosciuta al Governo, abilitato a prendere parte ai conflitti tra i poteri dello Stato in base alla configurazione che a tale organo è conferita dall’art. 95 comma 1 Cost.”, e non anche al Ministro dell’Interno ed al Ministro di Grazia e Giustizia, in relazione ad un decreto interministeriale loro spettante.

[52] Per G. GEMMA, per la radiodiffusione e l’editoria e conflitti d’attribuzione fra poteri dello Stato, cit, p. 1667, la differenziazione tra potere e organo “consente di non vincolare a statuizioni costituzionali l’individuazione degli organi che esprimono definitivamente la volontà del potere”, per i quali è sufficiente una integrazione mediante legge ordinaria.

[53] Ci si riferisce, ad esempio, all’ordinanza n. 573 del 21 dicembre 2000, nella quale la Consulta ammette il conflitto proposto contro il Governo dalla Corte dei Conti  in quanto essa, “nell’esercizio della sua funzione di controllo preventivo di legittimità”, esplica un’attribuzione, “sia pure di natura ausiliare”, che, “oltre ad essere prevista nell’art. 100 comma 2 cost,  implica la posizione di piena indipendenza dell’organo chiamato a esercitarla”. Analoga motivazione sorregge l’ordinanza n. 323 del 16 luglio 1999 - pubblicata in Giur. Cost., 1999, p. 2572 - con cui la Consulta ha ammesso la legittimazione attiva della Corte dei Conti nell’esercizio della sua funzione di controllo sulla gestione finanziaria degli enti: anche in tale pronuncia la Corte Costituzionale ha opportunamente distinto i due requisiti soggettivi del rilievo costituzionale e dell’indipendenza, ritenendo quest’ultima sufficiente ad integrare lo status di organo competente a dichiarare definitivamente la volontà di un potere.

[54] Il riferimento è, ad esempio, all’ordinanza n. 530 del 22 novembre 2000, con la quale la Corte Costituzionale ha ammesso un conflitto d’attribuzioni proposto dalla sezione disciplinare del CSM contro il Senato avverso una deliberazione di insindacabilità a favore di un magistrato fuori ruolo in aspettativa per mandato parlamentare. La Consulta ha motivato la pronuncia di ammissibilità facendo riferimento sia all’”attribuzione costituzionalmente spettante” al CSM, sia alla “posizione di indipendenza” del medesimo Consiglio.

[55] Per M. PASSARO, Garante per la radiodiffusione e l’editoria come potere dello Stato, in Giur. Cost., 1995, p. 1684, essendo il Garante un potere-organo, “con evidente petizione di principio, la Corte riconduce il difetto del requisito della definitività all’impossibilità di configurare il Garante come potere dello Stato”.

[56] G. GEMMA, Garante per la radiodiffusione e l’editoria e conflitti d’attribuzione fra poteri dello Stato, cit, p. 1662,  si pone il medesimo interrogativo, propendendo per la tesi secondo cui la Corte ha voluto attribuire ad altri organi la legittimazione ad essere parte dei conflitti di attribuzione per gli atti e i comportamenti delle Autorità indipendenti: “Non risultano…pronunce con le quali la Corte ha dichiarato che mai, in assoluto, un organo dello Stato…non possa ledere, con atti o comportamenti, delle attribuzioni di soggetti od organi costituzionalmente configurate”. Lo stesso GEMMA, tuttavia, critica tale posizione della Consulta, a p. 1673: “Una soluzione che disconosca al Garante la capacità processuale per la tutela delle proprie attribuzioni ed affidi il compito di tale tutela al Governo” comporrebbe il difetto di “affidare ad un organo politico, e perciò parziale per definizione, la protezione della sfera di attribuzioni di un organo imparziale”.

[57] L’Avvocatura dello Stato, in tale giudizio, aveva invece propugnato la tesi secondo cui mai un atto di un’Autorità indipendente può essere oggetto di conflitto di attribuzioni: essa, infatti, sosteneva “l’inammissibilità dei ricorsi, in quanto concernenti atti dell’Autorità  per le garanzie nelle comunicazioni, la quale rientrerebbe tra quelle autorità amministrative indipendenti i cui atti non possono essere imputati al Governo, e che non potrebbe neppure essere considerata organo costituzionale dotato di legittimazione passiva”.

[58] G. GUARINO, Le Autorità Garanti nel sistema giuridico, cit, p. 34, riconnettendosi alla teoria che codifica un fourth branch of Government,, sostiene che le Autorità indipendenti costituiscono un potere che ha la funzione esclusiva  “di assicurare la tutela effettiva di un interesse costituzionale primario”, ponendosi così comunque in un’ottica di divisione dei poteri..

[59] V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale II, cit, p. 419 sostiene infatti che “il principio della divisione dei poteri, come principio di diritto positivo, ha un valore soltanto tendenziale” e che “la classica tricotomia - legislativo, esecutivo, giurisdizionale - è ben lungi dall’esaurire la gamma delle manifestazioni del supremo potere statale”. CRISAFULLI nega che ci siano “poteri intesi come complessi di organi per una medesima funzione”

[60] G. AMATO, Autorità semi-indipendenti ed autorità di garanzia, cit, p. 18, sostiene che la Corte Costituzionale, definendosi organo non giurisdizionale che applica moduli giurisdizionali, ha rappresentato il primo colpo per la tripartizione dei poteri: quest’ultima “non ha affatto un valore assoluto…ma riflette l’articolazione istituzionale, quale essa si manifestò due secoli or sono”.  In particolare AMATO ravvisa “nelle autorità indipendenti un’inversione di tendenza rispetto alla plurisecolare divergenza che si era aperta tra il diritto continentale e la common law”. Esse rappresentano, insomma,  una mutua contaminazione e l’anello di congiunzione tra esperienze di common law, che vedono con esse l’affermazione dell’administrative law accanto al tradizionale iuris dicere, ed esperienze di civil law, le quali vedono il diritto amministrativo mutuare forme tipiche della giurisprudenza come le garanzie procedurali e la trasparenza. Si tratterebbe, secondo AMATO, di un vero e proprio terremoto per Paesi formati nella cultura giuridica secondo la quale “tout devient droit public” e sulla roccaforte ideologica della distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo.

[61] Lo evidenzia M. PASSARO, Garante per la radiodiffusione e l’editoria come potere dello Stato, cit, p. 1682, secondo cui “non è più il classico schema tripartitorio che può spiegare la distribuzione dei poteri, ma un meccanismo molto più complesso”: d’altra parte, lo stesso istituto del “potere dello Stato” ha la potenzialità “di registrare l’esperienza giuridica vivente” ed è dotato della “flessibilità di rispecchiare la struttura articolata e pluricentrica dell’ordinamento”. Secondo PASSARO, “non pare che la Corte…abbia saputo recuperare il conflitto al terreno dell’esperienza giuridica reale“.

[62] Ad esempio, l’art. 4 della l. 205/2000 attribuisce loro l’appellativo di “amministrative” e lo stesso art. 87 della Cost., come risulterebbe dalla novellazione ad opera del disegno di legge 2544-A, utilizzerebbe tale denominazione.

[63]  S. CASSESE, La crisi dello Stato, cit, p. 24 contesta “chi ritiene che i poteri debbano essere sempre distribuiti tra apparati” e, tra questi, la teoria  statunitense della progressive era. Una tale concezione, asserisce CASSESE, determina “l’errore di attribuire le autorità indipendenti a uno dei tre poteri, accettando il dogma che tutto ciò che non è legislazione e giurisdizione è amministrazione”.

[64]  V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale II, cit, pp. 426 e ss.

[65] In realtà la Corte Costituzionale, con un’ordinanza interlocutoria - la n. 455 del 2000 -, ha ritenuto ammissibile il conflitto di attribuzioni sollevato da un ex Presidente della Repubblica in quanto “agisce ora quale titolare di una carica non più in atto, per la tutela di attribuzioni presidenziali che, in ipotesi, gli spettavano allora, in relazione a comportamenti da lui tenuti durante il suo mandato presidenziale”. Ma la Consulta non nega la possibilità di considerare ex se legittimato l’ex Capo dello Stato, in quanto “l’art. 59 della Costituzione,…nello stabilire che sia senatore di diritto e a vita…, testimonia che…il titolare conserva una posizione giuridicamente rilevante sul piano costituzionale”.

[66] Si tratta dell’ordinanza n. 14 del 1978.

[67] Dello steso avviso V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale II, cit, p. 430, secondo cui “la Corte è andata in diverso avviso”,  rispetto all’interpretazione dello Stato quale “Stato in senso stretto, come organizzazione autoritaria centralizzata e giuridicamente personificata”, “riconoscendo l’ammissibilità di conflitti di attribuzione…anche tra poteri esterni rispetto allo Stato-persona”.

[68] S. NICCOLAI, Quando nasce un potere, cit, p. 1674, afferma che il problema consiste nel verificare “se norme non formalmente costituzionali possano costituire il punto di riferimento soggettivo del potere”. Per M. PASSARO, Garante per la radiodiffusione e l’editoria come potere dello Stato, cit, p. 1684, “nella giurisprudenza della Corte, molto difficilmente il parametro viene rinvenuto nelle norme costituzionali, tanto che si è ormai consolidata la tendenza ad identificarlo in disposizioni legislative di competenza, in consuetudini di livello costituzionale o in regole desunte dalla prassi”. 

 

[69] Per quanto A. PENSOVECCHIO LI BASSI, Conflitti costituzionali, in Encicl. Del Dir., p. 1003, riconosca che “ha suscitato riserve…la tesi che ricollega il sorgere del conflitto ad attività poste in essere dai soli organi investiti di funzioni costituzionali”.

[70] S. NICCOLAI, Quando nasce un potere, cit. 1995, p. 1676, sostiene che la Corte Costituzionale “ha deciso di esprimersi in un modo che si attesta nel medio tra le due alternative…Essa non ha detto espressamente, ma non si è chiusa la via che dice: può esistere un potere disciplinato da norme di legge ordinaria, qualora le sue attribuzioni assumano uno specifico rilievo costituzionale”.

[71] M. PASSARO, Garante per la radiodiffusione e l’editoria come potere dello Stato, cit, p. 1685.

[72] L’imparzialità  si sarebbe caricata di un significato nuovo e ancor più pregnante, essendosi enucleato da tale principio quello ancor più intenso di neutralità. G. AMATO ricostruisce questa tesi in Autorità di garanzia e Autorità semi-indipendenti, cit, p. 30. Secondo AMATO, la dottrina “ha letto nell’art. 97 della Costituzione le premesse di un’amministrazione diversa da quella, che pure rimane, soggetta al Governo ai sensi dell’art. 95. In base all’art. 97…le ragioni dell’imparzialità possono raggiungere una intensità tale da sottrarre chi le incarna a quella subordinazione al Governo, che è consentita in altri casi ed è addirittura consustanziale a quelli cui intende riferirsi l’art. 95”. G. AMATO, in particolare, accetta quest’impostazione evidenziando la versatilità normativa dell’art. 97, sostenendo che “non c’è…alcuna ragione di principio per escludere che l’imparzialità possa avere significati diversi in contesti diversi e possa esigere in ciascuno di essi requisiti diversi di distanza dagli organi di indirizzo politico-amministrativo”.

[73] V. CERULLI IRELLI, Aspetti costituzionali e giuridici delle Autorità, cit, p. 50, spiega infatti così i due modelli di imparzialità che risulterebbero derivare dall’art. 97: “principio che nell’amministrazione ordinaria sarebbe sufficientemente tutelato, assicurando gli ambiti decisionali riservati ai funzionari, rispetto a quelli degli organi politici…; mentre in determinati settori…nei quali, invero, la funzione amministrativa si esercita principalmente attraverso compiti di regolazione tra i diversi attori sociali (una funzione di terzietà in qualche modo rapportabile a quella del giudice), il principio stesso di imparzialità sembra necessitare la sottrazione totale di quei settori amministrativi, e quindi dei soggetti…e quindi dell’attività…, ad ogni possibilità di influenza del potere politico”.  

[74] Basti ricordare che la Costituzione francese si apre, all’ultimo comma dell’art. 2, con il principio “governo del popolo, dal popolo e per il popolo”, e continua, all’art. 3, ribadendo che “la sovranità nazionale appartiene al popolo che la esercita per mezzo dei suoi rappresentanti e mediante referendum. Nessuna frazione del popolo ne’ alcun individuo può attribuirsene l’esercizio”. E, ancora, l’art. 20 – invocato come parametro per la presunta incostituzionalità delle Autorità – sancisce che “Il Governo determina e dirige la politica nazionale…E’ responsabile davanti al Parlamento nelle condizioni e secondo le procedure previste negli artt. 49 e 50”. Questi ultimi, in particolare, ribadiscono come il “Primo Ministro, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, impegna dinanzi all’Assemblea Nazionale la responsabilità del Governo” e disciplinano la motion de censure e le susseguenti dimissioni del Primo Ministro.

[75] Quest’ultimo - nel difficile compito di conciliare con il principio repubblicano “governo del popolo, dal popolo e per il popolo” degli organismi alieni alla sequenza Parlamento-Governo - ha riconosciuto la costituzionalità delle Autorità amministrative indipendenti, ancorandola tuttavia a precisi paletti istituzionali. Ben dieci sono le sentenze del Consiglio costituzionale francese, volte a legittimare le Autorità contemperandole tuttavia con le norme costituzionali: il che ha comportato la riconduzione esclusiva delle Autorità transalpine al potere amministrativo, la forte limitazione del potere normativo e l’accentuazione dell’accountability a discapito della neutralità. Le prime sentenze, che hanno avviato un percorso argomentativo sviluppato ma non modificato, sono del 18 settembre 1986 (Journal Officiel del 19 settembre) e del 17 gennaio 1989 (Journal Officiel del 18 gennaio). Alla relativizzazione dell’indipendenza, tuttavia, ha fatto da contraltare l’affermazione dell’imprescindibilità costituzionale delle Authorities.

[76] In realtà anche l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici è di origine tipicamente italiana, ma quest’ultima per MERUSI  rientra tra le “false” Autorità indipendenti, vale a dire in quegli enti dotati di spiccata autonomia, ma pur sempre inquadrabili nella Pubblica Amministrazione tradizionale.

[77] F. MERUSI, Le leggi del mercato, cit, Ad esempio, a pag. 98, dove afferma che “i regolamenti delle autorità indipendenti, che tanto hanno impressionato la Commissione parlamentare, derivano dal sistema di produzione di norme comunitarie, cioè di norme federali che attraverso la tecnica della disapplicazione delle norme contrarie spezzano il diritto federato nazionale”.  Con la conseguenza, onestamente stravagante, che i giudici dovrebbero considerare tamquam non esset anche le leggi nazionali contrastanti con i regolamenti delle autorità indipendenti, quando essi sono attuativi di input comunitari.

[78] Secondo F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, I, Milano, 2003, p. 67, ad esempio, la “costituzionalizzazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario elevati a limite per l’esercizio del potere legislativo statale e regionale” sancisce la “irreversibilità del processo di integrazione europea e…della cessione di sovranità” e “rende expressis verbis superfluo il richiamo all’art. 11 della Cost. come parametro costituzionale”

[79] Un analogo procedimento potrebbe caratterizzare, in un futuro prossimo, l’Autorità per le garanzie nella comunicazione e, in particolare dopo il regolamento comunitario 2003/1, l’Autorità antitrust.

[80] La stravaganza, non è tanto riconducibile all’origine storica dell’art. 11 della Cost. - pensato dai Padri costituenti per giustificare l’adesione all’ONU – e forse non lo è nemmeno per la distanza che intercorre tra le Autorità ed il testo letterale della disposizione – secondo il quale l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”- : da una parte, infatti, tale disposizione ha costituito una valvola in grado di giustificare l’adesione all’Unione europea, dall’altra il richiamo esplicito presente oggi all’art. 117 della Cost. sacramenta inequivocabilmente l’assoggettamento alle regole comunitarie. Stravagante è, invece, considerare sufficiente la sola strutturazione “autarchica” per investire di una tale responsabilità l’art. 11. Si potrebbe anche pensare, nonostante l’artificiosità dell’argomento, che così come la normazione derivata dell’Unione Europea, così anche degli organi derivati trovino il loro fondamento nella norma ricavabile dalla disposizione invocata implicitamente da MERUSI: il problema è che ciò presupporrebbe che le Autorità siano organi comunitari anche strutturalmente e non solo funzionalmente, ciò che lo stesso MERUSI esclude con l’unica eccezione di Banca d’Italia.    

[81] Si tratta dell’atto CON/2004/16.

[82] Ci si riferisce in particolare ai pareri CON 2001/10, CON 2001/35, CON 2002/32 e CON 2003/19, rispettivamente inerenti alle riforme della vigilanza in Austria, Germania, Francia e Belgio, laddove le locali banche centrali non svolgevano prevalentemente l’attività di supervisione sui mercati finanziari. Utili spunti provengono anche dai pareri CON 1998/39, CON 2003/23 e CON 2003/24, inerenti alle riforme in Lussemburgo, Olanda e Irlanda.

[83] Vero è che la Corte Costituzionale, nell’ordinanza n. 359 del 22 luglio 1999, ha affermato che “il giudizio per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato non può essere utilizzato come strumento generale di tutela di diritti costituzionali”. Il principio, tuttavia, è stato affermato in relazione ad un conflitto proposto da un avvocato per menomazione della funzione del difensore dovuta ad una non corretta decisione giuridica. Ben altra, invece, è la posizione di un’Autorità indipendente chiamata a bilanciare gli interessi nell’esercizio del potere normativo ed amministrativo.

[84] Così G. AMATO, Autorità semi-indipendenti e Autorità di garanzia, cit, p. 32, che approva tale soluzione.  

[85] Secondo il quale le libertà costituzionali richiedono come condicio sine qua non l’introduzione di organismi “capaci di tenere sotto controllo i poteri che dovessero minacciarle”. Le Autorità indipendenti, in particolare, avrebbero ipostatizzato tale astratta intuizione, e quindi troverebbero la loro ragione legittimante nella prima parte della Costituzione, in particolare nei diritti della personalità

[86] S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari, 2002.

[87] Tale organo sovraordinato avrebbe dovuto avere compiti di indirizzo e di disciplina ed era individuato nel Ministro del Tesoro, coadiuvato dal direttore generale dello stesso dicastero e da un direttorio composto dai presidenti delle Authorities.

[88] Il CICR avrebbe dovuto rappresentare “la struttura naturale di coordinamento…neutrale rispetto a Banca d’Italia, CONSOB e ISVAP”: la stessa prospettiva, come si vedrà, è adottata dal ddl governativo del 3 febbraio 2004. Contra R. COSTI, Sul coordinamento fra autorità di vigilanza, p. 417, Ban. Imp. e Soc., num. 3/2001, che considera il CICR un ente cui sono stati ridotti i poteri proprio in virtù della sua connotazione essenzialmente politica.

[89] Documento conclusivo dell’indagine sulle Autorità indipendenti, Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati.

[90] Relazione del Ministero dell’economia e delle finanze al Parlamento, d’accompagnamento alla relazione annuale della CONSOB per il 2001.

[91] Tale proposta è presente in tutti i disegni di legge di riforma.

[92] Lo prevede il disegno di legge AC 4747.

[93] La previsione è presente nel disegno di legge AC 4639 e nel testo unificato del 5 maggio 2004.

[94] La proposta è prevista nel disegno di legge AC4705.

[95] L. CARDIA, audizione del 23 gennaio 2002 tenuta nell’ambito dell’indagine conoscitiva “Il ruolo delle Autorità Indipendenti nell’ordinamento italiano fra controllo, garanzia e regolamentazione”.