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Il Consiglio di Stato ridefinisce i limiti di intervento delle Associazioni Ambientaliste
( CDS n. 5136 del 17.07.2004)


AVV. LEONARDO SALVEMINI


 

Il Consiglio di Stato , sez. V, decisione 17.07.2004 n° 5136 , ha stabilito che " La legittimazione delle associazioni di protezione ambientale di intervenire nei giudizi aventi ad oggetto "il danno ambientale" e quindi ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi, riconosciuta dall'art. 18 della L. 8.7.1986 n. 349, riguarda l'associazione ambientalistica nazionale formalmente riconosciuta e non le sue propaggini territoriali. L'associazione su base territoriale non può ritenersi munita di autonoma legittimazione processuale, neppure per l'impugnazione di un provvedimento ad efficacia territorialmente limitata.
 

A rafforzare questa tesi lo stesso Consiglio di Stato, richiama un'altra pronuncia di altra sezione la n. IV, del 11.7.2001 n. 3878.
Quest'ultima sostanzialmente si sofferma sulla esclusione delle associazioni ambientaliste, quando siano prive dei requisiti soggettivi previsti dalla legge, a che possano ritenersi legittimate ad impugnare atti o provvedimenti che rivelino una connotazione esclusivamente urbanistica, essendo diretti soltanto ad un'utilizzazione del territorio, senza alcuna incidenza su quanto possa ritenersi dotato di riflessi ambientali.
 

Il sillogismo - ipoteticamente ed astrattamente proponibile - per il quale ogni intervento urbanistico dovrebbe ritenersi inevitabilmente idoneo a provocare riflessi in materia ambientale, si risolve in una posizione di principio di carattere logico-deduttivo del tutto avulsa dall'apposito apparato normativo, che pone dei precisi limiti alla individualità dei beni suscettibili di provocare gli interventi previsti dall'ordinamento. Diversamente opinando, si dovrebbe giungere alla conclusione per la quale qualsiasi intervento urbanistico o edilizio potrebbe essere ritenuto capace di compromettere l'ambiente circostante, senza alcuna esclusione: ma tale conclusione si rivela manifestamente insostenibile ove la si confronti con le articolate qualificazioni normative degli interessi oggettivamente considerabili come ambientali (sempre in materia di difetto di legittimazione in capo al Codacons, quando ad eventuali ricorsi per la tutela di interessi ambientali: cfr. C.d.S. VI^, n. 754/1995e, n. 182/1996)".

La norma invocata dal Consiglio Di Stato viene dallo stesso letta in senso restrittivo- letterale, limitando le prerogative previste dall'art. 18 della L. 349/ 1986 alle associazioni riconosciute a livello ministeriale che abbiano carattere nazionale o che siano "operative " in almeno cinque regioni.

Diversamente dal Consiglio di Stato il T.A.R. LIGURIA, Genova, Sez. I - con la sentenza del 18 marzo 2004, n. 267, in merito alla questione della legittimazione ad agire di un Comitato che non risulti compreso tra le associazioni individuate con decreto del Ministro dell'Ambiente ex art. 13 L. 349 del 1986, aveva introdotto un interessante criterio di confronto e di elaborazione.
Nel richiamare il nuovo scenario istituzionale/costituzionale che ha elevato il principio di sussidiarietà orizzontale a rango di principio ordinamentale (modifica del titolo V, parte II della Costituzione; art. 7, 1° comma, della Legge 5 giugno 2003, n. 131) aveva ipotizzato che il potere/ dovere di individuazione del Ministro delle associazioni ex art. 13 L 349/86, "non esclude di per sé il concorrente potere del giudice di accertare, caso per caso, la sussistenza della legittimazione ad agire dell'associazione che abbia proposto un ricorso giurisdizionale, e ciò non sulla base dei criteri indicati dall'art. 13 della L. 349/1986, ma con riferimento ai diversi parametri elaborati in via pretoria per l'azionabilità degli interessi diffusi in materia ambientale."
Ora i criteri elaborati dal TAR Liguria, con un forte innovazione scientifica, hanno spinto il collegio a ritenere che un ente privato, pur non compreso tra le associazioni individuate ai sensi dell'art. 13 citato, sia comunque legittimato a ricorrere in giudizio:
1. indipendentemente dalla sua specifica natura giuridica;
2. quando persegua in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale;
3. abbia un adeguato grado di stabilità;
4. un sufficiente livello di rappresentatività;
5. un area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso.

Come si evince chiaramente l'impostazione e la soluzione prospettata dai due collegi appare completamente differente e diametralmente opposta.

Appare utile, in questa breve analisi, che non vuole far altro che evidenziare l'incertezza normativa e quindi sensibilizzare il legislatore ad una revisione della L. 349/86, rilevare come dopo la L. 349 del 1986 siano intervenute dei corpi normativi estremamente importanti ed influenti.
Primo tra tutti la Legge 261 del 1991 in tema di volontariato ( le associazioni sono formate da volontari), il DLGS 22/97 che riordina la disciplina ambientale sulla scia di precise disposizioni europee, ed infine la riforma costituzionale introdotta con la Lc 3/2001 che ha introdotto nel nostro ordinamento costituzionale il principio di sussidiarietà.

Il supremo giudice amministrativo, a contrario, nel temere un " ingolfamento"processuale causato dai numerosi ricorsi presentati dalle numerose associazioni ambientaliste rischia dall'altra parte di rimettere le stesse nell'alveo del riconoscimento politico ( ministeriale) invece che dare libero spazio e forza a tutte quelle realtà associative non politicizzate che " veramente" hanno a cuore l'ambiente nel quale viviamo e che mirano ad una tutela imparziale dello stesso.