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Verso una nuova direttiva sul credito ai consumatori. (*)


Giuseppe Carriero

 


La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio "relativa all'armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli stati membri in materia di credito ai consumatori" (in G.U.C.E. n. C - 331 del 31 dicembre 2002) sembra destinata a incidere in maniera considerevole sul vigente assetto dei rapporti disegnato dagli artt. 121 e seguenti del Testo unico bancario.

 
Muovendo da dati macroeconomici che segnalano la forte crescita, all'interno dell'Unione, dei contratti in generale sussumibili nella fattispecie credito al consumo ("l'importo del credito in corso nei 15 paesi membri dell'Unione europea ammonta a oltre 500 miliardi di euro, corrispondenti a più del sette per cento del PIL"), la Commissione registra scostamenti di rilievo nelle discipline dei singoli stati, solo parzialmente attenuate dai principi comuni e dagli istituti introdotti dalla nota direttiva 87/102 del 22 dicembre 1986. Queste divergenze condurrebbero a tutele diseguali, alla vigenza di regimi giuridici asimmetrici privi di adeguata e condivisibile motivazione a norma del Trattato, alla sostanziale ineffettività - in parte qua - dei sottostanti principi di protezione del consumatore. Da ciò l'ineluttabilità dell'avocazione da parte del legislatore sovranazionale del potere di intervento teso a sovvenire le ragioni della parte debole del rapporto; a realizzare un ambiente giuridico strutturato; soprattutto a rimuovere le principali differenze tra i diversi ordinamenti.

 
E' tuttavia il mercato, ad onta delle apparenze, a dettare tempi, forme e modalità dell'azione comunitaria. La tutela del consumatore, almeno nella sua accezione di tutela di status, rimane infatti sullo sfondo ove si consideri, da un lato, che l'esistenza di tutele più dettagliate, specifiche, severe rispetto alla direttiva non solo non confliggono con i principi ispiratori del diritto dell'Unione, ma vengono direttamente legittimate dalla Grundnorm dedicata alla protezione dei consumatori (cfr. art. 153, co. 5, del Trattato); dall'altro che la stessa "tutela diseguale" non ha impedito ma ha anzi forse addirittura favorito la crescita esponenziale di questo settore d'attività all'interno dei singoli paesi. Non così invece a livello di mercato europeo transfrontaliero, ove le difformità esistenti costituiscono un importante ostacolo alla libera circolazione delle offerte di credito nello spazio unico europeo. E' perciò esattamente la rimozione di tali barriere o, in positivo, la facilitazione e l'incentivo alla conclusione di contratti cross border di credito al consumo a sollecitare il nuovo intervento del legislatore di Bruxelles. Non è invero casuale che, sul piano positivo, la base giuridica della proposta di direttiva sia rinvenibile nell'articolo 95 del Trattato, e cioè nella norma che regola interventi comunitari che contribuiscono alla realizzazione di obiettivi di tutela del consumatore per il tramite di misure di armonizzazione adottate nel quadro della realizzazione del mercato interno. Va peraltro osservato che il Comitato economico e sociale, nel parere del 16 - 17 luglio 2003 (in G.U.C.E. n. C - 234 del 30 settembre 2003) espressamente contesta tale impostazione in quanto "la proposta, per sua natura non è esclusivamente connessa con la realizzazione del mercato unico", e dunque "la base giuridica dovrebbe piuttosto essere l'attuale art. 153 del Trattato, il quale include sì misure nel quadro della realizzazione del mercato unico, ma ha un campo d'applicazione più vasto per quanto riguarda la protezione degli interessi economici dei consumatori".

 
Il passo ulteriore consiste nell'individuare le tecniche prescelte per il perseguimento del menzionato obiettivo e, di conseguenza, muovere dal dichiarato intento di provvedere alla massima armonizzazione delle discipline attraverso rigida prescrittività, imperatività, cogenza delle disposizioni contemplate dalla direttiva (art. 30) o, almeno, della gran parte di esse.

 
L'uso (o l'abuso?) dello strumento della direttiva si iscrive in recenti orientamenti di diritto comunitario che, nel sovrapporre le caratteristiche di questo strumento all'atto regolamentare, determinano il progressivo allontanamento della direttiva dall'archetipo di fonte del diritto comunitario che lascia gli organi nazionali liberi nella scelta delle forme e dei mezzi atti a conseguire il risultato da essa indicato (ed infatti, anche su questo punto, v. il rilievo del Comitato economico e sociale contenuto nel richiamato parere). Riflessioni non dissimili possono peraltro proporsi con riferimento alla direttiva n. 2000/31 dell'8 giugno 2000 sul commercio elettronico. Il consolidarsi di questo indirizzo sollecita interrogativi non solo sulla sua formale rispondenza alla scansione e alle caratteristiche degli atti di diritto comunitario codificate dall'art. 249 del Trattato (rilievo questo elementare e perciò fin troppo semplice), quanto piuttosto sulla adeguatezza di quel sistema delle fonti, ideato in epoche ormai remote, a fronteggiare esigenze, interessi, bisogni forse non più cristallizzabili in tali angusti ambiti normativi.

 
Venendo ai contenuti, la proposta di direttiva amplia notevolmente l'ambito di oggettivo di applicazione della disciplina per essere riferibile a tutti i contratti di credito accordati al consumatore e non più al solo credito al consumo. Non è perciò la finalità del credito concesso ma la sua destinazione soggettiva a segnare il confine esterno della tutela. Sul piano formale si osserva tuttavia che la definizione di "contratto di credito" contemplata nell'art. 2 ("un contratto in base al quale il creditore concede o promette di concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra analoga facilitazione finanziaria") è speculare a quella utilizzata dalla direttiva 87/102/Cee (cfr. art. 1, co. 2, lett. c). La differenza consiste, oltre che nella circoscrizione delle fattispecie esenti, soprattutto nella estensione della portata applicativa della disciplina ai contratti di fideiussione conclusi da una persona fisica che non agisca nell'esercizio di un'attività professionale (e cioè da un "consumatore"), indipendentemente dal fatto che il contratto di credito stipulato dal debitore principale pertenga o no all'esercizio di una attività professionale. Per tali contratti l'armonizzazione riguarda prevalentemente le informazioni da fornire al garante. Nell'ambito di tale opzione, la eco del procedimento concluso con la sentenza della Corte di giustizia del 23 marzo 2000 (Quinta Sezione), causa C-208/98 è evidente. Quella decisione aveva invero ad oggetto proprio una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull'interpretazione della direttiva 87/102 in punto di riconduzione o no alla nozione di "contratto di credito" di una fideiussione conclusa da persona fisica che agiva ad di fuori dell'esercizio di attività professionale, tesa a garantire il rimborso di un debito (nella specie un mutuo concesso per l'apertura di un ristorante) contratto con riferimento al rapporto principale. A fronte delle differenti posizioni espresse, da un lato, dai governi tedesco, belga e finlandese, che concludevano per l'inapplicabilità della direttiva, e, dall'altro, dai governi francese e spagnolo, che invece consideravano il contratto di fideiussione astrattamente riconducibile alla sfera di operatività della direttiva in ragione dello stretto legame che presenta con il contratto di credito di cui garantisce l'esecuzione, la Corte correttamente concludeva per l'estraneità della garanzia alla categoria dei contratti di credito, tra l'altro facendo applicazione del canone interpretativo a contrario, visto che la direttiva in rassegna, diversamente da altre (ad es. la direttiva 20 dicembre 1985, n. 85/577/Cee sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali) contiene restrizioni sul suo ambito di efficacia. E tuttavia, di là del decisum: a) la divaricazione tra le posizioni degli stati; b) gli scostamenti tra gli ambiti di tutela garantiti da discipline comunque sussumibili nel comune paradigma della protezione del consumatore inducono il legislatore comunitario a riflettere sulla ragionevolezza di tale esclusione a fronte di legislazioni interne maggiormente garantiste. Il risultato finale consiste, come abbiamo visto, nell'ampliamento della portata applicativa della norma, estesa ora alle fideiussioni.

 
Le esclusioni vengono confermate quando strutturalmente estranee alla dinamica delle relazioni (di massa) sottese alla conclusione di contratti della specie (es. acquisto o trasformazione dell'immobile, locazioni che escludono il trasferimento della proprietà al conduttore); quando relative a transazioni gratuite e per periodi di tempo non superiori a tre mesi; quando i contratti di credito siano estranei all'attività commerciale principale del mutuante (es. crediti salariali concessi dal datore di lavoro) o concessi a tassi inferiori a quelli di mercato o non offerti al pubblico (cfr., nel dettaglio, l'art. 3, co. 2, della proposta). Le altre contenute nell'art. 2 della direttiva (es: soglie minime, massimali contratti in forma di atto autentico etc.) sono invece rimosse.

 
E' significativamente ampliata l'informazione al consumatore sia attraverso la pubblicità preventiva sia, soprattutto, nella fase delle trattative. Sotto il primo versante, "ogni pubblicità o ogni offerta esposta all'interno di locali commerciali che contiene informazioni relative ai contratti di credito, in particolare in materia di tasso debitore, di tasso nominale e di tasso annuo effettivo globale, deve essere fornita in modo chiaro e comprensibile, nel rispetto dei principi di lealtà in materia di transazioni commerciali" (art.4). Sembra evidente l'assonanza di questa disposizione con quelle in tema di trasparenza bancaria, mirando entrambe a un processo di consapevole formazione della volontà del consumatore attraverso la comparazione dell'offerta e a evitare forme di pubblicità sleale o ingannevole. A ciò si accompagna l'espresso divieto della vendita a domicilio non sollecitata dei contratti di credito (art. 5) onde mitigare portata e effetti delle c.d. clausole " a sorpresa" e stabilire tra le parti almeno un minimo di trattativa.

 
Ma è soprattutto sul piano delle regole di comportamento delle parti che la proposta di direttiva contempla istituti nuovi e non usuali. L'art. 6, rubricato all'informazione reciproca e preventiva e agli obblighi di consulenza, prevede infatti doveri che, pure in parte mutuatari degli orientamenti contemplati nella Raccomandazione del 1° marzo 2001 relativa all'informazione precontrattuale nell'offerta di mutui per l'abitazione, se ne distaccano considerevolmente quanto ad ampiezza, da un lato, a cogenza dall'altro. Dal lato dell'intermediario è espressamente contemplata la facoltà di richiedere al consumatore e ad ogni fideiussore "informazioni esatte, complete e necessarie" per valutarne la situazione finanziaria complessiva e la solvibilità, con obbligo di questi di corrispondere alla richiesta "in modo puntuale e completo". A fronte di tale specifica statuizione, l'inadempimento mi pare destinato ad assumere concreta rilevanza sul piano delle responsabilità, a seconda dei casi precontrattuale o contrattuale, sotto il profilo paradigmatico del dolo omissivo nella sottospecie del dolo incidente che, sebbene formalmente ricondotto nel nostro ordinamento alla famiglia dei vizi del volere, manifesta una indubbia vis espansiva verso momenti prodromici alla conclusione del contratto e così, più specificamente, verso la fase delle trattative. Non è del resto casuale che siffatta responsabilità, dichiaratamente contrattuale, sia la risultante della violazione di regole di condotta strutturalmente pertinenti al momento precontrattuale.

 
Ovviamente più puntuale e specifica l'informazione dovuta dal creditore e, se del caso, dal finanziatore. Questi sono infatti tenuti a fornire al consumatore "ogni informazione necessaria circa il contratto di credito in modo esatto e completo…su supporto cartaceo o su qualsiasi altro supporto durevole prima della conclusione del contratto". E' palese l'assonanza di tali obblighi con quelli statuiti dalla direttiva n. 65/02 sulla vendita a distanza dei servizi finanziari. Non a caso, infatti, la norma in rassegna ne sancisce la espressa salvezza, in guisa di disposizioni additive, per l'ipotesi di contratto negoziato e concluso a distanza attraverso gli strumenti della società dell'informazione. Soccorrono, tuttavia, ulteriori obblighi informativi aventi connotazioni di estrema specificità, che vanno dalla indicazione delle garanzie e delle assicurazioni richieste alla durata del contratto; dall'importo, numero e periodicità dei pagamenti alle spese ricorrenti e non ricorrenti; dall'importo totale del credito al Taeg, e così via. E' appena il caso di soggiungere che, onde evitare diseconomiche duplicazioni di disciplina, nel caso della vendita a distanza le informazioni da fornire per il credito ai consumatori saranno limitate alle sole ipotesi diverse da quelle già contemplate dalla menzionata direttiva n. 65/02.

 
In capo a creditore e finanziatore incombe inoltre un davvero esclusivo e finora sconosciuto obbligo generalizzato di consulenza, tale da permettere al consumatore di compiere la scelta migliore tra le diverse tipologie di credito abitualmente offerte ("il creditore e, se del caso, l'intermediario del credito cercano, tra i contratti di credito che essi offrono o per i quali intervengono abitualmente, il tipo e l'importo totale del credito più adatti, tenuto conto della situazione finanziaria del consumatore, dei vantaggi e degli svantaggi inerenti al prodotto proposto e della finalità del credito", art. 6, co. 3, cit.). Trattasi di previsione utile a specificare la portata degli obblighi di correttezza. Ed invero, la espressa e specifica statuizione di obblighi di solidarietà contrattuale vale a segnare concreti ed evidenti tratti differenziali tra i doveri di informazione o di trasparenza e quelli di buona fede o di correttezza. Meglio: attraverso l'informazione calibrata sul servizio offerto con riferimento alle caratteristiche dell'oblato cui è indirizzato, la trasparenza finisce per divenire ancillare alla correttezza. Non è sufficiente a soddisfare lettera e spirito della norma il solo fornire informazioni: occorre piuttosto che, nel farlo, creditore e intermediario assolvano la specifica obbligazione (beninteso, di mezzi) di essere pienamente comprensibili e, soprattutto, solidali con l'interesse del cliente. Ciò riempie di contenuti, sul piano concettuale e dommatico, l'alterità informazione/buona fede non riducendo la seconda esclusivamente alla prima; giustifica il congiunto richiamo, nelle recenti leggi di mercato, delle due regole di comportamento; fornisce concreta attuazione a orientamenti giurisprudenziali che, nel qualificare gli obblighi di buona fede come specificativi dei doveri di solidarietà sociale imposti dall'art. 2 della Costituzione precisano che essi sono tesi a "imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge". Ovviamente senza pregiudizio alcuno della naturale e fisiologica contrapposizione delle utilitates che ciascuna parte delle trattative intende perseguire, contrapposizione risolta, almeno nelle negoziazioni individuali, con la conclusione del contratto, atteso che correttezza, lealtà, diligenza sono proprio gli strumenti approntati, in via generale, dall'ordinamento onde evitare che gli egoismi dei paciscenti snaturino il contenuto sostanziale dell'accordo e la sottostante allocazione dei rischi e delle responsabilità ritenuti meritevoli di tutela.

 
La disposizione da ultimo esaminata si iscrive in un disegno normativo più ampio e articolato che, attraverso ulteriori e più penetranti istituti, mira a soddisfare una esigenza particolarmente avvertita dal legislatore di Bruxelles: quella di regolare o, almeno, di contenere in limiti fisiologici il cosiddetto fenomeno, economicamente e socialmente rilevante, del sovrindebitamento del consumatore.

 
E' noto che ordinamenti giuridici di importanti paesi europei, segnatamente quello francese, hanno particolarmente a cuore l'interesse a disciplinare il ricorso al credito per finalità genericamente di consumo da parte di persone fisiche che, per le ragioni più varie, potrebbero verosimilmente non essere in grado di far fronte ai propri impegni debitori con grave pregiudizio per sé stessi, per le proprie famiglie, per i creditori, per l'intero sistema finanziario. Negli indicati termini, le finalità sociali dell'intervento pubblico sono evidenti in quanto, per un verso "si vuole rendere meno gravosa per il debitore la situazione in cui è coinvolto senza pregiudicare eccessivamente gli interessi dei creditori; per altro verso, si vuole prevenire il fenomeno mediante la acquisizione di dati, l'informazione dei potenziali debitori, il controllo degli istituti di credito e di finanziamento" (ALPA, 2002). In tal guisa, gli istituti introdotti dalla legge francese n. 89 - 1010 del 31 dicembre 1986 dedicata alla prevenzione e alla disciplina delle difficoltà connesse al sovrindebitamento dei privati e della famiglie abbracciano sotto il versante, in senso lato, concorsuale: i) il règlement amiable, e cioè la possibilità del debitore di proporre ai creditori principali un piano convenzionale che, se accettato, potrà determinare proroghe di scadenze, remissione di debiti, sospensione delle azioni esecutive etc.; ii) il redressement judiciaire civil che, attraverso il cosiddetto "fallimento civile" del debitore, conferisce al giudice la possibilità di pronunciare, tra l'altro, la sospensione delle azioni esecutive. Ma soprattutto quella legge dedica cospicui spazi alle misure di prevenzione delle situazioni di indebitamento, segnatamente attraverso la istituzione di un archivio nazionale ove sono raccolte le informazioni relative agli inadempimenti sui pagamenti delle persone fisiche dovuti alla soddisfazione di bisogna "non professionali", con obbligo per gli intermediari di avvalersene prima della conclusione del contratto di credito. Tale prescrizione, insieme al pervasivo, costante richiamo alle regole di correttezza professionale, introducono elementi di valutazione che vanno al di là dell'accertamento "per sé ovvio che ogni soggetto in fase di erogazione del credito normalmente compie sulla solidità del soggetto affidato e che diventa(no) piuttosto un giudizio ex post sulla correttezza di comportamento e sulla professionalità dell'intermediario stesso, tal(i) da incidere sul suo diritto al recupero del credito" (ANNUNZIATA, 1991).

 
La eco di questi istituti nel sistema della proposta di direttiva è di tutta evidenza sia con riferimento alla fattispecie e alla disciplina del "prestito responsabile", contemplata dall'art. 9, sia alla istituzione della "banca dati centralizzata", regolata dal precedente art.8.

 
Sotto il primo versante, la proposta di direttiva prevede a carico del creditore oneri di diligenza consistenti nel valutare "con ogni mezzo a sua disposizione" l'effettiva capacità del consumatore di rimborsare il credito accordatogli e dunque, in particolare, l'obbligo di consultare le banche dati centralizzate, di esaminare le risposte fornite dal consumatore o dal fideiussore, di verificare i dati forniti dagli intermediari, di selezionare il tipo di credito da offrire etc.. Collateralmente, sotto il secondo versante, la proposta contempla in capo agli stati membri l'obbligo di istituire una banca dati centralizzata, "avente per finalità la registrazione dei consumatori e dei fideiussori dello stato membro che hanno avuto problemi nel rimborso di un debito" (c.d. banche dati centralizzate di tipo "negativo"). Non è peraltro esclusa la creazione di banche dati c.d. "positive", utili a fornire informazioni di altro genere sui consumatori. L'accesso a tali banche dati dovrebbe essere garantito, a condizioni di reciprocità, a tutti i finanziatori degli stati membri "sia direttamente, che attraverso la banca dati centralizzata dello stato membro d'origine". Stante la delicatezza della materia (non a caso la norma è inserita in un Titolo, il III, dichiaratamente rubricato alla "Tutela della vita privata") è previsto che i dati personali possano essere trattati unicamente al fine di valutare situazione finanziaria e solvibilità del consumatore e del fideiussore e che gli stessi vengano distrutti subito dopo la conclusione del contratto di credito o di fideiussione oppure, nel caso reciproco, subito dopo il rifiuto della richiesta di credito.

 
Sul piano generale, non può invero non constatarsi come, posta la vigenza, in ogni paese dell'Unione, di un apparato di controlli su banche e soggetti finanziari avente quale principale finalità quella della stabilità dell'intermediario attraverso regole di vigilanza c.d. prudenziale, la diversa prospettiva di un controllo quasi qualitativo del credito a fini di tutela del consumatore introduce e sollecita possibili conflitti tra due obiettivi non sempre coincidenti e, anzi, talora, giustapposti. Si pensi a un affidamento assolutamente in linea con i criteri di solidità patrimoniale della banca, valutato da questa favorevolmente sotto il profilo del merito di credito del sovvenuto, e tuttavia in ipotesi dubbio a causa dell'informazione su un ritardo nel pagamento del debitore fornito dalla banca dati; o, per contro, al caso di una richiesta di finanziamento avanzata da consumatore a carico del quale nulla emerga dalla risultanze della banca dati, ma per l'intermediario problematica sotto il profilo del rischio di credito. Dal punto di vista imprenditoriale la valutazione, in entrambe le circostanze, potrebbe condurre a risultati divergenti rispetto a quelli coerenti con il sistema di protezione legale che, in forza del pesante giogo delle responsabilità contrattuali, risulterebbe tuttavia dominante (quando non addirittura esclusivo) in una logica di burocratica osservanza della legge. Ed è per lo meno dubbio che tale sistema di de - responsabilizzazione dell'impresa, di paternalismo più o meno illuminato (meno piuttosto che più) giovi davvero al consumatore. Né equivoci minori caratterizzano il ruolo che l'autorità deputata alla vigilanza possa/debba svolgere quando di fronte al pericoloso bivio della tutela della stabilità, dell'efficienza, della competitività del sistema, da un lato, della tutela del consumatore dall'altro. Sul piano più propriamente tecnico, degli strumenti, è peraltro nota l'esistenza, in sede U.E., di banche dati di c.d. "centralizzazione dei rischi" tese al contenimento del rischio derivante dalle concentrazioni delle esposizioni creditizie, dal pluriaffidamento, dalla trasformazione delle scadenze. Stanti le diverse funzioni, caratteristiche e modalità di accesso a tali banche dati rispetto a quella in rassegna occorrerebbe, quanto meno, dettare congrui criteri di collegamento tra le stesse, che mancano del tutto nel testo della proposta.

 
Senza voler sminuire portata e importanza delle considerazioni che precedono, trovo tuttavia che le più importanti e roventi questioni applicative delle disposizioni in rassegna siano destinate a spiegare effetti di rilievo proprio sul piano civilistico, con particolare riferimento all'ampiezza della responsabilità dell'intermediario. Ed invero, a fronte di così penetranti, pervasive, specifiche regole di comportamento finalizzate, attraverso le maglie strette del procedimento che conduce alla erogazione del "prestito responsabile", a veri e propri obblighi di protezione del consumatore che travalicano i più generali doveri di solidarietà contrattuale, può fondatamente essere revocato in dubbio che l'accertamento del merito di credito pertenga al consueto paradigma della prudenza e diligenza professionali spiegate dall'intermediario in fase valutazione della solidità del soggetto affidato per preludere e legittimare invece un giudizio ex post sulla correttezza del comportamento tale da incidere, quasi in guisa di obbligo di risultato, sul diritto al recupero del credito. Oltre a rilevare in punto di responsabilità contrattuale nei confronti del sovvenuto, ciò potrebbe addirittura legittimare, sia pure in chiave marcatamente teorica, giudizi valutativi sulla responsabilità aquiliana della banca o, comunque, dell'intermediario nei confronti dei creditori aventi causa dell'affidato. Per queste ragioni, o almeno anche per queste ragioni, disciplina del prestito rimborsabile e caratteristiche della banca dati centralizzata rappresentano elementi controversi della proposta (e v. infatti i "rilievi" del Comitato economico e sociale sul punto). Sul loro assetto e, soprattutto, sulla loro compatibilità con le principali variabili che, nel diritto dell'Unione, concorrono a formare il sistema della supervisione finanziaria e della regolamentazione del mercato si appuntano le principali critiche e le proposte di modifica da parte degli stati membri, al momento peraltro non ancora in uno stadio di sufficiente maturazione.

 
Ulteriori rilevanti istituti a presidio dei diritti del consumatore, anche se non altrettanto innovativi, consistono nel contenuto minimo obbligatorio del contratto, nel diritto di recesso, nella elencazione della clausole abusive.

 
In ordine crescente di importanza, l'art. 10, rubricato alle "informazioni da citare nei contratti di credito e di fideiussione", impone una serie di indicazioni prevalentemente riferite al prezzo dell'operazione economica (tra cui, in particolare, quella relativa agli elementi di costo estranei al Taeg e tuttavia a carico del consumatore); alla procedura che il consumatore deve eseguire per esercitare il diritto al rimborso anticipato; a quella utile all'esercizio del diritto di recesso; all'esistenza o no di procedure stragiudiziali di reclamo e, nell'affermativa, alle modalità di accesso. E' inoltre confermata la redazione del contratto su supporto cartaceo o altro supporto durevole e la consegna di copia di esso a tutte le parti contraenti in termini analoghi a quanto già previsto dall'art. 4, co. 1, della direttiva n. 87/102/Cee.

 
Il diritto di recesso, per contro non espressamente previsto dalla menzionata direttiva, è ora disciplinato in guisa di strumento di autotutela con il quale il consumatore può contare su un termine di riflessione in ordine ai contenuti del negozio, con possibilità di meglio valutare le conseguenze giuridiche ed economiche delle scelte effettuate. Naturalmente sottratto ad ogni sindacato relativo alla motivazione del suo esercizio, appare non casualmente modellato, quanto a termini e struttura del diritto, all'identico istituto previsto, nella vendita a distanza dei servizi finanziari, dall'art. 6 della direttiva 2000/65/Ce. In sede di recepimento dei due atti comunitari, ciò consentirà, da un lato, di colmare il più volte lamentato scarto normativo tra offerta fuori sede di prodotti finanziari e credito al consumo e, dall'altro, di rendere sostanzialmente uniformi (o, almeno, comparabili) le regole che governano la conclusione di contratti della specie tanto on line quanto off line. Esistono tuttavia significative differenze: i) rispetto all'art. 6 della direttiva 2000/65, il cui dies a quo per l'esercizio del recesso coincide con il momento della conclusione del negozio solo nell'ipotesi in cui le informazioni obbligatorie preliminari siano già state fornite al consumatore, l'art. 11 della proposta laconicamente dispone che il termine ha inizio "a partire dal giorno in cui il consumatore riceve una copia del contratto di credito"; ii) in ordine alla possibilità di prevedere, in aggiunta al recesso, il diritto allo ius poenitendi nella fase precontrattuale "negli Stati membri in cui tale diritto vige al momento dell'adozione della direttiva", contemplato dalla direttiva sulla vendita a distanza (art. 6, co. 3, cpv., dir. 65/00) e invece non contenuto nella proposta di direttiva sul credito al consumo; iii) riguardo alle discipline che regolano, nell'ipotesi di contratto eseguito o che abbia avuto un inizio di esecuzione medio tempore, rispettivamente il pagamento del servizio fornito prima del recesso ovvero le somme o i beni ricevuti in forza del contratto di credito in ipotesi di esercizio del diritto. Più in generale, con riferimento a quest'ultimo profilo, appare ragionevole ritenere che, salve rare eccezioni, la previsione del diritto di recesso condurrà al risultato di sospendere gli effetti del contratto per il periodo considerato. E ciò, come già ricordato nelle pagine precedenti, può non necessariamente soddisfare l'interesse del consumatore.

 
Clausole abusive. La proposta contempla, all'art. 15, uno specifico elenco di clausole la cui vessatorietà deve ritenersi oggetto di presunzione assoluta, additive rispetto a quelle indicate nella direttiva 93/13/Cee. In tal senso depone la univoca formulazione dell'incipit della norma che, nell'indicarle, prevede la espressa salvezza dell'applicazione della menzionata direttiva alla materia in oggetto. Trattasi perciò, diversamente dalle clausole in odore di vessatorietà ex art. 1469 - bis cod. civ. in quanto presuntivamente (con presunzione semplice) indicate tali, di una vera e propria "lista nera", il cui utilizzo dovrebbe condurre, al pari di quelle, alla declaratoria di inefficacia (ovviamente relativa, salva la rilevabilità d'ufficio) sottratta tuttavia al giudizio valutativo del giudice che, nel caso di specie, non solo non potrà operare l'accertamento della vessatorietà sulla scorta dei parametri di riferimento indicati nell'art. 1469 - ter cod. civ., ma non potrà neanche avvalersi della esenzione rappresentata dalla prova del negoziato individuale delle stesse.

 
All'assoluto divieto soggiacciono, in sintesi estrema: a) le clausole che impongono al consumatore di riservare parte del finanziamento alla costituzione di un pegno, di una fideiussione, di una cauzione et similia, determinando così un ulteriore profitto per il creditore o, comunque, il finanziatore; b) quelle che obbligano alla conclusione, insieme al contratto principale, di un altro negozio con la stessa parte avente ad oggetto una prestazione accessoria (es: una assicurazione, un conto corrente), pena altrimenti il rifiuto di contrarre; c) le clausole relative a variazione di costi e indennità diverse dal tasso debitore, che peraltro non potrà soggiacere a norme discriminatorie sulla sua variabilità; d) clausole che obbligano il consumatore a ricorrere allo stesso finanziatore per il riscatto del valore residuo del bene.

 
Ulteriori significativi istituti a presidio del consumatore sono rappresentati dalla introduzione della responsabilità solidale del fornitore e del finanziatore per l'ipotesi di inadempimento (o di parziale adempimento), nonché per vizi della cosa (art. 15), che sostituisce la precedente formula della responsabilità sussidiaria, riassunta - sul piano del diritto interno - nella nota formulazione del co. 4 sub art. 125 t.u.b; dalla fissazione di un termine massimo al contratto di fideiussione che, pure a fronte di un contratto di credito a tempo indeterminato, ne garantisce il rimborso per un periodo di tre anni e può essere rinnovata solo al termine di tale periodo (art. 23); dalla possibilità di prevedere l'inversione dell'onere della prova in ordine al rispetto degli obblighi di informazione e di altri obblighi che, a norma della direttiva, gravano sul creditore e sull'intermediario in caso di giudizio.


 
(*) Queste pagine si derivano dalla nuova edizione delle monografia Il credito al consumo in corso di pubblicazione nel Trattato di diritto privato presso la casa editrice Giappichelli.