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 Il nuovo diritto dei contratti

 

nel sistema del diritto privato comunitario (*)

 

 

GIUSEPPE CHINE’



    Il recente diritto dei rapporti interprivati di fonte comunitaria, ove si abbandoni l’attenzione verso il singolo intervento normativo e sugli effetti creativi che questo produce in termini di istituti nuovi e tecniche di tutela innovative per volgere lo sguardo al disegno complessivo delineato dagli ormai numerosissimi provvedimenti del legislatore di Lussemburgo, appare connotato da una spiccata vocazione uniformatrice che è all’origine della sua duplice natura di diritto nazionale, in quanto fonte regolatrice di rapporti dell’ordinamento italiano, e di diritto dell’Unione, in quanto diritto vigente all’interno di tutti i Paesi comunitari.


    L’uniformità di regole e principi, quale obiettivo principale dell’azione delle istituzioni sovranazionali, è garantito dal carattere imperativo delle disposizioni normative, dalla immediata efficacia precettiva nei confronti degli individui, dall’opera di indirizzo e raccordo della Corte di giustizia, da quella non meno rilevante dei giudicanti nazionali.


Il diritto privato europeo dei contratti, oltre a presentare tutti i caratteri sopra delineati, si segnala per una connotazione fortemente autonoma che, ad un esame superficiale del dato normativo, può apparire tradita dal richiamo letterale ad istituti e tecniche di tutela già noti a qualche ordinamento nazionale.


    Seppure sia frequente l’uso di formule definitorie ovvero l’adozione di regole risolutive di conflitti le cui origini possono essere facilmente ricondotte all’esperienza giuridica dell’uno o dell’altro Stato membro, il travaglio che precede l’approvazione della fonte comunitaria spesso recide definitivamente ogni legame con il modello normativo inizialmente prescelto, cosicché tale fonte si presenta all’interprete emancipata dall’esperienza giuridica cui veniva ab origine ancorata.


    La ragione di ciò è in parte di tipo politico, in parte di tipo teleologico. La prima, di più immediata percezione, è connessa con il dibattito interno agli organi legislativi dell’Unione che forgia il modello normativo secondo le direttive delle soluzioni di compromesso raggiunte dai diversi Stati membri sui temi dibattuti; la seconda, meno evidente ma molto più rilevante, è legata agli interessi sostanziali perseguiti dalle istituzioni comunitarie che quasi mai coincidono con quelli posti a base del modello nell’ordinamento nazionale da cui questo proviene.


    Su questa via concetti quali buona fede, equilibrio contrattuale, vincolatività, chiarezza e comprensibilità nonché rimedi contrattuali quali il recesso unilaterale e l’azione di nullità si caricano di significati affatto innovativi, quasi mai completamente coincidenti con quelli attribuitigli nei vari ordinamenti nazionali.


    La riflessione che precede arricchisce di ancora maggiore interesse l’impatto del diritto europeo dei contratti sull’ordinamento nazionale, manifestandosi inopportuno ed, al contempo, giuridicamente scorretto il tentativo di mero incasellamento di istituti e tecniche giuridiche provenienti dall’ordinamento sovranazionale all’interno dei singoli sistemi nazionali senza che a ciò consegua un necessario ripensamento delle tradizionali categorie concettuali.


    Nella speranza, mai formalmente dichiarata ma rispondente ad un atteggiamento caro alla cultura del privatista, di poter rimodernare il sistema normativo dei rapporti interprivati così da renderlo adeguato all’evoluzione dei rapporti commerciali e dei mercati senza pagare il prezzo della perdita del supporto di regole e principi ormai consolidati, assunti, per pigrizia ed abitudine, alla stregua di assiomi insindacabili ed immodificabili.


    Abbandonati i vecchi retaggi culturali ed i pregiudizi ad essi conseguenti è possibile osservare in un’ottica molto più realistica di quali effetti è capace la fonte comunitaria, una volta intersecatasi con quella nazionale nel cammino graduale, ma spedito, verso gli obiettivi del Trattato.


    Regole e principi elaborati in sede comunitaria, già coloratisi di innovatività rispetto agli analoghi propri degli ordinamenti di provenienza in forza dei compromessi raggiunti durante l’iter approvativo e delle modifiche apportate per meglio piegarli agli interessi superiori dell’Unione, si pongono spesso in contrasto, se non su di un piano formale, certamente su quello sostanziale, con regole e principi generali del diritto nazionale posti a fondamento del sistema delle relazioni negoziali, giungendo financo ad intaccare la solidità dei pilastri della costruzione codicistica tradizionale.


    Rilevanti settori della materia contrattuale, non solo trovano benefici in termini quantitativi per ciò che concerne la nascita di nuovi istituti e di tecniche di tutela precedentemente sconosciute, ma subiscono un processo di revisione talmente radicale da imporre una riscrittura di intere parti del tradizionale manuale di diritto privato. Il problema, avvertito in ugual misura dallo studioso e dall’operatore pratico, è stabilire sino a che punto possa spingersi la piena comunitaria e quali, e quante, categorie dogmatiche sia in grado di travolgere.


    Alla sua soluzione non contribuiscono più di tanto le previsioni sempre più onnicomprensive dei trattati, né gli obiettivi dichiarati delle istituzioni comunitarie. All’interprete non rimane che esaminare il processo in corso con spirito critico ed animo libero da anacronistici interessi di conservazione, consapevole della attuale trasformazione di un intero sistema di rapporti secondo le linee guida di un disegno la cui organicità, per le ragioni già segnalate, è nell’immediato difficilmente percepibile (continua).



(*) Omessi gli apparati di note e di riferimento bibliografico,queste pagine riproducono una sezione di capitolo del primo dei due volumi a cura di Antonio Tizzano, AA.VV., Il diritto privato dell'Unione europea.