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Il recupero dei rifiuti in procedura semplificata 

 

La compatibilità delle disposizioni del D.M. 5 febbraio 1998 con le recenti sentenze della Corte di Giustizia Europea. 

L'esperienza della provincia di Treviso

 

 

CARLO RAPICAVOLI

 



    Sin dalla sua emanazione, il Decreto Ministeriale 5 febbraio 1998, “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”, ha suscitato problemi interpretativi ed applicativi in gran parte mai risolti.

    Sono state, in particolare, le Province, titolari della competenza a ricevere le comunicazioni di inizio di attività di recupero (artt. 20, comma 1, lett. d) ed f), e 33 del D. Lgs. 22/1997), a trovarsi nelle difficoltà maggiori nell’attuazione del Decreto Ministeriale, in assenza di precisi indirizzi.

    Superata la prima fase di applicazione, con tutti i problemi legati alla sorte di tutte le numerose attività che, legittimamente e per lungo tempo, avevano effettuato il recupero di rifiuti (risale al 9 novembre 1993 il primo dei 18 decreti legge in tema di gestione dei cosiddetti residui riutilizzabili), in forza delle procedure agevolate stabilite in materia di residui riutilizzabili, in assenza di adeguata e chiara previsione di un regime transitorio, nel corso di sei anni di applicazione del decreto sono emerse tutte le lacune che, spesso, le Province, con propri atti di indirizzo, hanno tentato di colmare.

    Scelta questa dettata dalla necessità di dettare regole certe per gli operatori del settore, ma che certo non è giovata ad assicurare una uniforme interpretazione ed applicazione delle norme sul territorio nazionale.

    Restano irrisolti numerosi aspetti che discendono da vuoti normativi che non possono essere risolti con indirizzi operativi delle Province.

    Basta ricordare, ad esempio, come il D.M. 05.02.1998 non individua soglie dimensionali, né come potenzialità impiantistica destinata ad ospitare l’attività di recupero, né in termini di quantità massime di rifiuti trattabili in un determinato periodo presso un dato impianto. Da questo punto di vista, il D.M. disattende le stesse prescrizioni dell’art. 33 del D. Lgs. 22/97, secondo cui le attività di recupero possono essere sottoposte a procedure semplificate sulla base di apposite condizioni e norme tecniche che devono fissare, tra l’altro, le quantità massime impiegabili.

    Al riguardo, peraltro, è intervenuta recentemente la Corte di Giustizia (Prima Sezione – 7 ottobre 2004) sancendo che “La Repubblica Italiana, non avendo stabilito nel decreto 5 febbraio 1998, sull’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, quantità massime di rifiuti, per tipo di rifiuti, che possano essere oggetto di recupero in regime di dispensa dall’autorizzazione, è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 10 e 11, n. 1, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modifica dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE”.

    La Provincia di Treviso, nel cui territorio operano circa 800 attività di recupero di rifiuti in regime semplificato, si è trovata più volte a dover impartire proprie indicazioni operative per l’applicazione del Decreto Ministeriale.

    Va ricordato, innanzitutto, che il regime semplificato rappresenta, per principio generale, un beneficio, concesso dalla legge, al quale l'interessato può liberamente rinunciare, assoggettandosi, per sua scelta, alla procedura ordinaria.

    Le procedure semplificate, infatti, sono previste in specifica attuazione dell'articolo 11 della direttiva 74/442/C.E.E. come modificata dalla direttiva 91/156/C.E.E., norma comunitaria che testualmente parla di casi che "possono essere dispensati dall'autorizzazione" e quindi di una "dispensa" che l'interessato può chiedere, ma può anche non chiedere.

    Con la comunicazione effettuata ai sensi dell’art. 33 del D. Lgs. 22/1997, la ditta è iscritta al Registro Provinciale delle Imprese che operano in procedura semplificata e ciò con l’attribuzione progressiva di un numero di posizione.

    La comunicazione di cui trattasi sortisce effetto già per il decorso del termine di 90 giorni, in assenza di specifici divieti o richieste di integrazioni documentali da parte della Provincia e, sulla scorta dei meccanismi tipici del silenzio assenso, la comunicazione medesima, pur sortendo l’effetto operativo di legittimare l’attività con il decorso dei termini di legge, soggiace alle disposizioni richiamate dall’art. 31, ultimo comma, del D. Lgs. 22/97, ovvero le statuizioni sulla veridicità delle comunicazioni rese e dei relativi atti che la compongono, nonché il divieto di conformazione se si siano rese dichiarazioni false e l’espressa previsione di applicazione della sanzione prevista dall'articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

La Provincia verifica la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti, disponendo il divieto di inizio o di prosecuzione – in caso di accertamento successivo alla decorrenza dei termini di inizio attività - qualora si verifichino irregolarità od il mancato rispetto della norma tecnica a presupposto della quale viene svolta l’attività.

    Malgrado l’apparente semplicità della procedura, la Provincia, in passato, ha dovuto più volte richiamare le ditte al puntuale rispetto di alcuni principi fondamentali, fra le quali è opportuno ricordare che:

  1. le disposizioni sul recupero agevolato dei rifiuti sono caratterizzate dal cosiddetto “principio di esclusività e tassatività” previsto sia all’art. 33, comma 1, del D. Lgs. 22/97 che dai decreti Ministeriali attuativi della norma agevolativa, e cioè il D.M. 5 febbraio 1998 (rifiuti non pericolosi) ed ancora il D.M. 12 giugno 2002 (relativo ai rifiuti pericolosi), in entrambi i DD.MM. all’art.1 ultimo comma. Sulla base di tali disposizioni, le operazioni di recupero devono essere conformi, per provenienza, per caratteristiche del rifiuto, per modalità di recupero e per prodotti ottenuti alle disposizioni tecniche descritte negli allegati ai DD.MM. citati. La conformità alle operazioni descritte deve essere rigorosa ed attenta. Infatti, una caratterizzazione dei rifiuti diversa da quella descritta o una diversa provenienza del rifiuto rispetto a quella imposta nella norma comporta una specifica violazione, regolata e sanzionata dall’art. 51, comma 4, del D. Lgs. 22/97.
    L’applicazione di tale principio non sempre è agevole per la Provincia, soprattutto a fronte della diffusa interpretazione secondo la quale allorché un materiale, che può essere potenzialmente un rifiuto, venga destinato verso un’attività di recupero, automaticamente il materiale medesimo e tutte le operazioni conseguenti restano esenti dalla disciplina normativa sui rifiuti. Interpretazione quest’ultima fortemente avvalorata, sul piano normativo, dall’art. 14 della Legge 178/2002, che ha introdotto l’interpretazione autentica della definizione di rifiuto.
    Per circoscrivere l’ambito di applicazione del citato art. 14, seppure, ancora una volta, adottando provvedimenti interpretativi che, per omogeneità di applicazione, non dovrebbero certo competere alle singole Amministrazioni, la Provincia di Treviso ha emanato una propria circolare precisando che:
    - “Sono escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, in forza dell’art. 14 della Legge 178/2002, esclusivamente quelle operazioni di riutilizzo diretto di prodotti o scarti di lavorazioni, possibili senza alcun trattamento preventivo ovvero con un trattamento preventivo minimo, tale da non sfociare in una delle operazioni di cui all’allegato C del D. Lgs. 22/1997;
    - E’ necessario, altresì, secondo l’interpretazione letterale dell’art. 14, che gli scarti di cui trattasi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati;
    - Ne consegue che:
        • rientrano nella normativa sui rifiuti le operazioni che non consistono in un riutilizzo diretto, effettivo ed oggettivo degli scarti di cui trattasi o che rientrano nelle operazioni di cui all’allegato C del D. Lgs. 22/97, fra cui, è bene ricordarlo in quanto casi che suscitano maggiori dubbi interpretativi:
    R1: Utilizzazione principale come combustibile o altro mezzo per produrre energia;
    R13: Messa in riserva di rifiuti per sottoporli ad una delle operazioni da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo presso il luogo di produzione).
        • Nel caso di conferimento dal produttore a soggetti terzi, per essere destinati in modo effettivo ed oggettivo all’utilizzo nei cicli di consumo e di produzione, non si applica la disciplina dei rifiuti esclusivamente ai materiali derivanti da cicli di produzione e di consumo, che presentano, fin dall’origine, le medesime caratteristiche dei prodotti, delle materie prime e delle materie prime secondarie previste sotto le voci “Caratteristiche delle materie prime e/o prodotti ottenuti” del D. M. 5.02.1998” (1).

    La recente Sentenza della Corte di Giustizia del 11 novembre 2004 interviene fortemente sull’operatività dell’art. 14 e, conseguentemente, sulle operazioni di recupero di rifiuti. Afferma la Corte che possono essere esclusi dalla nozione di rifiuto i “sottoprodotti”, cioè “quei materiali derivanti da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è destinato principalmente a produrli, di cui l’impresa non ha intenzione di disfarsi, ma che essa intenda sfruttare o commercializzare a condizioni per lei favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari (…). Il ricorso a tali argomentazioni (per escludere tali materiali dalla disciplina sui rifiuti) deve essere circoscritto alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza previa trasformazione, e avvenga nel corso del processo di produzione”.
    Nella situazione specifica, oggetto del giudizio, trattavasi di rottami ferrosi destinati a recupero presso l’industria siderurgica. La Corte, in modo chiarissimo, conclude che i rottami, pur sottoposti a cernita e ad eventuali trattamenti, devono tuttavia conservare la qualifica di rifiuti finché non siano effettivamente riciclati in prodotti siderurgici, finché cioè non costituiscano i prodotti finiti del processo di trasformazione cui sono destinati. Nelle fasi precedenti, essi non possono essere ancora, infatti, essere considerati riciclati, poiché il detto processo di trasformazione non è terminato.
    Ciò conferma quel principio di esclusività e tassatività più volte ribadito, con conseguenze notevoli. E’ questo un principio di portata fondamentale (peraltro già in precedenza affermato dalla medesima Corte) e che dovrebbe indurre a riflettere sull’intero sistema nazionale del recupero. E’ sufficiente considerare che il Ddl di delega al Governo in materia di testi unici ambientali, ora all’esame definitivo della Camera dei Deputati, prevede che i rottami saranno qualificati materie prime secondarie e non rifiuti e fornisce una definizione normativa di materia prima secondaria, richiamando espressamente proprio l’articolo 14 che, per effetto della sentenza della Corte di Giustizia, praticamente, è inefficace.
    Ci si attende un intervento di revisione del testo da parte del legislatore, anche per evitare ulteriori interventi della giurisprudenza comunitaria nonché ancora più gravi incertezze per gli operatori.

  2. poiché la comunicazione di cui all'art. 33 attiene all'esercizio delle operazioni di recupero di rifiuti individuati dalle norme tecniche, il soggetto che la presenta deve, prima di tutto, dimostrare di essere già in possesso delle autorizzazioni richieste dalle norme vigenti per la costruzione di impianti industriali (D. P. R. 203/1988 e/o altre disposizioni, come richiesto dall'art. 31, comma 6, del D. Lgs. 22/1997) relativamente allo specifico impianto in cui effettua o intende effettuare il recupero di rifiuti individuati. Tale dimostrazione va data mediante l'elencazione e/o allegazione dei provvedimenti autorizzatori in possesso del soggetto che presenta la comunicazione ovvero, nel caso di impianti ricadenti nell'art. 12 del D. P. R. 203/1988, gli estremi della domanda di autorizzazione presentata.

  3. oltre alle disposizioni specifiche descritte negli allegati, ivi comprese le disposizioni sui limiti per le emissioni in atmosfera regolate dal D. P. R. 203/1988 ed il recupero agevolato di energia dai rifiuti, deve prestarsi particolare attenzione anche al corpo delle disposizioni generali, contenute nel D. M. e che costituiscono il denominatore comune di tutte le attività oggetto di maggiore dettaglio negli allegati al D.M. stesso;

  4. dalla disposizione generale descritta nell’articolo 31 del D. Lgs. 22/97 circa la sussistenza dei requisiti impiantistici, va rappresentata la fondamentale importanza della certificazione di agibilità degli impianti in cui si svolge l’attività;

  5. le attività oggetto di procedura semplificata sono inoltre soggette al pagamento dei diritti annuali di iscrizione regolati dal D. M. 21 luglio 1998 n. 350, che devono essere versati entro il 30 aprile di ciascun esercizio annuale, prestando attenzione che il mancato versamento dei diritti di iscrizione comporta la sospensione dell’attività ai sensi dell’art. 3, comma 3, del D.M. 350/1998.

    Recentemente, con circolare datata 8 settembre 2004(2), la Provincia di Treviso ha ritenuto necessario fornire ulteriori indicazioni operative alle ditte che effettuano recupero di rifiuti non pericolosi in regime semplificato.
Rinviando al testo della circolare i dettagli, si è inteso sottolineare e ribadire:

  1. L’obbligo di rispettare tutte le indicazioni e le prescrizioni riportate nel D.M. per una determinata tipologia e, in particolare, la provenienza, le caratteristiche, il tipo d'attività di recupero nonché le materie prime e/o i prodotti ottenuti che devono coincidere con quanto descritto negli allegati 1 e 2 del D.M. 05.02.1998;

  2. Le procedure da seguire per analisi dei rifiuti e test di cessione, precisando che le analisi devono essere riferite ad un campione rappresentativo dei rifiuti e che, pertanto, nel caso di diversi produttori/fornitori di rifiuti di una stessa tipologia è necessario lo svolgimento degli accertamenti analitici su campioni di rifiuto di ciascun produttore/fornitore; per l’esecuzione del test di cessione di cui all’allegato 3 del D.M., la caratterizzazione della cedibilità deve essere condotta su campioni rappresentativi dei rifiuti provenienti da ciascun produttore. Il test deve essere condotto su campioni ottenuti nella stessa forma fisica prevista nelle condizioni finali d’uso. Pertanto, il test di cessione deve essere eseguito su campioni della medesima granulometria prevista per l’impiego finale.

  3. In caso di recupero di rifiuti da impiegarsi nella formazione di rilevati e sottofondi stradali, la comunicazione deve riguardare lo specifico sito ove il rilevato o il sottofondo devono essere realizzati. In tali casi i rifiuti da impiegare devono essere sottoposti preventivamente all’esecuzione del test di cessione descritto all’Allegato 3 del D.M. e i risultati devono essere contenuti entro i limiti indicati nel medesimo allegato. Il test deve essere condotto sul rifiuto “tal quale” che deve essere caratterizzato prima del suo abbancamento, essendo il superamento del test condizione necessaria per il suo impiego legittimo.

  4. Una particolare indicazione è stata, infine, fornita per le attività di recupero di rifiuti urbani in procedura semplificata.

    Al riguardo, si è ritenuto necessario precisare gli effetti delle disposizioni introdotte dalla L. 179/2002 (art. 23, comma 1, lett e), secondo cui “la privativa comunale non si applica alle attività di recupero dei rifiuti urbani ed assimilati, a far data dal 01.01.2003”, modificando in tal senso l’art. 21, comma 7, del D. Lgs 22/97.


L’esclusione dalla privativa dell’attività di recupero dei rifiuti urbani non implica una indiscriminata “liberalizzazione” di quelle attività e della realizzazione dei relativi impianti, dovendo pur sempre inquadrarsi nella pianificazione regionale e provinciale di cui al D. Lgs. n. 22 del 1997.


    Attività da esercitarsi, ai sensi dell’art. 23 del D. Lgs. 22/1997, nel contesto di ambiti territoriali ottimali, di regola coincidenti con la provincia, salva diversa delimitazione stabilita con legge regionale, in riferimento ai quali ambiti le province sono chiamate ad assicurare “…una gestione unitaria dei rifiuti urbani...” mediante piani provinciali adottati sentiti i comuni, con la possibilità di autorizzare “…gestioni anche a livello subprovinciale purché, anche in tali ambiti territoriali sia superata la frammentazione della gestione”.


    Il D. Lgs. n. 22/1997 si muove, infatti, in un’ottica ispirata al superamento di una gestione “parcellizzata” e “polverizzata” dei rifiuti urbani tra la miriade di amministrazioni comunali attraverso due direttrici, l’una attinente all’accorpamento di tutte le attività relative al ciclo dei rifiuti in una “gestione integrata ed unitaria”, l’altra, consequenziale, relativa all’organizzazione della gestione dei rifiuti per ambiti territoriali ottimali, e quindi mediante forme associate o consortili tra i comuni.


    Alla luce del quadro normativo sopra riassunto, è stato, dunque, chiarito che le attività di recupero in regime semplificato per i rifiuti classificati come urbani ai sensi dell’art. 7, comma 2 del D. Lgs. 22/97, che possono essere legittimamente esercitate anche da soggetti privati in forza del venir meno della privativa comunale, devono essere, in ogni caso, oltre che conformi alle norme tecniche definite dal D.M. 05.02.1998, anche compatibili con la pianificazione vigente per la gestione dei rifiuti solidi urbani.



Dott. Carlo Rapicavoli
Dirigente del Settore Gestione del Territorio della Provincia di Treviso

______________

(1) Circolare Provincia di Treviso del 5 ottobre 2003 avente per oggetto “Applicazione dell’art. 14 del D. L. 08.07.2002 n. 138, convertito con modificazioni dalla L. 08.08.2002 n. 178, contenente la “Interpretazione autentica della definizione di rifiuto” e dell’art. 10-bis della Legge 1 agosto 2003 n. 200 contenente la proroga di termini di cui all’art. 62, comma 11, del D. Lgs. 152/1999. Direttive interpretative” (in www.provincia.treviso.it)
(2) Il testo completo è consultabile sul sito della Provincia di Treviso (www.provincia.treviso.it)