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COLTURE OGM, NUOVA DISCIPLINA

 

Breve commento alla legge 28 gennaio 2005 n. 5 con il quale si è convertito, con modificazioni, il decreto legge 22 novembre 2004 n. 279 contenente: “DISPOSIZIONI URGENTI PER ASSICURARE LA COESISTENZA TRA LE FORME DI AGRICOLTURA TRANSGENICA, CONVENZIONALE E BIOLOGICA”.

 

Giuseppe Girani
 

 

Il cc.dd. decreto Alemanno, reso in attuazione della Raccomandazione della Commissione 2003/556/CE del 23 luglio 2003 non si limita ad aprire la porta alle colture OGM ma introduce il principio della convivenza fra le diverse forme di coltivazione: convenzionale, biologica e biotecnologica. O almeno così è stata saluta la nuova normativa, senza considerare che le convivenze implicano, di fatto, una reciproca integrazione.


Pertanto, sarebbe più corretto sostenere che le colture tradizionali e biologiche, da una parte, e quelle derivanti dalla cc.dd. biotech, visto la proclamata regola di reciproca non compromissione dello svolgimento delle une rispetto alle altre, siano più opportunamente riconducibili ad una realtà di “separati in casa”. In effetti la coesistenza deve assicurare, secondo il legislatore, una rigorosa separazione fra le differenti filiere produttive.


Orbene, poiché la sola energia eolica è in grado di trasportare gli organismi geneticamente modificarti anche a distanze di decine di chilometri, pare che il principio risulti - in pratica - un celato divieto. In proposito si può richiamare lo studio realizzato in Germania, a seguito di un recente progetto finanziato dal Ministero Federale della Ricerca e dal Ministero dell’Economia del Land Sachsen-Anhalt condotto su trenta campi sperimentali da ricercatori dell’Università di Halle, nel quale viene sostenuta la possibilità di una accettabile coesistenza qualora la distanza tra i campi ogm e non ogm sia perlomeno di venti metri. Ovviamente, non si sostiene che sia realizzabile la non contaminazione, ma semplicemente che essa sia di trascurabile portata (“…stimiamo che venti metri sia una distanza sufficiente per escludere livelli di impollinazione incrociata significati – Eberhad Weber, Direttore del Progetto).



I – Principi generali

 

Per gli operatori del settore è importante avere certezze sulla normativa e, se e come, questa trovi effettiva applicazione. Da questo punto di vista viene offerto il presente contributo.


In Italia, il settore delle biotecnologie appare estremamente frastagliato ed oggetto di plurime iniziative che dal livello sovranazionale arrivano addirittura all’adozione di moratorie da parte di Enti Locali.


A livello nazionale (in attuazione della Direttiva 2001/18/CE) è stata promulgata una disciplina di carattere generale con il Decreto Legislativo 08 luglio 2003 n. 224 con il quale si nono poste regole sulle immissioni deliberate nell’ambiente di Organismi Geneticamente Modificati.


Nel particolare campo delle coltivazioni nell’intento di arginare il coacervo di provvedimenti che si andava sedimentando (Regioni, Province Autonome ed Enti Locali) il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, in data 22 novembre 2004, ha emanato il Decreto Legge n. 279 per introdurre una normativa quadro che assicuri la coesistenza tra le varie forme di agricoltura; il decreto legge è stato recentemente convertito (con rilevanti modifiche) dalla Legge 28 gennaio 2005 n. 5.


La ratio sottesa al cc.dd. decreto Alemanno viene estrinsecata nell’art. 2 ove è previsto che la coesistenza tra le diverse colture deve avvenire “senza che l’esercizio di una di esse possa compromettere lo svolgimento delle altre” ed, ancora, come l’introduzione di culture transgeniche debba avvenire “senza pregiudizio per le attività agricole preesistenti” ed, in particolare, senza dover “modificare od adeguare le normali tecniche di coltivazione e allevamento”. Il provvedimento legislativo non fa che indicare la via da percorrere, e che spetterà ai futuri provvedimenti stabilire la disciplina ed i piani per un’effettiva coesistenza. Certo è che i principi espressi (coesistenza paritaria priva di reciproche contaminazioni) non paiono di agevole portata, e, comunque ammessa e non concessa una loro realizzazione effettiva, gli stessi dovranno scontrarsi con la scelta di accollare esclusivamente agli agricoltori che scelgono il transgenico l’onere di adottare precauzioni con l’aggravio che le differenti scelte legislative di altri Stati comunitari potrebbero fare la differenza in termini di opportunità economico-concorrenziale.



II – Analisi della disposizione normativa


La normativa si compone di dieci articoli. Il Testo dunque è alquanto stringato e forse un poco frettoloso. Tecnica questa, si potrebbe sostenere, volta più ad evitare le sanzioni comunitarie per mancata attuazione della Raccomandazione del luglio del 2003 che ad assicurare effettiva e puntuale disciplina della materia.


Il rimando, nel testo, a future e prossime regolamentazioni non mancano: innanzitutto il compito di adottare il cc.dd. “piano di coesistenza” spetta alle Regioni e alla Provincie Autonome (art. 4), che dovranno comunque allinearsi alle linee guida da adottarsi con un prossimo decreto – avente natura non regolamentare - del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali, in concerto con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome. Quest’ultimo provvedimento definirà la normativa quadro per la coesistenza.


La scadenza per l’adozione dei Piani di Coesistenza Regionali era stato fissato, in un primo momento, per il 31 dicembre 2005. Purtroppo, in sede di conversione del decreto legge il limite temporale a data fissa è stato emendato ed, oggi, il termine risulta indeterminato (“sino all’adozione del piano”). La grave conseguenza - diretta ed immediata - è che moratoria (art. 8) sulle coltivazioni destinate all’immissione sul mercato proseguirà a tempo indeterminato sino all’adozione del Piano di Coesistenza da parte delle Regioni, che solo in via di principio dovranno adempiervi senza restrizioni temporali di sorta.


La scelta legislativa suscita molte perplessità applicative e potrebbe risolversi in divieti - e conseguente permanenza di illeciti di natura penale - legati alla diligenza con la quale ogni singola Regione darà attuazione alla disposizione.


Le sanzioni, per chi non rispetta la moratoria sono particolarmente severe: arresto da uno a due anni o con l’ammenda da cinquemila sino a cinquantamila euro (art. 6 comma II).


La nuova disciplina sulla coltivazione agricola che emerge suddivide espressamente in tre le metodologie di coltivazione: filiera con colture transgeniche, filiera biologica ed, infine, filiera tradizionale.


Come detto, l’introduzione nel territorio di culture OGM non deve determinare alcun onere per gli operatori delle coltivazioni biologiche o tradizionali. L’art. 2, comma II bis, infatti, prescrive che l’introduzione di colture biotecnologiche deve avvenire senza alcun pregiudizio per le attività agricole preesistenti e senza comportare, per esse, l’obbligo di modificare od adeguare le normali tecniche di coltivazione e d’allevamento. Sono gli agricoltori che scelgono il transgenico a dover adottare accorgimenti e metodi produttivi idonei ad evitare inquinamenti accidentali.


Da notare che nella definizione stessa delle tre filiere permangono problemi interpretativi: la filiera di coltivazione biologica, ad esempio, è concettualmente scissa sia dalle coltivazioni tradizionali (e sul punto nulla questio) sia da quelle biotech.


Il legislatore considera acquisito un dato fenomenico che, in effetti, non è tale: recenti decisioni di merito hanno infatti sottolineato come il Regolamento 2003/223/CE, concernente i requisiti in materia di etichettatura riferiti al metodo di produzione biologico dei mangimi, consente l’utilizzazione di etichettature “da agricoltura biologica” anche in presenza di un 5% della sostanza secca del prodotto non proveniente da agricoltura biologica, e quindi non (in ipotesi) indenne da OGM.


Dunque, la possibile coesistenza tra biologico e biotech pare entrare, quasi sottovoce, da una finestrella comunitaria, che di fatto ammette la presenza di OGM in prodotti biologici. La questione è dunque tutt’altro che definita.


Soggetto passivo della nuova normativa è il conduttore agricolo, e non più, come in prima stesura, l’imprenditore agricolo. Il dato giuridico va sottolineato, poiché se l’intento era quello di allargare i destinatari della normativa, l’effetto potrebbe essere diametralmente opposto, con l’imputazione a soggetti di fatto estranei alla pianificazione imprenditoriale della filiera ma che tuttavia conducono materialmente la stessa. Spetterà alla giurisprudenza provvedere ad una sensata interpretazione della ratio legislativa, al fine di evitare distorsioni ed altrettanto facili elusioni di responsabilità da parte di accorti imprenditori.

La normativa impone al conduttore agricolo l’onere di adeguarsi alle misure di contenimento: Piano di Coesistenza (art. 4) e Piano di Gestione Aziendale (art 5). In caso di contaminazione il conduttore che ha rispettato tutte le misure prescritte non è passibile di censurata né essere chiamato a rispondere di alcun danno.


Il fatto che, come si diceva, possano verificarsi episodi di inquinamento anche a parecchi chilometri di distanza, fa presupporre che il “responsabile” tenuto al risarcimento sia identificato nel conduttore agricolo inadempiente più prossimo. L’art. 5, comma I bis, pone una sorta di presunzione relativa e la responsabilità viene imputata a prescindere da una comprovata connessione causale, sarà onere di quest’ultimo provare che il mancato rispetto delle misure sia stato ininfluente a determinare l’evento. In definitiva è concessa al conduttore inadempiente la prova contraria, e cioè che la sua filiera, non rispettante la disciplina legale, è comunque estranea al contagio.


L’ultimo comma dell’art. 5 stabilisce, poi, che il conduttore è esente dalle responsabilità qualora abbia utilizzato sementi certificate dalla pubblica autorità e munite di dichiarazione della ditta sementiera, concernente l'assenza di OGM. Ovviamente la responsabilità si sposta, in tale ipotesi, sull’azienda sementiera ovvero sui fornitori di mezzi tecnici di produzione.


Chiunque intenda mettere a coltura Organismi Geneticamente Modificati è tenuto:

  1. entro quindici giorni dalla messa a coltura darne comunicazione alle Regioni ed alle Province Autonome (art. 30, comma II, del d.lgs. n. 224/2003);

  2. elaborare un Piano di Gestione Aziendale sulla base del Piano di Coesistenza regionale (art. 5, comma III)

  3. adottare e conservare registri aziendali ove annotare le misure di gestione adottate (art. 5 comma IV).

Sarà onere delle Regioni e delle Province Autonome definire modalità e le procedure per la raccolta e la tenuta degli adempimenti previsti ai punti b) et c).


Coloro che coltivano prodotti transgenici senza rispettare i Piani di Coesistenza regionali (salvo l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 34 et 35 del d.lgs. n. 224/2003) sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.500 ad euro 25.000.


In provvedimento legislativo istituisce presso il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, il “Comitato consuntivo in materia di coesistenza tra le colture transgeniche, convenzionali e biologiche”. Composto da otto membri, il Comitato andrà a predisporre entro la fine di maggio di quest’anno - ma il termine è meramente ordinatorio - le linee guida ai fini dell’adozione della prossima normativa quadro che disciplinerà i principi di coesistenza (art. 3) passaggio necessario per addivenire alla successiva stesura dei Piani di Coesistenza regionali.


In conclusione, è possibile affermare che con il cc.dd. decreto Alemanno traccia una difficile ed articolata strada per introdurre le coltivazioni transgeniche nel territorio nazionale anche se la scelta di una moratoria senza limite temporale (che potrebbe essere oggetto di censura da parte dell’Unione Europea) non appare condivisibile; il meccanismo si presta ad essere strumentalizzato da quelle amministrazioni locali contrarie alle biotecnologie e determinare per gli operatori agricoli la concreta impossibilità a affacciarsi alle culture innovative e la permanenza di divieti (sanzionati penalmente) meramente legati al territorio (macchia di leopardo).

 

Pubblicato on line su www.AmbienteDiritto.it il 11 Febbraio 2005

Giuseppe Girani
(Avvocato del Foro di Bologna)