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Il rapporto fra norme nel sistema previdenziale dopo la

legge delega n. 243 del 23 agosto 2004 (1).

 

Antonino Sgroi
 

 

1. Obiettivi perseguiti dal legislatore e modelli relazionali fra norme utilizzati per il loro raggiungimento – 2. Rapporto fra legge di riforma e legge dell’8 agosto 1995, n. 335 – 3. Rapporto fra legge di riforma e potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di previdenza complementare e integrativa.
 

 



1. Obiettivi perseguiti dal legislatore e modelli relazionali fra norme utilizzati per il loro raggiungimento.

I fini perseguiti con riguardo alla previdenza obbligatoria e complementare, dalla riforma dell’agosto 2004, sono elencati dallo stesso legislatore al primo comma dell’art. 1, laddove lo stesso assegna al Governo il compito di emanare una normazione delegata intesa a:
a) liberalizzare l’età pensionabile;
b) eliminare progressivamente il divieto di cumulo tra pensioni e redditi di lavoro;
c) estendere l’ambito di efficacia del principio di totalizzazione anche alle ipotesi in cui si raggiungano i requisiti minimi per il diritto alla pensione in uno dei fondi presso cui sono accreditati i contributi;
d) sostenere e favorire lo sviluppo di forme pensionistiche complementari.

In realtà il raggiungimento dei citati obiettivi all’interno del sistema previdenziale obbligatorio e privato, contrariamente a tale incipit, è perseguito non solo tramite la legislazione delegata, ma altresì attraverso l’introduzione nel sistema previdenziale, in specie quello obbligatorio, di una legislazione a diretta efficacia o, la cui efficacia è mediata dall’intervento dell’esecutivo con l’emanazione di decreti ministeriali.


Tale constatazione sfocia a evidenziare come la legge in questione piuttosto che essere, come di primo acchito potrebbe apparire, una semplice legge delega, sia un atto legislativo complesso costituito da norme deleganti, norme di immediata applicazione, norme di immediata applicazione ad efficacia temporale differita, norme mediate nella loro applicazione da decreti ministeriali.


Si osservi che tale modello normativo non è la prima volta che è stato utilizzato nella nostra materia (il precedente di riferimento può esemplificativamente essere rappresentato dalla legge n. 335 dell’agosto 1995) e la sua utilizzazione è resa manifesta dalla stessa intitolazione data alla legge in commento dai conditores, infatti si parla di norme pensionistiche e deleghe al Governo.


Tutto questo comporta la necessità metodologica non solo di distinguere fra disposizioni attinenti alla previdenza obbligatoria e alla previdenza complementare ma, all’interno di ciascuno dei micro-sistemi evidenziati, la necessità di disaggregare per tipi normativi le disposizioni introdotte dalla novella legislativa.


Di primo acchito, a suffragio di quanto sin qui detto, basti rammentare:
- la norma in tema di incentivo per il differimento del pensionamento (immediatamente applicabile);
- la norma che fissa nuove criteri per il pensionamento (immediatamente applicabile ma ad efficacia differita, il gennaio 2008);
- le norme in tema di inquadramento delle aziende e di istituzione del casellario giudiziale (disposizioni a efficacia immediata, ma che necessitano del varo di decreti ministeriali);
- le norme in tema di destinazione del trattamento di fine rapporto al finanziamento della previdenza complementare, queste sì norme deleganti.

L’indagine può ora proseguire chiedendosi come la normazione in questione si coniughi, per il versante “privatistico”, con le norme introdotte dalla legge dell’8 agosto 1995, n. 335, e per il versante “pubblicistico”, con le disposizioni di natura costituzionale dettate dal terzo comma dell’art. 117, nel testo introdotto dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, che, all’ultimo periodo del terzo comma, da un lato riconosce alle Regioni nelle materie di legislazione concorrente, fra le quali rientra la previdenza complementare e integrativa, la potestà legislativa, e dall’altro affida esclusivamente alla legislazione dello Stato il compito di determinare i principi fondamentali, quadro di riferimento necessario dell’attività legislativa regionale.



2. Rapporto fra legge di riforma e legge dell’8 agosto 1995, n. 335.

Come noto, antecedentemente alla legge n. 243, il legislatore era intervenuto nella nostra materia con una legge di sistema e cioè quella dell’agosto 1995, la n. 335, significativamente intitolata “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”.


La natura strutturale di questa legge nella disciplina previdenziale era resa manifesta dallo stesso legislatore del tempo che, all’art. 1, affermava:
- le disposizioni della presente legge costituiscono principi fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica (2° comma);
- la presente legge ridefinisce il sistema previdenziale allo scopo di garantire la tutela prevista dall’art. 38 della Costituzione (primo comma);
- le successive leggi non possono introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni (secondo comma, 2° periodo).

Fra i principi sistemici introdotti dalla legge del 1995, e che si pongono in nesso di necessità con la legislazione del 2004, possono rammentarsi:
- l’introduzione del sistema contributivo per il calcolo della pensione nell’assicurazione generale obbligatoria e nelle forme sostitutive ed esclusive di questa (art. 1, comma 6);
- l’individuazione dei criteri in forza dei quali si consegue la pensione di vecchiaia da parte dei lavoratori i cui trattamenti pensionistici sono liquidati esclusivamente con il metodo contributivo (art. cit., commi 19 e 20);
- la non cumulabilità dei redditi da lavoro, integrale per i redditi di lavoro dipendenti e nella misura del 50% per i redditi di lavoro autonomo, per i pensionati di età inferiore a 63 anni che abbiano conseguito la pensione di vecchiaia con il metodo contributivo (art. cit., comma 21);
- la persistenza, in via transitoria, dei criteri fissati dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, così come modificati dall’art. 11 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e come integrati dalle norme introdotte dalla medesima legge, con riguardo al conseguimento della pensione di vecchiaia e di anzianità da parte di quei lavoratori a cui è applicabile il metodo di calcolo retributivo o quello misto (art. cit., comma 23, primo periodo; commi da 25 a 29 [con riguardo alla pensione di anzianità]);
- la possibilità da parte della categoria di lavoratori da ultimo citata di optare per la liquidazione del trattamento pensionistico esclusivamente con le regole del sistema contributivo (comma 23, secondo periodo, e comma 24. A seguito di quest’ultima disposizione vi è stata l’emanazione del decreto legislativo n. 180 del 30.4.1997 che ha fissato le regole per l’esercizio dell’opzione e i criteri per la liquidazione della pensione esclusivamente con il sistema contributivo);
- i principi e criteri direttivi per il riordino, l’armonizzazione e la razionalizzazione delle discipline dei diversi regimi previdenziali in materia di contribuzione figurativa, di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria (art. 1, comma 39. I decreti legislativi di attuazione sono: quello del 16.9.1996, n. 564, in materia di contribuzione figurativa e di copertura assicurativa per periodi non coperti da contribuzione; quello del 30 aprile 1997, n. 184, in materia di ricongiunzione, riscatto e prosecuzione volontaria);
- l’elencazione delle fattispecie, al cui venir in essere, è riconosciuto, con riguardo ai trattamenti pensionistici erogati con il sistema contributivo, l’accredito figurativo (comma 40, art. 1);
- l’estensione a tutte le forme sostitutive o esclusive dell’Ago delle regole fissate presso quest’ultima, con riguardo al trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato (comma 41, art. cit.);
- l’istituzione, alle dirette dipendenze del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di un Nucleo di valutazione della spesa previdenziale (comma 44, art. 1);
- l’applicazione dell’art. 2120 cod. civ. ai trattamenti di fine servizio riconosciuti in favore dei lavoratori assunti a decorrere dall’1.1.1996 alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche (art, 2, comma 5);
- l’individuazione dell’efficacia temporale dei provvedimenti adottati d’ufficio dall’Inps di variazione della classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali (art. 3, comma 8);
- le disposizioni dettate dagli artt. 4 – 16 in tema di previdenza complementare.

La ricognizione, certamente parziale, delle disposizioni legislative introdotte dalla legge del 1995 e che sono state coinvolte nell’operazione di modifica legislativa del 2004, basti sotto quest’ultimo versante rammentare le modifiche apportate con riguardo all’accesso al pensionamento, porta quindi a verificare se le novità siano state apportate nel rispetto, quanto meno, delle regole procedurali fissate nel secondo comma dell’art. 1 della legge n. 335 del 1995, cioè tramite l’espressa modificazione delle disposizioni di quest’ultima legge.


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La lettura del testo normativo del 2004 porta a concludere che tutte le novità dallo stesso introdotte, e che incidono su precedenti disposizioni della legge di riforma pensionistica del 1995, non hanno rispettato il canone procedurale precedentemente fissato, e quindi non hanno abrogato espressamente nessuna delle disposizioni contenute nella legge del 1995.
Continuando nell’esempio fatto da ultimo, ma lo stesso discorso si potrebbe fare per le norme deleganti in tema di totalizzazione (art. 1. 2° c., lett. o), si può constatare che il legislatore del 2004, al sesto e settimo comma dell’art. cit., ha introdotte nuove regole per l’elevazione dell’età media di accesso al pensionamento con effetto graduato nel tempo, a decorrere dall’1.1.2008, senza però provvedere contestualmente all’abrogazione espressa delle disposizioni dettate sullo stesso tema nella precedente legge del 1995.
La menzione a una parte di queste disposizioni la si rinviene alla lett. b) del cit. comma terzo, allorché si dispone l’elevazione del requisito anagrafico per la concessione della pensione di vecchiaia liquidata solo con il sistema contributivo.

Ma, prescindendo dal rispetto della regola procedurale di abrogazione espressa (come rilevato non rispettata), ponendosi da altro angolo visuale è possibile constatare che mentre il legislatore del 1995 autoqualifica le disposizioni introdotte dalla presente legge come “principi fondamentali di riforma economica” (art. 1, 2° c., 1° periodo), all’opposto una qualificazione di tal fatta non la si rinviene per le norme introdotte con la legge n. 243, con la conseguenza che potrebbe porsi un contrasto fra norme di non facile risoluzione.
Tale discrasia in realtà non comporta, secondo l’insegnamento del giudice delle leggi, che la prima legge contenga solo ed esclusivamente “principi” e, all’opposto la seconda non ne contenga alcuno.
La Corte costituzionale, sotto questo versante, ha infatti ritenuto che la qualificazione di disposizioni legislative quali “principi fondamentali”, ai sensi dell’art. 117 Costituzione, “non è di per sé determinante o indicativa di un possibile vizio di costituzionalità, in quanto la definizione di una legge non può dipendere soltanto da apodittiche affermazioni del legislatore ma deve avere una puntuale rispondenza nella natura effettiva delle disposizioni interessate” (fra le tante: la sentenza n. 85 del 26. 2. 1990).


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Se si procede a un’applicazione combinata delle regole sin qui delineate, si potrebbe giungere alla conclusione che l’abrogazione espressa di precedenti disposizioni che assumono, nel micro-sistema ove sono chiamate a operare, la posizione di “principi fondamentali” possa avvenire:
- da un lato con l’introduzione di nuove norme che abbiano la stessa forza, e che quindi costituiscano anch’esse “principi fondamentali”;
- da altro lato, e successivamente, solo in forza di scelte esplicite e giammai implicite del legislatore.
L’applicazione delle citate regole conduce a concludere che il legislatore del 2004, pur essendo intervenuto su materie normate dalla precedente legge del 1995, non ha rispettato quanto meno il canone procedurale previsto dalla legge n. 335, non prevedendo l’abrogazione espressa di alcuna precedente disposizione. Con la conseguenza che la violazione di tale regola procedurale dovrebbe logicamente condurre all’impossibilità che le disposizioni del 2004 possano travolgere le precedenti disposizioni, ovviamente sulle stesse materie, dettate dalla legge del 1995 e che costituiscono “principi fondamentali di riforma economico-sociale”.

 

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Riepilogando pare che le due regole dettate dal secondo comma dell’art. 1 della legge n. 335 operano su piani differenti e gradati.
La prima regola è di carattere sostanziale, e con essa si è voluto escludere che una qualsivoglia successiva legislazione in materia previdenziale potesse incidere sulle regole dettate nella legge n. 335, se non godesse anch’essa della stessa forza, se cioè non fosse annoverabile fra i principi fondamentali.
La seconda, una volta che si è acclarato di essere davanti all’introduzione di un principio fondamentale di riforma economico-sociale da parte del legislatore ordinario, garantisce che il legislatore, con la sua opera innovatrice e modificatoria, voglia espressamente incidere sulle precedenti disposizioni dettate sullo stesso tema prevedendone l’espressa abrogazione e ciò, si aggiunga, al fine di facilitare l’opera di ricostruzione di un tessuto normativo molto spesso di difficile riconduzione a sistema.
Quanto sin qui affermato sotto il profilo teorico sconta, nella nostra materia, da un lato una difficoltà di individuazione, fra le svariate disposizioni esistenti, quelle che costituiscono “principi fondamentali di riforma economico-sociale”, ovverosia è da chiedersi se per tutte le regole dettate dal legislatore del 1995, anche le più minute e di dettaglio, possa predicarsi la loro comprensione all’interno della citata categoria, il ché non sembra predicabile.
Da altro verso la ricostruzione non tiene conto delle scelte politiche dei legislatori futuri, e la riforma del 2004 ne è un classico esempio, che potrebbero, ignorando i vincoli di legislazione ordinaria fissati dal loro predecessore, dettare una nuova disciplina legislativa sulla medesima materia.
In entrambe le ipotesi di rottura del sistema, così come fissato dal legislatore del 1995, pare che l’opera di ricomposizione debba essere affidata, nolenti o volenti, alla giurisprudenza, che sarà chiamata, progressivamente, nel confronto delle due legislazioni a verificare quali siano le disposizioni ove si siano inverati i principi fondamentali di riforma economico-sociale introdotti dal legislatore nella nostra materia, e successivamente a verificare la legittimità costituzionale di una successiva legislazione ordinaria che incida su una precedente legislazione ordinaria, al fine di investigare se la legge cronologicamente più risalente abbia introdotto principi fondamentali di riforma economico-sociale e se la legge successiva abbia introdotto nuovi principi fondamentali contrari ai precedenti, con la conseguente loro abrogazione.

Quanto sin qui detto consente di spostare l’attenzione dal profilo legislativo interno al micro-sistema previdenziale al profilo esogeno, precisamente al rapporto che vi è o vi potrebbe essere fra i principi dettati dalla legge n. 243 e la riforma delle potestà legislative riconosciute alle Regioni dal novellato art. 117 della Costituzione con riguardo alla previdenza complementare, utilizzando gli approdi dottrinali e giurisprudenziali sul punto.



3. Rapporto fra legge di riforma e potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di previdenza complementare e integrativa.

Con la legge 23 agosto 2004, n. 243 il legislatore fissa una serie di criteri e principi direttivi in materia di previdenza complementare (art. 1, secondo comma, lett. e), oltre che disposizioni immediatamente applicabili (per esempio: il comma 35°), affidando, con riguardo ai primi, al legislatore delegato il compito di emanare la conseguente legislazione delegata.
Proprio la parte di legge che costituisce la delega sulla previdenza complementare, si può porre in frizione con la potestà legislativa ripartita che il legislatore costituzionale riconosce al legislatore regionale, in materia di previdenza complementare e integrativa, con il limite costituito dai principi fondamentali fissati dalla legislazione statale.
Principi che sono da individuare innanzitutto nella lett. v) del primo comma dell’art. 3 della legge delega 23.10.1992, n. 421 e, in via giuridicamente e logicamente gradata, ove possibile nel decreto legislativo n. 124 del 21.4.1993.
Esemplificazione dell’estrazione, da questo testo legislativo, di principi fondamentali può essere rappresentata dai principi in tema di:
- più elevati livelli di copertura previdenziale;
- adesione volontaria ai fondi pensione
- erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico per tutti i lavoratori;
- garanzia di autonomia e separazione contabile e patrimoniale;
- concessione di agevolazioni fiscali.


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La nuova formulazione dell’art. 117 conduce a ritenere, secondo la ricostruzione che del rapporto legislazione statale e regionale ripartita è stata data, che:
- la legislazione regionale in materia di previdenza complementare e integrativa deve essere esercitata nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, degli obblighi internazionali, delle norme fondamentali delle leggi statali di riforma economico-sociale, dei principi stabiliti dalla legislazione statale per ciascuna materia;
- la prevalenza in ogni caso delle istanze unitarie perseguite dallo Stato sulla potestà legislativa ripartita esercitata dalle Regioni, ogniqualvolta dovesse esservi una contrapposizione fra istanze regionali e istanze unitarie nazionali;
- il necessario utilizzo da parte dello Stato, per la fissazione dei principi a cui si deve uniformare la legislazione regionale, del solo strumento della legge ordinaria;
- la possibilità da parte della legislazione regionale di intervenire nelle materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. anche in mancanza di leggi-cornice da parte dello Stato, purché si rispettino i principi fondamentali esistenti in seno all’ordinamento nazionale nella materia normata;
- l’impossibilità di derogare, anche in melius, da parte della legislazione regionale ai principi fondamentali dettati dal legislatore statale.

Se questo è il quadro di riferimento costituzionale, è necessario chiedersi se e come l’attuale legge delega in materia di previdenza complementare possa rispettare da un lato le competenze legislative assegnate nella materia alle Regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, dall’altro possa legittimamente fissare i principi fondamentali su cui si dovrà poi dipanare la legislazione regionale e provinciale citata, giusto il dettato del secondo periodo del terzo comma dell’art. 117 Costituzione. Evidenziando sin d’ora che, almeno parzialmente se non totalmente, i principi fondamentali sulla previdenza complementare e integrativa avevano trovato la loro naturale allocazione nella menzionata legge delega n. 421 del 23.10.1992 e, quanto meno in parte, nel successivo citato decreto legislativo n. 124 del 21 aprile 1993, non costituendo la nostra materia, al pari di altre, materia nuova mancante, quanto meno in via di immediata, diretta ed esplicita individuazione, di principi fondamentali.

In via di prima approssimazione pare di potere affermare che l’uso della legge delega nella nostra materia, con conseguente affidamento alla legislazione delegata del compito di successiva concretizzazione dei principi e criteri direttivi fissati, non è sotto il profilo logico-giuridico congruo, dato che così operando si giunge alla conclusione che la legislazione regionale e provinciale costituirebbe, temporalmente e giuridicamente, la terza fase di un procedimento di concretizzazione legislativa, con ambiti di operatività che appaiono alquanto limitati.
Invero se si vuole riconoscere la legittimità (a tutto concedere e in contrasto palese con l’architettura legislativa fissata dalla Costituzione) dell’utilizzo della legge delega nella nostra materia, l’attuazione di tali principi non potrebbe che essere lasciata, in via di astrazione teorica, alla legislazione ripartita regionale.
Legislazione, a cui si ricordi, il legislatore costituzionale ha affidato la potestà legislativa, e giammai al legislatore delegato che, con la sua opera di normazione, ricoprirebbe tendenzialmente, a meno che non si voglia immaginare un legislatore delegato che a sua volta fissi principi, l’ambito di operatività della legge regionale.


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In via logicamente successiva si pone poi l’ulteriore questione se le norme deleganti dettate dalla legge n. 243 costituiscano principi fondamentali oppure se, in toto vel pro parte, predeterminino in maniera puntuale e specifica l’attività legislativa delegata e, quindi nella ricostruzione fatta prima, l’eventuale legislazione regionale o provinciale che dovrebbe o potrebbe prendere il posto del legislatore delegato nazionale per evitare sospetti di legittimità costituzionale.
Una ricognizione, nei limiti del presente scritto, conduce a dubitare che i principi e criteri direttivi fissati nella lett. e), al secondo comma, dell’art. 1, in materia di previdenza complementare, siano riconducibili, quanto meno nella loro interezza, alla categoria “principi fondamentali” di pertinenza esclusiva della legislazione statale.
A corroborazione di tale assunto può, non esaustivamente e in ogni caso rinviando alla lettura diretta della disposizione, menzionarsi:
- la complessa disposizione in tema di conferimento del t.f.r. a seguito di silenzio del lavoratore e la sua analiticità (n. 1);
- la fissazione della regola seconda la quale il contributo a carico del datore di lavoro alle forme di previdenza complementare, a cui il lavoratore è iscritto, affluisca automaticamente (n. 3);
- la fissazione della regola in forza della quale la contribuzione volontaria ai fondi di previdenza complementare possa proseguire anche oltre i cinque anni dal raggiungimento dell’età pensionabile (n. 5);
- il riconoscimento in capo ai fondi pensione della contitolarità del diritto alla contribuzione, compreso il trattamento di fine rapporto, cui è tenuto il datore di lavoro e la conseguente legittimazione attiva del fondo a rappresentare i propri iscritti nei procedimenti giudiziari connessi (n. 8);
- la subordinazione del conferimento del t.f.r. ai fondi previdenziali all’assenza di oneri per le imprese, al cui interno si espunge dall’ordinamento il contributo relativo al finanziamento del fondo di garanzia istituito con l’art. 2 della legge 29 maggio 1992, n. 297 (n. 9).
 

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Si aggiunga infine che nella materia investigata è da ultimo intervenuto il Consiglio di stato, con il provvedimento n. 10673 dell’11 ottobre 2004, ove si è espresso parere favorevole allo schema di regolamento recante disposizioni in materia di gestione di fondi pensione e di fondi pensione preesistenti.
Il Consiglio di stato, per quel che interessa la presente esposizione, ha ritenuto legittimo l’esercizio del potere regolamentare da parte dello Stato, nonostante il disposto del terzo comma dell’art. 117 della Costituzione, in forza di tali considerazioni:
- inserimento dello schema di regolamento in una fase assai delicata e complessa di completamento normativo che costituisce la premessa necessaria per la stessa individuazione dello spazio di legislazione concorrente all’interno del quale possono essere attivate eventuali iniziative legislative regionali connesse a specifiche esigenze di imprese o gruppi di imprese localizzati sul territorio;
- riconduzione dell’esercizio dei poteri legislativi e regolamentari dello Stato in questa materia al concorso di un triplice criterio: a) quello della competenza esclusiva nella materia della disciplina dei mercati finanziari; b) quello della definizione del sistema complessivo della previdenza sociale anche con riferimento alle sue interazioni con i mercati finanziari; c) quello della unificazione del sistema giuridico-economico;
- l’assetto complessivo del sistema pensionistico, nella sua articolazione strutturale tra forme obbligatorie e forme complementari, intreccia una serie di competenze trasversali riconducibili alla funzione di unificazione giuridica ed economica dell’ordinamento;
- in analogia, a quanto la Corte costituzionale ha chiarito in materia di tributi regionali (si tratta della sentenza n. 37 del 26.1.2004), appare ragionevole affermare che l’esercizio di poteri legislativi regionali in materia di previdenza complementare ed integrativa potrà concretamente esprimersi solo dopo che lo Stato, nell’esercizio di competenze esclusive, e di unificazione del sistema giuridico ed economico, anche sulla base delle fonti comunitarie, e tenuto conto delle più recenti esperienze estere, anche molto critiche, emerse in alcuni mercati mobiliari evoluti (la memoria va al caso Enron, per gli Stati Uniti d’America, e al caso Maxwell, per il regno Unito), avrà chiarito quali sono gli spazi entro i quali potrà esprimersi la competenza legislativa regionale.

L’ultima delle considerazioni fatta dal Consiglio di stato non appare, in via di prima approssimazione, condivisibile sino alle sue estreme conseguenze che comportano:
- da un lato l’ammissibilità da parte dello Stato di emanare un regolamento in una materia a legislazione ripartita (contrariamente a quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 303 del 25.9.2003), quale è la previdenza complementare;
- dall’altro lato il fermo della legislazione regionale sino a quando lo Stato non avrà emanato i principi fondamentali della materia, dimenticandosi che questi potrebbero essere desunti dalla legislazione nazionale attualmente vigente.

Il Consiglio di stato, con questa affermazione, non tiene conto che un quadro legislativo di riferimento, compiuto e completo sulla previdenza complementare, esiste e in esso si possono rinvenire quei principi fondamentali a cui si dovrà attenere la futura legislazione regionale sul tema; e ancora, nella sua assolutezza, l’affermazione del Consiglio di stato conduce a svuotare di efficacia il dettato costituzionale, che diviene una norma programmatica, affidata nella sua concreta attuazione a scelte legislative nazionali, che potrebbero non esservi.

 

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1) Il presente scritto trae spunto dalla relazione, “Previdenza pubblica e privata dopo la legge delega n. 243 del 23 agosto 2004”, tenuta a Genova, il 10.12.2004, al Convegno “Le nuove pensioni: tra il pubblico e il privato”, organizzato dalla sezione ligure del Centro studi di diritto del lavoro “Domenico Napoletano”, e sarà pubblicato, corredato delle note e dell’apparato bibliografico sulla rivista “Il Diritto della Sicurezza Sociale”, 2005, n. 1. (Pubblicato on Line su www.ambientediritto.it - 5.01.2005)