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L’ambiente sano è un diritto ma anche una responsabilità.

 

Carmen Pernicola





Negli ultimi anni l’approccio alla questione ambientale è profondamente mutato, passando dall’analisi di singole componenti dell’ambiente da tutelare a una più ampia critica all’intero sistema di produzione e di consumo delle società industrializzate.


La Conferenza su Ambiente e Sviluppo (UNCED) svoltasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992 ha tradotto la necessità di individuare modelli di produzione e di consumo più sobri nell’espressione “sviluppo sostenibile” e ha raggruppato i progetti di sviluppo sostenibile definiti a livello internazionale nel documento programmatico Agenda 21, sottoscritto da più di 170 Stati.


L'Agenda 21 internazionale è una piattaforma programmatica in cui, partendo dai problemi globali che investono la Terra, viene indicato un programma operativo per una transizione verso uno sviluppo sostenibile. La Conferenza di Aalborg, Danimarca, del 1994, e la “Campagna Europea Città Sostenibili” da questa derivata, hanno dato un impulso determinante alla concretizzazione, da parte dell’Italia, dei progetti indicati in Agenda 21.


Lo sviluppo sostenibile si basa su relazioni tra le azioni umane e la biosfera, articolate in modo da consentire la soddisfazione dei bisogni individuali e allo stesso tempo lo sviluppo delle culture, senza provocare danni al sistema biofisico del pianeta.


Lo “State of The World 2004”, (State of the World 2004 Consumi, Worldwatch Institute, Edizioni Ambiente 2004), il rapporto annuale sullo stato di salute del mondo redatto dal “Worldwatch Institute, l’istituto privato di analisi e ricerche fondato nel 1974 da Lester Russel Brown e dedicato all’indagine interdisciplinare dei problemi del nostro pianeta, per la prima volta nel 2004 ha dedicato il Rapporto a una sola tematica: gli effetti della società consumistica sui sistemi naturali e sociali della Terra.


Il rapporto avverte che la Terra “non ha le risorse per permettere a tutti i suoi abitanti di vivere come vivono l’europeo e l’americano medio” e che nei prossimi anni i paesi ricchi “dovrebbero ridurre fino al 90% il loro uso ineguale di energia e di materie prime, pena la catastrofe ecologica, sociale e psicologica del pianeta, ormai alle porte”.


Gli scienziati avvertono che una delle più gravi conseguenze che deriverà all’equilibrio del pianeta Terra se non ridurremo il consumo di energie riguarderà il clima a livello globale.


Il clima globale è uno stato di equilibrio energetico tra l’energia che entra nel nostro pianeta, rappresentata in gran parte dall’energia solare, e l’energia che invece esce dalla Terra ed è rappresentata soprattutto da radiazione solare riflessa.


La terra è continuamente colpita dalla radiazione elettromagnetica emessa dal sole. Una parte rilevante di questa radiazione elettromagnetica colpisce la crosta terrestre, la parte restante viene assorbita dall’atmosfera terrestre. La superficie terrestre riflette una parte della radiazione solare e riemette a sua volta una radiazione a lunghezza d’onda maggiore (infrarosso lungo).


I gas serra sono composti presenti nell’aria (anidride carbonica, vapore acqueo, metano, ecc.) a concentrazioni relativamente basse, che agiscono come i vetri di una serra, consentendo da un lato il passaggio delle radiazioni solari attraverso l’atmosfera e ostacolando, dall’altro, il passaggio verso lo spazio di parte di questi infrarossi riemessi dalla superficie terrestre e dalla bassa atmosfera.


I gas serra servono a favorire la regolazione e il mantenimento della temperatura della Terra ai valori attuali, consentendo le forme di vita che ci sono note. In assenza di questo meccanismo, che viene definito effetto serra, la temperatura media sulla Terra sarebbe pari a -19°C.


Secondo gli scienziati le enormi quantità di gas serra emesse nell’atmosfera per effetto di alcune attività umane stanno alterando in maniera profonda la composizione chimica dell’atmosfera.


“Il rilascio in atmosfera di sostanze prodotte da fonti puntuali o diffuse" viene definito, dal protocollo di Goteborg del 1999 “emissione”.


Le emissioni del nostro pianeta possono essere di origine naturale, ed è il caso, ad esempio, delle emissioni di polveri e ossidi di zolfo prodotte dalle eruzioni vulcaniche, ma possono anche essere prodotte dall’uomo per effetto di attività industriali, trasporti e consumi.


Tra le emissioni prodotte dall’uomo vi sono proprio le emissioni dei cosiddetti gas serra, derivanti dalle attività umane delle società industrializzate. Tra questi gas serra quello che più preoccupa gli scienziati è l’anidride carbonica, che viene prodotta in tutti i fenomeni di combustione utilizzati per le attività umane, soprattutto per gli autoveicoli e per la produzione di energia elettrica.


Prima della rivoluzione industriale, le attività umane provocavano rare emissioni di gas nell’atmosfera, ma la crescita demografica dell’ultimo secolo, l’utilizzo di combustibili fossili e l’enorme deforestazione hanno portato e a un fortissimo aumento di emissioni di gas serra (metano, ossidi di azoto, clorofluorocarburi, anidride carbonica). Dalle analisi dei ghiacci polari si è potuto stabilire che per oltre 400.000 anni la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera non è mai andata oltre le 300 parti per milione, oggi invece tale valore ha raggiunto le 381 parti per milione e aumenta di 2 parti per milione ogni anno. Gli scienziati, ipotizzano, che se non si interviene le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera arriveranno nel 2050 a oltre 500 parti per milione.


Luca Mercalli, climatologo della Società Meteorologica Italiana, sostiene che tutti i modelli di previsione, quelli più catastrofici come quelli più ottimisti, concordano su un dato molto allarmante: queste enormi emissioni di gas serra nell’atmosfera provocheranno nei prossimi decenni un aumento rilevante della temperatura del nostro pianeta, producendo dei mutamenti profondi a carico del clima.


Il Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC) sostiene che la temperatura media della Terra sia aumentata dal 1861 a oggi di circa 0,6°C e stima, in base alle attuali tendenze di emissione dei gas serra, un ulteriore aumento della temperatura terrestre tra 1,4°C e 5,8° C nel periodo compreso tra il 1990 e il 2100.


La Conferenza sul clima recentemente tenutasi a Buenos Aires ha confermato le gravi conseguenze che deriverebbero dal surriscaldamento della Terra.


Gli scienziati valutano che un risultato adeguato per non incorrere in tale pericolo sarebbe costituito da una riduzione di emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera del 60% rispetto alle emissioni attuali entro il 2020.


La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, approvata a New York il 9 maggio 1992, ha come obiettivo la stabilizzazione a livello planetario della concentrazione dei gas ad effetto serra che sono le principali sostanze in grado di interferire ed alterare il clima globale (l'anidride carbonica, metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi, esafluoruro di zolfo.


Il Protocollo di Kyoto, firmato nel dicembre 1997, rappresenta lo strumento attuativo della Convenzione e impegna i paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione ad una riduzione delle emissioni dei principali gas ad effetto serra rispetto ai valori del 1990. I Paesi soggetti a vincolo di emissione sono 39 ed includono, fondamentalmente, i paesi europei, il Giappone, la Russia, gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia e la Nuova Zelanda. Gli obiettivi specifici di riduzione delle emissioni sono stati quantificati per il periodo 2008-2012. Successivamente, per i periodi oltre il 2012, saranno negoziati nuovi obiettivi che potrebbero includere un numero di paesi maggiore.


L'Italia, insieme agli altri paesi dell'Unione Europea, ha ratificato il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore proprio in questi giorni. Gli Stati Uniti d'America che sono responsabili di emissioni di gas serra pari al 36,1% delle emissioni totali, non hanno ancora ratificato.


Il protocollo di Kyoto mira a una riduzione di emissioni di anidride carbonica del 5,2% entro il 2012. Questo obiettivo, sicuramente inadeguato rispetto alle reali esigenze, rappresenta a ogni modo, un importante cambiamento culturale, che se recepito potrebbe portare a un cambiamento di stile di vita delle persone, indispensabile per mutare direzione rispetto alle emissioni dannose nell’aria e ridurre il rischio di gravi cambiamenti climatici.


Il Libro Bianco per la riduzione dell’effetto serra in Italia, un documento scientifico redatto dal Coordinamento Cop9 Italia, costituito da diverse associazioni, tra cui Legambiente, WWP, Rete Lilliput, illustra chiaramente le principali linee d’azione indispensabili per raggiungere gli obiettivi del protocollo di Kyoto:
- efficienza nell’utilizzo delle risorse energetiche,
- sviluppo delle fonti rinnovabili,
- conversione ambientale del parco termoelettrico tradizionale mediante l’utilizzo di tecnologie più efficienti,
- conversione del sistema della mobilità,
- gestione dei meccanismi flessibili in modo credibile, facendo prevalere le riduzioni di emissioni climateranti nel sistema economico, produttivo e della mobilità.


La psicologia può offrire un contributo fondamentale al raggiungimento di questo obiettivi, utilizzando le proprie conoscenze scientifiche per incoraggiare le persone a cambiare i propri comportamenti in una direzione più ecologica.


Importante può essere il ruolo della psicologia nella programmazione e nella realizzazione di campagne di cambiamento sociale volte a ottenere cambiamenti cognitivi e comportamentali che possano dare una svolta importante agli stili di vita delle persone, prevenire i cambiamenti climatici e le catastrofiche conseguenze sull’ambiente che possono derivare da un utilizzo senza limiti delle risorse.


I cambiamenti cognitivi possono essere raggiunti creando nelle persone la consapevolezza del problema e fornendo informazioni adeguate.


I cambiamenti comportamentali più o meno stabili di gruppi di persone sono quelli più difficili da ottenere, in quanto si fondano su atteggiamenti e valori profondamente radicati. E proprio lo studio del rapporto tra comportamenti e atteggiamenti è oggi una delle principali aree di ricerca della psicologia sociale.


Bisogna, a ogni modo, sempre tener presente che l’incoraggiamento all’assunzione di stili di vita diversi deve venire prima di tutto dalle istituzioni, dai governi, dai gruppi di pressione sociale.


“Occorre avviare un grande movimento di liberazione per sconfiggere le ingiustizie fra gli esseri umani e con la natura, una nuova protesta per la sopravvivenza capace di farci passare dalla ideologia della crescita a quella dello sviluppo.”
(Giorgio Nebbia, "Lo sviluppo sostenibile", Edizioni Cultura della Pace, Firenze 1991).


La psicologia può fornire un contributo importante alla realizzazione di questo movimento di liberazione, mettendo le sue conoscenze sugli atteggiamenti, le credenze sociali, i valori e i comportamenti al servizio delle politiche che mirano a favorire nuovi stili di vita, più “sostenibili” da parte del nostro pianeta, non solo a livello individuale, ma anche, a livello di imprese pubbliche e private.


Carmen Pernicola, psicologa