«IL REGIME GIURIDICO DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI NELL’AMBITO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO»
Dimitris Liakopoulos
L’aumento della temperatura, la minore frequenza di piogge
hanno ridotto l’umidità del suolo, la produttività agricola nelle regioni già
esposte al rischio di acidificazione
(1)
ed hanno contribuito all’aumento delle frequenze e dell’estensione degli
incendi. Simultaneamente sono già riscontrabili i primi dibattiti mondiali
relativamente all’aumento della temperatura negli ultimi decenni(2),
della carrying capacity, ossia della capacità di carico del pianeta relativo
allo smaltimento delle emissioni inquinanti. Per effetto delle temperature più
elevate mentre viene trattenuta solo in parte la neve precipitata sono diminuite
le superfici glaciali in tutti i continenti come in Alaska, in Artico e
Antartide(3),
nelle catene montuose dell’Asia e dell’Africa(4)
così sono aumentate le malattie infettive e contagiose direttamente o
indirettamente collegate alla siccità, alle alluvioni(5),
alle temperature elevate nelle regioni temperate le malattie e le morti causate
da onde di calore(6).
Infine, l’aumento della temperatura terrestre determina contestualmente il
raffreddamento della stratosfera, favorendo la distruzione della fascia d’ozono(7).
Per tali motivi con l’inizio del nuovo secolo i cambiamenti climatici
costituiscono uno dei maggiori global concerns della Comunità internazionale(8).
Dobbiamo iniziare la nostra ricerca facendo una distinzione
tra problemi ambientali locali e problemi ambientali globali. È difficile
individuare se il cambiamento climatico debba essere necessariamente considerato
un fenomeno estremo e dannoso o se esso debba essere considerato come un
fenomeno inevitabilmente dannoso su scala mondiale(9).
Perché, l’inquinamento locale si rileva limitatamente ad un’area specifica(10)
mirando nella salvaguardia dei beni ambientali di carattere globale(11),
invece il degrado universale comporta danni irreversibili per l’equilibrio
dell’intero pianeta. Dal punto di vista del cambiamento climatico planetario non
è rilevante se l’anidride carbonica sia prodotta in Asia, in Africa(12)
o negli Stati Uniti. Si conta il livello delle emissioni o il grado delle
concentrazioni complessive che richiedono una risposta globale attraverso gli
strumenti di cooperazione internazionale(13).
La riduzione del cambiamento climatico comporta cambiamenti agli atteggiamenti
adottati nell’economia mondiale(14),
basata essenzialmente sul consumo di energia prodotta mediante l’utilizzazione
di combustibili fossili con inevitabili conseguenze sui livelli di vita e di
benessere delle collettività nell’ambito internazionale e all’interno di molti
Stati(15).
Dopo la prima Conferenza mondiale sul clima nel 1979 in cui
fu approvata una Dichiarazione che invitava tutti i governi del mondo a
prevedere e prevenire i potenziali cambiamenti climatici ad opera dell’uomo(16),
il primo atto tangibile di questa nuova sensibilità fu la conclusione della
Convenzione di Vienna nel 1985 per la protezione dello strato d’ozono(17).
La Convenzione fu completata due anni più tardi dal Protocollo di Montreal(18)
relativo alle sostanze che contribuiscono alla riduzione della fascia d’ozono(19).
Nell’1990, l’IPCC ha pubblicato il primo rapporto di valutazione che confermava
sostanzialmente le conclusioni della ricerca scientifica sui cambiamenti
climatici(20),
rapporto che costituirà la base per i successivi negoziati relativi ad una
apposita Convenzione in materia(21).
Il risultato di movimenti citati ha apportato all’adozione nel maggio del 1992 a
New York della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
(United Nations Framework Convention on climate change-UNFCCC)(22),
firmata a Rio de Janeiro nell’ambito della Conferenza delle Nazioni Unite
sull’ambiente e lo sviluppo (UNCED-1992) ed entrata in vigore il 21 marzo 1994(23).
La Convenzione è stata firmata da più di 150 paesi e ratificata da più di 185
Stati(24),
inclusa l’Italia(25).
La Convenzione trae origine dalla Risoluzione 43/53 adottata dall’Assemblea
generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1988 in cui si riconosce che
l’evoluzione del clima costituisce una preoccupazione comune dell’umanità
(common concern of humankind), quel che viene in primo luogo in rilievo è
l’interesse ad una comune valorizzazione e utilizzazione delle risorse e non
quello alla tutela ambientale(26).
Dal 1980 fino al 1990 sono indette varie Conferenze
intergovernative sui cambiamenti climatici, come per esempio nell’ottobre del
1985 the Villach Conference, nel giugno del 1988 the Toronto Conference, nel
febbraio del 1989 the Ottawa Conference, nel febbraio del 1989 the Tata
Conference, nel marzo del 1989 the Hague Conference, nel novembre 1989 the
Noordwijk Conference, nel dicembre del 1989 the Cairo Conference, nel maggio del
1990 the Bergen Conference e nel novembre del 1990 la seconda Conferenza
mondiale sul clima. Nel 1988 è stato creato il primo Panel Intergovernativo sui
Cambiamenti Climatici (IPCC) e nel 1990 l’IPCC(27)
pubblica il suo primo rapporto sul clima(28).
Trattasi di un organismo di carattere consultivo istituito dal Programma delle
Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP)(29)
e dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) con compito di monitorare e
controllare la situazione delle conoscenze scientifiche, tecniche e socio
economiche(30),
il quadro di riferimento scientifico e conoscitivo aggiornato (assessment
reports) e fondamentale per capire i fattori che condizionano il clima ed i
cambiamenti climatici(31)
indotti dalle attività umane(32).
Il panel è organizzato in tre gruppi di lavoro che si occupano degli aspetti
scientifici(33).
Il Panel ha fornito i primi dati relativi al riscaldamento del pianeta, che
hanno costituito la base per una presa di coscienza del problema da parte della
Comunità internazionale. Gli studi dell’IPCC hanno rappresentato un elemento
cruciale per l’adozione della Convenzione quadro(34)
delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici(35),
sia in seguito per accelerare il processo di elaborazione del Protocollo
attuativo (Protocollo di Kyoto)(36).
Fino ad oggi si sono tenute varie Convenzioni per la promozione delle nuove
iniziative e dei programmi climatici. La prima è notata a New York nel maggio
del 1992 per seguire a Berlino nel marzo-aprile 1995, a Roma nel dicembre 1995,
la Conferenza mondiale del clima all’Aja nel novembre del 2000 ed infine a
Marrakech dal 29 ottobre al 9 novembre 2001. In particolare a Marrakech fra le
importanti decisioni che si sono presi riferiamo: a) la riconferma e l’impegno
dei paesi industrializzati e paesi con economia in transizione per la riduzione
delle emissioni dei sei principali gas serra non controllati dal Protocollo di
Montreal del 1987, b) la stabilizzazione ed il ricorso illimitato ai meccanismi
di flessibilità istituiti dal Protocollo di Kyoto, c) il riconoscimento ed il
ruolo delle attività di gestione forestale, di gestione dei suolo agricoli e dei
pascoli, il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto, d)
il riconoscimento del ruolo dell’assorbimento di carbonio ottenuto mediante
interventi nazionali di afforestazione e riforestazione svolti a partire dal
1990, e) il riconoscimento del ruolo e dell’attività di afforestazione e
riforestazione nell’ambito del meccanismo di joint implementation, f) il
riconoscimento del ruolo delle attività di afforestazione e riforestazione
nell’ambito del clean development mechanism (CDM), purchè tali attività
risultino addizionali ed abbiano avuto inizio dopo il 2000(37).
La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici nel preambolo
e nell’art. 1 definì gli effetti negativi dei cambiamenti climatici causati
dall’uomo come un emergenza per tutto il genere umano e le generazioni future(38).
L’art. 2 della Convenzione fissò un obbiettivo che poneva come finalità
dell’accordo: “il raggiungimento della stabilizzazione delle concentrazioni dei
gas che provocano l’effetto serra su un livello che prevenga pericolose
interferenze antropogeniche per il sistema climatico”(39).
Nonostante i modelli matematici di previsione siano
enormemente migliorati durante gli anni e lo stesso Panel istituito dalla
Convenzione quadro sui cambiamenti climatici ha sostenuto che essi non spiegano
ancora con precisione il riscaldamento globale osservato negli ultimi due
decenni. I paesi devono accettare con responsabilità(40)
il cambiamento delle proprie politiche e specialmente in aree cruciali come la
politica energetica e le strutture industriali collegate. I Governi debbono
impegnarsi alla realizzazione dei programmi di sviluppo sostenibile(41),
prendendo in atto a forme di cooperazione internazionale volte a limitare gli
effetti negativi del cambiamento climatico(42).
L’affermazione citata viene confermata dal principio 21 della Dichiarazione
della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente del 1972(43),
il principio 2 della Dichiarazione di Rio adottata alla Conferenza delle Nazioni
Unite su ambiente e sviluppo (UNCED) del 1992(44),
che hanno assunto valore ormai consuetudinario nel diritto internazionale
contemporaneo(45).
Il contenuto della Convenzione relativamente al settore dei cambiamenti
climatici può tratteggiarsi come segue: i) alla stabilizzazione delle
concentrazioni di gas a effetto serra nell’atmosfera e ii) gli impegni previsti
sono: a) una comune ma differenziata responsabilità per tutti gli Stati membri(46),
formulando programmi nazionali o regionali contenenti azioni per attenuare i
cambiamenti climatici, b) l’adozione delle politiche e misure nazionali volte a
mitigare i cambiamenti climatici attraverso la limitazione delle emissioni e la
protezione ed il potenziamento del settore informativo, specialmente nell’ambito
europeo(47).
Nello stesso spirito si incontra la Carta mondiale della natura(48),
adottata dall’Assemblea generale il 28 ottobre 1982 ed altre numerose
Dichiarazioni di principi di carattere universale, comunitario e regionale(49)
che testimoniano l’impegno ed il lavoro della Comunità internazionale(50).
L’efficacia della Convenzione è stata discussa per prima
volta a Berlino nel marzo del 1995(51).
Secondo l’art. 4, par. 2, lett. d della Convenzione la prima COP avrebbe dovuto
riesaminare l’adeguatezza degli impegni di cui al par. 4, lettere a e b, tenendo
presenti le informazioni scientifiche e le valutazioni disponibili relative ai
cambiamenti climatici(52).
Una delle maggiori impasse della Conferenza di Berlino è stata la mancata
adozione delle regole di procedura della Conferenza delle parti(53).
Infatti, la Convenzione delle parti avrebbe dovuto adottare, per consensus, le
proprie regole di procedura così come quelle dei suoi organi sussidiari(54).
Ha, inter alia, il potere di adottare tutte le decisioni necessarie per
promuovere l’effettiva applicazione della Convenzione quadro(55).
Gli obbiettivi che s’incontrano con il perseguimento mediante
interventi a carattere generale per l’identificazione e la valutazione delle
risorse in uso, nonché mediante la conservazione di tali risorse in situ ed ex
situ(56)
istituiscono il punto chiave del regime che concerne l’applicazione
dei meccanismi applicabili nel settore di cambiamenti climatici che dipende
tanto dall’evoluzione dei negoziati e gli scontri che si sentono elevati, dato
che l’economia mondiale dipende largamente dall’utilizzo dei combustibili
fossili(57).
Una Convenzione sui cambiamenti climatici avrebbe avuto le potenzialità di
influire profondamente sulle attività sociali ed economiche che si svolgono
sull’intero pianeta(58).
Alcuni Stati membri hanno dubitato su problematiche come le fonti ed i serbatoi
di gas serra(59),
la distribuzione regionale del cambiamento climatico risultante dall’incremento
delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera(60),
il monitoraggio degli impatti sulle foreste, l’impatto del riscaldamento(61)
sulle aree costiere, l’agricoltura e la salute umana(62).
Il dibattito si è aperto più forte tramite i soliti contrasti tra USA-UE sulla
necessità di assunzione degli obblighi precisi in materia di riduzione delle
emissioni(63)
di gas inquinanti e gli Stati Uniti assolutamente contrari all’individuazione di
scadenze e vincoli in materia(64).
È ovvio che la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici
(UNFCC) rappresenta il primo strumento giuridico vincolante a livello universale
ad occuparsi di cambiamenti climatici, con l’obiettivo della stabilizzazione
delle concentrazioni in atmosfera di gas serra ad un livello tale da pervenire
effetti nocivi per il sistema climatico derivanti da attività umane. In sostanza
la Convenzione contiene solo norme cornice(65),
destinate ad essere precisate progressivamente con Protocolli aggiuntivi da
negoziarsi in seguito. In particolare, gli Stati Uniti sono contrari
all’individuazione di impegni precisi e scadenze rigide(66).
I negoziatori hanno deciso di adottare una soluzione intermedia volta a
privilegiare la massimizzazione delle partecipazioni secondo le dichiarazioni
del Segretario generale delle Nazioni Unite(67).
La UNFCCC di natura non ha contenuto misure operative per
combattere il cambiamento climatico ma solo una serie di norme cornice e
obblighi di risultato(68).
In questo mondo le forme e i mezzi per l’attuazione degli obiettivi viene
rimesso alla libertà delle parti sia tramite la conclusione di Protocolli
aggiuntivi, sia tramite accordi di carattere regionale o anche atti di diritto
interno. Ricordiamo l’art. 3, par. 1 della Convenzione che prevede un doppio
regime giuridico, organizzato in una complessa struttura comprensiva di impegni
generici per tutti gli Stati parte della Convenzione(69).
Impegni specifici per gli Stati elencati nell’Allegato 1 ed impegni specifici in
materia finanziaria e di trasferimento di tecnologie per gli Stati elencati
nell’Allegato 2 (Paesi OSCE)(70).
I comportamenti proposti dalla Convenzione stabiliscono che ciascuno degli Stati
partecipanti dovrebbe presentare alla Conferenza delle Parti (COP) informazioni
dettagliate dopo di sei mesi dal giorno che entrerà in vigore la convenzione(71).
È stata anche lasciata la possibilità alla Conferenza delle parti di rivedere ed
emendare, se sia possibile il contenuto dei due sottoparagrafi a e b dell’art.
4, par. 2, già alla sua prima sessione del COP, cioè fino al 31 dicembre del
1998. Un impegno che si presenta abbastanza chiaro, pertanto sembrerebbe
opportuno interpretarlo come una dichiarazione di intenti priva di efficacia
vincolante, piuttosto che come un vero obbligo giuridico sancito da una
Convenzione internazionale. Tra le parti sviluppate dovrebbe essere individuato
un opportuno criterio di equità ed un certo grado di flessibilità(72)
nei confronti dei paesi con economia in transizione al fine di indirizzare i
loro interventi per il cambiamento climatico(73).
Per quanto riguarda il settore delle missioni gli inventari relativi hanno
altresì della responsabilità comune(74)
ma anche con funzione di evidenziare i settori che meglio si prestano per un
intervento di riduzione(75).
Viene, così prevista la promozione e cooperazione nello sviluppo, applicazione,
diffusione di pratiche e processi per controllare, ridurre o prevenire le
emissioni di gas serra(76).
La Convenzione citata all’art. 4, par. 2, lett. 1, prevede
che le parti contraenti possano adottare le politiche e le misure necessarie per
limitare le emissioni di gas serra sia individualmente che collettivamente. Per
affrontare il problema dell’inquinamento ambientale globale non è molto
importante la limitazione del fenomeno nell’ambito locale e delle emissioni
avvenute, ma solamente l’esito finale che si determina(77).
Le misure di riduzione dovrebbero essere prese in quei paesi dove il costo
marginale dell’abbattimento risulti minore. La Convenzione citata consente ad
uno Stato parte di raggiungere la propria quota di riduzione delle emissioni in
un altro Stato attraverso l’investimento ed il trasferimento di tecnologie
ambientalmente sane. Si possono ottenere le certified emissions reductions-CER
che risultano da progetti intrapresi in qualsiasi settore dell’economia, allo
scopo di ridurre le emissioni di gas serra e di aumento dell’assorbimento da
parte dei pozzi(78).
Un simile meccanismo è stato proposto anche dal Protocollo di Montreal sulla
protezione della fascia d’ozono. La preoccupazione principale era che l’intero
meccanismo possa costituire per i paesi industrializzati uno strumento per far
pesare l’onere delle riduzioni sui Paesi in via di sviluppo. Arrivando ad un
compromesso che istituisce una fase pilota specialmente dai gruppi che
affrontano grandi incertezze relativamente alla possibilità che si sviluppò un
mercato mondiale delle tecnologie pulite. Durante questa fasi le parti non
possono accumulare crediti (CER) dando l’opportunità di iniziare a partecipare
alla riduzione delle emissioni di gas serra, senza tuttavia formalizzare i loro
impegni di riduzione(79).
Il sistema di joint implementation(80)
(applicazione congiunta degli obblighi convenzionali) è stata modificata
lasciando impregiudicato ogni riferimento agli obblighi convenzionali(81).
Per quanto riguarda il sistema preventivo proposto dalla
Convenzione dobbiamo sostenere che si è fondato sui rapporti che le parti
periodicamente devono sottoporre all’esame della COP. Si forma così un sistema
di comunicazioni nazionali (sistema informativo) che includono una descrizione
dettagliata delle politiche e delle misure adottate per raggiungere l’obiettivo
di stabilizzare le emissioni di gas serra e le politiche e misure sulle
emissioni. Oltre alla raccolta dei dati e della metodologia usata, la finalità
di queste analisi approfondite è di fornire un quadro relativamente chiaro e
dettagliato dell’evoluzione del fenomeno in ogni paese, tenendo in
considerazione l’impatto di alcune variabili nazionali come le istituzioni
nazionali, il decentramento dei poteri, le caratteristiche dell’economia
nazionale e le politiche economiche adottate. In tema di revisione sono
coinvolti nelle attività di controllo e monitoraggio delle emissioni dei
rispettivi paesi(82),
in modo che lo scambio di idee e esperienze consente loro di acquisire il know
how necessario per migliorare le capacità nazionali di abbattimento degli agenti
inquinanti(83).
La semplice stabilizzazione dei livelli di emissione di CO2(84)
non poteva efficacemente impedire alla concentrazione di biossido di carbonio di
continuare a crescere per almeno i prossimi due secoli con effetti negativi per
il pianeta. Dalla discussione del comitato negoziale intergovernativo che si è
svolto dieci anni fa, hanno cominciato a discutere il problema di una revisione
generale degli impegni per poter contrastare il cambiamento climatico. Qualsiasi
taglio delle emissioni di gas serra implicava una trasformazione, ridimensionale
della vita economica e dello sviluppo dell’intero pianeta. Maggiori scontri ci
sono notati all’interno del gruppo dei 77, dai esportatori di petrolio dell’OPEC
e i piccoli paesi insulari (Alliance of Small Island States-AOSIS). Bisogna
sottolineare che la proposta di Protocollo dall’AOSIS è stato il documento
specifico, menzionato come base dei negoziati relativi al Protocollo di Kyoto(85).
Una posizione minimalista è stata rappresentata dai paesi dell’OPEC, guidati
dall’Arabia Saudita, nell’utilizzo di fonti energetiche alternative e pulite, in
sostituzione all’utilizzo massiccio di combustibili fossili, una seria minaccia
ai loro redditi derivanti dall’esportazione di greggio. Per quanto riguarda i
Paesi in via di sviluppo erano considerevolmente fermi ad accettare qualsiasi
ulteriore impegno nei successivi round negoziali. Questa posizione è stata
ribadita anche nella Dichiarazione finale della Conferenza di Berlino. Ciò ha
portato all’istituzione di un organo sussidiario ad hoc (Ad hoc group on Berlin
Mandate) per l’elaborazione di un Protocollo contenente impegni vincolanti di
riduzione delle emissioni di gas serra per il periodo 2000-2020. Si stabilisce
così un processo di negoziato che permetteva l’adozione da parte della terza
conferenza delle parti di registrare o almeno di discutere alcuni progressi ed a
non aver arrivato a nessuna conclusione fine al nono incontro della COP che si è
svolto a dicembre del 2004 a Buenos Aires(86).
Importante fu la discussione e l’adozione dell’articolo 11
della Convenzione che definisce un meccanismo per l’assegnazione di risorse
finanziarie a titolo di dono o di prestito agevolato, comprendente il
trasferimento di tecnologie. Il meccanismo finanziario svolge le sue funzioni
sotto la direzione della COP, verso la quale è responsabile. L’art. 21, par. 3,
dispone che l’organismo internazionale cui sarà affidata, a titolo provvisorio,
la gestione del meccanismo finanziario contemplato all’art. 11, sarà il Fondo
Mondiale per l’Ambiente (GEF) a condizione di una ristrutturazione adeguata in
sintonia con il dettato del capitolo 33 dell’Agenda 21, cioè di un approccio
diviso in tre fasi. La prima fase è la pianificazione, la quale include lo
studio del possibile impatto del cambiamento climatico, nella seconda fase si
prendono le misure tecniche necessarie per far fronte alla nuova situazione e
nella terza fase vengono prese le misure necessarie per facilitare un
adattamento adeguato, incluse eventuali assicurazioni. Il finanziamento era
limitato alla prima fase, durante la quarta conferenza delle parti (COP4) è
stato esteso anche alle altre attività delle fasi successive. La gestione
provvisoria del meccanismo finanziario, attribuita dalla Convenzione alla GEF è
stata modificata durante la quarta sessione della COP. La GEF si presenta così
come un meccanismo finanziario che eroga donazioni e crediti agevolati a Paesi
in via di sviluppo ed economie in transizione, per progetti volti a generare
benefici ambientali globali. La GEF si finanzia attraverso un sistema specifico
denominato “ricostituzione delle risorse”, che prevede periodici negoziati tra i
partecipanti al fondo per il suo ri-finanziamento ed opera nelle seguenti aree
di attività”: diversità biologica, cambiamenti climatici, acque internazionali e
protezione della fascia d’ozono. L’Italia è parte della GEF in virtù della legge
31 gennaio 1992, n. 114. In particolare con la legge 19 novembre 1998, GU, n.
276 del 25 novembre 1998, il governo italiano ha autorizzato la corresponsione
della somma del contributo per la partecipazione alla ricostruzione delle
risorse della GEF per il periodo 1997-1998(87).
Le attività necessarie alla preparazione dei progetti possono essere finanziate
attraverso lo sportello per la formulazione e preparazione dei progetti (PDF).
UNEP è responsabile per il coordinamento ambientale a livello regionale e
mondiale(88).
Funziona come centro catalizzatore dell’analisi scientifica e tecnica nelle aree
di competenza della GEF e fornisce servizi logistici ed amministrativi allo STAP,
il Comitato consultivo scientifico e tecnico della GEF.
Nella stessa linea sotto esposta si riferisce anche la Banca
Mondiale che ha sostenuto la necessità di un sistema di permessi di inquinamento
(emission trading-mercato delle emissioni)(89)
considerandolo dall’inizio come un modello applicabile in tutto il pianeta. La
proposta della Banca Mondiale ha rappresentato il punto cardine di porre sul
tavolo delle trattative i cosiddetti tre strumenti di flessibilità: emission
trading (ET), joint implementation-attuazione congiunta (JI) e clean development
mechanism-Meccanismo di sviluppo pulito (CDM). I meccanismi citati sono stati
designati allo scopo di permettere alle parti della Convenzione di raggiungere i
propri obiettivi di stabilizzazione di riduzione delle emissioni di gas ad
effetto serra(90)
ad un costo più basso, mediante il finanziamento di progetti di riduzione
delle emissioni in altri paesi sviluppati e in economie in transizione(91).
Nell’ambito europeo e specialmente l’Italia ha sostenuto che l’utilizzo dei
meccanismi di flessibilità offrono la possibilità di contenere in modo
significativo i costi della strategia europea sui cambiamenti climatici, ma
anche che la riduzione delle emissioni di gas serra è efficace in qualsiasi
parte del pianeta venga realizzata(92).
Il concetto di joint implementation è definito all’art. 6 del
Protocollo avviato dal 1994(93)
immediatamente dopo l’entrata in vigore della Convenzione. Ciascuna parte
dell’Allegato 1 può trasferire o acquistare da ogni altra parte presente nello
stesso Allegato, unità di riduzione di emissioni che risultano da progetti
intrapresi in qualsiasi settore dell’economia(94),
allo scopo di ridurre le emissioni o aumentare gli assorbimenti di gas serra da
parte dei serbatoi d’assorbimento, cioè attività di afforestazione e
riforestazione di gas serra da parte dei serbatoi d’assorbimento e da parte
dell’uomo. I costi d’investimento per migliorare l’efficienza energetica
dell’apparato industriale dell’Europa centro-orientale sono di gran lunga
inferiori a quelli necessari negli altri paesi maggiormente industrializzati che
hanno già raggiunto elevati livelli di efficienza(95).
In questo modo, la cooperazione tecnologica consentirà il raggiungimento al
minor costo l’obiettivo fondamentale di aumentare l’efficienza energetica con la
riduzione del fabbisogno di combustibili fossili ovvero tramite la riduzione
delle emissioni di anidride carbonica. Un elemento essenziale alla procedura
citata fu il requisito di supplementarietà che si pone come elemento essenziale,
affinchè le riduzioni di emissioni ottenute grazie ai progetti di joint
implementation non siano sostitutive delle politiche di riduzione realizzate
all’interno degli Stati elencati nell’Allegato 1, attraverso politiche e misure
nazionali. Un aspetto poco chiaro nella definizione del requisito è quello
quantitativo, cioè l’individuazione della percentuale della quota di riduzione
che può essere raggiunta mediante il ricorso al meccanismo di flessibilità(96)
o mediante politiche nazionali di riduzione delle emissioni di gas serra. Il
limite intrinseco del principio di supplementarietà sta proprio nel fatto che
questa concettualizzazione si è affermata in una scala territorialmente limitata
istituita così dal potere politico e non dalle regole internazionali (rex in
regno suo princeps est). Sussidiarietà significa sviluppo dei strumenti di
cooperazione internazionale sempre più complessi mettendo in discussione il
tradizionale principio cardine dell’autorità pubblica nazionale che è
legittimata come sovrana proprio in quanto superiorem non recognoscens. È vero
che la legittimazione che gli Stati sviluppati derivano in virtù delle
generazioni presenti costituisce un valore inesorabilmente collegato al
principio di sussidiarietà, in quanto è la libertà umana la base su cui solo si
può legittimare l’autorità degli Stati di fare quel che si deve sulla base della
deontologia democratica tenendo conto che lo sviluppo economico avrebbe
camminare con il benessere umano(97).
Passando nel concetto di clean development mechanism che è
stato creato dalla Conferenza delle parti durante la terza sessione introdotta
dall’art. 12 del Protocollo di Kyoto(98).
Il meccanismo in esame risulta analogo a quello della attuazione congiunta tra i
paesi dell’Allegato 1 e quelli di cui all’Allegato 2 della Convenzione, in modo
tale che gli Stati industrializzati possono acquisire quote di riduzione delle
emissioni mediante la realizzazione nei Paesi in via di sviluppo di progetti di
sviluppo pulito, cioè basati sull’innovazione tecnologica e sulle nuove
tecnologie ed alta efficienza ed a bassa emissione di gas serra(99).
Le condizioni di base sono: a) la riduzione delle emissioni nei paesi di via di
sviluppo deve essere certificata, b) i progetti realizzati devono contribuire
alla loro crescita economica secondo i criteri dello sviluppo sostenibile(100),
ecc. A differenza degli altri strumenti di flessibilità non è sottoposto al
requisito della supplementarietà, consentendo di accreditare unità certificate
di riduzione delle emissioni ai paesi industrializzati, senza addebitare tali
criteri a nessun altro o di tenerli in apposito conto. Uno dei problemi relativi
al meccanismo analizzato risulta quello della certificazione delle riduzioni
delle emissioni. Il Protocollo demanda la designazione delle entità operative
che dovranno occuparsi della certificazione alla COP-MOP, individuando però dei
requisiti a cui attenersi nel corso della certificazione come l’approvazione
volontaria di ciascuna delle parti coinvolte, la presenza di benefici reali,
misurabili e di lungo termine in relazione alla mitigazione del cambiamento
climatico ed il rispetto del principio di addizionalità. In finis, questo
meccanismo di flessibilità si configura come fondo redistributivo e di sostegno
per i paesi più colpiti dal cambiamento climatico in atto(101).
L’ultimo meccanismo analizzato è questo di emission trading
che è stato introdotto dall’art. 17 del Protocollo di Kyoto(102)
con l’impegno non attraverso forme di cooperazione su progetti congiunti ma
attraverso l’economia di mercato, cioè tramite liberi scambi commerciali,
mediante il meccanismo del emission trading, un paese possa acquistare a prezzi
di mercato la parte di quota di emissioni non utilizzabile da un altro paese.
Con questo modo si permette alle parti inclusi nell’Allegato 1 di commerciare in
unità di riduzione delle emissioni, al fine di raggiungere in modo più
efficiente e meno costoso gli obiettivi di riduzione a loro assegnati. Il
Protocollo non definisce le modalità attuative per questo meccanismo, salvo il
fatto che le unità di riduzione acquistate devono essere supplementari e non
sostitutive alle azioni adottate sul piano interno per la riduzione netta delle
emissioni di gas serra. La scarsità delle particolari condizioni per l’adozione
di questo meccanismo aveva generato un’accesa polemica in ambito negoziale. Nel
caso di recessione economica di uno dei paesi dell’Allegato 1 si potrebbero
creare situazioni paradossali nelle quali il paese in recessione non avrebbe
alcun incentivo a migliorare l’efficienza energetica e la dipendenza dai
combustibili fossili. Gli argomenti ancora presi sono relativi al funzionamento
del sistema di emission trading che emergono della determinazione delle “unità
di misura”(103)
del mercato di emissioni e della natura delle riduzioni di unità di emissione
commerciabili in base al dettato del Protocollo(104).
Infine, il coinvolgimento nel meccanismo di ET delle imprese pubbliche e private
è un settore discutibile a causa del coinvolgimento che debba essere
eventualmente limitato alle imprese cha hanno un diretto legame con le emissioni
di gas serra oppure il meccanismo debba essere aperto a tutti i possibili attori
pubblici o privati che intendano partecipare al commercio delle unità di
riduzione delle emissioni(105).
In conclusione, dobbiamo ritenere che la mancanza di adeguati meccanismi di
controllo e di non-compliance (procedure di non rispetto)(106)
nell’impianto normativo del Protocollo e dal fatto che le unità di
riduzione posseduta da un paese in eccesso rispetto alla propria quota di
riduzione, alla scadenza del primo periodo di riferimento, potranno essere,
comunque, da questo utilizzate per abbattere la sua quota negoziata per il
periodo di riferimento successivo(107).
Secondo il Protocollo di Montreal per la protezione di ozonosfera, i paesi
membri hanno l’obbligo di esaminare i rapporti concentrati e a decidere su di
essi al fine dell’applicazione nei loro confronti delle misure relative al
commercio delle sostanze regolamentate. La non-conformità di Stati terzi con le
misure relative al controllo e alla riduzione della produzione e del consumo ha
per conseguenza il blocco delle importazioni partendo da determinate date, dalle
esportazioni delle sostanze regolamentate provenienti o destinate a tali paesi.
Il regolamento statunitense del 1988 riferisce relativamente: “no person may
import any quantity of controlled substances form any nation not party to the
Montreal protocol unless that Nation is (…) complying with (…)”. Rimane da
chiedersi se il comportamento è lo stesso per quanto riguarda il comportamento
dei terzi Stati. Se il regime istituito dal Protocollo sia divenuto vincolante
per tutti i membri della Comunità internazionale, il fine perseguito dalle
disposizioni è certo un fine di interesse generale ad esse che tendono
effettivamente ad un’applicazione universale. Si possa ritenere il regime
convenzionale stabilito come divenuto vincolante per tutti i membri della
Comunità internazionale(108).
Esso costituisce un importante punto di analisi per affermare l’esistenza a
carico di tutti gli Stati di un obbligo internazionale di protezione
dell’ozonosfera e dell’ambiente in generale(109).
I progetti programmati si trovano in uno stadio evolutivo
(fase pilota), non risultando chiara la collocazione in una strategia più ampia
che affronta alla radice il problema dell’aumento delle emissioni di gas serra.
L’iniziativa più importante rimane la Global Carbon Iniziative. Con questo
programma la Banca Mondiale ha tentato di sostenere un fondo, il cosiddetto
Carbon Investment Fund, ribattezzato in Prototipe Carbon Fund, particolarmente
sostenuto dai paesi industrializzati, dagli enti elettrici e dalle grandi
industrie del settore privato, per investimenti in progetti di riduzione delle
emissioni nei Paesi in via di sviluppo ed in quelli ad economia in transizione.
In realtà il Fondo prevedeva una gestione degli investimenti da parte di un
istituto, il meccanismo si limitava a calcolare e registrare le riduzioni di
emissioni ottenute, tramite progetti specifici nei paesi in via di sviluppo.
Nel settore della limitazione delle emissioni di gas il
Protocollo di Kyoto(110)
prescrive che i paesi sviluppati e quelli ad economia in transizione devono
mettere a punto ed attuare politiche ed azioni operative dei seguenti tipi,
cioè: a) a carattere generale, per incrementare l’efficienza energetica nei più
rilevanti settori dell’economia nazionale e per migliorare le capacità di
assorbimento dei gas serra, b) a carattere politico-economico per eliminare quei
fattori di distorsione dei mercati che favoriscono le emissioni gas di serra e
per incoraggiare riforme: politico-economiche finalizzate alla loro riduzione,
c) a carattere specifico, relativamente alle emissioni di gas serra nel settore
trasporti, alle emissioni di metano provenienti dalle discariche di rifiuti e
dalle perdite dei metanodotti, alle riserve di combustibili per il trasporto
marittimo e per l’aviazione. Nel Protocollo vengono richiamati e riconfermati
misure di adozione, modalità e tempi di esecuzione e altre azioni necessarie per
rendere operativi tali obblighi(111).
Relativamente all’ambito comunitario dobbiamo dire che alla
Conferenza del Kyoto(112)
l’Unione europea è riuscita a conseguire alcuni dei propri propositi di
negoziato in particolare l’accettazione di obiettivi giuridicamente vincolanti
da parte dei principali concorrenti e partners commerciali(113),
analoghi agli impegni assunti dalla stessa Unione(114).
Ciò aveva come conseguenza la salvaguardia della competitività della comunità
che costituiva una delle preoccupazioni principali(115).
Le conclusioni del 1998 richiamano esplicitamente il contesto delle politiche e
delle norme europee nelle quale devono essere collocate le misure per la
riduzione delle emissioni, individuando i principali settori di azione
prioritaria a livello nazionale e comunitario per realizzare un progresso
tangibile entro il 2005. Nel settore energetico i settori di azione prioritaria
sono definiti in tre comunicazioni che definiscono strategie riguardanti la
produzione combinata di calore ed energia elettrica, l’efficienza energetica(116)
e il Libro bianco sulle fonti energetiche rinnovabili. Nel settore agricolo, i
principali ambiti d’azione derivano da Agenda 2000 da cui emerge l’esigenza di
analisi quantitative più approfondite sulle modalità in cui l’evoluzione dei
mercati agricoli e le misure di sviluppo rurale in vigore e proposte potranno
influire sui cambiamenti climatici(117).
Nel marzo del 2000 la Commissione europea ha adottato il programma europeo per
il cambiamento climatico (ECCP-PECC)(118),
essenzialmente dedicato all’illustrazione della strategia di doppio binario,
cioè per la riduzione dei gas ad effetto serra e all’abbandono dell’idea di
privilegio di un’azione simultanea su piani diversi(119).
Un sistema di scambio dei diritti di emissione all’interno dell’Unione e
l’adozione di misure finalizzate all’abbattimento delle emissioni provenienti da
fonti specifiche elevano un strumento potenziale per il controllo del
cambiamento climatico. Tale meccanismo si risolve essenzialmente alle imprese
delle quote per le emissioni di gas inquinanti in base ad obiettivi ambientali
fissati dai rispettivi governi e di scambio tra le varie imprese. Le quote che
si istituiscono vengono chiamate contingenti, autorizzazioni o massimali (plafonds).
Il vantaggio di tale sistema è costituito dalla certezza del risultato connesso
al contenimento delle emissioni entro il limite globale preventivamente
stabilito. Si prevede anche l’istituzione di gruppi di lavoro tecnici con il
compito di effettuare il lavoro preparatorio che sta alla base delle proposte di
intervento successivamente elaborate dalla Commissione in aree quali l’energia,
i trasporti, i gas industriali, lo scambio dei diritti di emissione(120).
Gli Stati membri del Protocollo di Kyoto e l’Italia(121)
in particolare dovrebbe decidere quali strategie(122)
adottare a livello nazionale rendendo come attività prioritaria l’abbattimento
delle emissioni di gas serra dal 2004-2012. Nel quadro del programma europea sul
cambiamento climatico (ECCP), la Commissione ad hoc elaborerà politiche e misure
che ruoteranno il processo decisionale che coinvolgerà numerose parti
interessate(123).
Nello stesso spirito la decisione 2002/762/CE del 19
settembre 2002 che autorizza gli Stati membri a firmare, a ratificare o aderire
nell’interesse della Comunità, alla Convenzione internazionale sulla
responsabilità civile per i danni derivanti dall’inquinamento determinato dal
carburante delle navi del 2001 (Convenzione Bunker oil). Con il comunicato
nazionale del Ministro degli Affari Esteri del 26. 11. 1997 sono entrati in
vigore degli emendamenti, adottati a Londra il 14 settembre 1995 nel corso della
37a sessione del Comitato di protezione dell’ambiente marino con risoluzione
MEPC. 65 (37) degli emendamenti concernenti le linee guida per lo sviluppo di
piani e il controllo di rifiuti a bordo delle navi, adottati a Londra il 10
luglio 1996 con la risoluzione MEPC. 70 (38) nel corso della 38a sessione del
Comitato MEPC. Del pari importante è la decisione del Consiglio 2002/971 CE del
18 novembre 2002 che autorizza gli Stati membri a ratificare o ad aderire
nell’interesse della Comunità alla Convenzione internazionale sulla
responsabilità(124)
e sul risarcimento dei danni prodotti dal trasporto via mare di sostanze
pericolose e nocive del 1996(125).
Ancora importante per la nostra analisi è la direttiva IPPC (integrated
pollution prevention and control)(126)
in quanto manifesta il mutamento dell’approccio della Comunità europea alle
problematiche connesse all’inquinamento determinato degli impianti industriali(127).
Continuiamo nel 1999, in quanto, è stato elaborato un primo pacchetto i
programmi e provvedimenti in attuazione della delibera CIPE del 19 novembre
1998. Sono stati predisposti: il libro Bianco per le fonti rinnovabili, che
individua gli obiettivi e le procedure per raggiungere entro il 2012 la
produzione di oltre 10.000 megawatt dalla utilizzazione di fonti rinnovabili. Il
programma nazionale per l’informazione sui cambiamenti climatici(128)
prevede lo sviluppo di iniziative del settore pubblico e dei privati per la
preparazione e la diffusione di informazioni sulle cause del fenomeno e sulle
strategie e misure di prevenzione(129).
Il regolamento per l’utilizzazione delle risorse derivanti dall’applicazione
della carbon tax(130).
Il settore energetico è un campo privilegiato di utilizzazione di questo
strumento che risulta efficace nel specifico caso dell’effetto serra,
sostanzialmente per due ordini di motivi, perché non esiste la disponibilità di
validi sostituti ai prodotti energetici responsabili delle medesime emissioni e
non sono sottoposti a carico fiscale. L’imposizione delle tasse ambientali (carbon
energy tax) non comporterebbe uno spostamento dei consumi che ne renderebbe vana
l’applicazione. Un carbon tax comporta diversi vantaggi rispetto ad una politica
del tipo command and control. Essa costituisce un incentivo all’adozione di
tecnologie maggiormente compatibili dal punto di vista ambientale e al risparmio
energetico, mentre i limiti alle emissioni, poiché si riferiscono ad un certo
livello tecnologico, debbono essere continuatamene rivisti sulla base delle BAT
(Best Available Technologies) al fine di incentivare l’inquinatore a collocarsi
molto al di sotto dello standard previsto. La maggioranza delle Direttive
europee si orientano alla ristrutturazione del quadro comunitario per
l’imposizione sui prodotti energetici prevedendo che gli Stati membri adottino
un sistema di tassazione basato sul contenuto di carbonio dei diversi
combustibili, rimettendo sulla base del principio di sussidiarietà la
discrezionalità dei diversi paesi la struttura di tale imposizione. Il principio
di sussidiarietà sottolinea l’assistenza collettiva della Comunità
internazionale nella tutela del patrimonio culturale e naturale di valore
universale eccezionale, che deve efficacemente completarla. Tali politiche nel
campo dell’energia si sovrappongono alle trasformazioni istituzionali in atto
sul versante della struttura e dell’organizzazione dei mercati, creando i
presupposti per un sostanziale ripensamento degli strumenti di attuazione(131).
Strumenti che vi sono riferiti a tanti atti, come per la prima volta con l’Atto
Unico Europeo (AUE) del 1987, che: “la Comunità agisce in materia ambientale
nella misura in cui gli obiettivi possano essere meglio realizzati a livello
comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri”(132).
Il Trattato di Maastricht sosteneva: “nei settori che non sono di una esclusiva
competenza la Comunità interviene secondo il principio di sussidiarietà(133),
soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possano
essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e a motivo delle
dimensioni e degli effetti dell’azione in questione, possono essere realizzati
meglio a livello comunitario”(134).
L’idea di uno sviluppo sostenibile è stata affermata in prassi anche nell’ambito
del trattato di Amsterdam. Riferiamo in tema d’inquinamento atmosferico la
decisione 1993/389/CE, che istituiva il meccanismo di controllo per la riduzione
di CO2 e di altri gas di effetto serra, basata sulla prima direttiva comunitaria
relativa alla materia esaminata nel 1970 70/220/CE che stabiliva le misure
contro l’inquinamento prodotto dai veicoli a motore. Nel 1999 la Commissione ha
adottato secondo la procedura di codecisione due proposte di direttiva COM
(1999) 125, che rientrava nella strategia adottata del 1997 per combattere
l’acidificazione e la seconda proposta di direttiva sui limiti nazionali di
emissione per taluni inquinanti atmosferici, COM (1999) 125-2 che ha affrontato
i problemi dell’acidificazione dell’ozono troposferico e dell’eutrofizzazione
del suolo in maniera congiunta. Nel 2001 la Commissione europea ha presentato la
comunicazione COM (2001) 245 relativa ad un programma per la qualità dell’aria
intitolata. Aria pulita per l’Europa, che dovrebbe essere pronta fino all’inizio
del 2005, comportando: a) l’attuazione delle direttive sulla qualità dell’aria e
dell’efficacia dei programmi in materia di qualità dell’aria degli Stati membri,
b) monitoraggio della qualità dell’aria e la divulgazione di informazioni al
pubblico anche attraverso l’uso di indicatori, c) aggiornamento dei valori di
qualità dell’aria e dei limiti nazionali di emissione, nonché lo sviluppo dei
sistemi migliori per la raccolta delle informazioni. L’obbligo di integrare gli
aspetti ambientali in tutte le politiche e le azioni dell’UE che è previsto
anche dall’art. 6 del Trattato di Amsterdam. Le linee guide che hanno
individuato le emissioni previste per il raggiungimento degli obiettivi posti
dal Protocollo si riferiscono: all’aumento di efficienza del parco
termoelettrico, riduzione dei consumi energetici, produzione di energia da fonti
rinnovabili, riduzione dei consumi nei settori industriali, riduzione nei
settori non energetici, assorbimento di carbonio attraverso lo sviluppo di
superfici boschive e di foreste, la regolamentazione dell’impiego di
biocarburanti, la regolamentazione delle emissioni in atmosfera per
l’utilizzazione delle biomasse come fonte energetica rinnovabile, preparazione e
diffusione di informazioni sulle cause dei cambiamenti climatici e sulle
strategie e misure di prevenzione.
Il primo passo nell’ambito nazionale per l’Italia è stato
compiuto dal 1990 quando su proposta e sotto la presidenza italiana l’Unione
europea ha assunto l’impegno di stabilizzazione delle emissioni di anidride
carbonica ai livelli del 1990 entro il 2000. L’ordine di esecuzione della
Convenzione quadro, dato il carattere programmatico e non self-executing di
numerose disposizioni convenzionali non appare di per sé idoneo a garantire il
raggiungimento degli obiettivi da essa perseguiti. La Convenzione si presenta
come un accordo misto cui partecipa la Comunità europea accanto agli Stati
membri, ciò ci permette di arrivare al risultato che la sua attuazione è
ulteriormente complicata dall’esistenza di differenti livelli di competenza in
tema di ambiente, sia nazionale che comunitario. Nel febbraio del 1994 è stato
adottato il programma nazionale per il contenimento delle emissioni di anidride
carbonica, elaborato dal Comitato Interministeriale per la Programmazione
Economica (CIPE). Il programma conteneva una stima delle emissioni di anidride
carbonica nel 1990 effettuata secondo un format elaborato in sede comunitaria
per consentire un omogeneità di valutazione tra i paesi membri e degli scenari
possibili di emissioni relativi all’anno 2000. Nel 1995 si è presentato al
Segretariato della Convenzione la prima comunicazione nazionale che si limitava
ad elencare una serie di possibili misure di risparmio energetico con vantaggi
economici netti e a dimostrare la fattibilità teorica di una stabilizzazione
delle emissioni di CO2 equivalente, non indicando tuttavia le modalità attuative
delle misure indicate(135).
Prima della Conferenza di Kyoto il governo italiano ha descritto tramite
comunicazioni scritte ad hoc, la realizzazione di interventi di contenimento e
riduzione delle emissioni di gas serra in grado di portare l’Italia in linea con
l’obiettivo previsto dal Protocollo di Kyoto(136).
L’Italia dovrebbe ridurre le emissioni di gas fino al periodo 2008-2012, circa
di cento milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica rispetto allo
scenario di crescita tendenziale previsto. Nel 1998 è stato determinato dal
gruppo di lavoro interministeriale “La guida linea per le politiche e le misure
nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”, che sono state approvate
dal CIPE il 19 novembre 1998. Le delibere CIPE hanno individuato i criteri, i
tempi e le azioni per la riduzione delle emissioni dei gas serra entro il 2012,
in attuazione degli impegni assunti dall’Italia. La completa realizzazione di
queste azioni comporta investimenti complessivi per circa 100.000 miliardi entro
il 2012, ai quali corrisponderanno una riduzione dei consumi energetici, con un
risparmio per altre 80.000 miliardi, oltre i vantaggi derivanti dalla migliore
salvaguardia per l’ambiente locale(137)
e dalla innovazione tecnologica. L’Italia ha emanato la legge 10 giugno 2002, n.
120 relativa alle politiche ambientali, come per esempio: miglioramento del
sistema economico nazionale delle fonti di energia rinnovabili, l’utilizzazione
dei meccanismi di JI e CDM istituiti dal Protocollo dei Kyoto, la realizzazione
di impianti eolici e fotovoltaici per la produzione di energia, produzione di
energia dal combustibile derivato dai rifiuti solidi urbani e dal biogas,
interventi diretti ad incrementare ed a valorizzare i serbatoi per
l’assorbimento dei gas serra, finanziamento e valorizzazione di progetti di
ricerca relativi ai meccanismi di riferimento alle fonti di energia alternativa(138),
un pieno sistema informativo di utilità pubblica per la tecnologia e di
salvaguardia dell’ozonosfera, ecc. In tale contesto basato su conoscenze
scientifiche sussistono a priori sorgenti primarie di energia dotate sia del
potenziale energetico sia delle caratteristiche di durata sufficienti per i
bisogni futuri(139).
In conclusione, dobbiamo dire che alcuni atti relativamente
alla protezione dell’ambiente sia in ambito internazionale che interno non siano
giuridicamente vincolanti, sono di indubbia rilevanza nell’evoluzione del
diritto internazionale dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile(140).
La crescita economica non deve avvenire a scapito dell’ambiente. La strategia
per la cooperazione e lo sviluppo sostenibile(141)
fa parte dal presupposto che le due cose possano procedere di pari passo.
Strategia chiave è la promozione dell’ecotecnologia(142),
cioè della ricerca di soluzioni da cui tutti possano trarre vantaggio,
l’industria(143),
la ricerca e l’ambiente in un’ottica di lungo periodo. Si può considerarsi come
un punto di raggiungimento la sessione negoziale di Marrakech (COP 7)(144),
come un accordo conclusivo sulle modalità di attuazione(145).
Il Protocollo rappresenta solo un primo timido passo verso il fenomeno
dell’abbattimento delle emissioni di gas serra. Per la prima volta si è trovato
un accordo internazionale sull’ambiente e questo soprattutto grazie al ruolo
centrale giocato, in primis, dall’Unione europea. Gli sforzi futuri per
contrastare il fenomeno potranno generare notevoli opportunità benefici,
garantendo alle generazioni future un ambiente migliore(146),
sostenibile e non nocivo.
________________________________
(1) Cfr. DE PIETRI D., L’evoluzione del sistema di Ginevra. Il nuovo Protocollo riguardante l’acidificazione, l’eutrofizzazione e l’ozono, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2001.
(2) OTTO, International law and environmental legislation in developing countries with special reference to India and Indonesia, in Leiden Journal of International law, 1991, pp. 110 ss.
(3) K. BASTMEIJER, The Antarctic environmental Protocol and its domestic legal implementation. The Hague, Kluwer Law International, 2003.
(4) LIAKOPOULOS, The politics of United Nations in Asia pacific region, ed. Aracne, Rome, 2004.
(5) A. UNDERTAL, H. KENNETH (eds.), International environmental agreements and domestic politics. The case of acid rain. Aldershot. Ashgate publishing, 2000.
(6) WIGLEY, BARNETT, Detection of the greenhouses effect, in IPCC Scientific assessment, 1990. THOMSON, Global warming, the debate. Strategy Europe, London, 1991.
(7) Cfr. Il Protocollo di Montreal per la protezione della fascia di ozono, Settembre 1987, ratificato dall’Italia con la legge 17 febbraio del 2001, n. 35, la Convenzione di Ginevra sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza del 1979, la Convenzione di Vienna per la protezione della fascia di ozono, marzo del 1985.
(8) F. YAMIN, J. DEPLEDGE, The international climate change regime. A guide to rules. Institutions and procedures, Cambridge, Cambridge University Press, 2004.
(9) Del problema di riscaldamento dell’atmosfera si è occupata anche l’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha adottato la Risoluzione 43/53 del 6 dicembre 1988 sulla salvaguardia del clima, patrimonio comune dell’umanità e la Risoluzione 44/207 sulla protezione del clima globale per le generazioni presenti e future dell’umanità. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, infatti: “urges Governments, in keeping wth their national policies, priorities and regulations and intergovernmental organizations to collaborate in making every possibile effort to limit, reduce and prevent activities that could adversely affect climate (…)”.
(10) Cfr. Direttiva 96/61/CE del Consiglio del 24 settembre 1996 sulla prevenzione integrata dell’inquinamento (IPCC), in GUCE L 257 del 10 ottobre 1996, pp. 26 ss.
(11) G. H. FOX, R. ROTH, Democratic governance and international law. Cambridge, Cambridge University press, 2000.
(12) LIAKOPOULOS, The politics of European Union in Asia Pacific region, op.cit., 2004.
(13) J. APPLEGATE (ed.), Environmental risk. Aldershot. Ashgate publishing, 2003.
(14) V. LUCARINI, La scienza clima, in Equilibri, 2001.
(15) HANDL, Environmental protection and development in third world countries. Common destiny-common responsibility, in New York University Journal of International Law and Policy, 1988.
(16) F. YAMIN, J. DEPLEDGE, The international climate change regime. A guide to rules. Institutions and procedures. Cambridge. Cambridge University Press, 2004.
(17) M. L. CHANIN, L’ozono stratosferico, in Verde ambiente, 2001, pp. 35 ss.
(18) R. E. DeSOMBRE, Riduzione della fascia dell’ozono. L’esperienza del Protocollo di Montreal, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2001.
(19) J. TRASK, Montreal Protocol non compliance procedure. The best approach to resolving international environmental disputes?, in Georgetown law journal, 1992, pp. 1980 ss.
(20) J. K. SEBENIUS, Designin negotiations toward a new regime. The case of global warming, in International security, 15 (4), pp. 120 ss.
(21) GRUBB, The greenhouse effect. Negotiating targets, in International affairs, 1990, pp. 70 ss.
(22) WERKSMAN, Designing a compliance system for the UN Framework Convention on climate change, in Cameron, Werksmann, Roderick (eds.), Improving compliance with international environmental law, London, Earthscan, 1996.
(23) BODANSKY, The United Nations framework Convention on climate change, in Yale journal of international law, 1993, pp. 518 ss.
(24) L’articolo 25 vincola per la validità del Protocollo alla ratifica da parte di almeno 55 governi tra i quali devono essere compresi paesi da cui derivi almeno il 55% delle emissioni inquinanti provenienti da paesi industrializzati. La validità del Protocollo non è quindi sono numerica ma tiene conto anche delle quantità di gas serra emesse dai singoli stati ratificanti. La Cina, per esempio non è vincolato dal Protocollo ma lo ha ratificato il 30 agosto 2002, in occasione del World Summit on sustainable development di Johannesburg. Nell’ambito dello stesso incontro la Federazione Russa ha manifestato la volontà di ratificare il Protocollo. Obblighi restrittivi gravano sugli Stati più industrializzati che rappresentano la maggiore fonte di gas-serra. Il Protocollo prevede per questi Stati un obbligo legalmente vincolante a ridurre il livello delle emissioni almeno del 5% al di sotto del livello misurato nel 1990 entro il periodo di controllo compreso tra il 2008 d il 2012. l’Unione Europea dovrà ridurre le sue emissioni del 8% rispetto al 1990, mentre gli USA dovrebbero moderarsi del 7%.
(25) Legge 120 del 1o giugno 2002. L’art. 3 sostiene: “al fine di ottemperare all’impegno adottato dalla sesta Conferenza delle Parti (…) svoltasi a Bonn nel luglio 2001, in materia di aiuti ai Paesi in via di sviluppo (…) è autorizzata la spessa annua di 68 milioni di euro, a decorrere dall’anno 2003”. Il notevole numero di adesioni di Enti pubblici italiani ha indicato che si sono impegnati ad attuare i 13 impegni della Carta di Aalborg, che riguardava i modelli di sviluppo urbano sostenibile per le città europee.
(26) C. CARRARO (ed.), Governing the global environment. Cheltenham. Edward Elgar Publishing, 2003.
(27) G. B. FOOTE, Considering alternatives. The case for limiting CO2 emissions. From new power plants through new source review, in European law review, 2004.
(28) Il terzo rapporto pubblicato nel 2001 afferma che: “la maggior parte del surriscaldamento atmosferico verificatosi negli ultimi cinquanta anni deve essere attribuito all’attività dell’uomo”.
(29) CURTI GIALDINO, voce: Ambiente (tutela dell’), in Enciclopedia giuridica.
(30) WHITE, Global climate change. Linking energy, environment, economy and equity, New York, 1992.
(31) ALBIN, Rethinking justice and fairness. The case of acid rain emission reductions, in Review of international studies, 1995, pp. 120 ss. CASTILLO DAUDI, La protecciòn internacional de la atmosfera. De la contaminaciòn transfronteriza al cambio climatico, in Cursos de derecho internacional de Vitoria Gasteiz, 1994. FRAENKEL, The Convention of long-range transboundary air pollution. Meeting the challenge of international cooperation, in Harvard international law journal, 1989, pp. 480 ss. LONGCHAMPS DE BERIER, The role on international dispute resolution in tranbsoundary air pollution law, in Polish yearbook of international law, 1994, pp. 250 ss. PALLEMAERTS, International legal aspects of long-range transboundary air pollution, in Annuaire de la Haye, 1988, pp. 190 ss.
(32) BODANSKY, The United Nations framework convention on climate change. A commentary, in Yale journal of international law, 1993, pp. 452 ss. CARLSON, KEY, The effect of population on global climate change, in Committee for the national institute for the environment, Washington, D. C. intergovernmental panel on climate change, 1995. FAURE, GUPTA, NENTJE, Climate change and the Kyoto protocol. The role of institutions and instruments to control change, Edward Elgar publishers, 2003. FITZJARRALD, ACEVEDO, MOORE, Climate consequences of leaf presence in the easter United States, on Climate journal, 2001, pp. 600 ss. FLINTERMAN, KWIAKOSKA, LAMMERS, Transboundary air pollution. International legal aspects of the cooperation of States, Boston, Martinus Nijhoff publishers, 1986. GRUBB, YAMIN, Climatic collapse at the Hague. What happened, why and where do we from here?, in International affairs, 2001, pp. 265 ss. GURUSWAMY, Climate change. The next dimension, in Journal of land use and environmental law, 2000. GURUSWAMY, Global warming. Integrating United States and international law, in Arizona law review, 1990, pp. 220 ss. KIRGIS, Standing challenge human endeavous that could change the climate, in American journal of international law, 1990, pp. 526 ss. NANDA, Global warming and international environmental law. A preliminary inquiry, in Harvard international law journal, 1994, pp. 30 ss. OBERTHUR, Climate negotiations. Progress slow, in Environmental policy and law, 1991, pp. 5 ss. PATERSON, Global warming and global politics, London, New York, 1996, pp. 50 ss. SANDS, The United Nations framework convention on climate change, in Review of European community and international environmental law, 1992, pp. 270 ss. SHACKELY, The intergovernmental panel on climate change. Consensual knowledge and global politics, in Global environmental change, 1997, pp. 80 ss. WEKSMAN, Designing a compliance system for the UN framework convention on climate change, in Cameron Werksmann, Roderick (eds.), Improving compliance with international environmental law, London, Earscan, 1996, pp. 90 ss. WHITE, Global climate change, linking energy, environment, economy and equity, New York, 1992.
(33) Nel 1992 si è formata la convenzione sui cambiamenti climatici che viene firmata da 154 Stati, più la Comunità europea a Rio de Janeiro. Nel 21 marzo del 1994 è entrata in vigore la convenzione e nel 1995 la COP diventa l’Autorità per la Convenzione. Nel 1995 l’IPCC pubblica il suo secondo rapporto sul clima. Allo studio hanno lavorato oltre 2mila scienziati di tutto il mondo.
(34) Documento programmatico che è stato entrato in vigore il 21 marzo 1994 e ratificato da più di 186 Stati, compresa l’Unione europea con decisione del Consiglio 94/69CE del 15 dicembre 1993, in GU L. 33 del 07. 02. 1994, par. 11. nello stesso anno l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò la risoluzione 45/53 sulla protezione del clima globale per le presenti e future generazioni del genere umano.
(35) A. PINNA, La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, in Equilibri, 1998.
(36) CAMPBELL, From Rio to Kyoto. The use of voluntary agreements to implement the climate change Convention, in Review of European community and international environmental law, 1998, pp. 160 ss.
(37) Nello stesso spirito ricordiamo anche il Vertice di Johannesburg, 26 agosto-4 settembre 2002.
(38) C. A. B. ROBB, International environmental law reports. Trade and the environment, Cambridge, New York, Cambridge University Press, 2001.
(39) M. FAURE, J. GUPTA, A. NENTJES, Climate change and the Kyoto protocol. Cheltenham. Edward Elgar Publishing, 2003.
(40) PISILLO MAZZESCHI, “Due diligence” e responsabilità internazionale degli Stati, Milano, 1989.
(41) L’art. 2, par. 1 del Protocollo di Kyoto suggerisce l’adozione di politiche e misure nazionali dirette a: migliorare l’efficienza energetica, sviluppare le fonti di energia rinnovabili, ridurre la produzione dei suddetti gas nell’industria, promuovere forme sostenibili di agricoltura e di zootecnia, limitare le emissioni di gas metano provenienti dalle discariche, ridurre e progressivamente eliminare gli incentivi fiscali, le esenzioni tributarie che possono creare imperfezioni del mercato o porsi in conflitto con gli obiettivi della convenzione sui cambiamenti climatici.
(42) GUPTA, From conflict to consensus?, Dordrecht, Boston, London, 1997, pp. 118 ss. PATERSON, Global warming and global politics, London, New York, 1996, pp. 50 ss.
(43) KISS, SICAULT, La Confèrence des Nations Unies sur l’environnement, in Annuaire français de droit international, 1972, pp. 623 ss.
(44) SLINN, Development issues. The international law of development and global climate change, in International law and global climate change (a cura di Churchill and Freestone), London, Dordrecht, Boston, 1991, pp. 78 ss.
(45) BOYLE, International law and the protection of the global atmosphere. Concepts, categories and principles, in International law and global climate change, A cura di Churchill and Freestone, op. cit., pp. 15 ss.
(46) BRAGDON, National sovereignty and global environmental responsibility. Can the tension be reconciled for the conservation of biological diversity?, in Harvard International Law Journal, 1992, pp. 380 ss. SCOENBAUM, Free international trade and protection of the environment. Irreconcilable conflict?, in American Journal of International Law, 1992, pp. 700 ss. SAUNDERS, Trade and environment. The fine line between environmental protection and environmental protectionism, in International law, 1992, pp. 725.
(47) P. G. DAVIES, European environmental law. An introduction to key selected issues. Aldershot. Ashgate publishing, 2004.
(48) PINESCHI, La carta mondiale della natura e la legislazione, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1984, pp. 630 ss.
(49) L. BOISSON DE CHAZOURNES, La mise en oeuvre du droit international dans le domaine de la protection de l’environnement: enjeux et dèfits, in Revue gènèrale de droit international public, 1995, pp. 38 ss.
(50) A. LANZA, Il cambiamento climatico, Il Mulino, 2000.
(51) Le tappe seguenti erano: il COP 5 a Bonn all’estate del 1995, il COP 8 che si è riunito ad Aja nel 2000, il COP 7 a Marrakech adottando 39 decisioni e 2 risoluzioni specialmente al meccanismo di clean development mechanism, il COP 9 a Milano nel 2003. Anche all’ultimo incontro dell’anno scorso gli Stati membri, nonostante la clamorosa assunzione e gli impegni dell’ex Unione Sovietica non è raggiunto un limite previsto per le emissioni gas, impegnando solo le parti contraenti a rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni previste e la realizzazione degli obiettivi di contenimento assegnati dal Protocollo. Cfr. C. CLINI, Riflessioni dopo la conclusione all’Aja della sesta Conferenza delle parti firmatarie della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (COP 6), in Rivista giuridica dell’ambiente, 2001, pp. 175 ss. Cfr. M. GRUBB, The outcome of the Berlin Conference, in M. Grubb, D. Anderson (ed.), The emerging international regime for climate change, London, Royal Institute of International Affairs, 1995, pp. 1 ss. ZUCCHETTI, ANIBALLI, Il vertice mondiale di Milano sul clima e il Protocollo di Kyoto, in Giano, 2004. P. BORGHI, L’agricoltura nel Trattato di Marrakech. Prodotti agricoli e alimentari nel diritto del commercio internazionale, Giuffrè, 2004.
(52) M. BOSCOLO, J. R. VINCENT, T. PANAYOTOU, Discounting costs and benefits in carbon sequestration projects. Development discussion paper, n. 638, 1998, Harvard Institute for International development.
(53) T. KUOKKANEN, International law and the environment. Variations on a theme. The Hague, Kluwer Law International, 2002.
(54) Gli organi sussidiari avevano carattere di funzioni tecniche. Si tratta dell’organo sussidiario di Consiglio tecnico e scientifico e l’Organo sussidiario sull’applicazione.
(55) D. BODANSKY, The United Nations framework convention on climate change. A commentary, in Yale journal of international law, 1993, pp. 452 ss. NILSSEN, PITT, Protecting the atmosphere. The climate change convention and its content, London, Earthscan, 1994. I. M. MINTZER, LEONARD, Negotiating climate change, Cambridge, Cambridge University Press, 1994. PH. SANDS, The United Nations framework Convention on climate change, in Review of European Community and International Environmental Law, 1992, pp. 272 ss.
(56) KISS, La notion de patrimoine commun de l’humanitè, in Acadèmie de droit international de La Haye, Recueil des cours, 1982, pp. 102 ss.
(57) DI PLINIO, Diritto pubblico dell’ambiente e aree naturali protette, Torino, 1994. IUCN-Environmental Law Center, Draft international Covenant on environment, in Environmental policy and law paper, Gland-Cambridge, 1995. POLITI, Tutela dell’ambiente e sviluppo sostenibile. Profili e prospettive di evoluzione del diritto internazionale alla luce della Conferenza di Rio de Janeiro, in Scritti degli allievi in memoria di Giuseppe Barile, Padova, 1995, pp. 450 ss. MAFFEI, PINESCHI, SCOVAZZI, TREVES, (a cura di), Participation in world treaties on the protection of the environment. A collection of data. International law policy series, 1996.
(58) NANDA, Trends in international environmental law, in California western international law journal, 1990, pp. 188 ss. A. F. PANZERA, Patrimonio comune dell’umanità, protezione dell’ambiente e Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, in Studi marittimi, 1984, pp. 65 ss.
(59) L’effetto serra è un fenomeno naturale che assicura il riscaldamento della terra grazie a gas naturalmente presenti nell’atmosfera come l’anidride carbonica, l’ozono, il perossido di azoto, vapore acqueo e metano. Il protocollo di Kyoto disciplina le emissioni di anidride carbonica, metano, perfluorocarburo, idrofluorocarburo e esafloruro di zolfo. Si dà la conferma che esiste un collegamento tra i gas serra e l’aumento della temperatura terrestre. Per la prima volta si nota questa connessione dal 1860 con la rivoluzione industriale. Le lobby interessate al settore sostengono che questo legame non è chiaramente dimostrato e sottolineano il fatto che il processo di riscaldamento non è stato uguale ovunque e che ci sono zone in cui quest’aumento non c’è stato o non né stato significativo.
(60) CORDINI, Diritto ambientale comparato, Padova, 1997.
(61) SCOVAZZI, Il riscaldamento atmosferico e gli altri rischi ambientali globali, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1988, pp. 710 ss. SINGH, Right to environment and sustainable development as a principle of international law, in Studia Diplomatica, 1988, pp. 47 ss.
(62) CAMERON, The precautionary principle. A fundamental principle of law and policy for the protection of the global environment, in Boston College International and Comparative Law Review, 1991, pp. 132 ss.
(63) Il protocollo di Kyoto ai sensi dell’art. 3, par. 3 riferisce: che è possibile tener conto delle riduzioni delle emissioni (c. d. removal units o RMUs) che risultano dalla realizzazione di attività legate alla variazione nella destinazione d’uso dei terreni e dei boschi avviate dopo il 1990.
(64) L. FORMENTINI, Cambiamenti climatici. Collaborazione Italia-USA, in Equilibri, 2003.
(65) BARBIER, Economics, natural resourses, scarcity and development, London, 1989.
(66) BIRNIE, BOYLE, International law and the environment, Oxford, 1992.
(67) BAKER, KOUSIS, RICHARDSON, YOUNG, The politics of sustainable development. Theory, policy and practice within the European Union, London, New York, 1997.
(68) T. O’RIORDAN, J. CAMERON (eds.), Interpreting the precautionary principle, London, Eartscan, 1994. H. HOHMANN, Precautionary legal duties and principles of modern international environmental law, London, Graham and Trotman, 1994. J. CAMERON, The precautionary principle. A fundamental principle of law and policy for the protection of the global environment, in Boston College International and Comparative Law Review, 1991, pp. 1 ss.
(69) PANJABI, From Stockholm to Rio. A comparison of the declaratory policy, 1993, pp. 215 ss. KISS, The Rio Declaration on environment and development, in the environment after Rio. International law and economics (a cura di Campiglio, Pineschi, Siniscalco, Treves), London, Boston, Dordrecht, 1994, pp. 55 ss.
(70) P. BARATTA, I cambiamenti climatici, in Economia e ambiente, 1995. S. VACCÁ, Brevi considerazioni economiche sugli effetti derivanti dai cambiamenti climatici, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, 1995.
(71) ROSENCRANZ, The acid rain controversy in Europe and North America. A political analysis, in Carroll (ed.), International environmental diplomacy, Cambridge, 1988.
(72) La Comunità europea si è espressa a favore di un uso controllato dei meccanismi di flessibilità. Si è parlato per la fissazione di una soglia minima, pari al 50% dell’impegno quantificato di riduzione, che gli Stati aderenti avrebbero dovuto raggiungere adottando e realizzando misure in ambito nazionale. Su punti analizzati e proposti dalla Comunità europea gli Stati Uniti e i paesi del c.d. Umbrella group (Australia, Canada, Giappone e Nuova Zelanda) non intendevano porre vincoli prestabiliti. Cfr. V. COMPIANI, L’adempimento del Trattato sui cambiamenti climatici, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2002.
(73) JEWELLAND, STEELE (a cura di), Law in environmental decision making. National, European and international perspectives, Oxford, 1998.
(74) P. OKOWA, State responsibility for transboundary air pollution in international law. Oxford. Oxford University press, 2000.
(75) P. N. OKOWA, State responsibility for transboundary air pollution in international law, Oxford, Oxford University press, 2000.
(76) GRECO, La costituzione dell’ambiente, Bologna, 1996, pp. 80 ss.
(77) Cfr. Il Protocollo firmato nel dicembre del 1999 a Göteborg. È stata data massima priorità alle azioni congiunte ed al Partenariato con i diversi soggetti interessati.
(78) Pozzo significa qualsiasi processo, meccanismo o attività che elimina dall’atmosfera un gas ad effetto serra, un aerosol o un precursore di un gas ad effetto serra.
(79) P. WILLIAMS, International law and the resolution of Central and East European transboundary environmental disputes. London, Palgrave, Macmillan press, 2000.
(80) HANISCH, Joint implementation of commitments to curb climate change, Oslo, Center of International climate and energy research, Policy note, 1991, pp. 78 ss.
(81) MONTINI, Le politiche climatiche dopo Kyoto. Interventi a livello nazionale e ricorso ai meccanismi di flessibilità, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1999, pp. 135 ss. ROBEN, Institutional development under modern international environmental agreements, in Max Planck Yearbook of United Nations Law, 2000, pp. 365 ss.
(82) B. GEBERS, Proposta per una direttiva che istituisce una disciplina sullo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra nella Comunità europea, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2002, pp. 640 ss.
(83) WERKSMAN, The conferences of parties to environmental treaties, in Greening international institution, a cura di Werksmann, London, 1996, pp. 58 ss.
(84) SVENDSEN, Towards a CO2 market in the EU. The case of electric utilities, in European environment, 1998, pp. 215 ss.
(85) Ratificato dall’Italia con il decreto legislativo n. 387 del 29 dicembre 2003 (D. L. vo n. 387/2003).
(86) Dopo la ratifica da parte della Federazione Russa, il Protocollo di Kyoto potrà finalmente entrare in vigore dal 16 febbraio 2005. Il primo obiettivo della Conferenza di Buenos Aires è stata la discussione delle iniziative concrete da mettere in campo per rispettare i parametri del Protocollo di Kyoto che prevedeva entro il 2012 di ridurre le emissioni da parte dei paesi evoluti del 5,2% rispetto ai livelli del 1990. Le emissioni incontrollate dei gas inquinanti sono aumentante tanto che per rispettare quegli stessi parametri del ’90 non è più necessaria una riduzione del 5,2%, bensì del 26%.
(87) Le proposte che devono uniformarsi ai criteri tecnici contenuti nella strategia operativa della GEF, vanno sottoposte direttamente alla Banca Mondiale, all’UNDP o all’UNEP.
(88) HAAS, Epistemic communities and the dynamics of international environmental co-operation, in Rittberger (ed.), Regime theory and international relations, Oxford, 1995, pp. 170 ss.
(89) Il mercato delle emissioni funzione come un qualunque altro mercato. È uno strumento fondamentale anche per le singole industrie. Chi produce più anidride carbonica di quanto consentito può decidere sia di investire per ridurre le sue emissioni, sia acquistare il diritto a inquinare da chi è sotto il limite massimo. Il meccanismo usato dovrebbe accendere un processo virtuoso, visto che rappresenta un costo per chi non investe in ecologia e induce le imprese a comportarsi bene, secondo le regole nazionali ed i trattati internazionali.
(90) Significa gas come l’anidride carbonica CO2 o i metano CH4 avvolgendo la terra, non ne permettono il naturale raffreddamento.
(91) NANDA, International environmental protection and developing countries interests. The role of international law, in Texas International Law Journal, 1991, pp. 500 ss.
(92) Ricordiamo che è stato istituito nell’ambito europeo un indicatore chiamato: distanza dall’obiettivo-distance-to-target-DTI, ossia la misura che calcola la deviazione delle emissioni dei gas serra nel 2001 nel percorso che dovrebbe condurre all’obiettivo del Protocollo di Kyoto entro il periodo 2008-2012.
(93) YAMIN, The Kyoto Protocol. Origins, assessment and future challenger, in Review of European Community and International Environmental Law, 1998, pp. 115 ss.
(94) DI PACE, Manuale di diritto comunitario dell’economia, Padova, 2000, pp. 120 ss.
(95) R. LOSKE, S. OBERTHUER, Joint implementation under the climate change convention, in International environmental affairs, 1994, pp. 46 ss. F. YAMIN, The use of joint implementation to increase compliance with the climate change convention. International legal and institutional questions, in RECIEL, 1993, pp. 350 ss. T. ANISCH, Joint implementation of commitments to curb climate change, Oslo, Center for international climate and energy research policy note, 1991.
(96) MISSFELDT, Flexibility mechanism. Which path to take after Kyoto?, in Review of European community and international environmental law, 1998, pp. 130 ss.
(97) L’efficacia delle misure di applicazione comune, verrà valutata ogni anno dalla Conferenza delle parti. Il SBSTA ed il SBI dovranno stabilire un quadro di riferimento per la valutazione dei rapporti nazionali e per la diffusione delle esperienze acquisite dei rapporti nazionali e per la diffusione delle esperienze acquisite o delle difficoltà incontrate.
(98) La convenzione all’inizio del 2001 è stata ratificata da 33 paesi e la maggioranza dei paesi in via di sviluppo, come Bahamas, Barbados, Bolivia, El Salvador, Fiji, Giamaica, Kiribati, Samoa, Trinibad e Tobago, Turkmenistan, Niue, Tuvalu, Uzbekistan, ecc.
(99) Dobbiamo anche riferire che l’aumento della temperatura provoca anche aumento del tasso di crescita osservato in livello globale dei mari. L’intrusione di acqua salata ridurrà la qualità e la quantità delle riserve di acqua potabile. L’innalzamento delle acque sarà anche la causa di eventi estremi come alte maree, crollo delle riserve alimentari prodotte nelle zone costiere: allevamenti ittici, acquicolture e agricoltura saranno particolarmente vulnerabili ed il turismo totalmente distrutto. La contaminazione delle riserve di acqua potabile di Israele, della Thailandia, dell’oceano pacifico e indiano, dei Carabi è ormai una realtà. Le zone costiere conservano alcuni degli ecosistemi più ricchi e vari del pianeta, come le foreste di mangrovie, le barriere coralline e i prati marini. Le barriere coralline crescono abbastanza in fretta da non subire alterazioni per l’innalzamento dei livelli dei mari.
(100) Cfr. The Marrakech ministerial declaration as an input into the World Summit on Sustainable development in Johannesburg and the Delhi Ministerial declaration on climate change and sustainable development.
(101) K. SACHARIEV, Promoting compliance with international environmental legal standards, in Yearbook of international environmental law, 1990, pp. 25 ss. GEHRING, International environmental regimes. Dynamic sectoral legal systems, in Yearbook of international environmental law, 1990, pp. 38 ss. G. HANDL, Controlling implementation of compliance with international environmental commitments. The rocky road from Rio, in Colorando journal of environmental law and policy, 1994, pp. 310 ss.
(102) E. DI GIULIO, In teoria e in pratica. Alcune riflessioni sui meccanismi di Kyoto, in Energia, 2001, pp. 60 ss. E. DI GIULIO, Le parole di Kyoto, in Energia, 2001, pp. 72 ss. M. MONTINI, Le politiche climatiche dopo Kyoto. Interventi a livello nazionale e ricorso ai meccanismi dell’ambiente, 1999, pp. 134 ss. M. CONTALDI, G. TOSATO, Il Protocollo di Kyoto e le sue implicazioni, in Energia, 1998, pp. 70 ss.
(103) L. ASSUNCAO, P. STIANSEN, N. M. WILLIAMS, Teams start in depth review of national communications, in Climate change bulletin, 1995, pp. 3 ss.
(104) Cfr. la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2001 relativamente allo scambio di quote di emissione dei gas ad effetto serra nella Comunità che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio, COM (2001) 581, in GUCE C 75 del 26 marzo 2002, pp. 34 ss.
(105) Nell’ambito internazionale ricordiamo 1. La Convenzione firmata a Washington il 03.03. 1973 e ratificata dall’Italia con la legge n. 874 del 19. 12. 1975 relativamente al commercio internazionale della specie di fauna o flora minacciate di estinzione comprendendo sotto prodotti o derivati delle medesime. 2. La Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica dell’ambiente naturale in Europa, firmata a Berna il 19. 11. 1979, ratificata in Italia con la legge n. 503 del 05. 08. 1981. 3. La Convenzione di Parigi sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale firmata il 23. 11. 1972 e ratificata in Italia il 06. 04. 1977 con legge n. 184. 4. La Convenzione di Londra relativamente alla responsabilità civile per i danni derivanti dall’inquinamento da idrocarburi, con allegato e l’istituzione di un Fondo internazionale per l’indennizzo dei medesimi danni, adottati a Londra il 27 novembre 1992 e ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1999, n. 177. 5. La Convenzione di Ginevra sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza concernente la lotta contro le emissioni di composti organici votatili o i loro flussi transfrontalieri, con allegati firmata a Ginevra il 18 novembre 1991 e ratificata dall’Italia con la legge 12 aprile 1995, n. 146. 6. cfr. A. FODELLA, Il movimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi nel diritto internazionale. Torino, Giappichelli, 2004. X. HANQUIN, Transboundary damage in international law. Cambridge. Cambridge University press, 2003.
(106) GOLDBERG, PORTER, LACOSA, HILLMAN, Responsibility for non-compliance under the Kyoto Protocol’s mechanisms for cooperative, CIEL, Euro Natura, 1998. GOLDBERG, LACOSTA, Building a compliance regime under the Kyoto Protocol, CIEL-Euro Natura, 1998. C. CLINI, Il percorso difficile del Protocollo di Kyoto, in Ambiente e sviluppo, 2001. C. BASCHERINI, Ratificato il Protocollo di Kyoto, in Economia e ambiente, 2002. M. KOSKENNIEMI, Breach of treaty of non-compliance? Reflections on the enforcement of the Montreal protocol, in Yearbook of international environmental law, 1992, pp. 125 ss. KOSKENNIEMI, New institutions and procedures for implementation control and reaction, in J. Werksman (ed.), Improving compliance with international environmental law, 1996, pp. 250 ss. KUMMER, International management of hazardous wastes, New York, 1995, pp. 12 ss.
(107) A. CH. KISS (ed.), Selected multilateral treaties in the field of the environment (SMTFE), Nairobi, UNEP, 1983, pp. 132 ss.
(108) M. PÂQUES, M. FAURÉ, La protection de l’environnement ai cœur du système juridique international et du droit interne: Acteurs, valeurs et efficacitè, Bruxelles, Bruylant, 2003.
(109) GIALDINO, CAPONERA, Ambiente (tutela dell’ambiente) diritto internazionale, in Enciclopedia del diritto. GIALDINO, Tutela dell’ambiente (diritto internazionale-europeo), in Enciclopedia del diritto. CORDINI, Ambiente (tutela dell’ambiente) nel diritto delle Comunità europee, in Digesto delle discipline pubblicistiche. FOIS, Ambiente (tutela dell’) nel diritto internazionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche.
(110) L. COLLETTI, Gli impegni previsti dal Protocollo di Kyoto, in Genio rurale, 2001.
(111) SVENDSEN, Towards CO2 market in the EU. The case of electric utilities, in European environment, 1998, pp. 215 ss.
(112) P. D. CAMERON, D. ZILLMAN, Kyoto. From principles to practice, Kluwer law international. The Hague, London, New York, 2001.
(113) L. KRAMER, European environmental law. Aldershot. Ashgate publishing. 2003.
(114) La Commissione europea ha chiesto modifiche in tre casi ritenuti di importanza generale. Se il volume di quote assegnate per il periodo di scambio 2005-2007 non consente al paese di rispettare l’obiettivo di Kyoto nel primo periodo di impegno. Se il volume di quote per il periodo di scambio 2005-2007 non è compatibile con la valutazione dei progressi realizzati per conseguire l’obiettivo di Kyoto, cioè se vengono assegnate più quote delle emissioni previste. Se uno Stato membro intende procedere ai cosiddetti adeguamenti a posteriori delle assegnazioni, cioè se prevede di ridistribuire le quote tra le imprese partecipanti durante il periodo 2005-2007. Questa procedura potrebbe avere l’effetto di creare incertezze nelle imprese, ostacolando così lo scambio delle quote a condizioni di mercato. La commissione ha indicato allo Stato membro interessato come procedere per adeguare il piano affinché possa avere accolto.
(115) L’art. 174, par. 4 TCE attribuisce espressamente alla Comunità la competenza a concludere trattati internazionali con riguardo alla tutela dell’ambiente. Ai sensi del par. 4, comma 2, le istituzioni comunitarie condividono con gli Stati membri: “a negoziare e a concludere accordi internazionali (…) a mantenere e prendere provvedimenti per una protezione dell’ambiente ancora maggiore”. Si parla, quindi di accordi misti in riferimento alle materie in cui assiste una competenza parallela della Comunità e degli Stati membri, in quei casi in cui le norme comunitarie sono destinate ad operare in parallelo con quelle previste dagli ordinamenti degli Stati membri. Cfr. D. McGOLDRICK, International relations law of the European Union, Longman London, New York, 1997. F. POCAR, The decision making processes of the European comunity in external relations, in The European Union as an actor in international relations (a cura di Cannizzaro), Kluwer International law, The Hague, 2002. I. D. HENDRY, S. HYETT, The external relations of the European communities, Clarendon press, Oxford, 1996. E. CANNIZZARO, Le relazioni esterne della Comunità dopo il Trattato di Nizza, in Il diritto dell’Unione europea, 2002, pp. 190 ss. M. CREMONA, External relations and external competence. The emergence of an integrated policy, in Evolution of EU law (a cura di Graig e De Burca), Oxford University Press, Oxford, 1999. G. GARZÓN CLARIANA, La mixitè. Le droit et le problèmes pratiques, in La Communautè europèenne et les accords mixtes. Quelles perspectives? (a cura di Bourgeois, Dewost e Gaigffe), Bruxelles, 1997.
(116) B. BARTON, C. REDGWELL, A. RONNE, D. ZILLMAN (eds.), Energy security. Managing risk in a dynamic legal and regulatory environment. Oxford, Oxford University Press, 2004.
(117) Cfr. 1. L’art. 16 della Dichiarazione di New Delhi del 9 aprile 1992 che dichiara: “(…) the Ministers expressed serious concern about the growing evidence of the increase in greenhouse gas levels leading to the possibility of climate change with consequential impact on the global environment. They reiterated the fact that the developed countries are responsible for excessive emissions of greenhouses gases, historically and currently, and must take immediate action to stabilize and reduce such emissions. Developing countries should not be expected to undertake such measures in the near future. They can be encouraged through technological and financial resources to take appropriate action within national plans, proprieties and programmes, without compromising on the need to pursue development and the meet energy requirements (…)”. 2. Il par. 14 della Dichiarazione di Monaco dei sette paesi più industrializzati del 8 luglio 1992 che dichiara: “(…) to carry the momentum of the Rio Conference, we urge other countries to join us (…) in giving additional financial and technical support to developing countries for sustainable development through official development assistance (ODA), in particular by replenishment on IDA, and for actions of global benefit through the global environmental facility (GEF) with a view to its being established as a permanent funding mechanism (…)”, in Yearbook of environmental law, 1992, doc. 9.
(118) Ricordiamo che il Consiglio europeo a nome della Comunità europea ha ratificato il Protocollo di Kyoto con da Decisione 2002/358/CE del 25 aprile 2002, in GUCE K 130/1 del 15 maggio 2002, pp. 1 ss.
(119) COM (2001) 580. COM (2000) 87.
(120) Cfr. La decisione della Commissione del 29 gennaio 2004 che istituisce le linee guida per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni di gas a effetto serra ai sensi della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
(121) Tre diversi gruppi sono presi in considerazione per la riduzione delle emissioni e dell’effetto serra, nell’ambito italiano. In particolare: a) le misure individuate che concorrono tramite vari progetti a definire il così detto “scenario di riferimento” che comprende l’attuazione di programmi già previsti da leggi nazionali e direttive europee, b) le misure adottate nel settore agricolo e forestale che comprendono programmi e iniziative per l’aumento e la gestione delle aree forestali e boschive, e c) vari tipi di misure di riduzione, sia a livello interno che tramite i meccanismi di cooperazione internazionale del Protocollo di Kyoto. Cfr. A. MARRONI, Sette anni dopo Kyoto. I risultati della nona conferenza delle parti (COP 9) della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCC), in Rivista giuridica dell’ambiente, 2004, pp. 323 ss.
(122) V. FERRARA, Le problematiche climatiche e di impatto in area Mediterranea ed in Italia, in Energia, ambiente e innovazioni, 2000, pp. 26 ss,
(123) D. G. VICTOR, The collapse of the Kyoto Protocol and the struggle to slow global warming, Princeton University Press, Princeton and Oxford, 2001.
(124) Dobbiamo accennare che entro l’ambito di responsabilità internazionale si istituisce anche il criterio prescelto di equità, basato sul principio del diritto internazionale dell’ambiente, della responsabilità comune ma differenziata degli Stati che fanno uso eccessivo di emissioni nocivi per l’atmosfera e provocano danni al cambiamento climatico.
(125) Convenzione HNS, GUCE L. 337/55 del 13. 12. 2002.
(126) In prassi la relativa direttiva contiene dei principi generali per la previsione negli Stati membri di una procedura autorizzatoria, unica che tenga conto di tutte le matrici ambientali e dei connessi adempimenti su cui incide un impianto industriale nuovo o già esistente. L’Italia ha recepito la direttiva con il decreto legislativo n. 372/1999. L’articolo 4 prevede che per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale i relativi procedimenti si concludano entro il 30 ottobre 2004.
(127) BAKER, KOUSIS, RICHARDSON, YOUNG, The politics of sustainable development. Theory, policy and practice within the European Union, London, New York, 1997.
(128) A. BALLARIN DENTI, I cambiamenti climatici del clima tra scienza e politica, in Aggiornamenti sociali, 2001, pp. 24 ss. P. SIMONE, Caratteristiche e principi fondamentali della Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici, in Rivista di politica agraria, 1996, pp. 415 ss.
(129) GUENDLING, The status in international law of the principle of precautionary action, in International journal of estuarine and coastal law, 1990, pp. 25 ss.
(130) Cfr. il Decreto del 13 giugno 2002. Ministero dell’ambiente e della tutela di territorio. Rimodulazione dei programmi nazionali di cui al decreto ministeriale n. 467 del 4 giugno 2001 (carbon tax), GU. N. 223, del 23. 09. 2002.
(131) E. CANNIZZARO, Esercizio di competenze e sovranità nell’esperienza giuridica dell’integrazione europea, in Rivista di diritto costituzionale, 1996, pp. 78 ss.
(132) Cfr. Art. 130R, co. 4, del Trattato CE, inserito nell’art. 25 dell’AUE.
(133) I. BERETTA, Cambiamenti climatici. Le proposte dell’Unione europea, in Ambiente e sviluppo, 2001. P. BARATTA, Cambiamenti climatici secondo rapporto dell’IPCC. L’impegno dell’Italia per la protezione dell’ambiente, in Energia, ambiente e innovazione, 1996. E. DOWDESWELL, Cambiamenti climatici secondo rapporto dell’IPCC. Sfide ambientali e nuove realtà, in Energia, ambiente e innovazione, 1996.
(134) Art. 3B.
(135) Cfr. COM (2000) 88, Comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle politiche e misure dell’Unione europea per ridurre le emissioni di gas serra. Verso un programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP). COM (2001) 579 , Proposta di decisione del Consiglio riguardante l’approvazione, a nome della Comunità europea, del Protocollo di Kyoto allegato alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e l’adempimento congiunto dei relativi impegni.
(136) C. BREIDENICH, D. MAGRAW, A. ROWLEY, J. W. RUBIN, Current development. The Kyoto Protocol to the United Nations framework convention on climate change, in The American Journal of International Law, 1998, pp. 322 ss.
(137) PISILLO MAZZESCHI, Competenze della Comunità europea e competenze statali nella tutela dell’ambiente, in Problemi della protezione internazionale dell’ambiente, a cura di Battaglini, Ferrara, 1995, pp. 64 ss. FALOMO, L’incidenza del trattato di Maastricht sul diritto comunitario ambientale, in Rivista di diritto europeo, 1992, pp. 590 ss.
(138) Cfr. anche la legge 120/2002 che è stata adottata la delibera CIPE 19 dicembre 2002 di revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra. Ministero dell’ambiente, Spesa pubblica ambientale e incentivi economici, in Relazione sullo stato dell’ambiente, Roma, 1997.
(139) M. MIGLIAZZA, Politiche nazionali ed europee per la riduzione del livello di emissione di gas ad effetto serra e per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto, in Osservatorio internazionale a cura di T. Scovazzi pubblicato dalla Rivista giuridica dell’ambiente, 2004, pp. 131 ss.
(140) Secondo Hurrel and Kingsburry sviluppo sostenibile significa: “(…) the definition of sustainable development remains contested. State representatives form both North and South now use the same lexicon of sustainable development, and both have come to pay far more attention to environmental problems. In one sense negotiations are about the means of achieving a common and agreed goal. But on closer attention the exact nature of the goal proves to be blurred. Although it has acquired a very wide currency, the phrase “sustainable development” dos not have a generally accepted definition. A sustainable economy has been defined as one using only renewable resources and producing only low, non accumulating levels of pollution. However, such a radical approach is not what is contemplates by States as a policy goal nor what is proposed by most policy analysts”. Cfr. HURREl, KINGSBURRY, The international politics of the environment, Oxford, 1992.
(141) M. C. SEGGER, A. K. CORDONIER, Sustainable development law. Principles, practices and prospects. Oxford. Oxford University Press, 2004.
(142) J. LOH, Mutamenti climatici e aree protette, in Attenzione, 1997, pp. 30 ss. S. ROTHENBERGER, Die angemessene Nutzung gemeinschaftlicher Ressourcen am Beispiel von Flüssen and speziellen Ökosystemen. Frankfurt. Peter Lang, 2003.
(143) Tra le iniziative del Programma europeo sui cambiamenti climatici si incontrano: a) l’attuazione e il potenziamento della direttiva relativa alla prevenzione e alla riduzione integrata dell’inquinamento, in relazione all’applicazione della Best Available Technology (BAT) al fine di ottimizzare l’efficienza energetica degli impianti già oggetto della direttiva suddetta, b) una proposta di direttiva destinata a mettere in relazione i meccanismi previsti dal Protocollo, compresi l’attuazione congiunta e il meccanismo per lo sviluppo pulito (CDM) con il sistema comunitario di scambio dei diritti di emissione, c) una proposta di revisione del meccanismo di controllo, già istituito dalla decisione 93/389/CEE del Consiglio del 24 giugno 1993, su un meccanismo di controllo delle emissioni di CO2 e di altri gas ad effetto serra nella Comunità, in GUCE L 167 del 9 luglio 1993, pp. 32 ss.
(144) C. CLINI, Da Marrakech nuove sfide per l’Europa, in Rivista Ambiente e sviluppo, 2001, pp. 17 ss. S. CARBONARA, Nona Conferenza delle parti. Gli accordi per combattere i cambiamenti climatici, in Genio rurale, 2004. A. MARRONI, Sette anni dopo Kyoto. I risultati della nona Conferenza delle parti (COP 9) della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC), in Rivista giuridica dell’ambiente, 2004.
(145) In realtà all’incontro di Marrakech sono stati definiti i criteri di eleggibilità e le modalità per accedere ai meccanismi di cui agli artt. 6, 12 e 17 del Protocollo, subordinando l’acquisizione e il riconoscimento degli ulteriori crediti ottenuti, al rispetto degli obblighi di istituzione di un sistema nazionale di monitoraggio delle emissioni di gas ad effetto serra, nonché alla redazione e alla presentazione dell’inventario annuale sulle emissioni e sui bacini di assorbimento (art. 7, parr. 1 e 4). Cfr. Decision 15/CP.7, 16/CP.7. FCCC/CP13/Add.2, pp. 5 ss.
(146) WEISS, Our rights and
obligation to future generations, in American Journal of International law,
1990, pp. 200 ss.