LA CENTRALE RISCHI DELLA BANCA D’ITALIA TRA GESTIONE DEL CREDITO E TUTELA DELLA PRIVACY
Daniela Raparelli
Istituzione e sviluppo della Centrale Rischi
La Centrale Rischi è una banca dati, nella quale sono archiviate le informazioni
sulla solvenza dei clienti degli istituti creditizi, gestita dalla Banca
d’Italia per l’esercizio dell’attività di vigilanza e controllo sulla funzione
propria degli intermediari, ovvero la raccolta del risparmio e l’erogazione del
credito.
La Centrale Rischi è stata istituita con la delibera del CICR del 16 maggio
1962, adottata su proposta dell’Organo di Vigilanza, al fine creare un sistema
di centralizzazione dei rischi, per consentire alle banche di gestire in modo
consapevole il cumulo di affidamenti concessi da una pluralità di intermediari
in capo ad uno stesso soggetto (cd. fenomeno di pluriaffidamento).
Scopo primario della Centrale Rischi era di contribuire al miglioramento della
qualità degli impieghi degli intermediari partecipanti, fornendo agli stessi
un’informativa utile per la valutazione del merito di credito della clientela e,
in generale, per l’analisi e la gestione del rischio creditizio, perseguendo in
tal modo l’obiettivo di accrescere la stabilità del sistema creditizio.
L’impianto originario della Centrale Rischi ha subito negli anni una profonda
evoluzione, in linea con i cambiamenti intervenuti nel mercato e con gli
obiettivi di efficienza e stabilità del sistema finanziario perseguiti
nell’attività di vigilanza. Le innovazioni principali hanno riguardato l’area
degli intermediari partecipanti, la soglia di rilevazione degli affidamenti, la
tipologia e la quantità di informazioni raccolte.
Inizialmente, il sistema prevedeva una soglia di rilevazione molto elevata, la
partecipazione delle sole aziende di credito ed una classificazione degli
affidamenti basata sulla loro forma tecnica. Ben presto, il sistema estese la
rilevazione anche ai crediti concessi dagli istituti di credito speciale ed a
quelli di ammontare più contenuto.
Negli anni settanta si enfatizza l’andamento della relazione di credito, si
colgono il momento del default ed i collegamenti fra soggetti suscettibili di
incidere sull’entità dell’indebitamento: le sofferenze, i rischi indiretti e le
coobligazioni diventano, così, parte integrante della rilevazione.
Negli anni novanta viene attuata una profonda riforma, d’intesa con gli
intermediari, al fine di fronteggiare le innovazioni avvenute nei mercati
finanziari. Dapprima si ha l’azzeramento della soglia di rilevazione per i
crediti in sofferenza e l’ampliamento della rilevazione ai finanziamenti
concessi alla clientela italiana dalle filiali estere delle banche nazionali,
poi prende avvio la riforma del sistema informativo che modifica i processi di
produzione e fruizione del servizio, introduce una metodologia di descrizione
dei dati duttile e flessibile (cd. modello matriciale), estende l’area di
rilevazione agli affidamenti concessi dagli intermediari finanziari e designa
una segnalazione in grado di fornire una rappresentazione pluridimensionale
della posizione debitoria dell’affidato, in grado di cogliere i diversi profili
della relazione banca-cliente1.
Grazie a tale evoluzione, in linea con le esigenze del mercato, i servizi
informativi della Centrale Rischi hanno assuntoun ruolo dominante nella gestione
del rischio creditizio, fornendo alle imprese partecipanti un valido supporto
per il management dei loro sistemi di rating.
Nella vigenza della legge bancaria del 1936, il fondamento normativo della
Centrale Rischi veniva individuato nell'art. 32, comma I, lett. h), della stessa
legge, con il quale era attribuita alle Autorità di Vigilanza del sistema
creditizio la facoltà di assumere provvedimenti relativamente "alle cautele per
evitare gli aggravamenti di rischi derivanti dal cumulo dei fidi". Abrogata la
legge bancaria del 1936, la disciplina attuale della Centrale Rischi è
riconducibile agli artt. 51, 53, 67 e 107 del TUB.
L’art. 53, comma I, lett. b) del TUB prevede che la Banca d’Italia, in
conformità delle delibere del CICR, emani disposizioni generali aventi ad
oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni. Gli artt.
67, comma I, lett. b) e 107, comma II, lett. b) del TUB riproducono la stessa
norma rispettivamente nell’ambito della vigilanza consolidata, l’uno, e con
riferimento agli intermediari iscritti nell’elenco speciale, l’altro.
Il rischio creditizio, ovvero il rischio di variazioni di valore (inattese)
delle attività finanziarie riconducibili all’insolvenza del debitore, è
componente certa del “sistema dei rischi”2
(rischio di mercato, rischio di credito, rischio operativo, altri rischi) in cui
operano gli intermediari per definizione. Come tale è certamente ricompreso nel
“rischio” menzionato dagli artt. 53, 67 e 107 del TUB e, dunque, oggetto di
possibile intervento da parte della Banca d’Italia.
L’art. 51 del TUB, infine, pone a carico delle banche l’obbligo di inviare
all’Organo di Vigilanza le segnalazioni periodiche, nonché ogni altro dato o
documento richiesto.
Il CICR, con delibera del 29 marzo 1994, assunta ai sensi dei citati artt. 53,
67 e 107 del TUB, ha disciplinato il servizio di centralizzazione dei rischi
creditizi gestito dalla Banca d’Italia, dettando i principi generali della
materia. La predetta disciplina si applica alle banche autorizzate in Italia
all’esercizio dell’attività creditizia, agli intermediari finanziari di cui
all’art. 106 del TUB che fanno parte di un gruppo bancario iscritto all’albo,
ovvero sono iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del TUB.
Un successivo provvedimento della Banca d’Italia del 10 agosto 1995 ha
individuato le società finanziarie con obbligo di partecipazione al servizio di
centralizzazione dei rischi in quegli intermediari finanziari ex art. 106 del
TUB, iscritti nell’albo e/o nell’elenco speciale di cui agli artt. 64 e 107 del
TUB, che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di finanziamento
sotto qualsiasi forma, così come definita dall’art. 2 del Decreto del Ministro
del Tesoro del 6 luglio 1994.
L’esercizio dell’attività di finanziamento, comprensiva del valore dei beni
concessi in locazione finanziaria, si considera prevalente quando rappresenta
più del 50% dell’ammontare complessivo degli elementi dell’attivo, inclusi gli
impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate.
Sono esonerati dall’obbligo di partecipazione al servizio gli intermediari
finanziari per i quali l’attività di credito al consumo rappresenti più del 50%
dell’attività di finanziamento dagli stessi svolta.
A completare il quadro normativo disciplinante il funzionamento della Centrale
Rischi concorrono le Istruzioni per gli intermediari creditizi adottate dalla
Banca d’Italia il 14 novembre 2001, costituenti l’8° aggiornamento della
Circolare n. 139 dell’11 febbraio 1991. Peraltro, a partire da gennaio 2005, è
entrato in vigore il 9° aggiornamento, adottato il 22 giugno 2004, fatte salve
alcune disposizioni relative alla rilevazione dello status della clientela e al
servizio di informazione periodico che entreranno in vigore da gennaio 2006.
A seguito dell’evoluzione subita dal settore creditizio e finanziario, il CICR,
con delibera del 3 maggio 1999, ha rilevato la necessità di includere tra le
misure di contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni un sistema
di rilevazione degli affidamenti di importo minore rispetto a quelli censiti
dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia. E’ stato, così, istituito il sistema
centralizzato per la rilevazione dei rischi di importo contenuto, la cui
gestione in via autonoma è assegnata alla Società Interbancaria per
l’Automazione (S.I.A.) S.p.a., anche in virtù di una delibera adottata dall’ABI
il 17 febbraio 1999 che considerava tale soggetto privato come l’unico ente di
emanazione del mondo creditizio e finanziario già in possesso di una serie di
requisiti idonei ad assicurare l’efficiente e sicuro svolgimento del servizio di
rilevazione.
Le banche e gli intermediari finanziari che partecipano alla Centrale Rischi
della Banca d’Italia devono comunicare al sistema centralizzato di rilevazione
dei rischi di importo contenuto i dati relativi alle esposizioni creditizie, di
importo inferiore al limite minimo di censimento previsto per la Centrale Rischi
della Banca d’Italia e superiore al limite massimo stabilito per le operazioni
di credito al consumo, con esclusione dei crediti classificati a sofferenza, nei
confronti di ciascun cliente.
Il sistema informativo della centrale dei rischi
Il sistema informativo della Centrale Rischi è fondato sull’obbligo, posto a
carico degli intermediari partecipanti, di comunicare mensilmente alla Banca
d’Italia i rapporti di credito in essere nei confronti di ciascun cliente, di
importo pari o superiore ai limiti di censimento definiti nella citata circolare
della Banca d’Italia, contenente le Istruzioni per gli intermediari creditizi.
Ai sensi della suddetta normativa, le segnalazioni devono essere inoltrate
quando:
la somma dell’accordato ovvero quella dell’utilizzato del totale dei crediti per
cassa e di firma è di importo pari o superiore a 75.000 €;
il valore delle garanzie complessivamente ricevute dall’intermediario è di
importo pari o superiore a 75.000 €;
il valore intrinseco delle operazioni in derivati finanziari è pari o superiore
a 75.000 €;
la posizione del cliente è in sofferenza, per crediti di qualunque importo
(peraltro, l’applicazione dei criteri di arrotondamento comporta che le
posizioni di importo pari o inferiore a 250 € non devono essere segnalate);
l’importo delle operazioni effettuate per conto di terzi è pari o superiore a
75.000 €;
il valore nominale dei crediti acquisiti per operazioni di factoring, sconto di
portafoglio pro soluto e cessione di credito è pari o superiore a 75.000 €;
sono passati a perdita crediti in sofferenza di qualunque importo;
il valore nominale dei crediti non in sofferenza ceduti a terzi
dall’intermediario segnalante è pari o superiore a 75.000 €;
sono stati ceduti a terzi dall’intermediario segnalante crediti in sofferenza di
qualunque importo (salvo per quelli di importo pari o inferiore a 250 €).
I soggetti intestatari di posizioni di rischio, a seguito di segnalazione, sono
censiti dalla Centrale Rischi in un archivio anagrafico ed identificati in modo
univoco mediante l’assegnazione di un codice CR utilizzato per lo scambio delle
informazioni ad essi relative.
Al fine di consentire agli intermediari una valutazione più completa del merito
di credito della clientela vengono rilevate anche le forme di coobligazione,
ovvero le relazioni di tipo giuridico tra più soggetti solidalmente responsabili
nell’adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti degli intermediari.
Sulla base delle informazioni ricevute, la Banca d’Italia restituisce, con la
stessa periodicità, ad ogni intermediario il cd. “flusso di ritorno
personalizzato”, con cui viene fornita la posizione globale di rischio a livello
di sistema dei singoli clienti segnalati e dei soggetti collegati agli stessi
con una delle forme di coobligazione previste. La posizione globale di rischio
viene determinata per ciascun soggetto sommando le segnalazioni degli
intermediari che lo affidano. Tale aggregazione viene effettuata distintamente
per ogni tipologia di importo, per ognuna delle categoria di censimento e per
ciascun valore delle relative variabili di classificazione previsti dallo schema
segnaletico. Il flusso di ritorno contiene, inoltre, le informazioni anagrafiche
relative a ciascun soggetto segnalato, ai suoi coobligati ed ai soggetti allo
stesso collegati nell’ambito di rapporti di garanzia e di cessione del credito.
Sono altresì fornite, per ciascun nominativo segnalato, ulteriori informazioni
ritenute utili per la valutazione ed il controllo della rischiosità della
clientela, concernenti, tra l’altro, l’ammontare degli sconfinamenti e dei
margini disponibili calcolati per ciascuna categoria di censimento e variabile
di classificazione, il numero degli intermediari segnalanti, il numero delle
richieste di prima informazione pervenute negli ultimi sei mesi e motivate
dall’avvio di un’istruttoria propedeutica all’instaurazione di un rapporto di
natura creditizia. Per ciascun soggetto segnalato, oltre alla posizione di
rischio globale nei confronti di tutti gli intermediari, viene evidenziata la
posizione di rischio globale nei confronti degli intermediari finanziari e del
gruppo creditizio di appartenenza dell’intermediario segnalante.
Al flusso mensile nominativo si affianca il cd. “flusso di ritorno statistico”,
anch’esso a periodicità mensile, con cui la Banca d’Italia invia ad ogni
intermediario partecipante distribuzioni statistiche elaborate sulla base delle
segnalazioni di rischio. Il citato flusso offre informazioni sul mercato del
credito sotto i profili della rischiosità, della concentrazione e della
dimensione degli affidamenti e delle principali caratteristiche della clientela.
Il flusso di ritorno statistico, unitamente alle pubblicazioni, hanno conosciuto
un importante potenziamento negli ultimi anni a seguito dei vantaggi che
apportano nella gestione del rischio creditizio. La pubblicazione, a partire dal
2000, dei tassi di “decadimento” e di “mortalità” dei finanziamenti, utili per
la messa a punto dei sistemi di rating interno e dei modelli di portafoglio, è
un esempio importante.
Altro importante servizio fornito agli intermediari dalla Centrale Rischi è il
cd. “servizio di prima informazione” che consente ai partecipanti di
interrogare, all’occorrenza, il sistema informativo per ottenere informazioni
sulla clientela effettiva o potenziale per la quale è comunque in corso
un’istruttoria di affidamento. Utilizzando il servizio di prima informazione,
gli intermediari possono richiedere alla Banca d’Italia che sia loro resa nota
la posizione globale di rischio di nominativi censiti diversi da quelli da essi
segnalati.
Considerato il carattere riservato dei dati personali censiti dalla Centrale dei
rischi, l’utilizzo del servizio in questione è subordinato al rispetto del
principio generale, in materia di tutela dei dati personali, della finalità: le
richieste possono essere avanzate solo per finalità connesse con l’assunzione e
la gestione del rischio nelle sue diverse configurazioni3,
ovvero nei soli casi in cui l’informativa richiesta concorra a fornire elementi
utili ai fini della valutazione del merito di credito della clientela effettiva
o potenziale. In particolare, le richieste possono riguardare:
soggetti non ancora affidati, per i quali sia stato concretamente avviato un
processo istruttorio propedeutico all’instaurazione di un rapporto di natura
creditizia o comunque comportante l’assunzione di un rischio;
soggetti già affidati, ma non segnalabili perché il rapporto di credito
intrattenuto con l’intermediario è di importo inferiore ai limiti di censimento
ovvero per altri motivi.
Il ricorso al servizio è altresì consentito nei confronti di nominativi che
presentino un collegamento di tipo giuridico (ad es. coobbligati, censiti
collegati, coniugi in regime di comunione dei beni, etc.) o di tipo economico
(appartenenza dei soggetti a gruppi di imprese) con i soggetti sopra indicati,
purchè l’informazione che si richiede risulti oggettivamente strumentale
rispetto ad una compiuta valutazione di questi ultimi.
Conformemente a quanto previsto dalla delibera CICR del 29 marzo 1994, il citato
servizio è svolto a titolo oneroso per cui, a fronte della richiesta avanzata,
gli intermediari versano un corrispettivo alla Banca d’Italia correlato ai costi
sostenuti per la fornitura dello stesso.
Le Istruzioni per gli intermediari creditizi adottate dalla Banca d’Italia
menzionano espressamente il carattere riservato di tutte le informazioni
acquisite dalla Centrale Rischi, consentendone l’utilizzo solo per le finalità
connesse con l’assunzione del rischio nelle sue diverse configurazioni. Inoltre,
in linea con la disciplina generale sul trattamento dei dati personali,
garantiscono il diritto di accesso ai soggetti censiti sulle informazioni
registrate a loro nome4.
Gli intermediari, su specifica richiesta, devono rendere nota al soggetto
segnalato, o al suo rappresentante, la relativa posizione globale e parziale di
rischio quale risulta dai flussi informativi ricevuti dalla Banca d’Italia,
nonché i dati di rischio relativi alle cointestazioni di cui lo stesso risulti
far parte.
Da quanto sin qui esposto risulta evidente che il sistema della Centrale Rischi
è fondato su una stretta collaborazione fra intermediari e Banca d’Italia, per
cui si registrano flussi informativi provenienti dagli uni e diretti verso
l’altra e viceversa. E’ necessario che il sistema funzioni correttamente e che
le informazioni in esso registrate risultino esatte e complete, specie in
considerazione delle conseguenze negative che potrebbe determinare una
segnalazione presso la Centrale Rischi in capo ad un soggetto erroneamente
censito. Le informazioni registrate in tali archivi, infatti, possono
qualificarsi ai sensi dell’art. 17, D.lgs. 196/2003 (per brevità TUP) come dati
cd. semi-sensibili5,
ovvero dati diversi da quelli sensibili e giudiziari il cui trattamento presenta
rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali, nonché per la dignità
dell’interessato.
Una erronea segnalazione a sofferenza, ad esempio, danneggia fortemente la
reputazione e dignità personale del soggetto interessato, incide negativamente
sulle relazioni sociali e professionali, mina la possibilità per il cliente di
accedere al credito bancario oltre a comportare la revoca di quello già
concesso, con conseguente lesione del “diritto di impresa”6.
La responsabilità degli intermediari per segnalazioni erronee
Una segnalazione erronea presso la Centrale Rischi, ovvero effettuata al di
fuori dei casi in cui è imposta dalla legge, produce effetti negativi in capo
agli interessati, potendo pregiudicare seriamente la reputazione economica
dell’imprenditore, la reputazione commerciale e il diritto all’immagine;
inoltre, determina un’alterazione degli equilibri del mercato creditizio e
imprenditoriale e, conseguentemente, del regime della libera concorrenza7,
poiché l’impossibilità di accedere al credito da parte di un’impresa avvantaggia
automaticamente le altre che operano nel medesimo settore. In considerazione dei
diversi interessi che potrebbero venir lesi da una diffusione di dati e notizie
errati, la dottrina ha qualificato l’illecita segnalazione come fattispecie
plurioffensiva8.
Tenuto conto delle richiamate conseguenze negative, anche di ordine giuridico,
che potrebbero derivare da un’erronea segnalazione presso la Centrale Rischi,
agli intermediari partecipanti si richiede un alto senso di responsabilità oltre
alla puntuale osservanza delle norme che regolano il servizio e al rigoroso
rispetto dei termini segnaletici.
Gli intermediari sono tenuti a controllare le segnalazioni di rischio trasmesse
alla Banca d’Italia, con particolare riguardo alle informazioni anagrafiche, ed
a rettificare di propria iniziativa le segnalazioni errate o incomplete. Hanno
altresì l’obbligo di verificare tutte le comunicazioni che ricevono dalla
Centrale Rischi. L’attività di controllo non deve limitarsi alla fase di
codifica, ma va estesa anche alle altre comunicazioni ed ai flussi di ritorno
periodici. In assenza di rettifiche da parte degli enti segnalanti, i dati
registrati negli archivi della Centrale Rischi si considerano implicitamente
confermati. Anche nel caso in cui gli intermediari si avvalgano di centri di
elaborazione esterni per lo scambio di informazioni con la Centrale Rischi, la
responsabilità circa le informazioni fornite, l’osservanza degli adempimenti e
dei termini previsti per la loro trasmissione rimane a loro carico.
E’ evidente che la diligenza richiesta agli intermediari partecipanti
nell’adempimento dell’obbligo di segnalazione, comprensivo dell’attività di
controllo ad essi richiesta, è riconducibile al disposto di cui all’art. 1176,
comma II, cod. civ. La responsabilità dell’intermediario per aver trasmesso
all’interno dell’intero sistema un dato difforme dalla realtà, può essere fonte
di responsabilità non solo verso l’Organo di Vigilanza, ma anche verso i
soggetti, intermediari e utenti, coinvolti nelle operazioni di credito9.
Quanto ai rapporti con gli altri intermediari, la dottrina riconosce la
responsabilità aquiliana dell’istituto segnalante per aver diffuso informazioni
non corrette ingenerando un legittimo affidamento nei destinatari delle stesse,
i quali potrebbero avere compiuto atti dispositivi di carattere patrimoniale
rivelatisi poi pregiudizievoli. Al riguardo, si evidenzia come attraverso il
meccanismo delle segnalazioni non veritiere, l’istituto di credito non solo
potrebbe vanificare gli obiettivi della rilevazione dei rischi, ma arrivare a
danneggiare le imprese concorrenti, con una deformazione, a loro esclusivo
danno, della reale situazione debitoria e dell’affidabilità economica
complessiva del soggetto segnalato10.
La responsabilità dell’intermediario dovrebbe conseguire all’effettivo
condizionamento esercitato su altro intermediario a seguito della diffusione nel
sistema informativo di una notizia errata, ovvero di una segnalazione illecita,
e dovrebbe comportare l’obbligo di risarcire il pregiudizio subito dal
concorrente per aver confidato nella correttezza del dato.
Peraltro, una parte della dottrina è giunta ad ipotizzare, almeno in alcuni
casi, un concorso colposo del danneggiato, evidenziando che a fronte di un
soggetto che ha divulgato una notizia non veritiera, c’è un altro soggetto che
ha agito sulla base di un dato non direttamente verificato11.
Se da un lato, dunque, si esclude che il terzo sia sempre e comunque tenuto a
compiere una verifica del dato immesso da altro istituto prima di fondare su di
esso una propria decisione, posto che altrimenti verrebbe vanificato il senso
stesso dell’informazione centralizzata, da altro lato, si ritiene che il terzo
fruitore del dato sia tenuto a verificare la notizia, quantomeno in quelle
situazioni in cui la segnalazione non trovi conferma in una situazione
finanziaria del debitore che si sapeva già critica, quale ad esempio la
segnalazione a sofferenza di un soggetto di nota solvibilità. In questi casi,
sembra non doversi ammettere un “cieco” affidamento sul dato della segnalazione,
ritenendosi più corretto un dovere del terzo di attivarsi, ad esempio,
richiedendo al soggetto segnalato di fornire chiarimenti in ordine alla propria
situazione patrimoniale.
Quanto ai rapporti con il cliente, deve preliminarmente essere considerato il
rapporto dialettico che si instaura tra l’interesse pubblico all’accrescimento
del patrimonio informativo degli enti creditizi e quello del cliente
all’immagine o alla reputazione: si determina un fenomeno di confliggenza di
interessi che trova soluzione attraverso il contemperamento e l’equo
bilanciamento delle libertà antagoniste. La realizzazione del preminente
interesse pubblico e il conseguente sacrificio dell’interesse privato è
strettamente subordinata al rispetto dei termini e delle condizioni determinate
dalla legge. Pertanto, la segnalazione è legittima solo se effettuata
rispettando i limiti di censimento previsti dalle Istruzioni della Banca
d’Italia: al di fuori dei casi tassativamente previsti, la segnalazione diviene
illegittima e lesiva del diritto della persona all’immagine ed alla reputazione.
Tale lesione riveste particolare gravità laddove il soggetto leso risulti essere
un imprenditore, perché in tal caso si va ad incidere negativamente sulla
libertà di concorrenza con pregiudizio ulteriore sulla stabilità del mercato. In
tali casi appare indiscussa la responsabilità dell’istituto segnalante nei
confronti del cliente danneggiato, sia a titolo contrattuale che
extracontrattuale. Come precisato dalla giurisprudenza, il mancato rispetto
delle regole di cautela individuate dall’ordinamento professionale risulta uno
specifico indice sia della sussistenza di colpa rilevante ex art. 2043 c.c., sia
della violazione dei canoni di correttezza e buona fede richiesti nello
svolgimento di ogni rapporto obbligatorio secondo le norme generali di cui agli
artt. 1715, 1374, 1375 c.c.12
.
La responsabilità civile dell’istituto creditizio per erronea segnalazione alla
Centrale Rischi può essere considerata come species riconducibile al genus della
responsabilità per false informazioni, poiché vi è la diffusione di informazioni
non corrette13.
Sul punto merita menzione una pronuncia della Suprema Corte in cui si afferma la
responsabilità civile per diffamazione colposa di chi diffonde notizie inesatte
sulla solvibilità di un commerciante, provocandone il discredito14.
La medesima tutela deve essere riconosciuta anche ai privati, sebbene in tal
caso non si parli di danno alla reputazione economica, ma di tutela
dell’immagine e dell’onore.
Tenute in considerazione le conseguenze negative derivanti da una segnalazione
errata, le Istruzioni della Banca d’Italia stabiliscono che “gli intermediari
partecipanti devono porre la massima attenzione all’osservazione dei previsti
termini di segnalazione, alla indicazione precisa e completa degli elementi
anagrafici della clientela e alla corretta imputazione dei rischi”.
La responsabilità dell’intermediario segnalante emerge, dunque, nel momento in
cui assume una condotta non conforme ai canoni di diligenza professionale, così
come codificati nelle regole emanate dalla Banca d’Italia, nella valutazione dei
presupposti per la segnalazione.
Tale condotta comporta l’obbligatorietà di un ristoro anche del danno non
patrimoniale lamentato dall’individuo, sotto il profilo del danno morale15.
A fronte della responsabilità degli intermediari partecipanti che, come abbiamo
visto è triplice, in quanto si spiega sia nei confronti dell’Organo di
Vigilanza, sia degli altri intermediari partecipanti sia, infine, del cliente,
vige, per contro, un regime di assoluto esonero di responsabilità per la Banca
d’Italia in merito alle segnalazioni erronee che le pervengono. Nella gestione
della Centrale Rischi, infatti, l’Organo di Vigilanza è tenuto al coordinamento
della raccolta dei dati ed alla comunicazione degli stessi dati al sistema
creditizio e non già a svolgere alcuna attività istruttoria in relazione ai dati
segnalati nella Centrale Rischi16.
L’appostazione a sofferenza
La segnalazione di un cliente alla Centrale Rischi è dovuta quando il rapporto
di credito rientra nei limiti di censimento definiti dalle Istruzioni della
Banca d’Italia. Tra le segnalazioni dovute, la maggior parte non presentano
margini di discrezionalità per gli intermediari, in quanto è la stessa norma che
determina l’importo oltre il quale la registrazione deve comunque effettuarsi;
l’appostazione a sofferenza, invece, implica una valutazione complessa ed entro
certi limiti discrezionale per gli intermediari.
Infatti, sebbene la norma relativa ai limiti di censimento preveda in generale
che la segnalazione è comunque dovuta quando la posizione del cliente è in
sofferenza, l’art. 1.5, sezione 2, capitolo II, delle Istruzioni della Banca
d’Italia, rubricato “sofferenze”, dispone: “Nella categoria di censimento
sofferenze va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di
soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in
situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali
previsioni di perdita formulate dall’azienda. Si prescinde, pertanto,
dall’esistenza di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei
crediti. Sono escluse le posizioni la cui situazione di anomalia sia
riconducibile a profili attinenti al rischio-paese. L’appostazione a sofferenza
implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione
finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo
di quest’ultimo nel pagamento del debito”.
Nel caso di insolvenza non accertata giudizialmente o non conclamata l’istituto
di credito gode di un ambito di discrezionalità tecnica circa la qualificazione
della posizione “in sofferenza” e la conseguente decisione di effettuare la
comunicazione alla Centrale Rischi. Pertanto, un’eventuale affermazione di
responsabilità dell’istituto segnalante, per violazione dei contrapposti
interessi a che non vi sia una irregolare segnalazione, deve necessariamente
ancorarsi all’accertamento di una condotta negligente ed imprudente, sub specie
di violazione dell’ambito di discrezionalità attribuito all’istituto dalle
Istruzioni della Banca d’Italia, che vengono a costituire, dunque, le regole
professionali di comportamento dell’intermediario17.
Molto si è discusso intorno al concetto di “stato di insolvenza” quale
presupposto per l’appostazione a sofferenza. Un orientamento giurisprudenziale
subordina la segnalazione alla Centrale Rischi di una posizione a sofferenza
alla sussistenza, in capo al soggetto segnalato, di uno stato d’insolvenza così
come previsto dall’art. 5 Legge fallimentare18.
Altra giurisprudenza, invece, esclude che il concetto di insolvenza di cui
all’art. 5 Legge fallimentare possa costituire un valido parametro di
riferimento cui ancorare il giudizio dell’istituto segnalante, attesa la
diversità di ratio delle due discipline. In un caso (quello della Legge
fallimentare), infatti, si tratta di identificare il momento in cui convenga
procedere, anziché con l’esecuzione individuale, alla tutela collettiva della
massa dei creditori di una determinata impresa ed alla sostituzione coattiva di
un imprenditore che, sulla base di un’analisi globale di tipo dinamico e
prospettico, è risultato non più capace di garantire una gestione efficiente e
redditizia dell’organismo produttivo; nell’altro caso, invece, si tratta di
stabilire se una determinata posizione creditoria (facente capo ad una banca o
ad altro intermediario finanziario, nei confronti di un soggetto non
necessariamente imprenditore) debba essere segnalata alla Centrale Rischi ed
eventualmente nella categoria delle sofferenze: in pratica, occorre valutare se
una segnalazione così fatta corrisponda all’interesse degli intermediari
partecipanti al servizio di centralizzazione dei rischi creditizi, di mettere
reciprocamente a disposizione uno strumento informativo in grado di accrescere
la loro capacità di valutazione e di controllo della clientela.
Stante la funzione di pubblicità a tutela del mercato creditizio il giudizio che
giustifica la segnalazione non può non tener conto di tale precipua finalità e
deve essere orientato nel senso di valutare, alla luce della complessiva
situazione finanziaria del cliente, il pericolo (per il segnalante e per altri
eventuali futuri creditori) di inadempimento del debitore, nonché le difficoltà
di esazione del credito19.
L’istituto creditore deve eseguire la segnalazione quando ravvisi tale
difficoltà, senza dover effettuare un’analisi al fine di verificare che
ricorrano le condizioni per la dichiarazione di fallimento. La suddetta
segnalazione va, quindi, compiuta anche se il debitore non versi in stato di
decozione20.
Diversamente, risulterebbe frustrata l’utilità del servizio di centralizzazione
dei rischi, poiché gli altri intermediari, segnatamente quelli che hanno già
concesso affidamenti al soggetto segnalato, si troverebbero nell’impossibilità
di attivarsi in tempo utile per cautelare la propria posizione, ormai
pregiudicata in maniera irreversibile dal prossimo fallimento del debitore. Il
presupposto minimo della segnalazione deve, dunque, identificarsi in uno stato
di insolvenza di minore intensità, ma che sia oggettivamente sussistente e che,
ad un giudizio prognostico dell’istituto di credito, si presenti come non
momentaneo, dagli incerti sviluppi, ma non necessariamente irreversibile: come è
stato detto, uno stato di insolvenza forse normativamente più vicino all’art.
187 l. fall. che non all’art. 521.
E’ però certo, in base alle Istruzioni della Banca d’Italia, che la segnalazione
a sofferenza non può discendere automaticamente dall’inadempimento del debitore,
perché dal semplice ritardo non può scaturire la segnalazione.
La segnalazione della posizione a sofferenza, inoltre, richiede che il soggetto
si trovi in uno stato di persistente instabilità patrimoniale e finanziaria
idonea ad intralciare il recupero del credito da parte dell’intermediario. Deve,
quindi, distinguersi la situazione che legittima l’appostazione in sofferenza,
riscontrabile in un’impossibilità di recuperare il credito vantato perché il
soggetto affidato si trova in gravi e non transitorie difficoltà economiche, in
stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili, dalle
posizioni cd. ad incaglio, ovvero temporanei disagi economici destinati ad
essere superati in un congruo periodo di tempo senza che si prospetti come
verosimile l’azione giudiziaria di recupero22.
Pertanto, come precisato dalla giurisprudenza, deve considerarsi illegittima la
segnalazione fondata su un temporaneo disagio economico del cliente il quale
abbia tempestivamente offerto all’istituto di estinguere la propria posizione
debitoria attraverso il pagamento dilazionato in più rate proporzionate
all’entità del debito23.
Ai fini dell’appostazione di un credito come sofferente, è necessario tener
conto della situazione patrimoniale complessiva del debitore, o quanto meno,
dell’insieme dei rapporti tra il debitore ed il circuito bancario24.
Tuttavia, la dottrina esclude che l’istituto di credito debba svolgere ulteriori
indagini ad integrazione delle informazioni di cui dispone25.
Infine, non viene considerata condotta conforme ai canoni di diligenza
professionale, come codificati nelle regole proprie del settore, la segnalazione
di un affidato come sofferente, prima della formale revoca degli affidamenti26.
La tutela cautelare
La segnalazione alla Centrale Rischi, come si è visto, avviene a seguito di una
valutazione dell’istituto di credito che, in genere, si svolge in assenza di
contraddittorio, ovvero senza la partecipazione del soggetto segnalato. In
presenza di una segnalazione illegittima, quindi, è pacificamente ammessa la
sindacabilità, da parte dell’autorità giudiziaria, del procedimento con cui le
banche operano la classificazione dei crediti verso la clientela.
Molto si è discusso, invece, in ordine all’ammissibilità della tutela cautelare,
anche in virtù del revirement giurisprudenziale sul punto.
La prima giurisprudenza, infatti, aveva escluso l’ammissibilità della domanda
cautelare volta ad ottenere un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., non
ravvisando nella fattispecie in esame il periculum in mora ed il fumus boni
iuris.
L’insussistenza del periculum in mora veniva motivata con la considerazione che
tutti i danni subiti per effetto della segnalazione illegittima potevano essere
risarciti ex post per equivalente dalla banca27.
Altra giurisprudenza giungeva a negare l’esistenza del grave ed irreparabile
pregiudizio sul presupposto che il soggetto segnalato avrebbe comunque potuto
accedere al credito, nonostante la segnalazione, dimostrando la sua solvibilità28.
La giurisprudenza successiva che ha correttamente disatteso tale indirizzo
evidenziando come la segnalazione sia fattore idoneo a determinare la decozione
dell’imprenditore segnalato e, dunque, a cagionare un danno per definizione
irreversibile ed irreparabile; inoltre, se è vero che non viene astrattamente
impedita la possibilità di concessione di nuovi affidamenti, questi vengono
comunque ostacolati, attesa la difficoltà di dimostrare la fondatezza delle
eventuali contestazioni del credito o della piena solvibilità29.
Nonostante il mutamento di indirizzo giurisprudenziale non si è giunti, però, ad
affermare la sussistenza in re ipsa del requisito cautelare in esame: per la
giurisprudenza, infatti, il ricorrente è tenuto a provare la concreta esistenza
del periculum in mora, tipicamente per il tramite di una produzione documentale
idonea a comprovare le difficoltà dallo stesso incontrate nei rapporti con gli
istituti di credito e gli altri imprenditori30.
Recentemente, una pronuncia isolata ha negato la sussistenza del periculum in
mora allorquando il richiedente non sia un imprenditore commerciale sul
presupposto che, in tali casi, non vi sarebbe lesione del diritto all’impresa31.
In ordine al secondo requisito necessario ai fini dell’emissione di un
provvedimento cautelare d’urgenza, parte della giurisprudenza, intendendo la
segnalazione come mero adempimento per la banca di un obbligo legalmente
sanzionato, ha negato la sussistenza del fumus boni iuris. In realtà, le
valutazioni negative dei primi giudici sono la diretta conseguenza di un’erronea
interpretazione della nozione normativa di “sofferenza”, contenuta nelle
Istruzioni della Banca d’Italia. In contrasto col dato normativo, infatti, le
prime pronunce hanno ritenuto che il mero inadempimento legittimasse la
segnalazione a “sofferenza” della posizione del debitore, a prescindere, dunque,
da una valutazione complessiva della sua situazione finanziaria.
L’orientamento in parola è stato superato sulla scorta delle precisazioni di
principio apportate alla nozione di sofferenza ed all’esclusione di ogni
automatismo tra inadempimento e segnalazione32.
Infine, va ricordato che in passato si è negata l’ammissibilità della tutela in
via d’urgenza diretta alla sospensione della pubblicazione del protesto, sulla
base del divieto, ex art. 4 Legge n. 2248/1865, di infliggere condanne alla
Pubblica Amministrazione per l’esecuzione di un facere specifico. Tali
conclusioni sono state superate dalla più recente giurisprudenza che ha ritenuto
ammissibile l’emanazione di un provvedimento d’urgenza consistente in un facere
imposto ad un ente pubblico, sul presupposto che il divieto di cui al citato
art. 4 sussisterebbe unicamente nel caso in cui la Pubblica Amministrazione
fosse tenuta all’emissione di un provvedimento amministrativo e non già quando
il facere si identifichi, come nel caso di sospensione della pubblicazione del
protesto, in un semplice comportamento materiale dell’ente33.
Le medesime considerazioni possono essere svolte anche quando l’invocato
provvedimento d’urgenza consista nella cancellazione del nome del soggetto
segnalato dall’elenco esistente presso la Centrale Rischi34.
Il sistema informativo della Centrale rischi e la legge sulla privacy
Lo studio della disciplina della Centrali Rischi non può oggi prescindere da
un’analisi circa la sua conformità alla normativa in materia di tutela dei dati
personali posto che la tutela della privacy va assumendo una progressiva
importanza, anche a seguito degli interventi legislativi che si sono succeduti
negli anni a partire dal 1996, anno di entrata in vigore della Legge n. 675. Nel
nostro ordinamento si registra, ormai, la tendenza a contemperare lo sviluppo
dei sistemi informativi con la protezione dei soggetti i cui dati personali,
compresi quelli di natura economico-patrimoniale, sono oggetto di raccolta,
elaborazione e diffusione35.
La banca dati della Centrale Rischi, come si è visto in precedenza, è
strutturata su due principali flussi informativi: le comunicazioni di dati fatte
dagli intermediari alla Banca d’Italia, ossia le segnalazioni, e le
comunicazioni di dati che la Banca d’Italia invia agli intermediari attraverso i
flussi di ritorno ed il servizio di prima informazione.
In ordine alle segnalazioni che gli intermediari inviano all’Organo di
Vigilanza, ove ricorrano i casi individuati nelle Istruzioni della Banca
d’Italia, occorre in primo luogo chiarire che si tratta di dati personali che
l’istituto creditizio detiene in base ad un rapporto contrattuale già in essere
o appena concluso con il cliente. In questi casi, dunque, è operante l’esimente
del consenso prevista dall’art. 24 lett. b) del D.lgs. n. 196/2003 (per brevità
TUP), per cui il consenso dell’interessato non è richiesto quando il trattamento
dei dati è necessario per eseguire obblighi derivanti da un contratto del quale
è parte l’interessato. Le informazioni raccolte dall’istituto creditizio possono
certamente dirsi funzionali all’adempimento degli obblighi contrattuali
derivanti dalla concessione di un affidamento al cliente. In questi casi, però,
non è possibile prescindere dall’obbligo di informativa di cui all’art. 13, che
deve essere adempiuto tanto laddove il regime di circolazione dei dati sia
vincolato al principio del consenso, quanto laddove esso sia libero36.
La trasmissione dei dati che l’intermediario effettua alla Centrale Rischi deve
qualificarsi, ai sensi dell’art. 1 lett. l) del TUP, come “comunicazione”, posto
che, con la segnalazione, l’istituto creditizio dà conoscenza dei dati stessi
alla Banca d’Italia e, per il suo tramite, agli intermediari partecipanti,
ovvero ad un numero di soggetti determinato o, quantomeno, determinabile.
Specificatamente, si tratta di una “comunicazione di dati personali da un
soggetto privato ad un soggetto pubblico”.
Nella vigenza dell’abrogata Legge n. 675/96 parte della dottrina37
ha ritenuto applicabile a tali comunicazioni l’art. 27, comma II, in base al
quale la comunicazione di dati a soggetti pubblici era ammessa ove prevista da
norme di legge o di regolamento, o quando comunque necessaria per lo svolgimento
delle funzioni istituzionali.
In realtà, la disposizione normativa citata, rubricata “trattamenti da parte di
soggetti pubblici”, aveva un ambito di applicazione soggettivo limitato a tali
enti, per cui sembrerebbe più opportuno ritenere che il secondo comma
disciplinasse le comunicazioni da soggetti pubblici ad altri soggetti pubblici,
ovvero le comunicazioni fra amministrazioni38.
Appare dunque preferibile ritenere che la norma applicabile fosse l’art. 20
lett. c) della Legge n. 675/96 che ammetteva la comunicazione dei dati personali
da parte di privati ed enti pubblici economici quando avveniva in adempimento di
un obbligo previsto dalla legge, da un regolamento o da una normativa
comunitaria.
Il Garante per la Privacy, nella vigenza della vecchia legge, si è occupato in
diverse occasioni della questione risolvendola nel senso che la comunicazione
dei dati personali relativi all’indebitamento della clientela effettuata dagli
intermediari finanziari alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, in quanto
dovuta per legge, non è sottoposta all’obbligo della preventiva acquisizione del
consenso degli interessati39.
Il Garante ha, dunque, dichiarato la compatibilità delle comunicazioni
effettuate dagli istituti di credito alla Centrale Rischi della Banca d’Italia
con la Legge n. 675/96, anche alla luce del disposto dell’art. 14, comma I,
lett. d)40
stessa legge.
Ciò posto, il problema principale che si poneva era quello del fondamento
normativo dell’obbligo di effettuare le comunicazioni. A ben vedere, infatti, le
comunicazioni afferenti il servizio di centralizzazione dei rischi potevano
considerarsi ammesse ritenendo che la disciplina del CICR avesse natura
regolamentare e recasse l’obbligo delle banche di provvedere alle comunicazioni
dei dati personali impiegati per l’organizzazione della Centrale Rischi. Agli
stessi fini, non pareva sufficiente il riferimento all’art. 51 TUB perché tale
norma non precisava quali erano i dati da trasmettere, limitandosi, invece, a
prevedere l’obbligo delle banche di effettuare segnalazioni periodiche alla
Banca d’Italia e di trasmetterle ogni altro dato richiesto. La citata norma,
dunque, non conteneva l’espressa previsione della trasmissione di quegli
specifici dati personali che la Banca d’Italia utilizza nel quadro del servizio
di centralizzazione dei rischi41.
Il problema poteva considerarsi in parte risolto laddove si ritenesse
applicabile l’art. 27, comma II, perché, in tal caso, ai fini della legittimità
della comunicazione, era sufficiente che la stessa risultasse comunque
necessaria per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, tra le quali le
disposizioni del TUB annoverano il controllo di stabilità e il contenimento dei
rischi, cui il servizio di centralizzazione è sicuramente strumentale.
La tesi delle finalità istituzionali è stata accolta anche da un Tribunale di
merito42
che ha ritenuto non necessaria la previa emanazione di leggi o regolamenti che
autorizzino la raccolta (nella specie compiuta attraverso la comunicazione di
dati ad opera di privati in virtù di specifici accordi) o il trattamento di dati
personali da parte di soggetti pubblici, trovando tali attività il loro
fondamento nello svolgimento di funzioni istituzionali ed essendo sufficiente
che esse non si pongano in contrasto con atti di normazione primaria e
secondaria che le vietino.
L’entrata in vigore del TUP ha innovato la materia in commento: l’art. 19, comma
II, ha modificato il testo letterale della disposizione di cui all’art. 27,
comma II, Legge n. 675/96, introducendo la locuzione “da parte di un soggetto
pubblico”, assente nel testo precedente. Sulla base di tale modifica quindi, non
è più sostenibile che la citata disposizione si riferisca anche alla
comunicazione di dati personali da un soggetto privato ad un soggetto pubblico43.
Tuttavia, in assenza di una norma specifica che disciplini la comunicazione di
dati da parte di un soggetto privato ad un soggetto pubblico, appare dubbio se
l’ipotesi ricada nel disposto dell’art. 18.
Parte della dottrina44
ha ritenuto che l’attività di raccolta dei dati da partesi soggetti
pubblici presso soggetti privati soggiace al principio funzionale, mentre i
privati possono ritenersi tenuti ad effettuare la comunicazione di dati
attinenti alla propria sfera solo in base ad una norma di legge o di
regolamento, anche ai sensi dell’art. 24, comma I, lett. a) del Codice della
Privacy. In mancanza di norma di legge, inoltre, il privato può comunicare
all’amministrazione dati relativi a terzi soltanto previa prestazione del
consenso da parte di questi ultimi.
Altra dottrina, giungendo alle medesime conclusioni e ponendosi in contrasto con
il tenore letterale della norma, richiama espressamente l’art. 19, comma II, del
TUP e ritiene lecite le segnalazioni operate dagli istituti di credito alla
Centrale Rischi in quanto effettuate in adempimento di un obbligo previsto dalla
legge bancaria45.
Le informazioni trasmesse dagli intermediari all’Organo di Vigilanza attraverso
le segnalazioni vengono, poi, memorizzate nei sistemi informatici della Centrale
Rischi della Banca d’Italia che si trova, così, ad effettuare un “trattamento”
di dati, stante la definizione onnicomprensiva delle operazioni riconnesse a
tale attività dall’art. 1 lett. a) del TUP.
Alla Banca d’Italia, quale titolare del trattamento, saranno applicabili le
norme del TUP contenenti le regole generali per tutti i trattamenti, di cui agli
artt. 11-17, e, stante la sua qualificazione in termini di organismo di diritto
pubblico, le regole ulteriori dettate per tali soggetti dagli artt. 18-22.
Ai sensi dell’art. 18, comma II, il trattamento di dati personali da parte di
soggetti pubblici è consentito solo per lo svolgimento delle funzioni
istituzionali, non essendo invece necessaria la fonte normativa che lo preveda
espressamente ex art. 19.
La tutela del rischio creditizio, cui il sistema informativo della Centrale
Rischi è diretto, rientra certamente nelle funzioni istituzionali della Banca
d’Italia, ed in particolare nell’attività di vigilanza regolamentare
disciplinata dall’art. 53 del TUB.
L’art. 18, comma IV, del TUP prevede ora espressamente l’esenzione dall’obbligo
di richiedere il consenso dell’interessato per i soggetti pubblici. Nella
vigenza della Legge n. 675/96 il principio era desumibile indirettamente
dall’art. 11 che richiedeva il consenso espresso dell’interessato solo per i
soggetti privati e per gli enti pubblici economici. Anche il Garante aveva
spesso affermato che le pubbliche amministrazioni non devono richiedere il
consenso degli interessati per poter trattare i dati personali, ma devono solo
verificare che i singoli trattamenti e le categorie di dati siano riconducibili
nella sfera delle proprie finalità istituzionali e siano posti in essere
rispettando gli eventuali limiti previsti dalle normative di riferimento46.
In ordine all’informativa da fornire obbligatoriamente agli interessati, è certo
che essa debba essere data dall’intermediario prima della raccolta dei dati e
deve contenere almeno tutti gli elementi indicati dall’art. 13, comma I,
compresi i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i dati possono essere
comunicati, quale la Centrale Rischi e gli intermediari partecipanti, anche se
indicati come categoria.
Incerta sembra, invece, l’applicazione dell’art. 13, comma IV, alla Banca
d’Italia. Tale norma disciplina l’ipotesi in cui i dati non sono raccolti presso
l’interessato, disponendo che in tali casi l’informativa deve essere fornita al
medesimo all’atto della registrazione o, comunque, non oltre la prima
comunicazione. Il problema è capire se la norma si applichi in toto alla Banca
d’Italia con la conseguenza che questa, una volta ricevuta una segnalazione,
dovrà provvedere ad informare l’interessato, oppure debba ritenersi che
l’obbligo di informativa sia soddisfatto attraverso l’informativa fornita
dall’intermediario al momento della raccolta. Il dubbio non avrebbe ragione di
essere laddove si ritenesse di dover applicare alla Banca d’Italia il comma V,
lett. a) dell’art. 13 che esclude l’applicazione del comma IV nei casi in cui i
dati sono trattati in base ad un obbligo previsto dalla legge , da un
regolamento o da una normativa comunitaria. A ben vedere, però, nessuna norma
obbliga la Banca d’Italia al trattamento di tali dati. La soluzione più corretta
e rispettosa dei diritti dell’interessato sembra, dunque, essere la prima,
ovvero la piena applicazione del comma IV.
Altra questione ancora aperta è quella inerente l’esercizio dei diritti da parte
dell’interessato ed in particolare l’applicabilità, al trattamento effettuato
dalla Banca d’Italia, dell’art. 8, comma II, lett. d) che esclude l’esercizio
dei diritti di cui all’art. 7 per i trattamenti di dati effettuati da un
soggetto pubblico in base ad espressa disposizione di legge, per finalità
determinate, compreso il controllo degli intermediari e dei mercati creditizi e
finanziari, nonché la tutela della loro stabilità. L’interrogativo si pone
perchè l’esclusione presuppone che il trattamento sia effettuato in base ad
espressa disposizione di legge, per cui l’esercizio dei diritti sarebbe precluso
in relazione al servizio di centralizzazione dei rischi solo al ricorrere di un
rigoroso presupposto, ossia solo se si potesse ritenere che il trattamento è
svolto in base ad espressa disposizione di legge. Poiché le fonti normative
primarie non si occupano espressamente del servizio di centralizzazione dei
rischi, la delibera del CICR certamente non ha natura di legge e il riferimento
a quest’ultima nel quadro dell’art. 8 deve essere interpretato restrittivamente,
non può allo stato attuale ritenersi precluso l’esercizio dei diritti47.
Del resto, la stessa delibera del CICR, all’art. 4, consente alla Banca d’Italia
ed agli intermediari partecipanti di comunicare ai terzi le informazioni
registrate a loro nome, secondo la procedura indicata dalla Centrale Rischi. In
attuazione della citata norma, dunque, le Istruzioni della Banca d’Italia
riconoscono il diritto di accesso da parte dei soggetti censiti alle
informazioni registrate ad essi relative. Gli intermediari, su specifica
richiesta, devono rendere nota al soggetto segnalato la relativa posizione
globale e parziale di rischio, quale risulta dai flussi informativi ricevuti
dalla Banca d’Italia, nonché i dati di rischio relativi alle cointestazioni di
cui lo stesso risulti far parte. Ove l’interessato manifesti l’esigenza di
conoscere il dettaglio delle segnalazioni prodotte a suo nome da ciascun
intermediario, nonché i dati relativi alle forme di coobbligazione, diverse
dalle cointestazioni, rilevate dalla Centrale Rischi, l’istanza deve essere
indirizzata alla filiale della Banca d’Italia nel cui ambito territoriale il
richiedente ha la residenza o la sede legale. In tali casi, la Banca d’Italia
fornisce al diretto interessato un prospetto contenente i dati richiesti,
corredato da un foglio informativo che illustra lo scopo ed il funzionamento
della Centrale Rischi.
Rimane da verificare la compatibilità fra la normativa sulla protezione dei dati
personali ed il servizio di prima informazione che, come visto in precedenza,
consente agli intermediari di interrogare la banca dati della Centrale Rischi e
ricevere informazioni su clienti già affidati o per i quali sia in corso
un’istruttoria propedeutica ad un rapporto di affidamento.
Al servizio di prima informazione è applicabile l’art. 19, comma III, del TUP,
che riproduce pedissequamente il dettato dell’art. 27, comma III, della Legge n.
675/96 e che disciplina le comunicazioni di dati da parte di un soggetto
pubblico a privati o enti pubblici economici, ammettendole unicamente quando
previste da norme di legge o di regolamento.
I soggetti pubblici, stante il disposto della norma citata, non possono
richiamarsi “allo svolgimento delle funzioni istituzionali”, ma è necessario che
la comunicazione di dati a soggetti privati sia effettuata solo attraverso
regole giuridiche espresse e precostituite48.
Tuttavia il riferimento alle norme regolamentari fa sì che ogni singola
amministrazione possa adottare apposite norme per legittimare la comunicazione
di dati personali e, attraverso i regolamenti, possa autodeterminare quali dati
comunicare.
Le comunicazioni dei dati contenuti nella Centrale Rischi da parte della Banca
d’Italia ai singoli intermediari, dunque, sono ammesse solo se possano dirsi
previste da norme di legge o di regolamento. Esclusa la possibilità di
riferirsi, a tale fine, agli artt. 5, 51 e 53 del TUB, l’ammissibilità del
servizio di prima informazione discende dal riconoscimento della natura
regolamentare della delibera del CICR e dall’obbligo, da essa previsto, della
Banca d’Italia di comunicare alle singole banche i dati contenuti nella Centrale
Rischi49.
Resta, infine, da analizzare il disposto dell’art. 119 del TUP e la sua
applicabilità alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. La citata norma dispone
che, con il codice di deontologia e di buona condotta di cui all’art. 118 del
TUP, saranno individuati termini armonizzati di conservazione dei dati personali
contenuti in banche dati, registri ed elenchi tenuti da soggetti pubblici e
privati, riferiti al comportamento debitorio dell’interessato. L’espresso
riferimento ai soggetti pubblici fa sì che l’emanando codice, a differenza di
quello recentemente emanato dal Garante della Privacy ai sensi dell’art. 117 del
TUP e relativo ai sistemi informativi di cui sono titolari soggetti privati50,
si applicherà anche alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, nonché
all’Archivio informatizzato degli assegni bancari e postali e delle carte di
pagamento e al Registro dei protesti. Le diverse normative di riferimento delle
banche dati citate, attualmente, pongono termini tra loro diversi circa la
conservazione dei dati, per cui scopo dell’emanando codice deontologico ex art.
118 del TUP è quello di rendere uniformi tali termini, in deroga, eventualmente
alle norme di legge e di regolamento che li hanno disposti. Ed infatti, una
specifica disposizione transitoria, ossia l’art. 183, comma V, del TUP,
statuisce che dalla data di efficacia delle disposizioni del codice deontologico
di cui all’art. 118, i termini di conservazione dei dati indicati dal presente
articolo, eventualmente previsti da norme di legge o di regolamento, si
osserveranno nella misura indicata nel medesimo codice, attribuendo, in tal
modo, alle norme deontologiche efficacia addirittura derogativa/abrogativa di
norme di legge o di regolamento in vigore51.
__________________
1. C. Chiesa, La
Centrale rischi: un contributo alla condivisione delle informazioni nel mercato
del credito, contributo presentato alla giornata di studio “La Centrale dei r
ischi nella gestione del credito: esperienze e prospettive” svoltasi presso la
S.A.Di.Ba. (Perugina) il 9 aprile 2002.
2. Cfr. A. Resti, La Centrale dei rischi a supporto dei processi di controllo del rischio: possibili spunti evolutivi, contributo presentato alla giornata di studio “La Centrale dei rischi nella gestione del credito: esperienze e prospettive” svoltasi presso la S.A.Di.Ba. (Perugina) il 9aprile 2002.
3. Il nuovo aggiornamento della circolare n. 139 restringe ulteriormente la possibilità di ricorrere al servizio di prima informazione specificando che le finalità perseguite devono essere connesse con l’assunzione e la gestione del “rischio di credito”.
4. Nel regime previdente, la delibera CICR del 16 maggio 1962 statuiva un divieto assoluto di accesso ai dati della Centrale Rischi anche per gli stessi clienti affidati.
5. Cfr. Montuosi, Le modifiche alla normativa in materia di privacy (commento sistematico al D.lgs. n.467/2001), 2002, 87.
6. Cfr. Trib. Palermo, 4 novembre 2002; Trib. Brindisi, 20 luglio 1999.
7. Cfr. Trib. Cagliari, 28 nvembre 1995; Trib. Brindisi, 20 luglio 1999; Trib. Milano, 7 gennaio 2004, in Guida al diritto, de Il Sole 24 Ore, n. 19/2004, 60.
8. Cfr. Giusti, Presupposti di legittimità della segnalazione presso la Centrale dei Rischi di posizioni a “sofferenza” e limiti della tutela cautelare e risarcitoria a fronte della illegittima segnalazione, in Banca borsa tit. cred., 2001, 571 ss.
9. Cfr. Vella, Segnalazione dei crediti in sofferenza alla Centrale dei rischi e responsabilità della banca, in banca, borsa e tit. di cred., 1997, II, 497
10. Marchese, Segnalazione dei crediti in sofferenza alla Centrale dei Rischi con particolare riferimento agli interessi tutelati dalla relativa normativa, in Giur. Comm., 2003, 3, 404.
11. Giusti, op. cit.
12. Trib. Milano, 19 febbraio 2001, in Giur. It. 2002, 334; Trib. Roma, 2 agosto 2002, in Banca borsa tit. cred.,2003, II, 633.
13. Liace, Centrale dei Rischi e stato di insolvenza. La segnalazione delle sofferenze si identifica con la disciplina prevista dall’art. 5 legge fallimentare?, in www.dirittobancario.it.
14. Cfr. Cass. Civ., 11 ottobre 1978, n.4538, in Resp. Civ. prev., 1978, 747.
15. Trib. Roma, 11 agosto 2003, in Arch. Civ., 2004, 63.
16. Trib. Napoli, 19 gennaio 1998, in Banca borsa tit. cred., 1999, II, 452
17. Corte Appello Milano, 4 novembre 2003, in Giur. Milanese, 2004, 50
18. Cfr, Trib. Alessandria, 20 ottobre 2000, in Banca borsa tit. cred., II, 2001, 571; Trib. Palermo, 4 novembre 2002, in Giur. Merito, 2003, 207.
19. Trib. Foggia, 19 dicembre 2003.
20. Trib. Roma, 6
marzo 2001, in Contratti, I, 2001, 1032; Trib. Catania, 2 aprile 2003, in Dir. e
Giust., 2003, 67.
21. Giusti, op.
cit.
22. Cfr. Trib. Catania, 2 aprile 2003, in Giur. Merito, 2003, 1400 (s.m.)
23. Trib. Cagliari, 25 ottobre 2000, in Riv. Giur. Sarda, 2002, 369
24. Trib. Roma, 2 agosto 2002, in Banca borsa e tit. cred., II, 2003, 633.
25. Scognamiglio, Sulla segnalazione a sofferenza nella centrale dei rischi della banca d’Italia, in Banca borsa e tit. cred., I, 1999, 308 contra Morera, Il fido bancario. Profili giuridici, Milano, 1998.
26. Cfr. Trib. Milano, 19 febbraio 2001, in Giur. It., 2002, 334; Trib. Milano, 26 aprile 2001, in Foro padano, 2002, I, 392
27. Cfr. Pret. Crotone, 23 gennaio 1993, in Banca borsa tit. cred., 1994, II, 595.
28. Cfr. Trib. Roma, 3 novembre 1995, in Banca borsa tit. cred., 1997, II, 492.
29. Cfr. Trib Cagliari, 28 novembre 1995, in banca borsa tit. cred., 1997, II, 354; Trib Roma, 5 agosto 1998, in Banca borsa tit. cred., 1999, II, 453.
30. Giusti, op. cit. Cfr. Corte appello Milano, 8 giugno 1999, in banca borsa tit. cred., 2000, II, 568. Cfr. Trib. Salerno, 22 aprile 2002, in Dir. e prat. soc., 2002, f. 14-15, 94.
31. Cfr. Trib. Palermo, 23 giugno 2003, in Giur. Merito, 2003, 2422 (s.m.).
32. Cfr. Trib. Alessandria, 20 ottobre 2000, in Dir. e prat. soc., 2001, f.10, 79
33. Cfr. Appello Palermo, 30 giugno 1992, in Giur. civ., 1993, I, 2235.
34. Chessa, Segnalazione illegittima alla Centrale dei rischi e tutela cautelare atipica, in Riv. giur. sarda, 1997, 103.
35. Marchese, op. cit.
36. Buttarelli, Banche dati e tutela della riservatezza, 1997, 272; Garante Privacy, 2 dicembre 1997, in Bollettino n.1.
37. Gaggero, Il trattamento dei dati personali nel settore bancario. Brevi note, in Contr. ed impr./Europa, 1998, 311.
38. Buttarelli, op. cit., 427.
39. Garante Privacy, 17 ottobre 2001
40. Garante Privacy, 25 giugno 2002
41. Gaggero, op. cit., 312.
42. Trib. Roma, 30 gennaio 2002
43. E. Fonte, Commento all’art. 19, in (a cura di) G.P. Cirillo, Il Codice sulla protezione dei dati personali, 2004, 99;
44. E. Fonte, op. cit., 100.
45. A. Zucchetti, Commento all’art. 19, in AA.VV., Codice della Privacy, Giuffrè Editore, 2004, 287.
46. Cfr. Comunicato n. 24 del 26 marzo 1998; Risposta a quesito del 17 febbraio 1999.
47. Cfr. Gaggero, op. cit., 310.
48. A. Zucchetti, op. ult. cit., 299.
49. Cfr. Gaggero, op. cit., 312.
50. Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, pubblicato in G.U. n. 300 del 23/12/2004.
51. A. Rudelli, Commento all’art. 119, in AA.VV., op. cit., 1490.