Commento breve alla riforma della legge 241/90
ANTONIO NAPOLITANO
PREMESSA
1. A 15 anni dalla prima legge generale italiana sul procedimento
amministrativo, la 241 del 1990, il Parlamento ne ha approvato la riforma con la
legge 11 febbraio 2005 n. 15 (subito, peraltro, integrata dal D.L. c.d. sulla
competitività n.35 del 14 marzo 2005, convertito in L.14 maggio 2005, n. 80,
relativamente agli artt. 2, 18, 19, 20, 21 e 25). Le modifiche introdotte
riguardano gli articoli di seguito indicati, a cui sono state apposte le
relative rubriche, che nella versione originaria della legge 241 non
comparivano.
2. Questo umile contributo, per ragioni di tempo e di spazio, non potrà entrare
nel dettaglio di tutta la normativa in base al “combinato disposto” di cui alle
sopra ricordate novelle legislative, ma riferire, per taluni articoli, solo
degli aspetti innovativi di massima , riservando gli approfondimenti alle
questioni che sono sembrate di maggior interesse generale.
PRINCIPI GENERALI (ART.1)
1. Vengono inseriti tra i criteri generali dell’azione amministrativa la
trasparenza (inserimento doveroso, visto che la legge 241 era nota a tutti come
“legge sulla trasparenza”ma non veniva espressamente enunciata in essa) e
l’osservanza dei princìpi dell’ordinamento comunitario (comma 1), che devono
essere rispettati anche dai concessionari dei pubblici servizi (comma 1-ter).
La trasparenza è un mezzo di attuazione della democrazia, intesa (secondo
un’efficace immagine) come “regime del potere visibile”(Bobbio). Al principio di
trasparenza si connettono sia l’accesso sia il principio di partecipazione e
l’obbligo di motivazione.
2. Il rispetto dell’ordinamento comunitario è già sancito nell’art. 117, co. I°
Cost. novellato, laddove si precisa che esso è un vincolo alla potestà
legislativa dello Stato e delle regioni. Giova ricordare che , a partire dalla
storica sentenza della Corte Costituzionale n. 170 del 1984, le norme
comunitarie produttive di effetti diretti (regolamenti, direttive
self-excuting e sentenze interpretative della Corte di Giustizia) operano
con efficacia immediata nel nostro ordinamento, indipendentemente dalle leggi
precedenti o successive, che vengono semplicemente ”non applicate” dai giudici
nazionali. E’ l’art. 11 della Costituzione che funge da “trasformatore
permanente” delle norme comunitarie in norme interne, in quanto l’ordinamento
comunitario è un insieme di norme ed istituzioni che mira a rafforzare le pace e
le giustizia fra le nazioni e pertanto può apportare quelle “limitazioni di
sovranità ”al nostro sistema costituzionale in materia di fonti del diritto. Tra
i suddetti princìpi si possono annoverare sicuramente quelli di proporzionalità
e di legittima aspettativa . Il principio di legittimo affidamento, per la
giurisprudenza comunitaria, è da intendersi quale protezione assicurata ad un
privato che il sacrificio della propria situazione di vantaggio non avvenga se
non previo adeguato indennizzo delle sue ragioni. Il principio di
proporzionalità occupa un posto di primo piano: è ormai “diritto vivente” della
Corte di Giustizia europea, ma in verità è già presente nel nostro ordinamento
quale “criterio del minor sacrificio per il privato”. L’attività discrezionale,
infatti, non è libera come quella politica, ma sindacabile sotto il profilo
della logicità e ragionevolezza della scelta, fino ad arrivare al controllo di
proporzionalità della decisione assunta, rispetto alle possibili alternative. Il
principio di proporzionalità verifica che la misura adottata risulti appropriata
al caso deciso, valutando la congruità e l’adeguatezza del provvedimento
rispetto al fine di interesse pubblico da perseguire.
3. Quando la P.A. non agisce in veste di Autorità, lo fa su piano di parità con
i privati, osservando le norme di diritto comune. In virtù della capacità
giuridica generale (di diritto pubblico e di diritto privato) riconosciuta alla
P.A, si stabilisce il principio innovativo e democratico che lo strumento
negoziale (e paritario col privato) vada preferito, fin dove possibile, a quello
autoritativo (con la supremazia della P.A.).
CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO (ART.2)
1. Il termine di conclusione di un procedimento mediante l’adozione di un
provvedimento espresso viene triplicato dal decreto sulla competitività:
da trenta a novanta giorni, se non altrimenti stabilito, tenuto conto della
“sostenibilità organizzativa” del termine fissato e “della natura degli
interessi pubblici tutelati”. Inoltre è sancito che non occorre più la diffida
preventiva a provvedere (ex art. 25 T.U.P.I. 10/1/1957 n. 3) per far scattare il
silenzio-rifiuto, che si forma automaticamente, decorsi i termini di conclusione
del procedimento, e fatti salvi i casi di silenzio-assenso. Il ricorso avverso
il silenzio dell’amministrazione va proposto entro 1 anno dalla scadenza dei
suddetti termini ed “il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza
dell’istanza”: non verrà valutato soltanto l’esistenza dell’obbligo della P.A. a
provvedere, ma si potrà entrare anche nel merito della richiesta di parte.
Trattandosi di silenzio-inadempimento, il decorso del termine non produce
l’estinzione del potere: può, pertanto, essere sempre ripresentata l’istanza di
avvio del procedimento ed esercitato il potere, anche in pendenza del giudizio
sul silenzio.
USO DELLA TELEMATICA (ART. 3-BIS)
1. L’efficienza, che non viene ancora inserita tra i criteri generali
dell’azione amministrativa dell’art. 1, compare invece come finalità
dell’incentivo all’uso della telematica, sia tra Enti pubblici, sia tra P.A. e
privati.
2. Un’applicazione di questo principio si trova nel comma 5 bis dell’art.
14, il quale prevede che la conferenza dei servizi può essere convocata e svolta
con l’utilizzo di strumenti informatici (c.d.” amministrazione digitale”),
“previo accordo tra le amministrazioni coinvolte”.
RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO (ART.6)
1. Il responsabile del procedimento è uno strumento generale di garanzia di
trasparenza del procedimento amministrativo: è un elemento cardine della
semplificazione che garantisce il corretto svolgimento di tutte le fasi del
procedimento. Nei confronti dei terzi è l’interlocutore nella gestione del
procedimento, con funzioni istruttorie e propositive. Si afferma ora
esplicitamente che il “responsabile del provvedimento” non può non tenere conto
delle conclusioni istruttorie del “responsabile del procedimento”, salvo
discostarsene, dando congrua ed esauriente motivazione nel provvedimento finale.
AVVIO DEL PROCEDIMENTO (ART.8)
1. La comunicazione di avvio del procedimento deve contenere anche:
- la scadenza del termine di conclusione del procedimento;
- i rimedi contro l’inerzia della P.A.;
- la data di presentazione dell’istanza, nei procedimenti ad iniziativa di
parte.
2. Appare contraddittoria l’intenzione del legislatore che, da una parte
appesantisce la comunicazione di avvio, dall’altra ne sminuisce l’importanza con
il nuovo articolo 21 octies , laddove si stabilisce la non annullabilità
del provvedimento per la mancata comunicazione in discorso, allorché la P.A.
dimostri in giudizio che il contenuto non è influenzato dalla comunicazione
medesima, in ossequio al principio, di economia procedurale , di sanabilità del
vizio per il “raggiungimento dello scopo”.
PREAVVISO DI DINIEGO (ART. 10-bis)
1. Prima del provvedimento sfavorevole, al richiedente va data un’ulteriore
comunicazione scritta, contenente “i motivi ostativi all’accoglimento”, che
interrompe i termini di conclusione del procedimento. L’istante può presentare
osservazioni e documentazioni integrati/modificative, entro 10 gg. dal
ricevimento della comunicazione. Del loro mancato accoglimento va dato conto
nella motivazione del provvedimento finale.
ACCORDI PROCEDIMENTALI (ART.11)
1. La stipulazione di un accordo sostitutivo del provvedimento, che prima era
possibile solo “ nei casi previsti dalla legge” viene generalizzata ed estesa ad
ogni procedimento discrezionale. L’accordo , sostitutivo od integrativo, deve
essere preceduto da una “determinazione a contrattare” dell’organo competente
per l’adozione del provvedimento. Da questo si arguisce che si tratta di
strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo e pertanto le
controversie, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 204/04,
sono devolute alla giurisdizione esclusiva L’art. 11 riformato è da leggere in
connessione con il tentativo di aprire la disciplina del procedimento al diritto
civile (art. 1, co. 1-bis), rafforzando l’idea della “amministrazione per
accordi” come forma alternativa alla “amministrazione per provvedimenti”.
CONFERENZA DI SERVIZI ( ART.14 ss.)
1. Viene raddoppiato (da 15 a 30 giorni) il termine entro cui l’amministrazione
procedente indice la conferenza dei servizi “decisoria”, se non riceve i
necessari concerti, assensi, nulla-osta, intese delle altre P.A. coinvolte nel
procedimento. La conferenza può essere indetta anche se “una o più
amministrazioni interpellate” abbiano risposto in modo negativo alla richiesta
dell’Amministrazione procedente (art. 14, 2° co.).
2. La convocazione della conferenza riguardante l’affidamento di concessione di
lavori pubblici può essere fatta sia dall’ente concedente che dal
concessionario, cui spetta sempre il diritto di voto (art. 14, 5° co).
3. Per l’uso degli strumenti informatici, si rinvia a quanto sopra detto per
l’uso della telematica (art.14, co.° 5 bis).
4. La conferenza di servizi “preliminare” (art. 14 bis, co.1) può essere
convocata (pure per gli “insediamenti produttivi di beni e servizi”) anche in un
momento antecedente alla redazione del progetto preliminare, purché
l’interessato motivi la richiesta con la presentazione di uno studio di
fattibilità.
5. Si aggiunge la pubblica incolumità ai beni tutelati dal “dissenso
qualificato” delle Amministrazioni preposte ( ambiente e salute, patrimonio
paesaggistico-territoriale e storico-artistico), che è “insuperabile” in sede di
conferenza dei servizi (art. 14 bis, co. 3 bis).
6. La convocazione della prima riunione della conferenza di servizi va fatta
entro 15 giorni dalla data di indizione ovvero entro 30 giorni, in caso di
istruttoria particolarmente complessa (art. 14 ter, co. 01).
7. La conferenza si conclude con una determinazione dell’Amministrazione
procedente, che nella motivazione deve dare atto della valutazione delle
“specifiche risultanze” nonché di aver tenuto conto delle “posizioni prevalenti”
espresse (art. 14 ter, comma 6 bis). Viene introdotto il criterio
della “prevalenza” delle posizioni al posto della loro “maggioranza”, facendo
intendere che tale criterio non è più quantitativo bensì qualitativo. L’atto
conclusivo viene adottato sia “all’esito dei lavori della conferenza” sia
comunque alla scadenza dei termini previsti dai commi 3 e 4 dell’art.14 ter:
90 giorni dalla data di inizio stabilita nella prima riunione. Tale termine,
però, rimane sospeso “fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità
ambientale”, in caso di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale).
8. Il provvedimento finale adottato dall’Amministrazione procedente, in
conformità alla determinazione conclusione della conferenza, ha valore
sostitutivo di ”ogni autorizzazione, concessione, nulla-osta o assenso comunque
denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti o comunque invitate
a partecipare ma risultate assenti” (art. 14 ter, comma 9). E’ previsto
un onere di pubblicazione (G.U. ovvero B.U.R. + quotidiano nazionale) del
provvedimento finale riguardante opere soggette a VIA, da cui decorrono altresì
i termini per la tutela giurisdizionale (comma 10).
9. Ritornando al “dissenso qualificato”, si stabilisce (art. 14 quater,
comma 3) che:
- se il dissenso si manifestato tra amministrazioni dello Stato, la decisione è
rimessa al Consiglio dei Ministri;
- se il dissenso riguarda Amministrazioni statali e regionali, la decisione è
affidata alla Conferenza Stato-Regioni;
- se il dissenso concerne oltre che le suddette Amministrazioni anche quelle
locali (Province e Comuni), la decisione è infine assegnata alla Conferenza
Unificata (art. 8 D.Lgs. 281/1997).
10. Alle Conferenze sopradette viene inoltre rimessa (art. 14 quater,
comma 3 bis) la decisione, anche nel caso di dissenso espresso da una
regione in una materia di propria competenza (quindi anche al di là della tutela
dei beni primari di cui al comma 3).
11. Il comma 3 ter prevede che, in caso di superamento dei termini entro
cui le Conferenza devono pronunciarsi, la decisione finale viene rimessa , in
via sostitutiva:
- al Consiglio dei Ministri, se si tratta di materia di competenza esclusiva
dello Stato (art. 117, 2° co. Cost. o 118 Cost.);
- alla Giunta Regionale, in materia di esclusiva attribuzione statale;
- al Consiglio dei Ministri ugualmente, laddove, la Giunta Regionale non
provveda entro i 30 giorni successivi.
12. Tale procedura non si applica qualora il dissenso riguarda Amministrazione
regionali e le stesse “abbiano ratificato, con propria legge, intese per la
composizione del dissenso ai sensi dell’articolo 117, ottavo comma, della
Costituzione” (comma 3 quater).
13. Sono fatte salve le attribuzioni particolari previste negli statuti delle
regioni a statuto speciale e nelle relative norme di attuazione (comma 3
quinquies).
14. Viene introdotta la conferenza di servizi pure in materia di “finanza di
progetto”. Si prevede l‘obbligo di convocazione alla conferenza anche dei
concessionari e delle società di progetto, che non hanno però diritto di voto
(art. 14 quinquies).
AUTOCERTIFICAZIONE (art. 18)
1. Viene rivisto il 2° comma di tale articolo, ribadendo l’acquisizione
d’ufficio , da parte del responsabile del procedimento, dei documenti in
possesso dell’amministrazione procedente ovvero detenute presso altre P.A. Si
aggiunge soltanto la facoltà per la P.A. di richiesta agli interessati dei “soli
elementi necessari per la ricerca dei documenti”.
2. Si è persa l’occasione di correggere, sia in questo che nell’articolo 30, il
riferimento ormai non più attuale alla legge 15/68 sull’autocertificazione,
integralmente abrogata e sostituita dal D.P.R. 28/12/2000 n. 445 (art. 77).
LA D.I.A. E IL SILENZIO-ASSENSO ( artt. 19 , 20 e 21)
1. Gli articoli 19 e 20 della legge 241 vengono ulteriormente modificati dal
decreto legge sulla competitività: si tratta di ipotesi analoghe che
riguardano procedure per l’ampliamento della sfera giuridica degli interessati
(autorizzazioni in senso lato). Tuttavia ci sono talune differenze: l’art. 19 (D.I.A.)
riguarda casi riconducibili ad autorizzazioni vincolate, mentre l’art. 20 ad
autorizzazioni discrezionali. Per effetto dell’ art. 19 novellato, nei
procedimenti ad istanza di parte, ogni atto autorizzativo e concessorio
traslativo ( il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei
presupposti e dei requisiti di legge), può essere sostituito da una DIA
dell’interessato, il quale assume l’onere di verificare il possesso dei
requisiti di legge per poter iniziare l’attività e la completezza dei documenti
a corredo dell’istanza. Sempreché si sia al di fuori di attività contingentate
(sottoposte a limiti di numero o di localizzazione) ovvero di settori essenziali
per la comunità, come difesa, sicurezza, giustizia, salute, ambiente, cultura,
edilizia, urbanistica: per tali settori infatti occorre sempre il provvedimento
scritto espresso. Occorrono in pratica due dichiarazioni perché si costituisca
il consenso legale dell’amministrazione pubblica: una di inizio attività ed una,
dopo 30 giorni senza risposta, con cui si comunica l’inizio effettivo
dell’attività. Sono fatti salvi i controlli successivi da parte della P.A. che
può esercitare i suoi poteri di autotutela: revoca previo indennizzo ( art. 21
quinquies) od annullamento d’ufficio (art.21 nonies), a seconda
dei casi. Nel caso di DIA, la fase successiva del controllo della P.A. è
relativa alla sola regolarità e completezza della documentazione e la
sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge per lo svolgimento
dell’attività. In caso di silenzio-assenso, il controllo ispettivo riguarderà
anche la valutazione della prevalenza di un interesse pubblico alla rimozione
del provvedimento implicito, rispetto all’interesse del privato al suo
mantenimento. La nuova versione dell’art. 19 intende liberalizzare le attività
private, sostituendo, in pratica, le autorizzazioni preventive con eventuali
verifiche successive e surrogando il principio di autoritatività con quello di
autoresponsabilità. Va garantita la tutela dei controinteressati, assicurando la
partecipazione dei terzi che, per vicinanza (confinanti, esercenti altre
attività) o per le loro finalità (sindacati, ordini, associazioni) sono
portatori di un interesse contrapposto e devono essere consultati sia in sede di
conferenza dei servizi (art. 3, comma 6-ter del decreto 35) che di
annullamento del silenzio (art. 21 nonies l. 241). Le controversie
relative alla D.I.A. sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. Pertanto il terzo controinteressato, in caso di mancata verifica
da parte della P.A., potrebbe anche riuscire ad ottenere una sentenza di
accertamento dell’insussistenza dei requisiti previsti dalla legge, e
conseguente dichiarazione di illegittimità del silenzio formatosi. Se l’inerzia
della P.A. persiste, si può agire in via di ottemperanza, ex art. 33,
u.c. legge 1034/71, come riformata dalla legge 205/2000.
2. Con il nuovo silenzio-assenso previsto dall’art. 20 , si capovolge
l’impostazione tradizionale per cui era la P.A. a dovere stabilire i casi di
silenzio-assenso: d’ora in poi, ogni tipo di procedimento ad istanza di parte si
reputa concluso con un silenzio-assenso entro novanta giorni, ovvero entro il
termine più lungo stabilito normativamente, entro centottanta giorni
dall’entrata in vigore dalla nuova regolamentazione. Resteranno comunque
soggette al tradizionale regime autorizzatorio e sottratte al silenzio-assenso
le procedure riguardanti: a) i casi sottoposti a DIA;
b) i settori essenziali per la comunità , come difesa, sicurezza e pubblica
incolumità, salute, ambiente, patrimonio culturale e paesaggistico,
immigrazione,
c) i casi in cui si debba adottare un provvedimento esplicito per obbligo
comunitario;
d) i casi di silenzio-rigetto;
e) i procedimenti che verranno individuati con successivi D.P.C.M. Sarà tuttavia
onere per il privato di presentare istanze complete e conformi a legge, perché
possa formarsi il silenzio-assenso, dopo 90 giorni di silenzio della P.A., che
assume valore legale tipico di permesso tacito ad intraprendere l’attività Il
silenzio-accoglimento si forma ”senza necessità di ulteriori istanze o diffide,
se la medesima amministrazione non comunica all’interessato” nel termine
generale di 90 giorni ”il procedimento di diniego” ovvero non indice, entro 30
giorni dall’istanza di parte, la conferenza di servizi di cui agli artt. 14 ss.
Il silenzio-assenso, pur con intento semplificatorio per i privati, appare
comunque in contraddizione con l’obbligo generale di concludere il procedimento
con un provvedimento espresso stabilito nell’art. 2.
3. Si aggiunge il comma 2-bis all’art. 21, precisando che “anche se è stato dato
inizio all’attività ai sensi degli articoli 19 e 20” si può fare ricorso ai
mezzi di autotutela da parte della P.A. , nell’ambito dei suoi poteri di
“vigilanza, prevenzione e controllo” La P.A. può annullare l’atto di assenso
illegittimo, salvo che l’interessato provveda a sanare i vizi entro il termine
prefissatogli dall’amministrazione medesima. Il provvedimento negativo tardivo
deve essere compiutamente motivato, tenuto conto dell’affidamento del privato e
del consolidamento delle situazioni pregresse. Resta fermo quanto già previsto
dalla precedente versione dei commi 1 e 2 circa il presupposto legittimante per
l’esercizio dell’attività intrapresa: pertanto, l’interessato deve sempre
rendere la dichiarazione, sia con la “denuncia o con la domanda di cui agli
articoli 19 e 20”, circa la”sussistenza dei presupposti e dei requisiti di
legge”.
EFFICACIA, INVALIDITA’, REVOCA E RECESSO (ART. 21 BIS e ss.)
1. La “legge sul procedimento” diventa anche “legge sul provvedimento”, perché
vengono introdotti articoli, dal 21 bis al 21 nonies, che
contengono le definizioni di istituti finora solo dottrinari o
giurisprudenziali.
2. Il provvedimento sfavorevole è recettizio. Esso, infatti, acquista efficacia
solo con la comunicazione al destinatario, fatta salva l’immediata efficacia nei
seguenti casi:se il provvedimento non ha carattere sanzionatorio,se trattasi di
provvedimenti cautelari e urgenti (art. 21 bis).
3. La P.A. può dare esecuzione ai propri provvedimenti in modo diretto e
coattivo (esecutorietà), senza dover fare ricorso agli organi giurisdizionali,
“solo nei casi e con le modalità stabilite dalla legge”. Nel provvedimento vanno
indicati il termine e le modalità di esecuzione e la P.A.- può provvedere
all’esecuzione coattiva nei confronti del destinatario, dopo apposita diffida.
Se si tratta di obbligazioni pecuniarie, per il recupero forzoso si applicano le
norme di cui al R.D. 946/1910 e all’art. 17 del D.Lgs. 46/1999.
4. Di norma, un provvedimento efficace giuridicamente è dotato anche di
immediata esecutività e quindi può essere portato, senza indugio, alla sua
materiale esecuzione.E’ prevista la sospensione amministrativa dell’efficacia
giuridica ovvero dell’esecuzione materiale, per gravi motivi e per un tempo
limitato. Va indicato nel provvedimento sospensivo il termine, che può essere
anche modificato – prorogato, rinviato, o ridotto – (art. 21 quater).
5. La revoca di un provvedimento autoritativo “ad efficacia durevole” può essere
disposta ( con efficacia ex nunc e previo indennizzo degli effetti
pregiudizievoli) per:
- sopravvenuti motivi di interesse pubblico,
- cambiamento della situazione di fatto,
- nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Il fondamento del potere
di revoca per riesame del provvedimento sta nel principio di buon andamento, che
consente di apprezzare le circostanze sopravvenute. La giurisdizione, in materia
di indennizzo, è quella esclusiva del giudice amministrativo (art. 21
quinquies).
6. E’ riconosciuto alla P.A. un diritto potestativo di recesso unilaterale dal
contratto quando agisce jure privatorum , in questo ricollegandosi con
quanto disposto dal comma 1 bis. Pertanto il recesso potrà essere esercitato ,
nei contratti a prestazioni corrispettive, soltanto a prestazioni ineseguite ;
mentre , per i contratti ad esecuzione periodica o continuativa, il recesso fa
salve le prestazioni eseguite fino a quel momento (art. 21 sexies).
7. La nullità (insanabile, imprescrittibile e rilevabile d’ufficio) di un
provvedimento è dichiarata nei seguenti casi:
- mancanza di elementi essenziali (volontà, oggetto, destinatario e forma),
- difetto assoluto di attribuzione (radicale e assoluta carenza di potere);
- espressa previsione di legge.
8. Le controversie in materia di violazione/elusione del giudicato sono devolute
alla giurisdizione esclusiva (art. 21 septies). Questo crea forti
problemi di coordinamento con il giudizio di ottemperanza, per il quale è
prevista la giurisdizione di merito, con poteri ben più ampi di quelli della
giurisdizione esclusiva. fino chiedersi se il giudizio di ottemperanza sia stato
cancellato dall’ordinamento Si sa che il giudizio di ottemperanza è previsto per
il caso che l’amministrazione non abbia ottemperato al giudicato.
L’inottemperanza può essere non solo totale ma parziale o erronea ovvero
elusiva. La giurisprudenza prevalente ha qualificato come nulli (carenza di
potere) e sindacabili dal giudice dell’ottemperanza sia gli atti elusivi del
giudicato (subdolamente rispettosi della forma di esso, ma nella sostanza
inadempienti dell’obbligo nascente dal giudicato) sia gli atti apertamente
violativi del giudicato ( ma solo quando non ci sono margini di discrezionalità
per l’amministrazione). Se invece rimangono per la P.A. aspetti di
discrezionalità per l’adempimento del .giudicato, si è al di fuori della
statuizione giudiziale e quindi ci sono spazi per l‘impugnazione ordinaria per
l’annullamento dell’atto. Pertanto, relativamente agli adempimenti successivi
dell’Amministrazione:
- se hanno carattere vincolato c’è il giudizio di ottemperanza;
- se hanno invece carattere discrezionale, c’è l’impugnazione ordinaria (che più
precisamente è stata individuata dalla novella nella giurisdizione esclusiva).
Quindi la giurisdizione esclusiva introdotta dall’art. 21 septies sarebbe
relativa soltanto a quei casi in cui residuano in capo alla P.A. margini di
discrezionalità in ordine all’adempimento al giudicato.
9. Si ribadisce (con normativa sostanziale) quanto già previsto (con normativa
processuale) dal T.U. sul Consiglio di Stato e dalla Legge istitutiva dei T.A.R.,
vale a dire che per il provvedimento illegittimo è stabilita l’annullabilità
(ovvero l’illegittimità) per i vizi di violazione di legge, eccesso di potere ed
incompetenza. Mentre finora la mancanza della comunicazione di avvio del
procedimento inficiava il provvedimento finale, in quanto presupposto di
legittimità, adesso si stabilisce che l’annullamento non può più essere
pronunciato per violazioni procedimentali o formali, quando il contenuto
sostanziale sarebbe comunque rimasto invariato. Pertanto sono cause di
esclusione dell’annullamento:
a) il vizio di forma nei provvedimenti vincolati, quando è manifestamente chiaro
che il contenuto non poteva essere diverso e si raggiunga comunque lo scopo
della norma violata;
b) nonostante la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, la prova
giudiziale, fornita dalla P.A., che la sostanza del provvedimento (anche non
vincolato) non sarebbe cambiata (art. 21 octies).
10. Il provvedimento illegittimo può essere anche annullato d’ufficio (con
efficacia ex tunc) dalla stessa P.A., in via di autotutela amministrativa
(con un provvedimento di II° grado). Si richiede una specifica indicazione
dell’interesse pubblico secondo i principi dell’autotutela decisoria ed occorre
un interesse attuale distinto dal mero interesse al ripristino della legalità.
Devono pertanto ricorrere anche le seguenti circostanze (art. 21 nonies,
I° co.):
a) interesse pubblico concreto ed attuale alla sua cancellazione (secondo
congrua motivazione);
b) esercizio del potere entro un ragionevole lasso di tempo;
c) adeguata ponderazione degli interessi in gioco (dei destinatari e
controinteressati).
La norma va coordinata con l’analoga disposizione contenuta nella Legge
Finanziaria 2005 (legge 311/2004), la quale ha stabilito (art.1, co. 136) che
l’annullamento d’ufficio:
a) può sempre essere disposto, anche se risulti ancora in corso d’esecuzione il
provvedimento illegittimo, entro 3 anni dalla sua efficacia;
b) ha la finalità di conseguire risparmi di spesa o minori oneri finanziari per
la finanza pubblica, ma deve comunque prevedere l’indennizzo degli effetti
pregiudizievoli ai privati che hanno rapporti contrattuali o convenzionali con
la P.A. (come d’altronde previsto per la revoca, dall’art. 21 quinquies
della legge in esame). Va infine ricordato che l’art. 2, comma 3., lettera p)
della legge 400/1988 prevede in capo al Governo il potere di annullamento
straordinario degli atti illegittimi ” a tutela dell’ordinamento”, come previsto
anche dall’art. 138 TUEL 267/00) nei confronti degli atti viziati degli enti
locali e dall’art. 14 T.U.P.I. 165/01 per le amministrazioni statali.
11. Sempre “entro un termine ragionevole” e “sussistendone le ragioni di
interesse pubblico” è possibile anche la “convalida del provvedimento
annullabile (art. 21 nonies, II° co.). Si tratta di un provvedimento
discrezionale di II° grado volto alla conservazione dell’atto illegittimo con
efficacia retroattiva.
DIRITTO DI ACCESSO (ARTT. 22 ss.)
1. Il diritto di accesso, come declinazione del principio di trasparenza
dell’azione amministrativa di cui all’art. 1, diventa principio generale
dell’attività amministrativa, in ragione delle sue finalità di interesse
pubblico (art. 22, co. 2). Esso ”attiene ai livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale”. Pertanto la sua disciplina spetta alla potestà esclusiva
dello Stato, in base all’art. 117, II° comma, lett. m) della Costituzione
novellato dalla Legge Costituzionale 3/01. Le regioni e gli enti locali
potranno, tuttavia, nell’ambito della propria autonomia normativa, “garantire
livelli ulteriori di tutela”. Questa è espressione del principio generale
stabilito nel successivo art. 29, il quale stabilisce che tale autonomia deve
esplicarsi “nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzia del
cittadino…definita dai princìpi” fissati dalla legge in esame.
2. Il primo comma contiene un glossario dei termini riguardanti il diritto in
questione: a)l’accesso include la visione e la copia di un documento;
b) tra i soggetti attivi inserisce anche i “portatori di interessi pubblici o
diffusi”. Precisa che la legittimazione è data dalla titolarità di una posizione
”giuridicamente tutelata (non più solamente ”rilevante” ) e funzionalmente
”collegata al documento” e che l’interesse qualificato alla conoscenza dell’atto
deve essere “diretto, concreto e attuale”;
c) ”controinteressato” è ovviamente che ha il diritto alla riservatezza, in
conflitto con quello dell’accesso;
d) “documento”, ovvero l’oggetto del diritto d’accesso, è il supporto materiale,
di qualunque forma, che contenga un atto amministrativo. L’atto deve essere
semplicemente detenuto (prima si diceva ”formato od utilizzato”) da una P.A. e
riguardare comunque un’attività di interesse pubblico, prescindendo dalla natura
pubblicistica o privatistica;
e) il concetto di P.A. si estende, in coerenza con l’art.1 novellato, fino a
ricomprendere anche i soggetti privati preposti all’esercizio di attività
amministrative.
3. Il diritto di accesso non è esercitabile nei confronti di informazioni che,
pur in possesso della P.A., non hanno assunto la veste di documento, salvo che
si tratti di dati riferiti alla persona richiedente, secondo il “codice della
privacy” (art. 7 D.Lgs. 196/2003). In tal caso è consentito l’accesso a dati
anche non contenuti in un formale documento, ma comunque detenuti da una P.A. in
altra forma e modalità (art.22, co.4).Gli ambiti delle due norme sono diversi:
la legge 241 riguarda tutti gli interessati e l’accesso è limitato ai soli
documenti, il codice concerne esclusivamente la “persona cui i dati si
riferiscono” e i dati personali in qualunque forma detenuti.
4. Si precisa infine che l’accesso è esercitatile solo fino a che permane
l’obbligo di detenzione dei documenti da parte della P.A. destinataria della
richiesta. È fatta salva, quindi, sia l’ipotesi di “versamento” all’Archivio di
Stato (D.Lgs. 490/1999) sia quello dello “scarto d’archivio” (art. 22, co. 6) di
documenti divenuti inservibili per l’attività amministrativa.
5. L’accesso è negato, oltre che per gli atti normativi, amministrativi
generali, di pianificazione, di programmazione e quelli coperti da segreto di
stato (già previsti dalle precedente disciplina), anche per gli atti
concorsuali, nella parte contenente ”informazioni di carattere
psico-attitudinale relative a terzi” e gli atti tributari, salva l’applicazione
dello Statuto (dei diritti) del contribuente di cui alla legge 212/2000 (art.
24. co.1). A tale proposito si può aggiungere che la disciplina generale del
procedimento (legge 241) è applicabile anche nei procedimenti tributari, salvo
il capo dedicato alla partecipazione del cittadino. Infatti, non è previsto il
contraddittorio con il contribuente, eccetto quando si emette accertamento sulla
base dei coefficienti presuntivi o quando si procede ad accessi, ispezioni e
verifiche. Ulteriori casi di esclusione saranno previsti in sede regolamentare
dalle nuove norme che saranno emanate dall’autorità governativa, ai sensi del
comma 6.
6. Interessante appare la nuova inammissibilità della domanda di accesso
”preordinata ad un controllo generalizzato dell’operato” della P.A. (art. 24, co.3).
Anche sotto questo profilo la novella legislativa ha in pratica fatto diventare
de jure condito ciò che era de jure condendo, ovvero il diritto
vivente secondo la giurisprudenza consolidata. Infatti una costante
giurisprudenza del Supremo Consesso Amministrativo sostiene che c’è sostanziale
differenza tra accesso agli atti e controllo sulla P.A. Poiché con il diritto di
accesso non è stato introdotto alcun tipo di ”azione o ispezione popolare”, non
è pertanto possibile alcun controllo generalizzato e indiscriminato sull’intero
operato della P.A., finalizzato alla verifica della sua efficienza. (c.d.
“accesso esplorativo”). A questo proposito occorre anche puntualizzare il
rapporto tra la legge sulla trasparenza e l’ordinamento sugli enti locali,
perché le due normative sull’accesso non coincidono. La Commissione per
l’accesso ai documenti di cui all’art. 27 l. 241 ha sempre ribadito che tra le
due normative (art. 22 legge 241 e TUEL 267/2000) non c’è rapporto di
modificazione/abrogazione, ma di “reciproca indipendenza ed integrazione”, in
quanto la legge 241 si applica anche agli enti locali, quando non dispone
diversamente il TUEL . E’ quindi necessario un coordinamento tra le due
discipline, in quanto se da un lato la normativa speciale (TUEL) consente al
cittadino residente l’accesso a tutti gli atti degli enti locali, dall’altro una
richiesta che sia generica, senza una specifica motivazione e relativo ad un
arco temporale molto vasto diventerebbe una sorta di “controllo generalizzato”,
non ammissibile e contrario al principio di buon andamento. L’interesse
all’accesso deve essere personale e concreto e della documentazione richiesta
desse ben individuabile e collegata a tale interesse. Diverso è il caso del
consigliere comunale il quale ha un posizione “privilegiata” nell’esercizio di
tale diritto, nel senso che possono accedere (art. 43, co.2 TUEL) non solo ai
documenti ma a tutte le notizie e “informazioni utili” ( anche se riservate , ma
con l’obbligo di osservare il segreto d’ufficio) all’espletamento del proprio
mandato, e senza dover fornire alcune motivazione specifica. La stessa
Commissione sembra tuttavia circoscrivere questo diritto amplissimo, come
riconosciuto dagli organi giurisdizionali, precisando che anche questo diritto
di accesso del consigliere non ha carattere generalizzato e indiscriminato, ma
ha ad oggetto le notizie ed informazioni connesse all’ufficio ricoperto. E, pur
essendo finalizzato alla valutazione dell’operato dell’Amministrazione Comunale,
la richiesta del consigliere non può essere genericamente formulata, perché non
può trasformarsi in un controllo generale di tutta l’attività
dell’amministrazione. Ciò in quanto, non dimentichiamolo, il consigliere non
può, per tale via, far tornare in vita il controllo di legittimità dell’organo
regionale recentemente soppresso, in virtù della riforma costituzione del 2001.
7. Viene ribadito che va comunque garantito l’accesso (visione e copia) ai
documenti “la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri
interessi giuridici”. Tuttavia, se si tratta di dati “idonei a rivelare lo stato
di salute e la vita sessuale” (c.d. “dati supersensibili”) l’accesso
ai”documenti contenenti dati sensibili e giudiziari” è consentito nei limiti
dello “strettamente indispensabile” e nel rispetto del Codice della privacy
(art. 24, co.7). Pertanto, dovrà trattarsi di una situazione giuridicamente
tutelata almeno di “pari grado” a quelle del terzo controinteressato , titolare
del diritto alla privacy, il quale è quindi parte necessaria sia del
procedimento d’accesso che di quello giurisdizionale ex art. 25 (in
quanto controinteressato).
8. Infine si stabilisce che, ove è possibile il “potere di differimento”, il
diritto di accesso non può esser negato (art. 24, co.4). Si ricorda chela
facoltà di differire l’accesso è consentita se e fino a quando la conoscenza del
documento possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione
amministrativa. Tale differimento deve comunque operare in ordine agli atti
preparatori dei procedimenti tributari e di quelli finalizzati alla emanazione
di atti normativi a contenuto generale (art. 13, co. 2). Il differimento è
disposto, altresì, ove sia necessario assicurare una temporanea tutela degli
interessi superiori della sicurezza, difesa ecc. ( art. 24, co. 2) o per
salvaguardare esigenze di riservatezza della P.A. specie nella fase preparatoria
dei provvedimenti, in relazione ai documenti la cui conoscenza può compromettere
il buon andamento dell’azione amministrativa. In ogni caso, il rifiuto, il
differimento e la limitazione dell’accesso devono essere motivati.
9. A proposito della tutela processuale del diritto d’accesso (art. 25, co.4),
si stabilisce che se entro 30 giorni la P.A. non si pronuncia sull’istanza di
accesso, la richiesta si intende respinta. Contro il diniego o il differimento
dell’accesso, il richiedente può presentare ricorso giurisdizionale ma anche
amministrativo al difensore civico (per gli atti degli enti territoriali) o alla
Commissione nazionale per l’accesso (per gli atti delle amministrazioni
statali). Per quanto riguarda il ricorso giurisdizionale, si precisa che si
tratta di giurisdizione esclusiva e che, in pendenza di un altro ricorso,
l’interessato ha la facoltà di non instaurare un nuovo giudizio, presentando
apposita istanza al Presidente della Sezione cui è assegnato il ricorso
principale (art. 25, co.5). La novella , confermando quanto già disposto
dall’art. 4, u.c. della legge 205/00, dà al ricorrente la facoltà di stare in
giudizio personalmente senza difensore, mentre alla P.A. viene data la
possibilità di esse rappresentata e difesa da un proprio dirigente, purché
munito di autorizzazione da parte del “rappresentate legale dell’ente”(art.25,
co. 5 bis). Il giudice amministrativo, in caso di favorevole accoglimento
del ricorso del privato (actio ad exhibendum), ordina l’ostensione dei
documenti richiesti, “sussistendone i presupposti”(art. 25, co.6). I presupposti
sono:
- che sia accolto il ricorso proposto dal soggetto interessato alla conoscenza
dei documenti;
- che i documenti siano ancora nella materiale disponibilità della P.A.
resistente.
10. Venendo invece al ricorso amministrativo, si possono prospettare le seguenti
ipotesi:
a) se il difensore civico o la Commissione per l’accesso non si pronunciano
entro 30 giorni dall’istanza, il ricorso si intendo respinto, formandosi il
silenzio-rigetto;
b) se il difensore (ovvero la Commissione) ravvisi l’illegittimità del
diniego-differimento lo comunica alla P.A. resistente. E se questa non conferma
, con motivazione congrua ed esauriente, il diniego entro ulteriori 30 giorni,
“l’accesso è consentito”, qui formandosi una nuova fattispecie di
silenzio-assenso.
11. Una disciplina specifica è stata dettata per la materia dei dati personali:
a) se il diniego o il differimento riguardano dati personali relativi a soggetti
terzi, la Commissione nazionale provvede, dopo aver acquisito il parere della
Garante della privacy. Tale parere si intende comunque reso, trascorsi
inutilmente 10 giorni dalla richiesta;
b) se l’interessato si è invece rivolto al Garante della privacy per una
richiesta d’accesso riguardante il trattamento pubblico di dati personali da
parte di una P.A., è il Garante che deve rivolgersi alla Commissione per il
parere di questa, obbligatorio ma non vincolante. Anche tale parere si intende
comunque reso, trascorso inutilmente il prescritto termine perentorio,
decorrente dalla richiesta: di 15 e non 10 giorni, come nel caso inverso.
COMMISSIONE PER L’ACCESSO (ART.27)
1. E’ cambiata l’autorità che nomina la Commissione (nazionale) per l’acceso ai
documenti amministrativi: non è più il Presidente della Repubblica , ma il
Presidente del Consiglio dei Ministri. Cambia anche la sua composizione che
passa da 16 a 12 membri: i professori universitari diminuiscono da 4 a 2 ed i
dirigenti da 4 ad 1. Ma la Commissione si può avvalere anche di esperti, in
numero non superiore a 5.
AMBITO DI APPLICAZIONE (ART.29)
1. La legge si applica in toto soltanto alle amministrazioni statali,
invece, per quanto riguarda la sua applicabilità alle Autonomie Locali, si è
dovuto tener conto dei mutamenti costituzionali introdotti dalla novella del
2001. Pertanto la riforma della legge 241 si può suddividere in 2 gruppi di
materie, per le Autonomie Locali:
a) il primo gruppo di disposizioni è immediatamente operativo perché riguarda la
potestà esclusiva dello Stato. Si tratta delle norme in materia di giustizia
amministrativa (art. 117, comma 2, lettera e) Cost. e artt. 25 e 29, co. 1 l.
15);
b) il secondo gruppo, riguarda norme “cedevoli”. Si applicano, sino a proprie
normative, che possono essere solo ampliative delle garanzie per i cittadini, ma
che comunque dovranno essere rispettose sia del sistema costituzionale sia
dell’impianto complessivo della legge. Si tratta, in particolare, della
normativa sull’accesso, espressamente qualificata dal legislatore come principio
generale dell’azione amministrativa, in quanto “attiene ai livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma lettera m), della Costituzione” (art. 22, co.2).
NORME TRANSITORIE E FINALI
1. La legge 15 contiene tali norme agli articoli 22 e 23, laddove si precisa
che:
a) fino all’entrata della nuova disciplina regionale di cui all’art. 29, co. 2
l. 241 novellato, si applicano le leggi regionali vigenti. In assenza di tali
norme, si applica transitoriamente la legge 241 riformata;
b) la nuova normativa sull’accesso non è immediatamente operante, ma la sua
efficacia è differita all’entrata in vigore del regolamento integrativo o
modificativo del D.P.R. 352/1992, che dovrà essere adottato entro 3 mesi,
c) ogni P.A. adegua i propri regolamenti alla legge ed al regolamento statale,
per quanto riguarda la normativa sull’accesso (Capo V l. 241 s.m.i.).
CONCLUSIONI
Ci siano concesse alcune semplici riflessioni, al termine delle disamina degli
articoli in commento “plurinovellati”. Il modello di P.A. delineato dalla
riforma segna il passaggio da un principio di garanzia formale ad un principio
di garanzia sostanziale dell’azione amministrativa. L’idea di fondo, ma anche la
“grande scommessa” da vincere, è rafforzare l’efficienza attraverso strumenti di
tutela del cittadino, rendendo più economica ed efficace l’azione
amministrativa. L’efficienza del sistema pubblico è diventata una condizione
indispensabile per garantire risultati economici in un Paese che voglia essere
veramente moderno e pronto per le sfide epocali che ci riserva il Terzo
Millennio. Con gli obiettivi della speditezza, partecipazione e trasparenza, si
contribuisce certamente a semplificare l’azione amministrativa, migliorando la
qualità delle prestazioni a favore del cittadino.Ma non bastano leggi generali,
se non si rivedono i meccanismi costituzionali: è anche il nuovo impianto
costituzionale, che, essendo fonte di conflitti continui tra Stato ed Autonomie,
contribuisce a rallentare l’azione amministrativa. Infatti la razionalità e
l’efficienza della P.A. si perseguono non solo nel rapporto evolutivo
Istituzioni-cittadini ma anche nel corretto rapporto tra le Istituzioni
medesime, che, in assenza di regole chiare, si inceppa spesso, a causa di norme
confuse e complesse. Con buona pace delle certezza del diritto, purtroppo.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 2/10/2005