Il conflitto d’interessi dell’intermediario finanziario nel recente dibattito giurisprudenziale.
FILIPPO DURANTE
Dopo un decennale silenzio in materia, rotto esclusivamente da sporadiche
pronunce, la giurisprudenza di merito ha registrato negli ultimi mesi copiosi
interventi in materia di sussistenza del conflitto d’interessi degli
intermediari finanziari nell’ambito della prestazione di servizi d’investimento.
Dall’analisi degli ultimi arresti giurisprudenziali, caratterizzati da un
cospicuo ricorso agli obiter dicta, sono emersi, tuttavia, orientamenti
nettamente contrastanti.
L’art. 21 comma 1 lett. c) del D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (di seguito TUF),
come è moto, impone all’intermediario di “organizzarsi in modo tale da
ridurre al minimo il rischio di conflitti di interessi e, in situazione di
conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo
trattamento”: il legislatore, pertanto, ha ritenuto endemica la confliggenza
di interessi in mercati finanziari fondati su un sistema bancocentrico,
imponendo agli intermediari obblighi di prevenzione e, in subordine, un obbligo
di trasparenza ed equo trattamento, e non stabilendo una sanzione nel caso in
cui un contratto sia stipulato in presenza di interessi concorrenti o distonici.
A tale politica legislativa si è conformata la Consob, delegata dall’art. 6
comma 2 lett. b) a disciplinare “il comportamento” degli intermediari “anche
tenuto conto dell’esigenza di ridurre al minimo i conflitti d’interesse”.
Infatti, l’art. 27 Regolamento Consob 1 luglio 1998 n. 11522 (di seguito
Regolamento Intermediari) – che, tra l’altro, impone ai soggetti abilitati di
vigilare ex ante per l’individuazione dei conflitti d’interessi – vieta
di effettuare operazioni in tale stato solo se non vi sia stata una previa
informazione per iscritto sulla natura e sull’estensione dell’interesse ed una
conseguente autorizzazione per iscritto da parte del cliente.
Inoltre, l’art. 27 comma 3 del Regolamento Intermediari stabilisce che, in caso
di utilizzo di moduli o formulari prestampati, “ai fini dell’assolvimento
degli obblighi di cui al precedente comma 2”, occorre “l’indicazione,
graficamente evidenziata, che l’operazione è in conflitto d’interessi”.
Le recenti pronunce, suscettibili di revirement, assumono una posizione
netta su una vexata quaestio derivata da un’infelice formulazione delle
citate disposizioni: infatti, il secondo comma dell’art. 27 del Regolamento
Intermediari prescrive non solo la specificazione dell’an del conflitto
di interessi, ma anche l’illustrazione dei motivi dello stesso e delle sue
dimensioni; il terzo comma, viceversa, si limita a stabilire, per i moduli
prestampati, la necessità dell’indicazione della presenza del conflitto
d’interesse, e ciò ai fini dell’assolvimento degli obblighi del secondo comma.
Tale richiamo, in particolare, è suscettibile di essere interpretato in due
diversi modi: la Consob potrebbe aver inteso stabilire un obbligo dal contenuto
minore nel caso di utilizzo di moduli standardizzati, ma in tal caso sarebbe
difficile individuare una ratio della norma che prescinda dal diverso
spazio materialmente utilizzabile dalle parti; la giurisprudenza, viceversa, ha
inteso il richiamo del terzo comma come un rinvio recettizio al disposto del
primo capoverso, di talché la norma afferente ai moduli prestampati si
connoterebbe come una specificazione delle regole generali, cui aggiungerebbe
inoltre l’obbligo di apporre un’indicazione “graficamente evidenziata”.
Ed infatti, gli ultimi arresti giurisprudenziali, a tale riguardo, hanno
reputato inadeguata, in un modulo bancario, l’apposizione di un segno di spunta
sulla voce che indica la sussistenza del conflitto d’interessi, accompagnata sì
dalla sottoscrizione del cliente, ma non dall’illustrazione dei motivi di
conflitto né dalla specificazione delle dimensioni dello stesso (Tr. Venezia, 22
ottobre 2004; Tr. Firenze, 30 maggio 2005; Tr. Parma, 16 giugno 2005).
Le corti di merito hanno altresì evidenziato che non costituisce adempimento
corretto dell’obbligo informativo la segnalazione del conflitto d’interessi,
posta tuttavia sul retro del contratto, indicata con carattere minuto e di
scarsa intelligibilità, risultante altresì dall’indicazione di un calcolo
matematico da cui sarebbe scaturita la cognizione circa l’estensione degli
interessi contrapposti (Tr. Firenze, 30 maggio 2005),
Appare temerario, invece, l’orientamento secondo cui la quantificazione
dell’eventuale danno patito dal cliente non andrebbe risarcito con riferimento
al pregiudizio patrimoniale verificatosi, bensì al grado di adeguatezza
dell’informazione fornita dall’intermediario (Tr. Venezia, 22 ottobre 2004).
Sull’individuazione dei presupposti affinché possa insorgere un conflitto
d’interessi – da valutare, ci si tiene a precisare, caso per caso – la
giurisprudenza, tuttavia, risulta ben lungi dal raggiungere la concordia:
addirittura, ad un orientamento consolidato che ritiene vada segnalato anche un
conflitto d’interessi meramente potenziale, quantunque probabilmente
suscettibile di degenerare secondo una valutazione prognostica, si contrappone
un filone che sostiene debba essere segnalato solo il conflitto che sia attuale
ed effettivo (Tr. Parma, 16 giugno 2005). Pregevole, se la si è ben
interpretata, è invece la posizione intermedia, secondo cui è doveroso segnalare
ex ante anche un conflitto in fieri potenzialmente dannoso, ma –
in caso di assenza di segnalazione – l’inadempimento all’obbligo informativo
potrebbe non esplicare effetti giuridici in virtù della mancata verificazione
ex post di alcun pregiudizio economico (Tr. Milano, 25 luglio 2005);
diametralmente opposta, invece, è la teoria secondo cui la sola violazione del
dovere di segnalare il conflitto arreca pregiudizio, non occorrendo procedere
alla verifica in concreto di alcun danno (Tr. Venezia, 22 novembre 2004).
Una giurisprudenza ritiene immanente il conflitto d’interessi nel caso in cui
l’intermediario agisca in contropartita diretta ed in conto proprio, di talché
aspirerebbe ad un vantaggio nel “liberarsi” dei prodotti compravenduti o
nell’ottenere uno spread rispetto al prezzo di acquisto originario (Tr.
Milano, 25 luglio 2005), salva, per talune corti, la prova della spontaneità
dell’ordine da parte dell’investitore (Tr. Ferrara, n. 217 del 25 febbraio 2005;
Tr. Trani, 7 giugno 2005; Comunicazione Consob DAL 97006042 del 1997).
Al contrario, un diverso, preferibile e maggiormente copioso orientamento
esclude che la previa titolarità dei prodotti da parte dell’intermediario possa
in re ipsa determinare un conflitto d’interesse, se non si prova anche
l’intenzione dell’intermediario di conseguire dalla vendita un fine ulteriore e
diverso, atteso che la negoziazione in conto proprio non è disciplinata
diversamente rispetto agli altri servizi d’investimento, ed il legislatore per
tutti i casi prevede esclusivamente la possibilità che sussistano interessi
concorrenti: la necessità di indicare la sussistenza di un conflitto ogni
qualvolta vi sia negoziazione in conto proprio, d’altra parte, determinerebbe la
perdita di effettività della relativa segnalazione. Finanche nel caso in cui il
dealer ottenga un lucro, caratterizzato dalla differenza tra il prezzo di
vendita al cliente ed il prezzo originario di acquisto, non dovrebbe ritenersi
di per sé esistente un conflitto di interessi, come si evincerebbe dalle
comunicazioni della Consob DI/99014081 DAL/970060142 del 1999, prima di tutto
perché in tal caso l’intermediario non ottiene alcuna commissione di vendita, ed
inoltre perché lo spread costituisce esclusivamente la misura del rischio
di posizione assunto dal soggetto abilitato nel detenere il titolo nel proprio
portafoglio per un determinato periodo (Tr. Roma, 25 maggio 2005; Tr. Roma, n.
17539 del 29 luglio 2005). Un diverso filone, invece, subordina l’insussistenza
del conflitto d’interessi, in caso di vendita in conto proprio, alla circostanza
che successivamente l’intermediario abbia acquistato prodotti finanziari della
stessa specie: si tratta di un parametro importante, da affiancare ad altri, ma
insuscettibile di essere utilizzato ex ante ai fini della segnalazione
del conflitto (Tr. Milano, 25 luglio 2005).
Viceversa, un’altra giurisprudenza sostiene che, nel caso di operazione condotta
dal broker – vale a dire in caso di negoziazione in conto terzi, operata
come tale dall’intermediario solo a seguito dell’ordine impartito
dall’investitore – non vi possa mai essere conflitto d’interessi, pur in
presenza di diverse “figure sintomatiche” (Tr. Genova, 15 marzo 2005; Tr.
Venezia, 5 maggio 2005), mentre altre curie assegnano all’applicazione di
eventuali commissioni di vendita quanto meno una valenza accessoria
nell’individuazione della concorrenza degli interessi (Tr. Milano, 25 luglio
2005; contra, Tr. Mantova, 14 aprile 2005). Specularmene, la mera
esistenza delle commissioni di movimentazione – pur foriere di incentivi
distorsivi ogni qual volta venga prestato il servizio di gestione di portafogli
di investimento su base individuale - non determina ex se la necessità di
segnalare la conflitto di interessi, ferma restando la sanzione successiva
assicurata al fenomeno della moltiplicazione opportunistica delle operazioni
(cd. churning).
Talune corti, seppure fieramente avversate, sostengono l’applicabilità
dell’orientamento consolidato invalso nell’interpretazione degli artt. 1394 e
1395 c.c., in tema di conflitto d’interessi nella rappresentanza, anche alla
luce della connessione del tema con il principio della best execution (Tr.
Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005): in particolare, sarebbe sufficiente ad
escludere la sussistenza di un conflitto la conformità del prezzo di vendita a
quello praticato dagli altri intermediari, senza la previsione di oneri
aggiuntivi (Tr. Mantova, 18 marzo 2004; Tr. Parma, 16 giugno 2005).
Mentre è da escludere che la presenza di un’esposizione debitoria dell’emittente
nei confronti della banca-intermediario possa costituire conflitto d’interessi (Tr.
Parma, 16 giugno 2005), va ritenuta adeguata spia di tale situazione la qualità,
in capo allo stesso intermediario, di emittente o di collocatore a seguito di
acquisto ed assunzione a fermo (Tr. Parma, 12 febbraio 2005; Tr. Parma, 16
giugno 2005; Tr. Trani, 7 giugno 2005; contra, Tr. Roma, n. 17539 del 29
luglio 2005). Nel caso di assunzione, da parte dell’intermediario, dell’incarico
di gestire il collocamento, viceversa, un’altra giurisprudenza ritiene presenti
i presupposti del conflitto solo allorché il soggetto abilitato abbia prestato
la garanzia consistente nell’acquisto in proprio, in caso di mancata alienazione
dell’intero paniere, dei prodotti finanziari rimanenti (Tr. Venezia, 22 ottobre
2004).
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 4/12/2005