Editoria: una soluzione tardiva al problema della registrazione delle testate telematiche.
Cristian Ercolano
1.Introduzione.
L’editoria e la diffusione di informazioni e notizie tramite i veicoli tradizionali (carta stampata, radio e videodiffusione) presentano una propria disciplina in campo civilistico e penalistico. Negli ultimi anni la multimedialità ha concentrato in un unico mezzo espressivo la tecnica scritta, la parola, i suoni, le immagini, modificando la natura stessa nonché le radici, la struttura e le regole dell’editoria. Internet ha, in sostanza, trasformato le strutture che fino ad allora si basavano sul principio della veicolazione dei flussi informativi “da uno a molti”, introducendo il principio della diffusione “da molti a molti”.
In seguito al massiccio riversarsi degli operatori tradizionali dell’editoria in
Internet ed all’utilizzo della rete quale mezzo “privato” di circolazione di
informazioni, queste ultime spesso in contrasto con il diritto alla privacy ed
alla dignità personale nonché con le regole del diritto d’autore e della
concorrenza, è sorto il problema della disciplina applicabile al nuovo media. Il
lavoro del Legislatore, sfociato nell’approvazione della Legge 7 marzo 2001 n.
62 [1], ha puntato a valorizzare le affinità tra strumento telematico e cartaceo
più che a verificarne la esatta complementarietà, tanto da costruire una
disciplina comune che facesse richiamo alla vecchia normativa tuttora vigente in
materia di editoria.
2. La disciplina.
Secondo la definizione proposta dalla Legge in commento il prodotto editoriale presenta queste caratteristiche: «realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici» (art. 1 comma 1). Da un lato si fa riferimento alle modalità con cui l’informazione viene raccolta, ossia attraverso la memorizzazione di un file di testo in un supporto informatico. Dall’altro si fa riferimento al modo in cui la notizia è successivamente diffusa al pubblico, ossia al mezzo elettronico rappresentato dalla rete telematica.
Il terzo comma dell’art. 1 distingue i prodotti editoriali - sia quelli
tradizionali che quelli “telematici” - in base alla periodicità della
pubblicazione ed alla eventuale presenza di una testata quale elemento
identificativo. Il prodotto editoriale non caratterizzato da questi requisiti
non richiede particolari adempimenti formali salvo quelli minimi dettati
dall’art. 2 della Legge n. 47/1948 cui la norma citata fa richiamo:
l’indicazione del luogo e dell’anno della pubblicazione, del nome e del
domicilio dello stampatore e, se esiste, dell’editore; il nome del proprietario
e del direttore o vice direttore responsabile [2]. Il prodotto editoriale
diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata
costituente elemento identificativo dello stesso, oltre ad osservare i predetti
obblighi informativi di natura generale, è soggetto ad una disciplina ulteriore
e più restrittiva rappresentata dagli obblighi di registrazione previsti
dall’art. 5 della legge n. 47/1948 invocato dall’art. 1, comma 3, Legge n.
62/2001. L’articolo in questione prevede, quali requisiti necessari ed
indispensabili, la previa registrazione della testata presso la cancelleria del
tribunale nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi e la
presenza di un direttore o vicedirettore responsabile iscritto all’Albo dei
giornalisti [3]. Tali formalità devono essere espletate prima della
pubblicazione del periodico, pena il configurarsi del reato di stampa
clandestina di cui al primo comma dell’articolo 16 della L. 47/1948, fattispecie
applicabile, secondo il comma successivo, anche alle condotte di mancata
indicazione delle informative prima menzionate. L’indicazione di dati non
conformi al vero configura, invece, il diverso reato di «False dichiarazioni
nella registrazione di periodici» (art. 19).
La necessità del richiamo alla Legge 8 febbraio 1948 n. 47 [4] è chiara: quest’ultima
punisce la diffamazione, cioè l’offesa alla dignità e all’onore delle persone
(art. 13); la diffusione di immagini raccapriccianti e impressionanti (art. 15);
le pubblicazioni che “corrompono” gli adolescenti e i fanciulli (art. 14);
prevede, nel caso di reati commessi a mezzo stampa, la responsabilità solidale
tra proprietario, editore ed autore (art. 11); obbliga i direttori alla
rettifica delle notizie inesatte e alla pubblicazione delle sentenze dei
tribunali a tutela dei diritti dei cittadini (art. 8 e 9). Altri compiti primari
del direttore responsabile sono quelli di impedire che siano commessi delitti
col mezzo della stampa (articolo 57 c.p.) e di far rispettare le norme
deontologiche della professione giornalistica.
3. I problemi sollevati.
Fino all’approvazione della Legge 62/2001 la registrazione presso i
tribunali dei giornali telematici era frutto di una interpretazione
giurisprudenziale [5]. L’interpretazione che si diede della Legge in discorso
costringeva tutti i siti a carattere informativo a “mostrare”, nelle
pubblicazioni, gli elementi identificativi sopra menzionati; a molti di essi,
caratterizzati da periodicità e testata, era imposto di avere un proprio
Direttore responsabile iscritto negli elenchi dell’Albo tenuto dai Consigli
dell’Ordine [6], di registrare la testata presso gli appositi registri tenuti
dai tribunali e l’impresa editrice presso il Registro degli operatori di
comunicazione tenuto dall’AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni)
[7].
All’indomani della pubblicazione della Legge ci fu una levata di scudi fra gli
operatori del web, i quali temevano, addirittura, una svolta repressiva a danno
della libera manifestazione del pensiero in Internet. In realtà i dubbi
interpretativi relativi alla stessa formulazione delle varie previsioni dalla
Legge furono immediatamente sottolineati in dottrina.
a) In primis fu evidenziata la difficile applicabilità dei criteri distintivi
previsti dall’art. 1 alle testate telematiche [8]: si dibatté sul significato da
dare sia al requisito della “periodicità regolare”, evidentemente legato ai
tempi di pubblicazione dei vari “numeri” di un periodico tradizionale, sia
all’elemento identificativo del prodotto, la “testata”, della quale non è dato
rinvenire in alcun testo di legge una definizione univoca. In realtà quelli
menzionati sembrano essere dei falsi problemi: la “periodicità regolare”, in
Internet, è ben identificabile nella frequenza di aggiornamento delle notizie:
giornaliera, settimanale, bisettimanale, mensile, semestrale; nel caso non sia
dato individuarne una, vale a dire nel caso in cui il sito sia aggiornato ad
intervalli irregolari, semplicemente il requisito non ricorre e si applicherà
solo il contenuto dell’art. 2 della Legge 47/1948. Anche il problema definitorio
relativo al termine “testata” è mal posto: la definizione, tratta da un comune
dizionario [9], è lapalissiana e ben si adatta al web: per testata debbono
intendersi tutti quegli elementi grafici e informativi posti sulla parte
superiore di un organo informativo capaci di identificare l’organo stesso.
b) Un secondo ordine di problemi riguarda gli obblighi richiamati dal terzo
comma dell’art. 1 L. 62/2001: si tratta di verificare, insomma, quali
indicazioni debbano essere riportate su un sito Internet costituente prodotto
editoriale ai sensi della predetta Legge.
Riguardo alla menzione del “luogo della pubblicazione” del prodotto editoriale,
il cui fine è quello di consentire l’individuazione del tribunale competente per
le ipotesi di illeciti commessi attraverso il prodotto stesso, le soluzioni
proposte spaziavano dall’individuare tale luogo con quello in cui è situato il
server attraverso il quale sono diffusi i contenuti o con quello dal quale le
informazioni sono caricate sul server stesso. Entrambe le proposte non
consentivano di risolvere la diatriba: nel luogo in cui è situato il server non
si crea la eventuale notizia dannosa né è posta in essere alcuna attività che
incida nella realizzazione di un danno concreto [10]; nel secondo caso, il luogo
di upload delle informazioni può non essere sempre lo stesso (un sito può essere
aggiornato da un terminale collegato ad Internet in qualsiasi zona del mondo).
Sembra, comunque, maggiormente rispondente alla realtà del web indicare il luogo
nel quale effettivamente si svolge l’attività di produzione dei contenuti. C’è
chi [11] tenta di aggirare il problema richiamando una norma, l’art. 30 della
Legge 223/1990, che assume quale forum commissi delicti, in caso di diffamazione
commessa attraverso il mezzo radiotelevisivo, il domicilio della persona offesa:
a ben vedere questa soluzione, se risolve il problema in via di principio, rende
assolutamente inutile l’indicazione del “luogo della pubblicazione” sul prodotto
editoriale.
Problemi presenta anche la necessaria indicazione del nome e del domicilio dello
stampatore: naturalmente un prodotto editoriale telematico è tale se diffuso
attraverso la Rete e non attraverso un supporto cartaceo stampato. Più opportuno
sarebbe stato prevedere l’indicazione del Provider, cioè dell’azienda che
concede l’accesso alla rete nonché lo spazio nel proprio server per la
pubblicazione dei servizi realizzati dal fornitore di informazioni [12]; il
soggetto che fornisce la tecnologia necessaria alla diffusione del prodotto in
Internet potrebbe essere l’unico interlocutore in grado di consentire
all’autorità giudiziaria un intervento sulle informazioni presenti sul server
[13].
c) L’incognita più importante proposta dalla Legge in commento era, però, la
presunta indiscriminata applicabilità a tutti i siti web a carattere informativo
[14] dell’obbligo di registrazione presso gli appositi registri tenuti dai
tribunali e nel Registro per gli Operatori di Comunicazione.
In realtà già il “Regolamento per l’organizzazione e la tenuta del Registro
degli Operatori di Comunicazione” [15] risolse parte del problema. Il Registro
ha lo scopo di costituire una anagrafe italiana completa degli operatori della
società dell’informazione ed è rivolto in generale alle imprese editrici e, per
quanto a noi più interessa, ai soggetti «esercenti editoria elettronica e
digitale», vale a dire «gli editori, ai quali si applica la medesima
ripartizione prevista per i soggetti di cui alla precedente lettera d) [16], che
pubblicano con regolare periodicità una o più testate giornalistiche in formato
elettronico e digitale» [17]. Tale obbligo non riguarda, quindi, tutti i
titolari di siti Internet, ma solo quelli che utilizzano il web per svolgere
un’attività editoriale a fini economici [18]. Inoltre viene meno il regime di
alternatività proposto dall’art. 16 [19] della Legge 62/2001 - si era
ipotizzato, infatti, che l’iscrizione al ROC potesse sostituire quella nei
tribunali - visto che l’oggetto delle registrazioni è diverso: nel ROC le
imprese editrici ed i diversi soggetti che a vario titolo operano nel settore,
nei Registri presso i tribunali le testate editoriali.
Analoga soluzione ha trovato, nel tempo, l’obbligo di iscrizione delle testate
telematiche nel Registro della stampa presso i tribunali. Qualche attento
osservatore [20] affermò che gli obblighi in esame riguardavano soltanto coloro
che, responsabili di siti Internet, avessero inteso beneficiare delle
provvidenze di cui, in effetti, tratta la legge 62/2001 [21]. Tale soluzione fu
“istituzionalizzata” per la prima volta dalla Legge 39/2001 all’articolo 31
[22]. Il Decreto Legislativo 9 aprile 2003 n. 70 [23] ha recepito letteralmente
tali indicazioni nell’art. 7, punto 3: «La registrazione della testata
editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali
i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla
legge 7 marzo 2001, n. 62».
Già il lessico utilizzato dal legislatore - “prodotto editoriale” - richiama
alla mente un’attività commerciale o imprenditoriale. Anche in questo caso è il
buon senso a dover indirizzare il professionista del web: Internet è per sua
natura veicolo di informazioni ma non tutto ciò che è pubblicato sulla rete è
qualificabile come attività di informazione “giornalistica” [24]. La norma si
rivolge alle testate editoriali [25] e rende non più obbligatoria la
registrazione, se non ai fini specificati. La soluzione ha una sua coerenza:
un’attività imprenditoriale - quindi economica - che offra un servizio di
informazione deve avere un regime diverso rispetto ad un singolo che pubblichi
un sito informativo per spirito di liberalità e senza voler costituire un organo
di informazione [26].
Qualche commentatore [27] è ancora fortemente critico nei confronti di questa
interpretazione in base alla considerazione che il legislatore, nonostante
l’equiparazione delle testate telematiche a quelle cartacee, abbia inteso
introdurre un regime diverso per le prime, sollevandole dall’obbligo di
registrazione o, ancor meglio, trasformando detto obbligo in un semplice onere
cui adempiere qualora i relativi editori fossero interessati ad accedere alle
provvidenze previste dalla legge per l’editoria, determinando un «un doppio
binario normativo a seconda che le informazioni siano diffuse attraverso
l’inchiostro o piuttosto in bit». Nonostante la condivisibilità di tale
conclusione, la soluzione cui giunge il Decreto 70/2003 denota, una volta tanto,
buon senso e lungimiranza del Legislatore che, resosi conto della impossibilità
di applicare la Legge 61/2001 così come era stata approvata, corregge i propri
errori sottolineando la diversa natura dell’informazione tradizionale e di
quella veicolata attraverso Internet.
Cristian Ercolano
Queste pagine
trascrivono un paragrafo della rivista "Il
nuovo diritto - rassegna giuridica pratica" si ringrazia
l'autore e l'editore per la gentile concessione alla pubblicazione
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