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La legge regionale della Campania, n. 17 del 17 ottobre 2005, recante “Disposizioni per la semplificazione del procedimento amministrativo”. Un eccesso di semplificazione?


GIOVANNI CORPORENTE(*)


 

 

1. La L.R. 17 del 2005 della Campania. 2. L’istituto del silenzio assenso e gli istituti di semplificazione previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. 3. I limiti di semplificazione dettati dalle normative speciali di settore. 4. Le competenze e l’organizzazione del Consiglio regionale - l’eccesso di semplificazione riferito alle funzioni e competenze delle Commissioni consiliari.

 


1. La L.R. 17 del 2005 della Campania.

Nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania, n. 54 del 24 ottobre 2005, è stata pubblicata la legge regionale n. 17 del 2005, contenente norme in materia di semplificazione dei procedimenti amministrativi; la legge, dichiarata urgente dal legislatore regionale, è entrata in vigore il 25 ottobre 2005.
Le norme non appaiono prima facie suscitare alcun interesse né per l’interprete né per chiunque sia attento alla evoluzione della legislazione regionale che anche per la legge in esame appare essere un tipico esempio di semplificazione dei procedimenti amministrativi nella scia delle disposizioni dettate dalla fondamentale legge 241 del 1990.
Una attenta lettura delle brevi disposizioni della legge regionale 17, suddivisa in due soli articoli (di cui il secondo contiene la rituale dichiarazione di urgenza della legge), pone però in risalto una molteplicità di problematiche di attuazione delle norme di semplificazione che non appaiono essere pienamente compatibili con l’ordinamento regionale ed in particolare con la organizzazione di una assemblea legislativa1.
Ed infatti, la semplificazione amministrativa disciplinata dalla legge 17 si riferisce espressamente alle sole competenze ed attività delle commissioni consiliari (permanenti e non) del Consiglio regionale, la cui organizzazione è disciplinata dal Regolamento interno del parlamentino regionale2, tipica fonte regolamentare di disciplina delle procedure di formazione degli atti con valore di legge regionale e degli atti amministrativi di competenza della regione secondo le norme dettate dallo Statuto regionale vigente.
Ma come è formulata la legge regionale della Campania n. 17 del 2005?
L’articolo 1, diviso in tre commi, così dispone:
1. I pareri sugli atti amministrativi previsti dalla legislazione vigente, se non è stabilito un termine più breve, sono resi dalle competenti commissioni consiliari entro quaranta giorni dall’assegnazione. Decorso tale termine senza che le commissioni si siano pronunciate, il parere si intende acquisito in senso favorevole.
2. E’ fatto obbligo agli uffici delle commissioni di comunicare immediatamente ai componenti delle stesse gli atti di cui al comma 1. I Presidenti iscrivono l’argomento all’ordine del giorno della commissione entro sette giorni dall’assegnazione. In mancanza vi provvede il Presidente del Consiglio nelle successive quarantotto ore.
3. Il termine di cui al comma 1 è sospeso dal 16 luglio al 14 settembre di ogni anno3.
Si tratta, quindi, della introduzione nell’ordinamento giuridico regionale campano della generalizzata applicazione dell’istituto del silenzio assenso, senza previsione di alcuna esclusione nemmeno nelle c.d. materie sensibili di maggiore e prudente attenzione del legislatore, quali sono, l’ambiente e la tutela del territorio, la sanità pubblica e così via.
L’applicazione dell’istituto del silenzio assenso4 riferito alle competenze ed attività delle commissioni consiliari non trova riscontro in alcuna delle norme del Regolamento interno del Consiglio regionale5 e nemmeno in quelle dello Statuto regionale vigente, ove all’articolo 26 si legge che il Consiglio regionale si articola in Commissioni permanenti. Il regolamento interno ne stabilisce il numero, la competenza ed il funzionamento.
E’ quindi sempre il rinvio alla norma regolamentare interna dell’Assemblea regionale che viene disposta dallo Statuto regionale in ogni ipotesi di disciplina dei rapporti tra gli organi regionali (Presidente, Giunta e Consiglio) e segnatamente del funzionamento ed organizzazione degli organi interni, tra cui le commissioni consiliari assumono rilevanza strategica nell’esame dei provvedimenti legislativi ed amministrativi, con la scansione temporale ed endoprocedimentale precipuamente disciplinata dal Regolamento interno6.


2. L’istituto del silenzio assenso e gli istituti di semplificazione previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.

E’ evidentemente pienamente condivisibile l’intero sistema della fondamentale legge 241 che in materia di semplificazione amministrativa introdusse molteplici principi tra cui la necessità di concludere il procedimento entro termini stabiliti di volta in volta dall’amministrazione procedente ed a cui si collegano gli istituti del silenzio assenso e quello della impossibilità di gravare un procedimento mediante acquisizione di pareri7 non prescritti dalla singola normativa speciale disciplinante il procedimento stesso. In tal senso, l’articolo 2 della legge 241, come modificata da ultimo dalla legge 15 del 2005, dispone che ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. Il comma 2 dell’articolo 2 rinvia ai regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400 ed a quelli delle singole amministrazioni, per la definizione dei termini entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni stesse devono essere conclusi. Sempre l’articolo 2 della legge 241 dispone che i termini sono modulati tenendo conto della loro sostenibilità, sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, e della natura degli interessi pubblici tutelati e decorrono dall'inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte e che qualora non si provveda ai sensi del comma 2, il termine è di novanta giorni. Il comma 4 dell’articolo 2 dispone che nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l'adozione di un provvedimento l'acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini sono sospesi fino all'acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo massimo comunque non superiore a novanta giorni. Ed ancora, che i termini di cui ai commi 2 e 3 possono essere altresì sospesi, per una sola volta, per l'acquisizione di informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Infine, il comma 5 fa salvi i casi di silenzio assenso che evidentemente devono essere previsti dalla legge. Ma è la stessa legge 241, oltre ad altre discipline di settore, che circoscrive e limita la possibilità di applicazione dell’istituto del silenzio assenso ed in generale degli altri istituti di trasparenza e partecipazione al procedimento amministrativo. Ad esempio, l’articolo 13 della legge 241, rubricato “ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione”, esclude l’applicabilità delle norme sul diritto di acceso e partecipazione, tra l’altro, riferiti alle attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione, nonché ai procedimenti tributari per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano. L’articolo 16 della legge 241 è riferito all’attività consultiva prevedendo che gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sono tenuti a rendere i pareri ad essi obbligatoriamente richiesti entro quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano richiesti dei pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere o senza che l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere. Ebbene, a parte che il comma 3 dell’articolo 16 dispone che le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini, vi è da chiedersi se anche i pareri espressi dalle commissioni consiliari del Consiglio regionale possano essere qualificati semplicemente come rientranti nella “attività consultiva”, assimilando in tal modo l’organo di programmazione e pianificazione con potere regolamentare della Regione Campania ad un mero organo di consulenza. Nel rapido esame degli istituti di semplificazione della legge 241, il silenzio assenso (articolo 20) appare essere un naturale completamento degli altri; l’avverarsi del silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2. Ed anche per il silenzio assenso l’articolo 208 lo esclude espressamente per gli atti ed i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati (con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti) e, nel caso dell’ordinamento e competenze delle regioni, dalla relativa normativa regionale. In particolare, per il sistema delle autonomie locali, il comma 2 dell’articolo 20 dispone che detti enti, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge. E’ evidente, quindi, il rinvio operato dal legislatore statale ai singoli ordinamenti statutari.


3. I limiti di semplificazione dettati dalle normative speciali di settore.

Ma i limiti9 per l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso non si rinvengono solo nel sopra richiamato sistema normativo della legge 24110, bensì in innumerevoli testi normativi speciali disciplinanti particolari materie sensibili11.
Tali limiti comportano l’applicazione dell’istituto opposto all’assenso, ovvero il silenzio rifiuto12 quale strumento di tutela dei cittadini nella vasta materia della tutela ambientale e comunque rispetto ad ogni profilo di tutela della integrità della persona umana ed in alcuni casi anche di ogni componente dell’ecosistema13, così come, ad esempio, avviene anche nella procedura di rilascio del titolo di autorizzazione ad edificare. Infatti, dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina acceleratoria del processo sul silenzio – rifiuto della P.A., introdotta dalla legge n. 205/2000, nulla impedisce di assimilare anche tale silenzio al mero silenzio ai fini della tutela giurisdizionale, tenuto conto che – mentre il 2° comma dell’art. 13 della legge n. 47/85 disponeva che ”sulla richiesta di concessione o di autorizzazione in sanatoria il sindaco si pronuncia entro sessanta giorni, trascorsi i quali la richiesta si intende respinta” - secondo l’attuale formulazione del 3° comma dell’art. 36 del T.U. n. 380 del 2001 sull’edilizia, “la richiesta si intende rifiutata14.
Evidentemente la tutela del paesaggio, delle aree protette e dell’edilizia non costituiscono le sole materie sensibili limitanti l’applicazione ex lege dell’istituto del silenzio assenso. Il livello normativo comunitario, ad esempio, se da un lato15 estende di molto l’ambito di applicazione dell’istituto di accesso e di partecipazione al procedimento, non arriva a disporre altrettanto riguardo alla applicazione dell’istituto del silenzio assenso come invece appare avere operato la legge regionale della Campania in esame, con la quale si è generalizzato l’istituto per ogni sua possibile applicazione, non distinguendo alcun settore sensibile, contrariamente a quanto previsto dalla normativa statale e comunitaria che, in quanto indubbiamente rilevante, è stata oggetto anche della adozione di circolari a chiarimento delle discipline normative16.


4. Le competenze e l’organizzazione del Consiglio regionale - l’eccesso di semplificazione riferito alle funzioni e competenze delle Commissioni consiliari.

Svolto il rapido esame dell’istituto del silenzio assenso e dei limiti ex lege a cui è comunque soggetto, limiti per nulla contemplati dalla legge regionale della Campania n. 17 del 2005 che ha disposto una generalizzata applicazione dell’istituto di semplificazione, è utile individuare quali sono i procedimenti amministrativi di competenza del Consiglio regionale rispetto ai quali l’istituto del silenzio assenso “generalizzato” dovrà applicarsi. Atteso che le Commissioni consiliari svolgono una attività propedeutica all’attività del plenum dell’Assemblea17.
Anche per tale profilo della questione è necessario esaminare lo Statuto regionale della Campania vigente18, ed in particolare le norme statutarie con cui si individua la forma di governo regionale ed il ruolo ancora “centrale” dell’Assemblea regionale quale organo competente a determinare l’indirizzo politico programmatico della Regione Campania19.
Ebbene, l’articolo 19 dello Statuto regionale della Campania dispone che il Consiglio regionale rappresenta il popolo della Regione. Il Consiglio regionale esercita i poteri legislativi e regolamentari attribuiti o delegati alla Regione; determina l'indirizzo politico ed amministrativo della Regione: adempie alle altre funzioni ad esso attribuite dalla Costituzione, dal presente Statuto, dalle leggi e dai regolamenti. Il successivo articolo 20, oltre alle competenze in materia di potestà legislativa, individua quelle riferite all’adozione degli atti amministrativi, sempre e comunque connesse al ruolo centrale dell’Assemblea regionale, per la determinazione dell’indirizzo politico programmatico. Ed infatti, è disposto che il Consiglio regionale è competente per: 1) determinare l'indirizzo politico programmatico della Regione e controllarne l'attuazione; … 4) avanzare richieste di sospensione o di revoca di provvedimenti contrari agli interessi della Regione; … 9) formulare proposte e pareri sugli indirizzi generali e settoriali della programmazione economia; 10) deliberare le proposte della Regione ed esprimere ogni parere richiesto alla Regione in materia di programmazione economica nazionale; di piani e programmi di interventi straordinari; di interventi e piani settoriali; 11) determinare gli indirizzi generali della pianificazione regionale e approvare il piano regionale di sviluppo, il piano regionale di assetto urbanistico territoriale, i piani comprensoriali, i piani operativi generali di sviluppo sociale ed economico relativi agli interventi di competenza della Regione e a quelli ad essa demandati dallo Stato, nonché i piani regionali di esecuzione di opere pubbliche e di organizzazione dei servizi pubblici di interesse regionale; …13) deliberare sulla partecipazione a consorzi e società finanziarie; 14) esercitare la vigilanza sugli enti, aziende ed altre forme di organizzazione regionali, sui consorzi e sulle società a partecipazione regionale; … 19) approvare il proprio regolamento interno; 20) decidere sulle condizioni di ineleggibilità, di incompatibilità e decadenza dei Consiglieri eletti; … 22) provvedere alle nomine di competenza della Regione, salvo quelle attribuite al Presidente ed alla Giunta da leggi e provvedimenti; 23) esercitare ogni altra funzione derivante dalla Costituzione, dal presente Statuto, dalle leggi e dai regolamenti.
La rilevanza delle competenze dell’Assemblea regionale20 come stabilite espressamente dallo Statuto è connessa alle competenze e funzioni delle Commissioni consiliari che le svolgono nell’ambito delle procedure previste dal Regolamento interno del Consiglio regionale.
Ciò che si vuole porre in risalto è il dato di fatto che la legge regionale 17 in esame interferisce proprio con tale fonte regolamentare che ai sensi dell’articolo 26 dello Statuto è la sola fonte prevista per lo svolgimento delle funzioni delle Commissioni consiliari nelle materie di cui all’articolo 20 dello stesso Statuto, materie che - per la rilevanza che assumono nell’ambito della programmazione ed indirizzo politico regionale – dovevano essere escluse dall’ambito della applicazione dell’istituto di semplificazione del silenzio assenso. Peraltro, come osservato, già l’articolo 13 della legge 241 del 1990 esclude gli istituti di partecipazione ai procedimenti coinvolgenti procedimenti connessi alla pianificazione ed alla programmazione.
In ogni caso, ai sensi dello Statuto regionale, è la sola fonte regolamentare “interna” che può legittimamente disciplinare l’attività delle commissione consiliari21.
E non vi è chi non osservi come un ritardo nell’esame di un provvedimento da parte di una commissione consiliare possa essere finalizzato e collegato ad una delle molteplici fasi di stallo nell’ambito dell’equilibrio politico all’interno della maggioranza o delle minoranze, ovvero, ad un momento di contrapposizione tra esse. Ciò soprattutto in considerazione del dato di fatto che i provvedimenti posti all’esame o al parere delle commissioni consiliari sono nella maggioranza dei casi procedimenti per la formazione di un atto di programmazione o di pianificazione, ovvero, di rilevante profilo politico, giusta previsione di cui all’articolo 20 dello Statuto regionale.
A ciò si aggiunge il dato di fatto che la legge regionale 17 del 2005 nemmeno diversifica, nell’ambito delle competenze delle commissioni consiliari, tra “parere” ed “esame” di merito delle stesse. Infatti, ai sensi degli articoli 17, 18, 21, 25, 26, 27, 33, 34, del Regolamento interno le commissioni consiliari svolgono le proprie funzioni in ragione delle norme dettate dal solo Regolamento ed in relazione delle decisioni dei singoli Uffici di Presidenza delle stesse commissioni, delle decisioni della Conferenza dei Presidenti del Gruppi consiliari e dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale.
In tale procedura regolamentare – che è da considerarsi fonte normativa esclusiva – risulta effettivamente impossibile o almeno difficile procedere alla applicazione dell’istituto del silenzio assenso generalizzato dettato dalla legge regionale 17 del 200522.

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(*) FUNZIONARIO PRESSO IL SETTORE STUDI LEGISLATIVI DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA CAMPANIA


1 Il tema della struttura degli organi regionali e della distribuzione delle competenze e delle funzioni fra essi è stata oggetto di molteplici monografie, anche risalenti nel tempo; vedi, MARTINES, Il Consiglio regionale, Milano, 1981; METALLI, Il Consiglio regionale tra Parlamento e Consiglio comunale, in il Consiglio di Stato, n. 3, 1970.


2 Il regolamento interno del Consiglio regionale della Campania fu approvato, nella sua prima stesura, con deliberazione del 1 luglio del 1971, e successivamente modificato con deliberazioni consiliari: n. 139/11 del 31 luglio 1974, n. 19/6 del 24 settembre 1975, n. 22/1 dell’8 ottobre 1975, n. 17/3 del 9 febbraio 1977, n. 24/1 del 16 marzo 1977, n. 46/5 del 20 giugno 1978, n. 270/6 del 25 ottobre 1978, n. 41/1 del 3 ottobre 1997, n. 109/1 del 4 giugno 2002 e n. 23/13 del 21 giugno 2005.

3 La sospensione del termine per la formazione del silenzio assenso, dal 16 luglio al 14 settembre di ogni anno, si collega alla analoga previsione dettata dall’articolo 30 del Regolamento interno che a sua volta rinvia all’articolo 27 dello Statuto regionale.

4 Innumerevoli sono gli scritti in materia di silenzio della P.A.; vedi, BORSI, Il silenzio della pubblica amministrazione nei riguardi della giustizia amministrativa, in Giurisprudenza italiana 1903,IV,255; RESTA, Il silenzio come esercizio della funzione amministrativa, in Foro amministrativo 1929,IV,106; FORTI, Il “silenzio” della pubblica amministrazione e i suoi effetti processuali, in Rivista di diritto processuale civile 1932,121; A.M. SANDULLI, Questioni recenti in tema di silenzio della pubblica amministrazione, in Foro italiano 1949,III,128; CANNADA BARTOLI, Inerzia a provvedere da parte della pubblica amministrazione e tutela del cittadino, in Foro padano 1956,I,175; LA VALLE, Profili giuridici dell’inerzia amministrativa, in Rivista trimestrale di diritto pubblico 1962,360; CASSESE, Inerzia e silenzio della P.A., in Foro amministrativo 1963,I,30; LEDDA, Il rifiuto di provvedimento amministrativo, Torino 1964; SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano 1971.

5 Un interessante volume in materia è di BARTHOLINI, I rapporti fra i supremi organi regionali, Padova, 1961.

6 Per i problemi di coordinamento fra fonte statutaria e fonte regolamentare, vedi, GIZZI, Manuale di Diritto Regionale, Milano, 1986, 153 ss.

7 In tema di celerità dei procedimenti e di partecipazione, vedi, A. CERRI, Difesa e contraddittorio nel procedimento amministrativo, in Giur. cost., 1971, 2733.

8 Sempre in tema di esclusione degli istituti di partecipazione, si è affermato da parte della giurisprudenza che ai sensi della normativa vigente (art. 20 della legge n. 241 del 1990) e della giurisprudenza della Corte Costituzionale, le ipotesi di silenzio-assenso previste dall'ordinamento hanno carattere assolutamente eccezionale, avendo, di regola, l'Amministrazione l'obbligo di concludere il procedimento con un'espressa manifestazione di volontà e non potendo, in ogni caso, il predetto istituto essere applicato a fattispecie in cui sia fondamentale la concreta ponderazione da parte dell'Amministrazione degli interessi coinvolti nel procedimento; non è, quindi, legittima una delibera del C.I.P.E. che preveda in via generale il tacito accoglimento, decorso un certo termine dall'istanza, delle richieste di adeguamento delle tariffe presentate dagli esercenti i servizi di pubblica utilità, emessa in assenza di un'esplicita disposizione di legge che espressamente consenta il ricorso a tale procedura, e trattandosi di materia in cui appare fondamentale la ponderazione dei diversi interessi da parte dell'Amministrazione (cfr., Sez. Contr., det. n. 100 del 08-07-1996, Ministero del bilancio (p.d. 104374).

9 Sulla tematica dei limiti degli istituti di semplificazione, vedi, FORLENZA, Un’enfatizzazione del principio di efficacia a scapito delle garanzie di tutela dei cittadini, in Guida al diritto n. 10/2005, 42.

10 Il profilo della applicazione degli istituti di semplificazione anche nei procedimenti coinvolgenti le materie dell’ambiente e della sanità è affrontata da vari autori; cfr., AA.VV., Guida alle leggi Bassanini: Norme e commenti sul decentramento e sulla semplificazione amministrativa, Milano, 1997; AA.VV., Lo snellimento dell’attività amministrativa, Milano, 1997; AA.VV., Lo snellimento dell’attività amministrativa e riforma dell’ente locale, Torino, 1998; W. CORTESE., I beni culturali e ambientali. Profili normativi, Padova, 1999; P. Rago., T.U., op. cit.; G. PIPERATA., I modelli di organizzazione dei servizi culturali: novità, false innovazioni e conferme, in Aedon, n. 1, 2002.

11 In particolare, si tratta di una sostanziale applicazione del principio precauzionale, interpretato come “modello anticipatorio, in base al quale di fronte a rischi incerti, in situazioni nelle quali non è possibile adoperare il modello preventivo, basato sulla certezza scientifica, l’ordinamento giuridico è chiamato comunque a fornire degli strumenti di protezione o ad esprimersi chiaramente in merito all’accettabilità dei rischi…” cfr. D. AMIRANTE I principi comunitari di ‘gestione dell’ambiente’ e il diritto italiano: prime note per un dibattito, in Riv. Diritto e gestione dell’ambiente, 2001, vol. 1, pag. 23. 4 Disciplina sancita dall’articolo 17 del D. Lgs. 22/1997, cfr. F. GIAMPIETRO, Bonifica dei siti inquinati: dal D.Lgs. <<Ronchi>> al <<Ronchi bis>>, in Ambiente, 1998, p. 67; G. LANDI E M. MONTINI, La disciplina della bonifica dei siti inquinati. La normativa italiana a confronto con quella dei principali paesi europei e degli USA, Rapporto di Ricerca n. 1/1999, Fondazione ENI Enrico Mattei, Venezia, 1999.

12 Su tale istituto, vedi, SALONE, “Silenzio-rifiuto”, abrogazione dell’art.5 t.u. n. 383 del 1934 e termine per provvedere da parte della pubblica amministrazione, in Consiglio di Stato 1974,II,1290; GIALLOMBARDO, “Silenzio-rigetto” e “silenzio-rifiuto” nell’attuale momento legislativo e giurisprudenziale, in TAR 1975,II,221.

13 Una vicenda in tema si è verificata nella Regione Puglia che aveva disciplinato, mediante l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso, il procedimento di autorizzazione della coltivazione della cave. Su tale vicenda si è pronunciata la Cassazione sezione penale, che così ha affermato: il regime previsto dalle leggi n. 37/1985 e n. 13/1987 della Regione Puglia non consente, nelle zone assoggettate a vincolo paesaggistico dal D.L. n. 312/1985, di continuare a coltivare le cave già in esercizio sulla base della mera istanza di prosecuzione, essendo comunque richiesta l'autorizzazione ambientale. Un regime di silenzio-assenso (e non di silenzio-diniego, come invece previsto dalla Regione Lazio), escludente ogni intervento dello Stato, non è concepibile in materia di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, sicché alla norma regionale non può essere data un'interpretazione che ne comporterebbe l'incostituzionalità. Pres. A. Grassi, Rel. A. Fiale - Ric. Nardilli. (conferma Tribunale di Bari, con ordinanza del 19.7.2004) CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 23 settembre 2005 (ud. 12 aprile 2005), Sentenza n. 34102.

14 Si veda, sul punto, T.A.R. Lazio, Sezione Seconda bis, sent. 26 febbraio 2004, secondo cui “la sussistenza di una posizione differenziata di interesse legittimo alla conclusione, con un’esplicita determinazione, del procedimento di sanatoria degli abusi edilizi, disciplinato dall’art. 36 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, è avvalorata dalla disciplina dettata dall’art. 2 della legge 7.8.1990, n. 241. In senso contrario, si veda, però, T.A.R. Campania – Napoli, sent. n. 11893 del 19 luglio 2004, per il quale “il silenzio sull’istanza di accertamento di conformità urbanistica non potrebbe mai essere considerato come semplice silenzio – inadempimento, trattandosi di accertamento concernente, nella configurazione normativa dell’istituto, una valutazione eminentemente doverosa e vincolata, essenzialmente priva di contenuti discrezionali, avente sostanzialmente ad oggetto la realizzazione di un assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina urbanistica applicabile”.

15 Si fa riferimento tra l’altro al d.lg. 24 febbraio 1997 n. 39 (emanato in attuazione della direttiva 90/313/Cee) che ha introdotto una fattispecie speciale di accesso in materia ambientale che si connota, rispetto a quella generale prevista dalla legge n. 241 del 1990, per due novità: l'estensione del novero dei soggetti legittimati, perché le informazioni ambientali spettano a chiunque le richieda, senza necessità della dimostrazione di un suo particolare e qualificato interesse, ed il contenuto delle cognizioni accessibili, visto che non è oggettivamente circoscritta ai soli documenti amministrativi già formati e nella piena disponibilità dell'amministrazione e consente l'accesso a "informazioni" ambientali. In materia di accesso ambientale non è necessaria la puntuale indicazione degli atti richiesti, essendo sufficiente una generica richiesta di informazioni sulle condizioni di un determinato contesto ambientale (che deve evidentemente essere specificato), per costituire in capo all'amministrazione l'obbligo di acquisire tutte le notizie relative allo stato della conservazione e della salubrità dei luoghi interessati dall'istanza, ad elaborarle e a comunicarle al richiedente. (Consiglio Stato, sez. IV, 7 settembre 2004, n. 5795). L'art. 3 d.lg. n. 39 del 1997, attuativo della direttiva Cee 90/313, secondo cui le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative all'ambiente a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse, deroga ai principi generali elaborati dalla giurisprudenza in materia di interesse e legittimazione ad agire in giudizio e di tutela giurisdizione dei c.d. interessi diffusi introducendo nel nostro ordinamento un principio di tutela oggettiva della qualità del bene ambiente, attraverso un controllo sociale diffuso sugli atti delle autorità pubbliche comunque incidenti sul valore tutelato. (Cons.giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 24 dicembre 2002, n. 693).

16 Il riferimento è allo Studio n. 1290 (in materia di CONDONO EDILIZIO E VINCOLI ARTISTICO-AMBIENTALI) Approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 13 giugno 1996. Con tale studio si sono esaminati i decreti-legge sul condono edilizio (D.L. 24 gennaio 1996, n.30; D.L. 25 marzo 1996, n.154). Tali norme stabiliscono che, ai fini della commerciabilità del bene abusivamente costruito, occorre che nell'atto risulti, a pena di nullità, "il parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela dei vincoli per le opere di cui al terzo comma dell'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47". A sua volta l'art. 32, terzo comma della legge 47 del 1985 stabilisce che il rilascio della concessione edilizia o dell'autorizzazione in sanatoria, per le opere eseguite su immobili sottoposti a determinati vincoli, è "subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso"; e prosegue con la seguente frase: "qualora tale parere non venga reso entro centottanta giorni dalla domanda il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto dell'amministrazione". Finché il vincolo non ha costituito elemento di evidenza per la commerciabilità dei manufatti abusivi e quindi fino al momento in cui la mancanza di parere sul vincolo determinava una situazione di attesa ma non una situazione d'impedimento ai fini della validità dell'atto, non si è ritenuto di dover approfondire la tematica sui vincoli. Dopo i recenti decreti-legge, invece, si pone il problema di individuare i vincoli, di delinearne la tipologia, di valutarne l'incidenza sul procedimento di sanatoria, di definire la natura del silenzio-rifiuto.

17 Altra ipotesi è riferita alle poche leggi regionali che prevedono, nell’ambito dell’esercizio del potere amministrativo di competenza della Giunta regionale, l’acquisizione dei pareri delle commissioni consiliari. In tale ipotesi si tratta, comunque, di un potere amministrativo esercitato dall’Esecutivo regionale, in genere sempre riferito alle posizioni giuridiche soggettive dei privati, e per le quali l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso appare essere giustamente pienamente operante, fermi restando i limiti disposti dalla stessa legge 241 del 1990 e dalle altre discipline normative speciali a tutela della integrità della persona (ambiente, territorio, sanità, ecc.).

18 Lo Statuto della Regione Campania è stato approvato con la legge dello Stato, 22 maggio 1971, n. 348 (approvazione, ai sensi dell'art. 123, comma secondo, della Costituzione, dello Statuto della Regione Campania, pubblicata nella Gazz. Uff. 14 giugno 1971, n. 148 S.O. Il testo statutario del 1971 è ancora tuttora pienamente vigente non avendo il Consiglio regionale della Campania ancora definitivamente approvato il nuovo Statuto, ai sensi del novellato Titolo V della Costituzione.

19 Ed infatti, non vi è dubbio che, quantomeno sino alla approvazione del nuovo Statuto regionale, la forma di governo regionale sia quella “assembleare”, ovvero, con attribuzione all’organo consiliare della fondamentale competenza di determinazione dell’indirizzo politico e programmatico, rispetto al quale l’Esecutivo regionale ed il suo Presidente – nonostante la riforma costituzionale di elezione diretta – svolgono ancora la “limitata” competenza di governo che adottata atti di esecuzione dell’indirizzo politico programmatico. Sulle competenze dei supremi organi regionali la dottrina è copiosa e datata; vedi, BARTHOLINI, I rapporti fra i supremi organi regionali, p. 45 ss.,op. cit.; PENNACCHIETTI, Osservazioni sulla verifica dei poteri negli ordinamenti regionali, Padova, 1961; CORPORENTE, Forma di governo e problemi di governabilità delle regioni a statuto ordinario dopo l'entrata in vigore della legge n. 43 del 1995, Napoli, Arte Tipografica, 1995; COLONNA, Autonomia statutaria e organi regionali, in Critica marxista, n. 3, 1970; CAIANIELLO, I rapporti fra gli organi nelle regioni a statuto ordinario, in Foro it., 1971; GIZZI, Manuale di Diritto regionale, p. 150 ss., op. cit.; V. ANGIOLINI, Gli organi di governo della regione, Milano,1983; F. CUOCOLO, Il Presidente di Consiglio regionale, in Quaderni regionali, p. 3 ss., n. 1del 1984.

20 Lo Statuto regionale è la “legge fondamentale” dell’ordinamento regionale con la conseguenza che la legge regionale deve essere applicata ed interpretata alla luce delle norme statutarie e giammai in senso contrario ad esse. Cfr., MIELE, Gli statuti regionali, in Rass. Dir. Pubbl., 1949, 40 ss.; GIZZI, La formazione degli statuti regionali, in Riv. Amm. Rep. Ital., 1964.

21 Si è osservato da parte della dottrina che il Consiglio regionale ha un potere di organizzazione che è ben diverso da quelle, generico, proprio di ogni organo collegiale e che è positivamente previsto da varie norme di rango anche costituzionale. L’articolo 122 della Costituzione stabilisce, infatti, che il Consiglio elegge, nel suo seno, un Presidente ed un Ufficio di Presidenza: la disposizione trovava ulteriore svolgimento nell’articolo 15 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, al quale, peraltro, la legge 23 dicembre 1970, n. 1084, ebbe a conferire valore transitorio, sicchè occorre, per tale materia, fare riferimento ai soli statuti regionali, trattandosi, appunto, di un aspetto inerente alla “organizzazione interna” di cui all’articolo 123 Costituzione; così GIZZI, Manuale di Diritto Regionale, p. 153, op. cit.

22 Con ciò non si intende affatto affermare la sussistenza di una “riserva di regolamento”, ma la sola evidente difficoltà di applicazione, in quanto i “commissari” sono stati sostanzialmente esautorati di una considerevole parte della propria discrezionalità “politica” nelle rilevanti materie della programmazione e pianificazione regionale. Sulla riserva di regolamento, vedi, GIZZI, Manuale di Diritto regionale, p. 154, op. cit.; TRAVERSA, Il potere regolamentare dei Consigli regionali, in Giur. Cost., 1964, 700 ss.; TRAMPUS, Appunti sui regolamenti interi dei Consigli regionali, in Riv. Trim. Dir. Pub., 1969, 378.


 

Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it l'8/11/2005

 

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