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Riflessioni in materia di società di trasformazione urbana

HERMANN FRANCHINI


 


Premessa


Il presente articolo intende indagare, senza pretese di esaustività, l’istituto delle società di trasformazione urbana (da ora in poi STU), introdotto nel nostro ordinamento - come vedremo meglio in seguito - nel 1997, ma in pratica scarsamente utilizzato dalle amministrazioni.


Questo aspetto ha spinto il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, con L'art.  7, comma 1, della Legge 8 febbraio 2001, n. 21, al fine di promuovere la costituzione da parte dei comuni e delle città metropolitane delle società di trasformazione urbana, a disporre il finanziamento degli studi di fattibiltà, delle indagini conoscitive necessarie all'approfondimento della realizzabilità economica, amministrativa, finanziaria e tecnica delle ipotesi di trasformazione deliberate dal Consiglio comunale, nonché degli oneri occorrenti alla progettazione urbanistica.


Gli studi finanziati sono, ad oggi, in corso di svolgimento, dunque, dei risultati degli studi realizzati, ovvero del numero di società di trasformazione urbana concretamente attivate nei territori interessati dagli stessi, e delle caratteristiche dei singoli progetti di trasformazione che si è inteso realizzare attraverso tale strumento, non saranno oggetto della presente trattazione. D’altra parte, occorre sottolineare come in Italia siano già state costituite delle STU, finalizzate, nella maggioranza dei casi, alla riqualificazione di porzioni di territorio caratterizzate da forte degrado (ambientale, edilizio, sociale etc.)1 .


La prima parte del presente lavoro tende ad inquadrare l’istituto in oggetto sotto il profilo normativo e delle finalità cui esso è deputato, mentre la seconda mira a scandagliare alcuni aspetti critici dello stesso, emersi nel corso del tempo e oggetto di un ampio dibattito dottrinario e delle più rilevanti sentenze giurisprudenziali in materia.



Quadro normativo di riferimento e modalità operative dell’istituto
Le STU sono state introdotte nel nostro ordinamento dall’art. 17, comma 59 della Legge n. 127/1997 (successivamente recepito integralmente dall’art. 120 del DLgs. n. 267/2000, recante Testo Unico in materia di enti locali). Tale normativa è stata, successivamente, oggetto di precisazioni ad opera della Circolare del Ministero dei LL.PP.,11 dicembre 2000, Prot. n° 622/Segr.


Con questo istituto il legislatore ha riconosciuto ai Comuni ed alle Città metropolitane, la possibilità di costituire società per azioni al fine di progettare e realizzare interventi di trasformazione urbana in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti.


Si tratta di società aperte ad azionisti privati che devono essere scelti tramite procedura di evidenza pubblica. Esse provvedono alla preventiva acquisizione degli immobili2 interessati dall’intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione degli stessi.


Le STU rappresentano l’ultimo degli strumenti giuridico-urbanistici elaborati dal legislatore e possono essere individuati come un’evoluzione dei tradizionali programmi urbani complessi (integrati, di recupero, di riqualificazione, PRUSST, etc.), legati ad un canale finanziario pubblico e destinati per loro stessa natura ad esaurirsi con la attribuzione delle relative risorse, al Partenariato Pubblico Privato, che invece, come si è visto, proprio nella costruzione di una governance locale, fondata su un sistema di regole certe, condivise e “contrattualizzate”, individua l’elemento chiave per una migliore organizzazione nel medio-lungo periodo dei processi di produzione del cambiamento urbano.


Per quanto sia corretto affermare che tale istituto sia stato mutuato da quello francese delle SEM (Société d’économie mixte)3 si deve sottolineare come parte della dottrina è concorde nell’affermare che la nascita delle STU fonda su ragioni diverse ed originali rispetto a quelle che determinarono la creazione delle società ad economia mista francesi, ragioni profondamente legate ad un contesto economico e giuridico ancora attuale.


Infatti, la legge del 1997 va a collocarsi all’interno di quel più ampio processo di privatizzazione iniziato nei primi anni ’90 e caratterizzato dalla progressiva esternalizzazione di attività, servizi e funzioni pubbliche con l’obiettivo di migliorarne la gestione ispirandosi ai principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’agire amministrativo.


E’ dunque in questa ottica che va letto l’art. 17, comma 59 della Legge 127/1997 (ora art.  120 del TUEL ). Le STU rappresentano un ulteriore esempio del passaggio da un’amministrazione “dell’esserci” ad un’amministrazione “di risultato”. 4


Ad onor del vero, poi, si deve ricordare che le STU non rappresentano una novità assoluta nel panorama nazionale. Infatti, a partire dagli anni ’90, sono state costituite molte società di capitali, a composizione mista pubblico-privata con la partecipazione di istituti di credito, imprese, province, regioni, aziende municipalizzate, con l’intento di promuovere interventi di riqualificazione urbanistica di un certo rilievo. 5


Tornando alla norma, la costituzione delle STU avviene con delibera del Consiglio comunale con la quale si procede anche alla individuazione dell’ambito d’intervento, l’individuazione degli immobili equivale a dichiarazione di pubblica utilità, anche per quelli non interessati da opere pubbliche6 .


Per quanto riguarda l’acquisizione degli immobili oggetto dell’intervento, essa può avvenire sia consensualmente, attraverso il meccanismo della trattativa privata o tramite ricorso alle procedure di esproprio da parte del comune. Gli immobili di proprietà degli enti locali interessati dall’intervento possono essere conferiti alla società anche a titolo di concessione.


I rapporti tra gli enti locali azionisti e la STU, sono regolati da un’apposita convenzione contenente, a pena di nullità, gli obblighi e i diritti delle parti.


Con l’introduzione delle STU, dunque, si è inteso fornire un nuovo mezzo per la soluzione dei problemi giuridici ed economici dell’attuazione delle previsioni urbanistiche, che si affianca a quelli tradizionali, senza sostituirli 7.


Per quanto attiene, in particolare, alle finalità perseguibili attraverso lo strumento in esame va detto, in primis, che l’art. 120 non entra nel dettaglio delle possibili modalità operative della società limitandosi a stabilire che le STU procedono alla acquisizione, trasformazione e commercializzazione degli immobili individuati con apposita delibera di consiglio comunale. Inoltre, in mancanza di una precisa definizione normativa di “trasformazione urbana”, tale nozione, secondo parte della dottrina, andrebbe intesa nel senso più ampio, così da potervi includere ogni attività urbanistico-edilizia, in particolare: “dall’attività di urbanizzazione, a quella di recupero del patrimonio edilizio esistente, a quella di realizzazione di nuovi insediamenti residenziali o produttivi, a quella, infine di edificazione di opere pubbliche. 8


Dunque, l’unico limite sarebbe costituito dal fatto che deve trattarsi di interventi previsti dagli strumenti urbanistici generali vigenti, anche se questo punto, come vedremo, si presenta controverso.


Per quanto riguarda la tipologia d’interventi che le STU possono realizzare, un primo riferimento è rappresentato dalla Circolare del Ministero dei LLPP dell’11 dicembre 2000. Essa infatti stabilisce che l’utilizzazione di uno strumento come la STU, sarebbe idoneo per aree caratterizzate da:

- “insediamenti che […] richiedono interventi di ristrutturazione urbanistica nettamente prevalenti su quelli di ristrutturazione edilizia e di restauro;
- aree caratterizzate da una particolare discontinuità qualitativa non emendabile attraverso interventi puntuali o come sommatoria di interventi singolari.”


E in ogni caso, l’intervento tramite la STU “…si attaglia alle seguenti operazioni, a prescindere dalle caratteristiche delle aree interessate”:
- “interventi di particolare complessità e valore economico, per i quali l’amministrazione pubblica intende associare alla propria iniziativa partner privati non solo allo scopo di apportare capitali integrativi a quelli pubblici, ma anche per giovarsi di provate e qualificate esperienze per la gestione economica dell’iniziativa;
- azioni di ricomposizione e ricucitura del tessuto urbano contestuali alla realizzazione di opere infrastrutturali complesse anche a sviluppo lineare (ad esempio nuove linee di trasporto o ristrutturazioni di linee esistenti, nuovi impianti viari, ecc.)”.


Infine, nella Circolare, si sostiene che: “sono da ritenere non opportune le ipotesi di intervento su aree libere e cioè di espansione edilizia, per le quali la vigente disciplina urbanistica già predispone strumenti specifici” né vi sono “motivazioni sufficienti per quegli interventi di riqualificazione della città consolidata, conseguibili con il semplice ricorso ad una appropriata disciplina urbanistica”.


Un secondo riferimento in merito, è invece costituito dalle esperienze maturate sul campo.


Ad oggi, infatti, sono diverse le STU già operative sul territorio nazionale9 e, sintetizzando, si può affermare che gli interventi posti in essere fino ad ora abbiano riguardato principalmente:
- insediamenti abitativi;
- aree e strutture per ricerca scientifica e formazione ;
- aree e strutture per attività produttive e servizi;
- infrastrutture e opere pubbliche;
- bonifica dei suoli e miglioramento della qualità ambientale.


Altra questione di sicuro rilievo è, poi, quella riferita alle possibili modalità operative delle STU.


Un primo aspetto, in tal senso, attiene al modello organizzativo di tale società; in dottrina ci si è più volte chiesti, infatti, se esse rappresentino un modello organizzativo rigido, quindi obbligato ad attuare tutte le funzioni richiamate dal citato art.  120 (acquisire gli immobili, trasformarli e commercializzarli), oppure possa rappresentare un modello “a geometria variabile10 .


Certamente questa seconda interpretazione fornisce allo strumento una maggiore duttilità, consentendo, quindi, di adeguare più facilmente la struttura societaria ed il suo modello operativo allo specifico tipo di operazione di trasformazione che si intende realizzare.


Questa soluzione permetterebbe, dunque, di individuare diversi modelli operativi, da adottare a seconda delle esigenze determinate dai casi concreti e ciò, di conseguenza, consentirebbe alle amministrazioni locali proponenti di avere uno strumento capace di adattarsi anche alle situazioni di maggiore complessità.


In tal senso, un ulteriore richiamo all’esperienza sul campo o almeno alle ipotesi operative individuate in sede di studi di fattibilità, confermano la tendenza ad una concezione della STU quale strumento flessibile.


Dunque, se da una lato si possono immaginare casi in cui la STU è chiamata a svolgere tutte le funzioni che potenzialmente le competono, limitatamente ad un unico intervento, d’altro canto, si è pensato anche alla creazione di una STU holding11 o ancora, nulla osta, secondo alcuni, anche ad una STU capace di agire quale agenzia di sviluppo locale - STU “omnibus” - dunque in grado di promuovere più interventi in un arco temporale molto ampio, sempre secondo un disegno unitario di trasformazione del territorio.

 



Riflessioni in materia di società di trasformazione urbana

 

La scelta dei soci privati


La scelta dei soci privati nelle società a capitale misto pubblico privato è da sempre un tema di particolare rilievo e dunque oggetto di un vivace dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza.


Sul punto l’art.  120 del D.Lgs. n. 267/2000 precisa, quale regola generale per le STU, che la scelta del socio privato, debba avvenire tramite procedura ad evidenza pubblica; ciò soprattutto in ragione delle diverse attività che gli azionisti sono chiamati a svolgere. In un contesto simile, infatti, la scelta deve avvenire, per forza di cose, attraverso una procedura di carattere concorrenziale, con la quale si arrivi alla selezione di un partner privato che garantisca la miglior prestazione.


Inoltre, si sottolinea che non è detto che i soci privati debbano costituire la maggioranza nella STU, infatti – come sostiene parte della dottrina- “Non esiste un’unica ricetta per la composizione dei soci ma molto dipende dallo scopo della società e dalle caratteristiche dell’operazione di trasformazione che si intende realizzare.” 12


La definizione del ruolo dei soci privati all’interno della STU è dunque intimamente connessa al conseguimento degli obiettivi posti alla base della sua costituzione.


Dunque, ferma restando la necessità di adottare la procedura ad evidenza pubblica, come richiesto esplicitamente dalla norma, sarà necessario, in primis, individuare sul mercato la tipologia di socio privato la cui partecipazione è ritenuta maggiormente idonea al raggiungimento degli scopi prefissati.


I partner privati in questa ottica potranno appartenere a diverse categorie, ad esempio imprenditori (società di costruzioni, immobiliari etc.), finanziatori (istituti di credito), proprietari delle aree oggetto dell’intervento di trasformazione.


In ragione di ciò, la questione assume sfumature diverse a seconda del modello operativo e organizzativo ritenuto più idoneo alla realizzazione del progetto di trasformazione urbana che l’amministrazione intende perseguire attraverso la creazione di una STU. Ad esempio:

1. la STU si occupa della progettazione ed anche della successiva commercializzazione delle aree interessate dagli interventi, affidando la realizzazione dei lavori a soggetti terzi13 ;
2. la STU esegue direttamente tutte la fasi di realizzazione del programma dalla progettazione, alla realizzazione, alla commercializzazione;
3. la STU persegue finalità miste ed integrate rispetto ai modelli precedenti.


Nel primo caso, emerge la necessita di individuare dei soci che siano in grado di fornire alla società servizi avanzati, ad esempio nel settore del real estate development e/o del marketing territoriale, ma anche soggetti finanziatori, nella doppia veste di sottoscrittori del debito e di investitori, consulenti ed organizzatori del programma di trasformazione e commercializzazione. In tal senso il riferimento normativo principale per la individuazione delle procedure di evidenza pubblica necessarie alla scelta dei partner privati sarà la normativa applicabile in materia di appalti di servizi. A supporto di questa tesi la Circolare ministeriale 11 dicembre 2000, suggerisce il ricorso in via analogica al corpo normativo dettato in tema di società miste per l’erogazione di servizi pubblici locali, ed in particolare al D.P.R. n. 533/1996, secondo cui il socio privato è scelto dall’ente promotore mediante una procedura concorsuale ristretta, assimilata all’appalto concorso di cui al D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157 e s.m.i.


Nel secondo caso si avrebbe una STU capace di svolgere tutte le funzioni che la legge le consente, dunque, progettazione, realizzazione e commercializzazione.


Di conseguenza, oltre alle figure poc’anzi menzionate, la STU potrebbe avere la necessità di selezionare soci privati “costruttori”, cioè in grado di procedere alla realizzazione degli interventi. In questo caso, al riferimento alla disciplina volta a regolamentare l’appalto di servizi, si affiancherebbe, almeno per la realizzazione delle opere pubbliche, la normativa in materia di appalto di lavori (Legge n. 109/1994).


L’opportunità di ricorrere a soci costruttori è intimamente legata alla possibilità di procedere ad un affidamento diretto dei lavori ai medesimi (appalto in house), possibilità, in verità non sempre condivisa, e comunque oggetto di un vivace dibattito dottrinario.


Per quanto riguarda l’ultimo modello prospettato, si tratta di una STU che ricorre a partner privati capaci di intervenire trasversalmente ed in modo integrato nel disegno di trasformazione urbana da essa perseguito.


Questo punto di vista trova evidente conforto da parte di quella dottrina che sostiene: “il socio privato della STU, sia esso finanziatore o costruttore, è destinato a rivestire un ruolo attivo e diretto nella realizzazione e gestione del processo di riqualificazione di volta in volta in oggetto. In particolare, deve essere in grado di offrire oltre alle prestazioni tradizionali del settore edilizio, servizi integrati a lungo termine, con la fornitura di modelli per la gestione ottimale nel tempo degli immobili e con i necessari servizi finanziari”.14


D’altro canto, anche dalla circolare ministeriale si evince che il ricorso alla STU dovrebbe stimolare la creazione ed il coinvolgimento di partner privati che abbiano un approccio integrato al progetto di trasformazione urbana.


In questo contesto, certamente più interessante ed innovativo, rispetto alle figure riportate in precedenza, la scelta del socio privato dovrebbe derivare dall’individuazione di procedure che, a seconda delle esigenze, facciano riferimento sia alla normativa previste per gli appalti di servizi che alla più volte citata Legge Merloni sugli appalti di lavori.


Altra questione di cruciale importanza in merito alla scelta ed alla partecipazione del socio privato, riguarda i proprietari di immobili d’interesse della STU.


Sul punto parte della dottrina ha sostenuto che:

“i soci privati (della STU, ndr) sono suddivisi in soci strumentali (i proprietari delle aree), soggetti la cui scelta ottimale deriva dal mercato attraverso procedure di evidenza pubblica (detentori di un know-how altrimenti non disponibile) e soggetti semplicemente disponibili in quanto rappresentanti di un interesse generale (azionariato diffuso).” 15

 

Questo aspetto richiede una valutazione differente rispetto a quanto esposto fino ad ora sulle procedure di evidenza pubblica finalizzate alla scelta del socio privato.


La questione è dibattuta in dottrina, non trovandosi ancora un’interpretazione univoca della norma. In particolare si rilevano due tesi contrapposte:
1. la norma sull’evidenza pubblica non si applica, non potendosi assoggettare i proprietari a procedure concorsuali;
2. la norma si applica e quindi i proprietari, per partecipare devono essere selezionati con apposita gara.


In questo secondo caso, risulta evidente come i proprietari delle aree possono divenire soci solo dall’esito di una trattativa privata. Dunque, l’amministrazione costituente la STU dovrebbe dimostrare che la partecipazione dei proprietari delle aree è necessaria per la riuscita dell’operazione e che non sono individuabili alternative valide.



I rapporti con gli strumenti di pianificazione urbanistica


Il primo comma dell’ art.  120 (DLgs n.260/2000) prevede che la STU debba porre in essere gli interventi di trasformazione in “attuazione degli strumenti urbanistici vigenti”.


Come accennato in precedenza, il punto è controverso. Tanto è che la Circolare ministeriale, già oggetto di numerose citazioni nel presente testo, ha opportunamente sviluppato alcune considerazioni anche su di esso; esse appaiono quanto mai utili per delineare in modo più chiaro il rapporto tra l’operatività della STU e gli strumenti di pianificazione urbanistica.


Innanzi tutto, la previsione normativa secondo la quale, le STU operano in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti, per la circolare ministeriale: “mette in evidenza come nelle intenzioni del legislatore le STU non operano “in conformità” allo strumento medesimo dizione che normalmente si rinviene nelle leggi di settore e che trova motivazione nella volontà del legislatore di sottolineare pregiudizialmente che con gli interventi della società si devono conseguire gli obiettivi generali fissati dal piano.”


Questa tesi sarebbe avvalorata - sempre secondo la circolare - dagli orientamenti legislativi espressi da alcune regioni negli ultimi anni e dai contenuti dei più aggiornati piani regolatori.


Parte della dottrina16, contrariamente, ha sostenuto che tale aspetto costituisca in realtà una elemento di debolezza della normativa in materia di STU, soprattutto in ragione della mancanza di sufficienti spazi operati all’interno dei strumenti urbanistici generali vigenti.


Altra parte, in verità più risalente, ha ritenuto che le considerazioni fatte nella Circolare ,di particolare rilevo, in quanto esse portano a non poter “…dubitare dell’utilità dell’introduzione della stessa (la STU) nell’ordinamento giuridico. Infatti, le previsioni legislative consentono già la costituzione di società miste per la realizzazione di interventi urbanistico edilizi tout-court, mentre è proprio l’esclusiva funzionalizzazione all’attuazione della pianificazione urbanistica vigente a giustificare, per la sua specialità, l’introduzione della figura societaria in esame.” 17


In ogni caso, sempre secondo quanto si dice nella circolare, questa previsione insieme con quanto disposto dalla Legge n. 109/1994 e ss.m.ii. (Legge Merloni), soprattutto con riferimento al Piano triennale delle opere pubbliche, costituiscono elementi di novità dai quali emerge “un concetto dinamico di attuazione degli strumenti urbanistici basato sulla ricerca di collegamenti più solidi tra la programmazione delle risorse e l’assetto del territori.”


La STU si pone, dunque, come uno strumento che attua le previsioni generali del piano regolatore, anche se tale affermazione, secondo parte della dottrina è da considerarsi in senso lato, ovvero le STU possono anche dare “…concretizzazione alle previsioni di piani particolareggiati di attuazione siano essi a finalità generale o a finalità speciale.”18 Dunque una STU può essere costituita anche per la trasformazione di porzioni di territorio sulle quali il PRG abbia già provveduto ad individuare una disciplina di dettaglio.


Può accadere, però, che la trasformazione progettata, non sia conforme alle le previsioni del PRG, in tale ipotesi:“occorrerà procedere all’approvazione di apposite specifiche varianti, che, per esigenze di semplificazione del procedimento, potranno anche essere raccordate con le deliberazioni concernenti la costituzione della STU e la individuazione delle aree necessarie alla realizzazione dell’intervento.” 19
Su questo punto, inoltre, la Circolare ministeriale sottolinea che alcune nuove leggi urbanistiche regionali, prevedendo una differenziazione tra le varianti che operano una modifica essenziale al PRG e quelle che invece non incidono “in modo significativo sull’assetto stabilito dal piano”, consentono, attraverso piani attuativi, di procedere alla contestuale approvazione di varianti relative a disposizioni di dettaglio del PRG stesso, disposizioni cioè:“aventi carattere prevalentemente edilizio, ovvero riguardanti la dotazione di opere pubbliche, ovvero di interesse generale.”


Anche in questo caso, secondo la circolare, è consentito affermare che la STU stia agendo in “in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti”, infatti, tale termine può “…essere ricondotto entro i confini interpretativi dei principi che sovrintendono alle finalità che perseguono una maggiore continuità tra le scelte di pianificazione territoriale e la componente attuativa conseguente all’attivazione delle trasformazioni urbanistiche, anche con riferimento agli aspetti gestionali.”


Se dunque da un lato, anche in considerazione delle esperienze maturate in sede di studi di fattibilità, appaiono chiare le difficoltà di adattamento delle previsioni dell’art. 120 agli strumenti urbanistici più datati, d’altro canto risulta altrettanto evidente come la norma, sia stata scritta avendo come riferimento strumenti urbanistici aggiornati e capaci di rispondere alle più moderne esigenze di trasformabilità. Proprio per questo motivo, se ne deduce come essa miri ad esercitare un’influenza nel medio-lungo periodo, anche in considerazione dell’arco di tempo, solitamente ampio, necessario alla realizzazione dei processi di trasformazione.


Ferme restando queste considerazioni, e tornando all’eventualità di una non conformità dell’ipotesi di trasformazione alle previsioni dettate dal PRG, la Circolare ministeriale sostiene che si possano presentare due differenti situazioni, nel momento in cui ci si trovi di fronte a strumenti di pianificazione, le cui disposizioni non sono aderenti alle attuali esigenze di trasformazione, ovvero ispirate a “criteri e metodologie non ancora adeguate”:

- “che l’ipotesi di trasformazione, ancorchè di massima, rispetti sostanzialmente (nei limiti consentiti dalle singole norme regionali) le prescrizioni del piano regolatore generale, pur richiedendo modifiche allo stesso in sede attuativa;
- che l’ipotesi di trasformazione contrasti significativamente con le previsioni del piano regolatore generale riguardo le principali infrastrutture, le quantità edilizie e le funzioni prevalenti messe in gioco, ovvero non ne rispetti talune specifiche prescrizioni.”

 

In quest’ultimo caso, così come affermato dalla maggior parte della dottrina e come sostenuto dalla stessa Circolare n. 622/2000, sarà necessario procedere all’approvazione della variante al PRG, prima della costituzione della STU, infatti, come accennato, la deliberazione di costituzione deve rappresentare in modo unitario l’intervento di trasformazione urbana da realizzarsi anche (e soprattutto) con riferimento alle finalità che si intendono perseguire.



L’individuazione ed acquisizione degli immobili


Come detto, L’art. 120 prevede che la STU provveda alla preventiva individuazione delle aree oggetto d’intervento e alla relativa acquisizione con apposita delibera del consiglio comunale.

 

In ordine all’ambito territoriale di operatività della STU ed alla necessità che questa si costituisca prima o dopo della individuazione del medesimo, la giurisprudenza del TAR ha contribuito a chiarire alcuni dubbi interpretativi; da un lato, infatti, si è ritenuto irrilevante il fatto che la STU sorga prima o dopo l’individuazione delle aree da parte del Consiglio comunale, ”… l’importante, infatti, è che vi sia “la considerazione unitaria dell’intervento da realizzarsi” nonché “l’esternazione delle finalità perseguite”21, dall’altro si è sostenuta la legittimità di una STU cosiddetta “omnibus”.


Sul punto, si è considerato che il tenore letterale della norma non esclude affatto la possibilità di costituzione, da parte di un ente locale “…di una società di trasformazione urbana, senza la preventiva e specifica individuazione delle aree del territorio su cui effettuare gli interventi urbanistici, al fine di operare, in generale, sull’intero territorio comunale o nel territorio di più comuni.” 22


La tesi sostenuta dal TAR, che in buona sostanza legittima la possibilità di individuare nelle STU delle vere e proprie agenzie di sviluppo locale, si fonda sul fatto che un’interpretazione diversa della norma porterebbe a risultati illogici.


Essa, infatti, risulterebbe in evidente contrasto con i principi di economicità ed efficacia dell’attività amministrativa, comportando l’obbligo da parte del comune ad esperire, ogni volta, il complesso e gravoso procedimento di costituzione di una STU "ad hoc", per ogni singolo intervento che un comune intendesse realizzare avvalendosi di tale strumento. 23


La tesi esposta dal giudice amministrativo, non sembra essere condivisa, da quella parte della dottrina che vede nella STU una società di scopo, la cui sopravvivenza sarebbe legata all’esperimento di un singolo intervento, anche di ampia portata.


Il legislatore ha inoltre stabilito che:“l’individuazione degli immobili equivale a dichiarazione di pubblica utilità24, anche per gli immobili non interessati da opere pubbliche”, e l’acquisizione degli immobili può avvenire consensualmente o tramite ricorso alle procedure di esproprio da parte del Comune.

 

Il punto in oggetto è uno dei più controversi e discussi in dottrina. In particolare, il dibattito si è focalizzato su due questioni: la natura della acquisizione consensuale, se questa, cioè, possa configurarsi quale atto lasciato alla libera contrattazione tra le parti, e la possibile alternatività tra acquisizione consensuale e ricorso all’esproprio.


In merito, l’orientamento dottrinario maggiormente in linea con la natura dello strumento sarebbe quest’ultimo, improntato ad una maggiore flessibilità, con una duplice opzione per i soggetti coinvolti.


Dunque, da un lato, sarebbe possibile procedere attraverso la strada della libera contrattazione per l’acquisizione degli immobili tra la STU e i privati proprietari, in seconda battuta, interverrebbe il procedimento espropriativo che potrebbe concludersi o con un accordo di cessione bonaria tra le parti25 o con il provvedimento di esproprio.


In proposito, è stato opportunamente rilevato, che: “può accadere che con riferimento ad alcune ipotesi, la via negoziale consenta non solo maggiore rapidità nell’acquisizione dell’area, ma riduca i potenziali rischi conflittuali con i proprietari. Se non vi fosse via alternativa a quella procedimentale, l’opposizione all’espropriazione da parte anche di un privato potrebbe ritardare e forse arrestare l’intero intervento di trasformazione” 26.


Anche la Circolare ministeriale 11 dicembre 2000 n. 622, sebbene non chiarissima sul punto, sembra propendere per tale soluzione stabilendo, infatti, che “…sin dalla fase di individuazione dell’ambito di intervento, è possibile avviare trattative con i proprietari delle aree al fine di verificare la possibilità della bonaria cessione dei beni. In proposito è opportuno sottolineare (…) che il ricorso all’espropriazione deve essere preferibilmente inteso come residuale e cioè quale strumento volto a sopperire la disponibilità del proprietario alla bonaria cessione del bene.” 27


Altra parte della dottrina,28 ritiene che l’avvio del procedimento ablatorio sarebbe, in ogni caso, necessario. Ovvero, la libera contrattazione tra le parti non andrebbe inquadrata quale soluzione alternativa all’attivazione del procedimento di esproprio, ma sarebbe semplicemente quella cessione bonaria, sostitutiva del provvedimento, ma comunque parte integrante del procedimento medesimo.

 
Sempre in tema di acquisizione degli immobili coinvolti, nulla osta al conferimento a capitale da parte dei privati proprietari, la qual cosa comporterebbe la loro acquisizione definitiva da parte della STU. Il punto si presenta comunque abbastanza controverso.


Il predetto conferimento, così come si sostiene nella più volte citata Circolare ministeriale, consentirebbe alla STU di limitare gli oneri finanziari per l’acquisizione di immobili.

 
Ovviamente i privati proprietari entrerebbero a far parte della compagine societaria, ottenendo azioni quale corrispettivo.


Se da un lato l’utilità che tale opportunità offre è fuori discussione, d’altro canto le modalità attraverso le quali essa si può concretizzare sono state oggetto di dibattito e di una sentenza del tribunale amministrativo29 regionale.


Anche in questo caso, infatti, trova applicazione la regola in base alla quale la scelta del socio privato deve avvenire attraverso una procedura di evidenza pubblica, da canto suo però, la Circolare ministeriale esclude che si possa trattare, nel caso di specie, di asta pubblica o di licitazione privata, poiché, seppur con le dovute differenze, si tratta in entrambe i casi di procedure concorrenziali.


Dunque, per i soci proprietari non resta che la trattativa privata, anche se – sempre secondo il dettato della Circolare – in via eccezionale.


Ovvero l’utilizzazione di questo strumento deve dar conto delle “…speciali ed eccezionali circostanze che hanno consigliato tale procedura, attraverso una esposizione delle ragioni che hanno indotto l’amministrazione ad avvalersene”.


Sostanzialmente il Comune dovrebbe dimostrare che non ci sono alternative valide, rispetto alla partecipazione dei privati proprietari, per la riuscita dell’operazione.


Il punto è particolarmente controverso e l’intervento del giudice amministrativo, benché rilevante, non scioglie tutti i nodi della questione30, in relazione, soprattutto, alla varietà di ipotesi operative che un istituto come la STU può avere.

 

In ultimo, come già accennato in precedenza, si sottolinea che gli immobili di proprietà degli enti locali possono essere conferiti alla STU, anche a titolo di concessione. Il riferimento è, in particolare, a quei beni che, pur sottratti alle ordinarie regole di circolazione, devono essere temporaneamente ceduti nella disponibilità del soggetto attuatore, in modo da favorire il buon esito dell’operazione di trasformazione urbana31 .


Secondo la dottrina, attraverso questa disposizione, risultano “… evidenti sia il rafforzamento dell’intenzione di ricondurre nei limiti di un incidenza commerciale e non speculativa il peso economico delle aree e degli immobili in genere, sia il privilegio della valenza qualitativa dell’intervento: esso si realizzerà nei modi e nei siti decisi in sede di progetto urbanistico, senza alcun condizionamento determinato dalla titolarità delle aree.”32 o con il provvedimento di esproprio

 

 

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1 Si pensi, ad esempio, alla STU Bagnoli Futura Spa, partecipata dal Comune, dalla Provincia di Napoli e dalla Regione Campania e finalizzata alla riqualificazione dell’ex area siderurgica.
2 Sul punto: “L’art.  44 della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Collegato Infrastrutture) è intervenuto sul testo dell’art.  120, sostituendo il termine “aree” con quello di “immobili”, in tal modo ampliando ulteriormente le prospettive di utilizzazione delle STU. È infatti chiaro l’intento di superare tutti quei limiti operativi, derivanti dalla specificazione del concetto di area di intervento, contenuta nella Circolare ministeriale esplicativa n. 622/00. Il ricorso alla STU, quindi, sembra ora ipotizzabile non più solo con riguardo ad “aree urbane consolidate” che “richiedono interventi di ristrutturazione urbanistica nettamente prevalenti su quelli di edilizia e di restauro” o che sono “caratterizzate da una particolare discontinuità qualitativa”, ma anche per le “aree libere” e cioè di espansione edilizia, nonché, a rigore, per più semplici interventi di riqualificazione immobiliare (singoli immobili o complessi di edifici). A voler concludere diversamente non sarebbe dato intendere il senso della modifica legislativa .” - R. DELLI SANTI – F. SUTTI, “Le Società di Trasformazione Urbana”, relazione tenuta al workshop “Nuove opportunità per gli Enti Locali: le S.T.U. (Società di Trasformazione Urbana)” Roma, 26 novembre 2002, Hotel Columbus
3 Per approfondimenti si rimanda a L. DE LUCIA – “L’esperienza francese delle SEM”, in Le Società di Trasformazione Urbana a cura di G. STORTO, Il Sole 24-Ore, Milano 2004
4 Cfr. M. DUGATO – Oggetto e regime delle Società di Trasformazione Urbana, in Dir. Amministrativo, n. 1/1999 Milano
5 Per una panoramica dei casi di società miste costituite antecedentemente alla legge n. 127/1997: S. STANGHELLINI, Le società miste per la trasformazione urbana in Italia, in Riv. Trim. Appalti, Maggioli 1998
6 Legge n. 166/2002 (Collegato infrastrutture)
7 Cfr. M. DUGATO – Oggetto e regime delle Società di Trasformazione Urbana, in Riv. di Diritto Amministrativo, Milano 1999
8 G. PAGLIARI- Le società di trasformazione urbana, in Riv. Giur. di Urbanistica 1998
9 Per un approfondimento in merito si rimanda all’analisi dei casi studio in allegato al quadro conoscitivo dello studio di fattibilità: Comune di Crotone, ”Costituzione di una Società do Trasformazione Urbana per l’attuazione del Progetto Strategico Stazione” - Primo rapporto in progress, Dicembre 2004, pagg. 46 e ss.
10 R. DELLI SANTI - F. SUTTI, Le Società di Trasformazione Urbana, relazione tenuta al workshop “Nuove opportunità per gli Enti Locali: le S.T.U. (Società di Trasformazione Urbana)” Roma, 26 novembre 2002, Hotel Columbus
11 Si veda G. DELLA MEA – Livello strategico dei nuovi strumenti urbanistici: il caso del Comune di Bergamo, atti del convegno “Società di trasformazione urbana”, Affari & Finanza – Somedia, Hotel Executive, Milano 19 ottobre 2004
12 G.STORTO, Società di trasformazione urbana e governo del territorio, Il Sole 24-Ore, Milano 2004
13 Sul punto L.CESARINI :“… nello svolgimento delle attività di progettazione e di costruzione la STU può operare attraverso due modalità: o avvalersi di una propria organizzazione interna ovvero rivolgersi al mercato attraverso l’affidamento all’esterno di queste attività. In questa seconda ipotesi, si pone il problema di eventuali vincoli cui la STU potrebbe essere sottoposta in quanto soggetta all’adozione di procedure di evidenza pubblica per la scelta dei progettisti e degli esecutori delle opere”, in Società di trasformazione urbana: profili giuridici, in Diritto & Diritti, 2002
14 R. DELLI SANTI - F. SUTTI – “Le Società di Trasformazione Urbana”, relazione tenuta al workshop “Nuove opportunità per gli Enti Locali: le S.T.U. (Società di Trasformazione Urbana)” Roma, 26 novembre 2002, Hotel Columbus
15 Cfr. L. DE LUCIA, I profili giuridici, in G. STORTO - Le società di trasformazione urbana, Il Sole 24-Ore, Milano 2004
16 In particolare P. MANTINI: “La previsione di realizzare gli interventi di trasformazione urbana ipotizzati (aree o immobili dimessi, grandi trasformazioni di proprietà pubbliche, recupero e riqualificazione urbana, attuazione di comparti ecc.) “in attuazione dei piani urbanistici vigenti”, costituisce un punto debole e illusorio dell’ipostazione normativa.”
17 G. PAGLIARI - Le società di trasformazione urbana, in Riv. Giur. di Urbanistica., Maggioli 1998
18 G. PAGLIARI - Le società di trasformazione urbana, in Riv. Giur. di Urbanistica., Maggioli 1998
19 G. GARZIA- Pianificazione urbanistica comunale e società di trasformazione urbana, in Riv. Giur. di Urbanistica., Maggioli 2000
20 sul punto: “Lo schema procedurale prevede che una proposta della STU venga approvata con delibera del C.C. contenente la localizzazione delle aree interessate e la previsione di realizzazione delle opere di urbanizzazione necessarie all’ordinato sviluppo del territorio in modo da porsi come strumento di attuazione delle indicazioni dello strumento urbanistico generale.” G.DE MARZO, Le Società di Trasformazione Urbana, in Urbanistica e Appalti n. 8/1997.
21 TAR Marche, Ancona, Sez. I, Sent. N. 698/1991
22 TAR Veneto, Venezia, Sez. I, Sent. N. 4280/2004
23 Per un’analisi critica sul punto si rimanda a R. PERTICARARI, Società omnibus: il rischio delle scorciatoie, in Guida agli Enti Locali – il Sole-24 Ore, n. 8/2005
24 art.  13, DPR n. 327/2001 Testo Unico Edilizia.
25 E. PICOZZA, Le nuove prospettive per le STU, relazione al workshop “Nuove opportunità per gli Enti Locali: le STU”, Roma, 26 novembre 2002, Hotel Columbus; sul punto inoltre G. PAGLIARI sostiene che: “le STU possono procedere sia con vere e proprie compravendite sia con procedimenti espropriativi. La previsione del valore di dichiarazione implicita di pubblica utilità della deliberazione comunale di individuazione delle aree ha indotto taluno dei commentatori ad escludere la prima ipotesi, cioè la compravendita, sul presupposto che non può ritenersi iniziato il procedimento di espropriazione, di cui notoriamente la dichiarazione di pubblica utilità costituisce il primo provvedimento. La lettera del quarto capoverso del comma 59 dell’art. 17 L. 127/1997( ora art.  120 TUEL, ndr), prevedendo entrambe le fattispecie (compravendita ed esproprio) porta, invece, a ritenere esatta la prima tesi”, in Le società di trasformazione urbana, in Riv. Giur. di Urbanistica., Maggioli 1998; sul punto anche A. CLARIZIA: ” Nonostante varie interpretazioni secondo cui la norma presupporrebbe sempre l’avvio del procedimento espropriativo, la ratio della legge indica chiaramente la via contrattuale in alternativa a quella espropriativa ed in tal senso sembra esprimersi la circolare ministeriale secondo cui “l’ acquisizione delle aree può essere effettuata dal comune anche prima della costituzione della società; soluzione questa che agevola in termini procedimentali la definizione formativa del quadro sociale”. Ne consegue che è possibile avviare trattative con i proprietari delle aree al fine di verificare la possibilità della bonaria cessione dei beni intendendo perciò residuale il ricorso all’espropriazione “in nome e per conto del comune”., in Spunti sulle società di trasformazione urbana.
26 Cfr. M. DUGATO, Oggetto e regime delle società di trasformazione urbana in Dir. Amm., 1999, pag. 511 e ss.
27 La Circolare ministeriale 11 dicembre 2000 n. 622, sul punto aggiunge che l’acquisizione delle aree attraverso la bonaria cessione, dovrà avvenire secondo le modalità stabilite all’art.  5-bis del DL n. 333/1992, convertito nella Legge n. 359/1992.
28 P. URBANI - Trasformazione urbana e società di trasformazione urbana, in Riv.Giur.di Urbanistica, n. 3-4, Maggioli 2000, pagg. 629-631; L. CESARINI - Società di trasformazione urbana: profili giuridici, in Diritto & Diritti, 2002
29 TAR Umbria, Perugia, Sez. I, Sent. N. 987/2003
30 Il giudice amministrativo ha sostenuto, in primis, che tra l’applicazione del l’art.  120 del DLgs n. 267/2000 che regola le STU e la Circolare richiamata, debba prevalere certamente la disciplina dettata dal primo, la quale, come si sa, prevede l’espletamento di gare per la selezione dei soci privati delle STU.
In secondo luogo: “la legittimità del ricorso alla trattativa privata presuppone un giudizio motivato circostanziatamene) di oggettiva impossibilità/inutilità della gara, anziché un giudizio discrezionale di maggiore o minore opportunità.” In definitiva, data la possibilità, riconosciuta alla STU, di poter sempre acquisire gli immobili attraverso la procedura di esproprio, la scelta di acquisire gli immobili dei privati proprietari scambiandoli con azioni, sebbene sia una soluzione valida sul piano dell’opportunità, non può essere definita come indispensabile. Dunque sulla base di queste considerazioni, la disciplina dettata dall’art.  120, che impone l’evidenza pubblica per la scelta dei soci privati, non può essere derogata.
31 In tal senso, di recente l’art.  30 del DL n. 269/2003 convertito nella L. n. 326/2003, ha previsto la possibilità di conferire o attribuire, a titolo di concessione, alla STU “singoli beni immobili o compendi immobiliari di proprietà dello Stato, individuati dall’Agenzia del Demanio”, suscettibili di valorizzazione, trasformazione, commercializzazione ed anche gestione.
32 T. LAVOSI, La circolare 11 dicembre 2000, n. 622: problematiche applicative e contenuti, in G. STORTO, Le società di trasformazione urbana, Il sole 24-Ore, Milano 2004

 

Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it  - anno 2005

 

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