La stipula dei contratti d’investimento tra neoformalismo e distinzione tra contratto-programma e singoli negozi esecutivi.
FILIPPO DURANTE
Il verificarsi di molteplici scandali finanziari e la maggiore speditezza del
rito societario introdotto con il D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, così come
successivamente novellato, hanno contribuito alla recente emersione di un vero e
proprio diritto giurisprudenziale in materia di servizi d’investimento.
Le recenti pronunce, lungi dall’adagiarsi supinamente su soluzioni
tralatiziamente ripetute, hanno offerto proposte ermeneutiche differenti: non
così, tuttavia, in materia di requisiti di forma previsti per la stipula dei
contratti, laddove l’orientamento delle corti è apparso definito e
sostanzialmente monolitico.
L’art. 23 comma 1 del D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (di seguito TUF), come è
noto, statuisce a pena di nullità relativa che “i contratti relativi alla
prestazione dei servizi d’investimento e accessori” - fatta eccezione per
quei particolari tipi che, per ragioni tecniche ovvero per la professionalità
degli investitori, possono o debbono essere stipulati con altra forma - “sono
redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti”.
Anche per scongiurare l’emersione di un neoformalismo, tuttavia, la
giurisprudenza ha operato una summa divisio tra contratto-programma e
singoli negozi conclusi nell’ambito ed in esecuzione del rapporto che trova la
propria fonte in detto master agreement.
Ebbene, la forma ad substantiam prescritta deve essere riferita
esclusivamente al contratto che è fonte del rapporto negoziale (Tr. Mantova, 14
aprile 2005; Tr. Milano, 25 luglio 2005; ma contra, Tr. Roma, 25 maggio
2005), generalmente rappresentato, allorché l’intermediario è una banca, dal
conto corrente, deposito titoli e prestazione di servizi finanziari: in tal
caso, la forma dei negozi d’investimento esecutivi è rimessa all’autonomia
privata delle parti ed assume rilevanza giuridica esclusivamente sotto il
profilo probatorio.
Non è escluso, tuttavia, che anche un contratto di investimento contenente un
unico ordine possa costituire, autonomamente, la fonte del rapporto: anche in
tal caso, tuttavia, le singole operazioni che eventualmente ne costituiscono
successiva attuazione non presuppongono, ai fini della validità dell’atto, la
forma scritta.
La giurisprudenza ha enucleato tale distinzione in virtù dell’art. 24 comma 1
lett. a) del TUF, secondo cui “il contratto” di gestione dei portafogli
d’investimento “è redatto in forma scritta”, costituendo sempre un
contratto-base: dalla disposizione de quo sembra desumersi che, viceversa, per
gli altri servizi d’investimento, non occorre la forma scritta qualora le
singole operazioni siano precedute da un accordo-quadro, così come d’altra parte
accade per gli atti esecutivi del contratto di gestione dei portafogli qualora
quest’ultimo non disponga diversamente (Tr. Bari, 26 maggio 2005/20 giugno
2005).
Ulteriore e decisivo argomento a favore della tesi della libertà di forma per le
operazioni esecutive è stato tratto da un’interpretazione a contrario
dell’art. 30 comma 2 del Regolamento Consob 1 luglio 1998 n. 11522 (di seguito
Regolamento Intermediari), laddove si stabilisce che nel “contratto” –
programma “con l’investitore” si “deve…indicare le modalità attraverso
cui l’investitore può impartire ordini e istruzioni”: disposizione che, per
il Tr. Milano 25 luglio 2005, è compatibile con l’art. 23 del TUF solo se si
parte dall’assunto dell’obbligatorietà della forma scritta esclusivamente per il
master agreement, prescindendosi in questa sede dal dibattito
dottrinario, non scevro da implicazioni pratiche, sulla configurabilità dello
stesso quale contratto-quadro in senso tecnico ovvero quale contratto normativo.
Anche se esclusivamente ai fini dell’eventuale ammissibilità della prova
testimoniale avente ad oggetto patti aggiunti o contrari rispetto al contenuto
di un documento anteriore o contemporaneo (art. 2722 c.c.), d’altra parte, le
corti di merito si sono altresì interrogate circa la qualificazione quale
contratto dell’ordine impartito dall’investitore: la soluzione secondo cui
l’ordine sarebbe un contratto (Tr. Roma, 25 maggio 2005), derivandosi la
bilateralità del consenso dalla sussistenza nel modulo del riquadro con
l’indicazione dell’intermediario, ovvero in ogni caso un atto unilaterale del
risparmiatore avente valenza contrattuale (Tr. Venezia, 5 maggio 2005), sembra
in linea con l’art. 4 numero 5 della direttiva 2004/39/Ce ed offre argomenti a
favore dell’interpretazione a contrario, estesa anche alle altre operazioni
d’investimento attuative del contratto-quadro, dell’art. 30 comma 2 del
Regolamento Intermediari.
Nessun rilievo confliggente, invece, è stato attribuito all’art. 30 primo comma
del Regolamento Intermediari – secondo cui “gli intermediari autorizzati non
possono fornire i propri servizi se non sulla base di un apposito contratto
scritto” -, nella presupposizione che la citata disposizione faccia
riferimento precipuo all’accordo-programma.
La giurisprudenza, tuttavia, diverge sul carattere del rinvio all’autonomia
privata operato dal comma secondo della disposizione di fonte secondaria: posto,
insomma, che la legge non prescrive eteronomamente la forma ad substantiam
per le operazioni esecutive, l’orientamento consolidato sostiene che, qualora
nel contratto-quadro sia tuttavia prevista la redazione per iscritto degli
accordi a valle, si applicherebbe l’art. 1352 c.c., secondo cui “se le parti
hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura
conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la
validità di questo” (Tr. Bari, 26 maggio/20 giugno 2005). Non mancano,
tuttavia, decisioni in controtendenza, secondo le quali nel caso in esame non
potrebbe operare la suddetta presunzione, atteso che l’art. 1352 c.c. si
riferisce alla previsione concorde della forma necessaria per la successiva fase
genetica di diversi contratti: afferendo, invece, le operazioni attuative del
contratto-programma alla sua esecuzione, e dunque alla sequenza procedimentale
che ne costituisce proiezione negoziale, un contratto esecutivo stipulato
oralmente risulterebbe nullo esclusivamente allorché il master agreement
prescriva espressamente a fini di validità la forma scritta eventualmente
stabilita per gli accordi successivi (Tr. Venezia, 22 luglio 2004).
La considerazione dei singoli contratti aventi ad oggetto servizi d’investimento
quali operazioni esecutive dell’accordo-base eventualmente stipulato a monte,
inoltre, offre un argomento decisivo alla giurisprudenza che qualifica come
contrattuale, non già come precontrattuale, la responsabilità dell’intermediario
che si sia reso inadempiente con riguardo agli obblighi informativi precedenti
alla stipulazione dei contratti a valle: la violazione delle regole di
diligenza, lealtà, correttezza e trasparenza poste a presidio di un consenso
informato, in tal caso, si connoterebbe quale inadempimento rispetto agli
obblighi contrattuali assunti in sede di conferimento del mandato, e pertanto di
stipula del precedente accordo-programma, ad onta del fatto che tali condotte
siano antecedenti alla perfezione dei negozi attuativi dei servizi
d’investimento (Tr. Palermo, 17 gennaio 2005, Tr. Milano, 25 luglio 2005). Tale
inquadramento, tuttavia, sembra addivenire a soluzioni apparentemente
schizofreniche - recepite da Tr. Roma, n. 17539 del 29 luglio 2005, che tuttavia
si interroga sulla correttezza dell’interpretazione dell’art. 30 comma 2
Regolamento Intermediari -, secondo cui la violazione delle regole che
prescrivono all’intermediario obblighi di diligenza e di informativa genererebbe
responsabilità contrattuale, qualora dovesse precedere la stipula di un accordo
esecutivo, mentre sarebbe fonte di responsabilità precontrattuale, qualora
dovesse precedere la stipula di negozi aventi ad oggetto rapporti ad esecuzione
istantanea e prospettati quali monadi: in tal caso, vale a dire se il contratto
d’investimento costituisce l’unica fonte del rapporto, le regole di condotta
degli intermediari si estrinsecano quale peculiare specificazione dell’art. 1337
c.c., così come d’altra parte incorre in responsabilità precontrattuale
l’intermediario che viola le suddette disposizioni prima della stipula del
contratto-programma.
La commistione di due piani negoziali ontologicamente correlati, tuttavia, pone
altresì problemi di natura diacronica afferenti alla disciplina temporalmente
applicabile nel caso in cui il master agreement sia stato stipulato
precedentemente all’entrata in vigore del TUF: quantunque abbia inteso la
violazione delle regole di condotta antecedenti alla stipula degli accordi
esecutivi quale inadempimento rispetto al contratto-programma, una corte di
merito ha sostenuto che nel caso di specie si applicano in ogni caso le
prescrizioni del TUF, a meno che nell’accordo-base le parti non abbiano
apertis verbis previsto l’inoperatività della disciplina che sarebbe
successivamente intervenuta (Tr. Taranto, n. 2273 del 27 ottobre 2004). Anche
nell’addivenire a tale conclusione giuridica, tuttavia, la giurisprudenza si è
astenuta dal conferire autonomia alle singole operazioni esecutive, avendo
invece preferito approfondire la vexata questio della nullità
sopravvenuta.
L’architettura duale in tal modo prospettata assume, altresì, rilevante
pregnanza giuridica per l’orientamento che che – prescindendo dalla tassativa
pretederminazione, da parte del legislatore, della conseguenza giuridica
dell’invalidità - individua il discrimen tra nullità e risoluzione per
inadempimento del contratto nella qualificazione, rispettivamente, come genetici
ovvero come funzionali dei vizi riscontrati (Tr. Taranto, n. 2273 del 27 ottobre
2004; Tr. Ferrara, 27 febbraio 2005, n. 217; Tr. Genova, 15 marzo 2005). Ebbene,
in caso di condotte negligenti dell’intermediario antecedenti alla conclusione
dell’accordo risulterebbe sempre accertabile, su istanza di parte, la nullità
del negozio di investimento stipulato indipendentemente dalla formalizzazione di
un precedente accordo-quadro, e viceversa dovrebbe essere considerato risolubile
un analogo contratto, in caso di identiche condotte, se a monte vi sia un
master-agreement. Nel caso di insorgenza di quest’ultima fattispecie,
dovrebbe essere considerato risolto, tuttavia, esclusivamente il singolo
contratto esecutivo (Tr. Bari, 26 maggio/20 gugno 2005), a meno che la gravità
dell’inadempimento non sia tale da travolgere l’intero blocco di rapporti che
trovano la propria fonte nel contratto-base.
Di contro, resta tuttora inesplorato dalle corti di merito il tema degli effetti
derivativi della declaratoria di nullità che colpisca il contratto-programma
rispetto alle sorti degli accordi che ne costituiscano attuazione.
Pubblicato su
www.ambientediritto.it il 10/12/2005