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I c.d. "Territori costruiti" nel vigente P.U.T.T. della Puglia**

 

ANGELO LANNO(*)


 


 Sommario: 1. Inquadramento sistematico; 2. Definizione di “territori costruiti” dettata dal P.U.T.T. della Regione Puglia; 3. Ruolo della perimetrazione; 4. Effetti per i beni paesaggistici ed ambientali ricadenti nei “ territori costruiti”; 5. Operatività della disciplina attuale rispetto al Codice dei beni culturali e del paesaggio.

1. Inquadramento sistematico

Il Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il “Paesaggio” della Regione Puglia, approvato sul finire del 2000 dopo un lungo e travagliato iter formativo, sottopone –ai sensi degli artt. 1 bis L. 8.8.1985 n. 431 (c.d. Legge Galasso) e 149 del D. Leg.vo 29.10.1999 n. 490 (Testo Unico sui beni ambientali e paesaggistici)- l’intero territorio regionale a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale, mediante normazione dei processi che devono sovrintendere la sua trasformazione fisica, al fine di salvaguardarne l’identità storica e culturale e di rendere compatibili la qualità del paesaggio, nelle sue componenti strutturali, col suo uso sociale.


Tale compito è stato assolto non solo con l’individuazione delle aree protette e la perimetrazione degli “ambiti” sui quali si proietta la tutela dei valori estetico-culturali, ma anche attraverso la previsione di regole immediatamente vincolanti per i destinatari, pubblici e privati, chiamati ad attuare la programmazione dell’uso e della trasformazione del territorio. Sicché esso è, con assoluta certezza, riconducibile al Piano Territoriale di Coordinamento di cui all’art. 5 L. n. 1150/19421, giusta richiamo, operato dal secondo comma dell’art. 1.01 dello stesso P.U.T.T., ai requisiti fissati dagli artt. 4, lett. c) e d), (sotto il profilo contenutistico) e 8 (sotto quello procedurale) della L.R.P. n. 56 del 1980 (Legge Urbanistica).


In virtù di tale legge il Piano Urbanistico Territoriale -che poteva anche essere tematico, in funzione dei singoli interessi considerati- rappresentava il quadro di riferimento per la pianificazione (generale e di settore) del territorio regionale, ad ogni scala. Al punto che, ancora oggi, le prescrizioni ivi contenute, concernenti le zone sottoposte a tutela, producono effetti integrativi sulle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti. Mentre permane l’obbligo per i comuni di recepire le prescrizioni e le previsioni ivi contenute nell’ambito dei loro strumenti urbanistici, pena l’applicazione diretta delle stesse. Perciò è evidente la ragione per cui il Piano per il paesaggio adottato dalla Regione Puglia -in consonanza con quelli adottati da altre regioni- estende la sua portata, oltre che ai beni vincolati, anche a zone non soggette al regime di tutela paesistica, ma nondimeno ritenute meritevoli di considerazione, in quanto espressione della più generale potestà urbanistica regionale in materia ambientale.


In quest’ottica l’individuazione delle aree protette (realizzata mediante un procedimento di ricognizione dei caratteri cui si riconnette un valore ambientale da proteggere in via primaria) e la perimetrazione degli “ambiti” (che rappresentano la dimensione obbligatoria del piano) hanno particolare importanza sotto l’aspetto prescrittivo, poiché in tali dimensioni il Piano oppone, tramite le Norme Tecniche di Attuazione, una tutela diretta dei valori paesaggistici identificati in fase di analisi. Per ognuno degli ambiti individuati e, quindi, perimetrati, infatti, il PUTT/P stabilisce, attraverso una specifica normativa di riferimento, calibrata in funzione della maggiore e/o minore presenza dei valori paesaggistici, un grado di trasformabilità differenziata dell’attuale assetto paesaggistico, persino escludendo del tutto ogni trasformazione in alcune specifiche aree direttamente interessate dalla presenza dei c.d. “ambiti territoriali distinti”, ovvero da “emergenze” e/o “componenti ed insiemi di pregio” che costituiscono gli elementi caratterizzati, oltre che strutturanti, il paesaggio. Con ciò definendo anche gli obiettivi di qualità da perseguire (per es. il mantenimento delle caratteristiche dei valori costitutivi e delle morfologie delle varie tipologie di paesaggio caratterizzanti il territorio regionale) e la previsione di linee di sviluppo compatibili con i diversi livelli di valori acquisti in fase di ricognizione, tali da non diminuire il pregio paesaggistico del territorio regionale, con particolare attenzione soprattutto alla salvaguardia delle aree agricole.


Tale ultimo aspetto, in particolare, caratterizza la più pregnante sfera di operatività del piano, poiché, a ben vedere, già in fase di formazione esso non poteva non risentire della deroga impressa, a livello statale, dal secondo comma dell’art. 146 D.L.vo n. 490/1999 (a sua volta riproduttivo della identica previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 1 Legge Galasso) per i territori antropizzati. E cioè per quei territori che, in quanto caratterizzati da intensa edificazione, erano alla data del 6 settembre 1985 configurati, ex art. 2 D.M. 2.4.1968, negli strumenti urbanistici comunali (P.R.G.) come zone omogenee “A” (centri storici interessati da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale) e “B” (residenziali, totalmente o parzialmente edificati); ovvero come zone diverse ma limitatamente alle porzioni ricomprese nei Piani Pluriennali di Attuazione; ovvero ancora, per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici, ricadenti nei centri edificati perimetrati ai sensi dell’art. 18 della L. 22.10.1971 n. 865.


A tal proposito vanno fatte subito due precisazioni.


La prima riguarda l’interpretazione del richiamo legislativo alle “zone omogenee”: secondo il consolidato orientamento del Consiglio di Stato il richiamo dell’art. 146 alla classificazione di cui al D.M. 2.4.1968 n. 1444 non va inteso come riferito alla c.d. “Zonizzazione”, considerata la risalenza delle pianificazioni all’epoca esistenti; bensì allo stato di effettiva edificazione ed urbanizzazione delle zone omogenee. Sicché la concreta individuazione degli ambiti “costruiti” rimane legata alla loro effettiva urbanizzazione; e cioè alla verifica dell’edificato operata dai comuni in occasione della loro perimetrazione.


La seconda inerisce alla ratio dell’inclusione, tra i territori urbanizzati, delle aree che, pur non rientranti di fatto nelle “zone omogenee” A e B, siano ricomprese nei Piani Pluriennali di Attuazione: in una recente pronuncia dei Giudici amministrativi baresi2, infatti, si è chiarito che la ragione della disposizione normativa è quella di consentire l’ultimazione delle opere già avviate in esecuzione dei P.P.A. vigenti al momento dell’entrata in vigore del T.U. n. 490/99, in deroga alla regola generale del blocco transitorio di ogni attività edilizia dettata, come norma di salvaguardia, dall’art. 1 quinquies della Galasso. Per cui l’esclusione della tutela, avendo carattere eccezionale con finalità di difesa di situazioni in itinere, non è destinata a sopravvivere alla scadenza dell’atto di panificazione territoriale assunto a parametro della sua efficacia, la cui durata è, com’è noto, di 5 anni.



2. Definizione di “territori costruiti” dettata dal P.U.T.T. della Regione Puglia

Ebbene, nell’ambito di tale quadro normativo il vigente Piano Urbanistico Territoriale Tematico del “Paesaggio” della Regione Puglia distingue nettamente i c.d. “territori costruiti” -che rappresentano, per così dire, la trasposizione concettuale delle aree considerate, dal secondo comma dell’art. 146 T.U. del 1999, prive di intrinseco interesse paesaggistico- dagli “ambiti territoriali estesi” (nei quali la trasformazione dell’attuale assetto paesaggistico è condizionata al perseguimento di specifici obiettivi di salvaguardia e valorizzazione, graduati sul differente valore di pregio delle aree appositamente classificate da A ad E, da accertarsi mediante il previo rilascio di autorizzazioni, pareri ed attestazioni di compatibilità paesaggistica, a seconda se l’intervento debba essere attuato dalla mano pubblica o privata) e dagli “ambiti territoriali distinti” (che costituiscono dei sottosistemi dei precedenti, per i quali, a causa delle loro specifiche caratteristiche -fondanti l’assetto del paesaggio-, vige un regime conservativo e di riduzione delle condizioni di rischio, nell’ambito di analitiche direttive di tutela destinate ad essere recepite, per il raggiungimento degli obiettivi di qualità, dagli strumenti di pianificazione sott’ordinati). Dacché per i primi sancisce, in linea con la previsione statale, l’esclusione dalla tutela normativa predisposta per entrambi i due ambiti “protetti”, rinviando alle amministrazioni comunali, in sede di primi adempimenti, la loro “perimetrazione”.


Tale perimetrazione -come sottolineato dalla Giunta Regionale in sede di verifica di compatibilità effettuata nel settembre 20023 - comporta la definizione degli ambiti già trasformati dall’edificazione (e/o in via di trasformazione) al fine di identificare, in modo netto, la demarcazione tra gli “ambiti antropizzati” (ormai pressoché del tutto privi di peculiarità paesaggistiche e, pertanto, non meritevoli di assoggettamento a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale) e le “aree agricole” che, di contro, rappresentano i luoghi maggiormente caratterizzati o dalla presenza di peculiarità geografiche, ovvero di elementi strutturanti il territorio. E ciò con l’obiettivo di condizionare le stesse linee di sviluppo della pianificazione comunale per renderla compatibile col mantenimento dei diversi livelli di valori paesaggistici, riconosciuti dal Piano e, più in generale, con la tutela e la valorizzazione delle peculiarità individuate soprattutto nelle aree agricole.


Tutto, quindi, ruota attorno la definizione dei “territori costruiti”, che secondo l’art. 1.03, comma 5, delle N.T.A. del P.U.T.T., sono, “anche in applicazione dell’art. 1 della legge 431/1985”4, le aree:


A) tipizzate dai vigenti strumenti urbanistici come zone omogenee A e B;
B) tipizzate dagli strumenti urbanistici come zone omogenee C, ovvero come zone turistiche, direzionali, artigianali, industriali e miste se incluse, alla data del 6.6.1990, in uno strumento urbanistico esecutivo (piano particolareggiato o piano di lottizzazione) regolarmente presentato;
C) incluse, pur se in percentuale, in Programmi Pluriennali di Attuazione approvati alla medesima data (del 6 giugno 1990)”;
D) non tipizzate come zone omogenee B, ma:
D1) riconosciute come regolarmente edificate, per averne di fatto le caratteristiche, ai sensi del DM n. 1444/1968, e, perciò, perimetrate su cartografia catastale con specifica delibera di consiglio comunale; ovvero
D2) intercluse all’interno di un perimetro definito dalla presenza di maglie regolarmente edificate e, perciò, perimetrate su cartografia catastale con specifica deliberazione di consiglio comunale.
 


3. Ruolo della perimetrazione

Come già accennato, la perimetrazione rappresenta un momento fondamentale ai fini dell’esatta individuazione delle aree per così dire “esenti” da tutela paesaggistica, in quanto finalizzata a dare certezza, sulla scorta di verifiche comunali, all’ambito di operatività della deroga. Tant’è che, proprio in considerazione della sua importanza, non si è mancato di sottolineare che la sua principale caratteristica è data dalla discrezionalità pianificatoria dei comuni -sia pur limitata dalla definizione dettata dal Piano- di tipo non solo tecnico, ma anche politico, attinente cioè a profili di politica edilizia di carattere generale5. Discrezionalità che, come ognuno può intendere, riflette essenzialmente le strategie comunali di urbanizzazione del territorio, attraverso l’individuazione delle aree costruite o di semplici agglomerati edili che, secondo valutazione del Consiglio, non meritano di partecipare delle paesaggistiche predisposte dal Piano.


E’ qui, dunque, che si annida l’unico momento di confronto tra comuni e regione, stante -alla faccia dei principi di sussidiarietà, decentramento e collaborazione istituzionale sanciti a livello europeo e nazionale- la natura imperativa, con conseguente obbligo dei comuni di adeguarvisi, di un Piano predisposto (sia pur dopo attenta ricognizione sia del territorio che dei diffusi, quanto variegati, valori ambientali e paesaggistici da esso espressi) unilateralmente dalla Regione.


Lo stesso comma 5 dell’art. 1.03 N.T.A., infatti, sancisce, nella seconda parte del punto 5.3, che le delibere comunali di perimetrazione non costituiscono variante della strumentazione urbanistica vigente ed esplicano effetti soltanto in applicazione del Piano. Perciò esse vanno (o, meglio, andavano) adottate entro 90 giorni dall’entrata in vigore del medesimo Piano, pena l’esercizio dei poteri sostitutivi regionali di cui agli artt. 55 e segg. della L.R.P. n. 56/80, ed inviate all’Assessorato regionale all’Urbanistica per la necessaria “attestazione di coerenza”. Tale attestazione costituisce l’atto conclusivo di un procedimento amministrativo di verifica dell’azione amministrativa locale e si inserisce in un’area allargata del potere regionale di controllo, razionale e programmato, che passa attraverso il piano paesistico e la sua gestione6. Ma che, com’è ovvio, finisce per condizionare le stesse scelte comunali, non essendo priva di pregio la considerazione secondo cui, in mancanza di una previa concertazione istituzionale, le prerogative regionali finiscano per prevalere sulle esigenze o sulle scelte strategiche comunali, proprio a causa della genericità dell’astratto riferimento alle zone omogenee A, B e C, che, come si è visto, vanno riferite (per Giurisprudenza oramai consolidata) non già alla classificazione del territorio (c.d. “zonizzazione”) contenuta negli (oramai datati) strumenti urbanistici, a sua volta fondata sugli standard impressi dal D.M. 2.4.1968, bensì allo stato di effettiva edificazione ed urbanizzazione delle aree.


In effetti, non si può trascurare che, se tutto sommato non è difficile l’individuazione delle zone A e B, caratterizzate in radice da intensa, quanto definitiva, antropizzazione, al punto da non necessitare, ai fini della deroga, della perimetrazione comunale, qualche perplessità lascia l’inclusione, tra i territori costruiti, delle aree per così dire (volendo usare un’espressione omnicomprensiva) di “espansione” urbanistica, nonché di quelle riconosciute come “regolarmente” edificate ovvero intercluse da maglie “regolarmente” edificate, per le quali, appunto, necessita, invece, l’intervento dell’ente locale.


Rispetto alla previsione statale, invero, la Regione ha ampliato l’ambito di individuazione dei territori “franchi”, aggiungendo alle aree che, pur rientrando in zone omogenee diverse da quelle classificate come A e B, “alla data del 6 settembre 1985” (spostata al 6 giugno 1990 per effetto della norma di salvaguardia introdotta dall’art. 1 L.R.P. 11.5.1990 n. 30) erano ricomprese in piani pluriennali di attuazione7 o ricadevano nei c.d. “centri edificati perimetrati”, le porzioni di territorio destinate a nuovi complessi insediativi od alla produzione, purché incluse in uno “strumento urbanistico esecutivo…regolarmente presentato”, ovvero aventi “di fatto” le caratteristiche di zona omogenea B, perché “riconosciute come regolarmente edificate (o con edificato già “sanato” ai sensi delle legge n. 47/1985)”, ovvero, ancora, “intercluse” da edificato. Dunque, introducendo nella nozione di “territori costruiti” la rappresentazione grafica di tre ulteriori categorie territoriali, frutto di un’interpretazione estensiva dell’art. 146 T.U. (o, correlativamente, dell’art. 1, co.2, Legge Galasso) che trova la sua fonte in quell’orientamento giurisprudenziale (alla quale ho già accennato) secondo cui l’individuazione degli ambiti “antropizzati” (esclusi, in quanto tali, dalla tutela paesaggistica) non può essere legata alla zonizzazione del territorio, ma va estesa a quelle aree che presentano di fatto le caratteristiche di costruito; ovvero -aggiungerei- che presentano di fatto una vocazione economico-produttiva.


Evidentemente al momento della ricognizione -finalizzata alla redazione del Piano- del territorio pugliese ci si rese conto della presenza di aree edificate non ricadenti nelle zone omogenee A e B individuate dai vari piani regolatori comunali, ma che, per le loro caratteristiche “antropizzanti”, ben avrebbero potuto essere oggetto di contenzioso giudiziario. Sicché la Regione preferì “lavarsene le mani”, affidando ai comuni il compito di verificare il fenomeno e perimetrarlo, sia pur nell’ambito di requisiti predeterminati, al fine di consentire l’operatività della deroga anche a realtà urbanizzate che, però, non trovavano corrispondenza nella gran parte dei piani regolatori.


Comunque sia, la declaratoria dei “territori costruiti” resa dal PUTT pugliese pone sostanzialmente due ordini di problemi: il 1° riguardante la vigenza della deroga per le aree, a vocazione edilizia, incluse in strumenti urbanistici esecutivi in caso di decadenza o sopravvenuta inefficacia dei piani; il 2° attinente agli effetti dell’inclusione di aree urbane ed urbanizzate nella categoria, dato che se per un verso lo stesso art. 1.03 esclude genericamente quelle aree dall’applicazione delle norme di tutela dettate per gli A.T.E. e gli A.T.D., il successivo art. 5.02 delle medesime N.T.A. esonera, per altro verso, gli interventi edilizi dalla necessità del previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica pur se ricadenti su beni tutelati ex lege in ragione del loro valore paesaggistico, salvo che gli stessi abbiano ad oggetto beni “direttamente vincolati con le procedure della legge 1497/1939”.


Quanto al primo, infatti, l’iniziale perplessità interpretativa sembra sia stata -almeno per il momento- risolta dai Giudici Amministrativi8 baresi nel senso che, per il suo carattere eccezionale, la deroga (similmente all’ipotesi di cui al citato 2° comma dell’art. 1 Legge Galasso) opera solamente in vigenza dello strumento attuativo, essendo finalizzata a non pregiudicare l’impegno ad edificare manifestato, alla data del 6 giugno 1990, attraverso il piano. Con la conseguenza che, se l’impegno non viene rispetto, i vincoli si riespandono e le aree riprendono il regime ordinario di tutela apportato dal PUTT, nonostante l’eventuale successiva presentazione od approvazione dei medesimi piani esecutivi.


Quanto al secondo, fondamentale importanza, ai fini dell’esclusione dalla tutela, riveste la perimetrazione, alla quale -come già detto- i Giudici salentini9 hanno assegnato natura discrezionale, di tipo tecnico e politico; subordinata, però, alla previa verifica regionale dell’esistenza dei presupposti richiesti dal punto 5.3 del comma 5 art. 1.03 NTA. Difatti -sottolineano quei Giudici- i “territori costruiti” non tipizzati come zone omogenee A e B devono possedere necessariamente la caratteristica di intensa edificazione, la quale tuttavia deve risultare -come letteralmente prescrive il PUTT/P- “regolare” e, quindi, regolarmente autorizzata o, comunque, laddove non autorizzata, con edificato già sanato.


Ovviamente, la perimetrazione costituisce presupposto della deroga per i soli territori caratterizzati da intensa edificazione di fatto, e non già per gli altri “territori costruiti” (classificati ai punti 5.1 e 5.2 del ripetuto art. 1.03 NTA), i quali si sottraggono al regime di tutela del PUTT per il solo fatto di ricadere nelle zone omogenee A, B e C, ovvero di rientrare in P.P.A. regolarmente approvati. Tuttavia ciò non ha impedito a molti comuni di procedere, nell’ambito delle proprie prerogative pianificatorie, alla perimetrazione di tutti i “territori costruiti”, in modo da evitare eventuali contrasti interpretativi in sede autorizzatorio o, addirittura, giudiziaria.



4. Effetti per i beni paesaggistici ed ambientali ricadenti nei “ territori costruiti”

Ma quali gli effetti per i beni paesaggistici ed ambientali ricadenti nei “territori costruiti”?


Il problema non è di poco conto perché nell’ambito del contenzioso sorto dall’entrata in vigore del PUTT, si è dubitato -per quanto si è potuto appurare- della necessità che gli interventi edilizi diretti a modificare lo stato fisico o l’aspetto esteriore degli immobili siano asseverati da autorizzazione paesaggistica e che questa possa essere annullata dalla locale Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, cui l’autorizzazione va trasmessa qualora i lavori riguardino beni tutelati dal Titolo II del T.U. del 1999.


In realtà, le disposizioni del comma 5° dell’art. 1.03, che escludono i “territori costruiti” dall’applicazione delle norme di tutela dettate per gli Ambiti Territoriali Esterni (ATE) e gli Ambiti Territoriali Distinti (ATD), devono essere lette in modo coordinato con le disposizioni contenute nel successivo titolo V del PUTT, dedicato a “autorizzazioni, pareri e adempimenti”, le quali predispongono una disciplina generale per le aree di particolare valore, vincolate non soltanto dallo stesso PUTT ma anche da provvedimenti statali. Infatti, mentre l’art. 5.01 delle NTA prevede, in generale, l’obbligo di acquisire preventivamente l’autorizzazione per le opere strutturali riguardanti gli immobili dichiarati di notevole interesse pubblico, ovvero compresi tra quelli sottoposti a tutela del Piano, il successivo art. 5.02 esclude, in particolare, la necessità dell’autorizzazione ambientale per beni paesaggistici ricadenti nei “territori costruiti”, salvo risultino “direttamente” vincolati “con le procedure della legge n. 1497/1939”. In apparente contraddizione con la disposizione contenuta nel 4° comma dell’art. 146 del T.U. n. 490/1999, che, invece, impone l’autorizzazione paesaggistica per i beni ricompresi negli elenchi provinciali di cui ai precedenti artt. 140 e 144.


Ebbene, poiché i meccanismi di protezione dei valori paesaggistici previsti dalla normativa statale non possono -com’è noto- essere condizionati dalla disciplina contenuta in uno strumento normativo di rango secondario nella gerarchia delle fonti, qual’è appunto il PUTT, si è in Giurisprudenza affermato che la disposizione in parola ha solo l’effetto di: a) escludere i “territori costruiti” dall’applicazione delle norme di tutela predisposte per gli ambiti protetti e, quindi, dalla necessità dell’autorizzazione paesaggistica; b) di rendere comunque obbligatorio il nulla osta paesaggistico per l’esecuzione di opere trasformative di beni od aree che, pur ricadendo nei “territori costruiti”, ricevono tutela diretta dallo Stato. Ad onta di una non felice riconduzione lessicale alle procedure della Legge Bottai, che ha la sola funzione di richiamo alle forme di tutela statali.10


In altre parole, secondo tale (unanime) orientamento, l’art. 1.03 delle N.T.A. esonera i “territori costruiti” soltanto dall’applicazione della tutela di cui ai titoli II e III del PUTT, ma non già dalle disposizioni del titolo V che, all’art. 5.02, impongono l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica per le opere che modificano lo stato fisico o l’aspetto esteriore dei beni che, sebbene ricadenti nei “territori costruiti”, siano dichiarati di notevole interesse pubblico a seguito della loro inclusione negli appositi elenchi provinciali ovvero del loro diretto assoggettamento a vincolo ambientale da appositi decreti ministeriali, attuativi del D.M. 21.9.1984. In particolare, con specifico riferimento a questi ultimi, si è -a mio avviso giustamente- affermato11 che l’approvazione del P.U.T.T. non ha comportato la scadenza del termine di validità ed efficacia dei vincoli imposti con i c.d. “Galassini”, dato che l’art. 1-quinquies del D.L. n. 312/1985, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 431/1985, condiziona (risolutivamente) all’adozione da parte delle regioni dei piani di cui al precedente art. 1-bis le sole misure di salvaguardia, ossia il divieto assoluto di modificazione dell’assetto del territorio, nonché di ogni opera edilizia. Ma senza alcuna influenza sull’esistenza del vincolo relativo imposto dal medesimo decreto, dato che il piano urbanistico territoriale (con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali) ha -al pari del piano paesistico- natura di strumento urbanistico, in quanto basa il suo nucleo iniziale di disciplina nei piani territoriali di coordinamento di cui all’art. 5 L. n. 1150/1942, e, come questi, presuppone la permanenza dei vincoli paesaggistici esistenti, di provenienza regionale e/o statale, senza comportarne in alcun modo il venir meno12.


Inoltre, l’esclusione dei “territori costruiti” dev’essere interpretata alla stregua dell’art. 1 della Galasso (poi trasfuso nell’art. 146, co.1, T.U. n. 490/1999), espressamente richiamato dall’art. 1.03, comma 5, delle N.T.A.. Ossia in modo conforme alla deroga sancita dal secondo comma del citato art. 146 T.U., che si riferisce soltanto ai vincoli ex lege, introdotti appunto dalla Galasso, e non già, invece, ai vincoli imposti mediante provvedimento amministrativo.


Dubbi, però, permangono per le ipotesi residuali di interventi edilizi destinati a modificare lo stato fisico o l’aspetto esteriore dei beni, ricadenti nei “territori costruiti” ma assoggettati a tutela generale dal 1° comma del ripetuto art. 146 T.U. del 1999.


Una prima lettura, all’impronta, degli artt. 1.03 e 5.02 del PUTT pugliese indurrebbe a ritenere detti interventi esentati dall’autorizzazione paesaggistica, perché se per un verso il Piano sancisce la loro espressa esclusione dalla sfera di operatività della tutela predisposta per gli A.T.E., per altro verso il 4° comma dell’art. 146 esclude dall’applicazione della deroga di cui al 2° comma (con conseguente necessità dell’autorizzazione paesaggistica) i soli beni oggetto di dichiarazione di naturale interesse pubblico, e non già quelli tutelati in via generale dal 1° comma del medesimo art. 146. Pur tuttavia è ben possibile giungere a diversa conclusione alla luce del ben noto principio della congestione tra Stato e Regione dei valori paesaggistici, in forza del quale il PUTT ha l’unica funzione di stabilire direttive di tutela per i territori interessati da vincoli. Cosicché, stante la permanenza dei vincoli sia di provenienza regionale -nell’esercizio delle funzioni delegate con l’art. 82 DPR n. 617/1977 (riprodotte dall’art. 140 T.U.)-, sia di natura ministeriale -nell’esercizio del potere integrativo di cui al 2° comma, lett. a), del medesimo art. 82 (riprodotto dall’art. 144 T.U.)-, sia, infine, di fonte legislativa -giusta elencazione di cui al 5° comma dello stesso art. 82 (ripetuta col 1° comma dell’art. 146 T.U.)-, è lecito concludere che, nonostante la deroga prevista dall’art. 5.02 del PUTT, per gli interventi che incidano in modo significativo sui beni tutelati in linea generale dal 1° comma dell’art. 146, continua ad essere operante l’obbligatorietà della previa autorizzazione paesaggistica.


Va da sé che l’adozione all’una od all’altro orientamento interpretativo consente di comprendere meglio i confini del controllo della Soprintendenza a cui -ripeto- va trasmessa l’autorizzazione paesaggistica, qualora l’intervento abbia ad oggetto uno dei beni elencati sottoposti a tutela ai sensi del titolo II del T.U./1999.


Il controllo ed, all’occorrenza, l’annullamento da parte dell’organo periferico statale si fonda sulla cogestione dei valori paesistici, nel rispetto del principio di leale collaborazione13, e si manifesta provvedimenti di amministrazione attiva. Poiché la tutela dei vincoli ambientali non può esaurirsi a livello regionale, ma necessita di un riesame da parte della concorrente autorità statale, ovviamente non limitato alle direttive ed alle prescrizioni fissate in sede regionale, non opponibili allo Stato, bensì esteso alla valutazione degli interessi nazionali riferibili al particolare pregio del bene ed all’esigenza di evitare l’eccessiva antropizzazione dei territori, nel rispetto degli obblighi assunti in sede comunitaria. Per cui l’eventuale annullamento dell’autorizzazione, in quanto estrema difesa del potere di cogestione del vincolo, deve tener conto sia delle previsioni derivanti dal Piano sia del carattere di bellezza naturale del sito, cui si correla la tutela paesaggistica statale, onde evitare che la valutazione di compatibilità, fornita dall’autorizzazione si traduce in una oggettiva deroga del vincolo14.



5. Operatività della disciplina attuale rispetto al Codice dei beni culturali e del paesaggio

Tutto quanto sin qui delineato attiene alla disciplina dei “territori costruiti” resa dal PUTT/P in relazione al TU n. 490/1999 vigente all’epoca della sua approvazione. Ma da oltre un anno -e precisamente dal 1° maggio 2004- è entrato in vigore il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, varato dal D.Leg.vo 22.1.2004 n. 42, il quale ha, per quello che qui interessa, ridisegnato, all’art. 143, il contenuto del nuovo <<Piano Paesaggistico>>, destinato a prendere il posto del vigente Piano Urbanistico Territoriale Tematico, mediante sua verifica di conformità e successivo adeguamento entro i prossimi 4 anni15.

 
Brevemente, il Codice incide con forza sulle tre tematiche centrali della tutela del paesaggio e cioè: a) sul sistema di individuazione e tutela dei beni paesaggistici; b) sulla pianificazione; c) sul regime autorizzatorio degli interventi sui beni e/o sulle aree vincolate. Cosicché viene potenziato il sistema dei vincoli, nel senso che gli stessi non si risolvono più nella mera individuazione (anche mediante perimetrazione) di un’area in cui è genericamente vietato apportare modifiche allo stato dei luoghi, senza il preventivo nulla osta dell’autorità competente, ma divengano il primo momento di disciplina dell’uso antropico del territorio, compatibile con il notevole interesse paesaggistico sul quale è fondata la tutela.


La pianificazione ritorna finalmente ad assumere una funzione centrale nella definizione di indirizzi e criteri di tutela, recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio. Ed i piani dovranno, perciò, divenire strumento di effettivo governo dello sviluppo sostenibile delle aree paesaggistiche rilevanti, mediante previsione di diverse graduazioni di tutela in relazione ai vincoli paesaggistici rilevati sull’intero territorio regionale, agli obiettivi di qualità assegnati a ciascun valore ed ai necessari (od anche solo opportuni) interventi di recupero delle zone degradate. Non più, però, predisposti unilateralmente dalle regioni, bensì in stretta cooperazione con tutte le amministrazioni pubbliche (dunque, Province e Comuni) coinvolte nella gestione del territorio-paesaggio, stante l’espressa previsione di cui all’art. 132. Ma fino a quando non sarà raggiunto l’equilibrio tra vincoli e pianificazione, con la redazione ex novo, ovvero l’adeguamento, dei piani paesaggistici, rimarranno in piedi tutti i vincoli esistenti, con la perdurante vigenza del procedimento di controllo previsto dal T.U. del 1999.


Il sistema di controllo e di gestione dei vincoli, poi, subisce una radicale innovazione, con l’attribuzione diretta alla regioni del potere autorizzatorio (e non più mediante una delega), con l’anticipazione alla fase istruttoria dell’intervento dello stato (tenuto, tramite la Sopraintendenza, a rendere un parere obbligatorio) ed, infine, con l’eliminazione del potere di annullamento ministeriale del nullaosta paesaggistico.


Il Codice inoltre, ripropone, al 2° comma dell’art. 142, la medesima disciplina dei “territori costruiti” disegnata della Galasso prima (art. 1 L. n. 431/1985) e dal Testo Unico del 1999 (art. 146, co. 2°) poi. Salvo per ciò che concerne l’ambito di operatività, al loro interno, della tutela paesaggistica, non più limitata ai soli beni ambientali dichiarati di notevole interesse pubblico per effetto della loro inclusione negli elenchi provinciali, bensì estesa a tutti i beni oggetto di vincolo ambientale derivante dagli atti e provvedimenti adottati dal 1922 in poi, giusta conferma di efficacia impressa dall’ultimo comma del medesimo art. 142.


Dunque, poiché l’art. 156 del Codice prevede l’obbligo per le regioni dotate dei piani di cui all’art. 149 T.U. di procedere alla verifica di conformità delle prescrizioni in essi contenute alle nuove previsioni e, quindi, ai necessari adeguamenti, si pone ora il problema dell’incidenza della disciplina codicistica su quella dettata per i “territori costruiti” dal Piano Pugliese.


Un primo visibile effetto, desumibile dalla semplice comparazione delle norme succedutesi nel tempo, riguarda, appunto, il novero dei beni ambientali, ricadenti nei “territori costruiti” per i quali gli interventi edilizi necessitano del previo nulla osta paesaggistico. Dato che, come già detto, la loro individuazione non va più operata in riferimento agli elenchi provinciali di cui agli artt. 140 e 144 T.U. od ai decreti “galassini”, bensì anche in rapporto a tutti gli atti e provvedimenti impositivi di vincoli sino ad oggi adottati (dallo stato e dalla regione).


Un secondo possibile aspetto -di certo marginale, ma non per questo meno importante-, invece, attiene al regime transitorio (nelle more dell’adeguamento del P.U.T.T.); e precisamente alla norma di salvaguardia di cui all’ultimo comma dell’art. 159 che vieta -con la negazione dell’autorizzazione paesaggistica fino all’approvazione dei “piani paesaggistici”- ogni significativo intervento edile di trasformazione di beni che prima del 6 settembre1985 furono oggetto di provvedimenti (chiamati comunemente “galassini”) emanati in attuazione del D.M. 21.9.1984. Sembrerebbe, infatti, che il legislatore abbia voluto far rivivere il divieto di inedificabilità assoluta per quei beni in funzione dell’approvazione del piano paesaggistico di cui all’art. 143 (relativamente alle regioni che ne siano ancora sprovviste), ovvero dell’adeguamento dei piani già in vigore, al fine di stimolare le regioni e dare concreta attuazione al Codice, salvaguardando nel contempo le aree e/o i beni di particolare pregio in ragione della più incisiva protezione paesaggistica impressa dalla nuova legge.


Di contro, una diversa opzione esegetica, più “restrittiva” suggerisce che il divieto opererebbe soltanto nell’ipotesi di assenza di un piano paesaggistico, poiché le norme di salvaguardia hanno significato unicamente in funzione del mancato esercizio della potestà pianificatoria regionale, destinata ad assorbire ed a disciplinare l’intero sistema vincolistico vigente. Con la conseguenza che, nella vigenza di un qualunque piano regionale di tutela paesaggistica, la misura di salvaguardia non solo non troverebbe giustificazione, neppure in funzione dell’adeguamento imposto dal citato art. 156 del Codice, ma per di più finirebbe addirittura per ledere le attribuzioni regionali in materia di gestione del territorio, giusta distribuzione delle competenze di cui al novellato art. 117 Cost.


Tale contrasto può -a mio avviso- trovare composizione nella considerazione che la salvaguardia scatterebbe solo in presenza di piani paesistici o urbanistico-territoriali in ipotesi privi di adeguata tutela delle aree o beni oggetto di provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 1-quinquies L. n. 431/1985 e pubblicati anteriormente al 6.9.1985: in tal modo non si verificherebbe alcuna intromissione dello Stato nelle competenze regionali, pur restando, allo stesso tempo, salva la ratio della norma transitoria del Codice, che è -ripeto- quella di sollecitare una rapida adozione dei nuovi piani paesaggistici, caratterizzanti da un intervento pianificatorio di maggior respiro partecipativo.


Tuttavia, la scelta di una delle tre tesi interpretative inciderà in maniera più o meno significativa ove dovessero riscontrarsi casi di intervento edilizio su beni o aree, ricadenti nei “territori costruiti” ma vincolati da specifici decreti attuativi del citato D.M. 21.9.1984, perché non è di poco conto comprendere la sorte dei beni ambientali nelle more che la Regione Puglia adegui il proprio P.U.T.T. alle sopravvenute prescrizioni codicistiche.


Ad ogni buon conto, con l’adeguamento del P.U.T.T. alle nuove esigenze codicistiche alla Regione Puglia si presenta un’ottima occasione per svincolare finalmente la disciplina dei “territori costruiti” dalla farraginosità dell’attuale assetto normativo, che tanti grattacapi ha dato -e continua a dare- non soltanto ai vari funzionari o dirigenti comunali, ma anche a pressoché tutti gli operatori economici e della giustizia. Soprattutto in considerazione delle potenzialità regolamentari che, anche alla luce del novellato art. 117 Cost., l’art. 143 del Codice offre alle regioni.


E’ infatti lecito sperare che nella ridisegnazione dei valori paesaggistici sia operata -non più in modo gerarchico o centralizzato, bensì in stretta collaborazione con le province ed i comuni (chiamati ad un più partecipativo ruolo pianificatorio)- una riscrittura del programma di recupero dinamico dei caratteri strutturali del territorio pugliese. Questa volta, però, non solo (e non più) in ragione della sua mera conservazione e/o salvaguardia, ma anche in vista di un’effettiva riqualificazione delle aree secondo predeterminati scenari di sviluppo (economico e sociale) sostenibile; dato che chiunque è in grado di comprendere quanto il rilancio economico, culturale e turistico della regione sia in gran parte legato agli interventi trasformativi ( e non solo restaurativi) degli asseti urbani od in qualche modo “urbanizzati” del nostro territorio. Perciò, se si vuole effettivamente dare impulso ad iniziative e -soprattutto- investimenti produttivi è giocoforza rielaborare nozioni più “dinamiche” dei c.d. “territori costruiti”, nonché procedure autorizzatorie e di controllo maggiormente snelle.

 



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(*) Avvocato, Studio Legale associato Lanno & Napoli

 

(**) Il presente scritto costituisce la rielaborazione, in forma divulgativa, dell’intervento dell’autore al XXII Convegno Nazionale “Duegiorni Giuridica” organizzato dal CIRGAS di Bari (in collaborazione con l’Associazione Nazionale Magistrati-M.I., l’Ordine Forense di Bari, l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bari e l’A.N.C.I. -Puglia) su “ATTUAZIONE DEL PUTT E PROBLEMATICHE RELATIVE” e tenutosi in Bari il 24 e 25 giugno 2005.

 

1 Sul punto si veda Corte Cost. 13.7.1990 n. 327, la quale, nel riconoscere tale natura ai piani urbanistici territoriali introdotti con l’art. 1-ter della Legge n. 431/1985, ha chiarito che agli stessi non può certamente riconoscersi un’efficacia (direttiva e prescrittiva) inferiore o più limitata rispetto a quella normalmente conferita ai piani territoriali regionali dalla legislazione regionale o statale.
2 T.A.R. Puglia, sede di Bari, Sez.II, 25.2.2004 n. 1178.
3 Si veda la Deliberazione di Giunta 30.9.2002 n. 1422, pubblicata sul Bollettino Ufficiale Regione Puglia 14.11.2002 n. 145.
4 Più correttamente, però, il riferimento andava fatto al secondo comma dell’art. 146 T.U. n. 490/1999, che, all’epoca, aveva sostituito, riproducendolo, la disposizione richiamata dal P.U.T.T..
5 Cfr. T.A.R. Puglia, sede di Lecce, 11.1.2005 n. 75.
6 T.A.R. Puglia, sede di Bari, Sez. II, 17.10.2002 n. 4854; ma cfr. anche Corte Cost. 28.7.1995 n. 417.
7 Tali aree, infatti, trovano collocazione nella seconda parte del comma 5.2 delle N.T.A..
8 T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 21.10.2004 n. 5387; conf. anche T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 25.2.2004 n. 1178, sia pure con espresso riferimento alla Legge Galasso.
9 T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, n. 75/2005 cit.; ma in precedenza anche T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I 20.12.2004 n. 8801.
10 Tale orientamento è stato rimarcato più volte dai Giudici Amministrativi pugliesi: ex multis, T.A.R. Puglia, Bari, 17.10.2002 n. 4854; T.A.R. Puglia, Lecce, 11.1.2005 n. 75, 27.1.2005 n. 334 e 9.2.2005 n. 1611.
11 Da ultimo, cfr. Cons. St., Sez. VI, 1.2.2005 n. 2926; ma, in precedenza, anche T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 5.3.2003 n. 2970.
12 Così anche Cons. St., Sez. VI, 27.5.2003 n. 4766, 27.6.2001 n. 3540, 14.1.1993 n. 29, ed altre.
13 Ricordato da Cons. St., Ad. Plenaria, 14.12.2001 n. 9.
14 Così T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 17.10.2002 n. 4854; conf. T.A.R. Puglia, Bari, 27.3.2003 n. 2401.
15 Art. 156 Codice.

 

Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 4/12/2005

 

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