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Il nuovo affido condiviso, risvolti pratici.

 

 Avv. SELENE PASCASI
 


Il 20 ottobre 2004 viene approvata la proposta di legge n.66/01 in tema di affidamento congiunto dei figli e il 26 gennaio 2006, con il si al disegno di legge n. 3537, da parte della Commissione Giustizia della Camera in sede deliberante, diviene legge il cd. affidamento condiviso, riforma già definita “epocale” e dall’ampio respiro per via dell’ambito di applicazione che essa incontra.

In effetti, l’applicazione delle nuove norme potrà essere richiesta, da parte di ciascuno dei genitori, sia ove il decreto di omologazione dei patti di separazione consensuale o giudiziale, di scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio siano stati già emessi alla data di entrata in vigore della presente legge e sia in costanza di scioglimento, cessazione degli effetti civili o nullità del matrimonio, anche nell’ambito di procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.

Per comprendere in toto la valenza e la portata innovatrice della riforma in esame, occorre ripercorrere, seppure a grandi linee, l’iter normativo e giurisprudenziale che vi ha dato vita, grazie ad un parto dottrinale e politico assai travagliato, avente ratio nella tutela dell’interesse del minore: principio già presente in Europa e più volte nominato nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991.

In sostanza, quello che si afferma è il principio della bigenitorialità, intesa quale diritto del figlio ad un rapporto completo e stabile non con uno ma con entrambi i genitori, e ciò anche laddove la famiglia attraversi una fase patologica, con conseguente disgregazione del legame sentimentale e talvolta anche giuridico tra i genitori conviventi.

Rivolgendo uno sguardo ad un passato piuttosto recente, nel codice civile del 1942 veniva affermata l’indissolubilità del matrimonio, ragion per cui, alla possibilità di vedere pronunziata la separazione solo in caso di colpa di uno dei coniugi, conseguiva l’affidamento del minore al cd. coniuge "senza colpa".

Una trentina di anni dopo, con l’entrata in vigore della legge n. 898 del 1970, e col conseguente ingresso nella realtà giuridica italiana dell’istituto del divorzio, si delinea un nuovo assetto circa l’affidamento della prole, rivolto alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli; di tal guisa, si prendono le distanze da quella che finora costituiva la chiave di volta nell’individuazione del genitore più adatto alla cura dei figli: il giudizio sul rispetto o meno dei doveri coniugali.

Muta ancora rotta la materia in esame, grazie alla legge n. 151 del 21 maggio 1975, di riforma al diritto di famiglia, con cui si fa strada l’innovativo criterio per cui la separazione, pronunciabile a prescindere da una condotta “colposa”, assume solo funzione “curativa” di un rapporto coniugale “malato”, motivo per cui il giudice, nell’emettere un provvedimento di affido della prole, dovrà tener conto solo ed unicamente dell’interesse del minore.

Ed è proprio alla tutela di tale interesse, che risulta rivolta, nel panorama giuridico italiano ante-riforma, la disciplina in materia di affidamento dei figli, frutto dell’iter appena ripercorso e racchiusa tutta in due sole norme: l’articolo 6 della legge 898/70 e l’articolo 155 del codice civile.

Tali disposizioni prevedono un affidamento di tipo monogenitoriale, per cui il minore resta affidato al solo genitore considerato più idoneo a favorirne il pieno sviluppo della personalità, dotandolo di potestà esclusiva circa l’educazione, l’istruzione e la cura; ciò senza escludere l’apporto e la presenza del genitore non affidatario, che mantiene la potestà congiunta in ordine alle scelte più importanti e alle questioni di straordinaria amministrazione.

Se questo è quanto previsto sulla carta, diversa è la realtà quotidiana delle aule di giustizia, ove quello che era nato quale affidamento monogenitoriale, diviene affido quasi “esclusivo” alla madre, come dimostrano le indagini Istat svolte in Italia nell’anno 2000, dalle quali si evince che la percentuale di affidamento della prole alla madre sfiora l’86,7% dei casi.

Il panorama italiano, in spregio al dettato di cui all’articolo 30 della Costituzione, che sancisce il dovere di ambo i genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, sembra remare in senso inverso rispetto a quanto accade nel resto d’Europa, dove le figure genitoriali rivestono egual valore; basti pensare alla Germania, dove è lo stesso codice a prevederlo, alla Svezia, dove l’affidamento congiunto raggiunge il 96%, o al Children act inglese del 1989, in cui vigono pari responsabilità e potestà.

Una spinta decisiva verso la Riforma appena approvata, proviene dai principi contenuti negli articoli 9 e 18 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, che l’Italia fa propri con la legge di ratifica n. 176 del 1991, i quali ribadiscono “… il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo".

E ancora, si ricordano gli interventi del 1992, con la Carta europea dei diritti del fanciullo, e del 1996, con la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei bambini la quale prevede, fra l’altro, l’audizione del minore nelle controversie che possano in qualche modo riguardarlo.

Per mero sofismo dottrinale, è cura precisare che è forse proprio per l’influenza europea, che in Italia si delinea l’embrione dell’odierno affido condiviso, seppur nominato “congiunto” ed inteso, assieme all’alternato, quale criterio residuale di affidamento del minore.

Trattasi di criterio che, pur normato, nella prassi non ha riscontrato un’alta percentuale di successo, se non in isolate fattispecie, tra cui si ricorda, nel 2000, la decisione del Tribunale di Milano per cui “… il provvedimento di affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori può risultare conforme agli interessi degli stessi anche in presenza di conflitto tra i genitori, particolarmente quando risulti essenziale per richiamare entrambi alla pariteticità del ruolo genitoriale”.

Passo dopo passo, l’anno in corso si apre con una novità legislativa dall’ampiezza non indifferente, grazie all’approvazione di "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli", le quali, modificando sensibilmente l’articolo 155 del codice civile, in sé e con l’aggiunta di nuovi commi, sconvolgono il quadro relativo all’affidamento della prole, invertendone i criteri; basti pensare al riferimento alla parola “genitori” anziché “coniugi”, in linea col panorama comunitario e con quanto previsto dal Regolamento CEE n. 2201/03 in vigore dal 01.03.2005 in tema di “responsabilità genitoriale”.

Al fine di comprendere appieno la portata innovatrice della legge in essere, appare opportuno “frazionare” gli interventi e analizzarli a partire da una matura lettura del testo novato.

Oggi l’articolo 155 del codice civile, intitolato “Provvedimenti riguardo ai figli”, nella sua prima parte, recita così: “Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Va valutata prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente”.

Ebbene, balza agli occhi la rivoluzione: l’affido congiunto, eccezione del previgente sistema normativo, oggi è la regola e prende il nome di affido condiviso; in altre parole, si riconosce al minore, in nome del suo preminente interesse, il diritto ad una continuità di rapporti con ambo i genitori, anche e soprattutto in corso di separazione, oltre ad elevare a rango di diritto, e non più di mero valore, il legame con nonni e parenti stretti.

Non scompare, dunque, l’affidamento del figlio ad un solo genitore, ma viene relegato all’ipotesi, residuale, in cui l’interesse del minore potrebbe risultare pregiudicato da un affidamento condiviso.

Scendendo sul campo pratico, oggi si giunge al provvedimento di affido per intervento giudiziale, solo in seconda battuta, fallito ogni tentativo di accordo tra i genitori. Trattasi di accordo che può essere stilato da essi soli o, in caso di conflitto, con l’ausilio di organi di mediazione familiare necessariamente accreditati, come sottolinea il nuovo 709 bis del codice procedura civile, che ora intervengono in via preventiva e non più in corso di causa.

Posto che il cd. “progetto di affidamento condiviso” verrà sottoposto al vaglio del giudice già nella prima udienza presidenziale, giusto l’obbligo di allegazione dell’accordo in uno con il ricorso per separazione, si sottolinea come l’organo giudicante, nel limitarsi a “prendere atto” di detto accordo, lascia che in primis la scelta spetti ai genitori.

In punto di potestà, occorre rilevare che la norma, nel prevedere una responsabilità congiunta dei genitori circa le questioni più delicate attinenti la cura della prole, delinei, in ambito di ordinaria amministrazione, una sorta di divisione dei compiti, di potestà indivisa, da gestire secondo le singole esigenze e disponibilità; non passi inosservata la volontà del legislatore di conservare la differenziazione tra ordinaria e straordinaria amministrazione.

Sulla stessa lunghezza d’onda, si muove la seconda parte dell’articolo 155 del codice civile, dedicata al mantenimento del minore, in cui prevale un’equa ripartizione di potestà, responsabilità e sostegno economico da parte di ambo i genitori. Come prevede la norma, “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi».

Il nuovo assetto incide in maniera decisiva anche sul regime dell’assegno di mantenimento, che non trovando più alcun sostegno legislativo, viene sostituito di fatto con un assegno diretto, perequativo e periodico, determinato sulla base della posizione economica di ciascun genitore, obbligatone alla corresponsione, pena le conseguenze del nuovo art. 709 ter del codice di rito, cui si rimanda la lettura.

Novità rilevante, dunque, quella di elencare i criteri di determinazione dell’assegno al fine di porre un vincolo alla discrezionalità del giudice. Se questo era l’intento, deve obiettarsi che non è stato colto nel segno, per via della genericità dei parametri; in effetti, il legislatore oscilla tra l’astrattezza delle potenzialità, con riferimento alle esigenze del figlio e alle “risorse” economiche dei genitori, e la concretezza del secondo e terzo indice, relativi al tenore di vita e al tempo di permanenza con ciascun genitore.

Altro aspetto degno di rilievo è costituito dall’indicazione di cui al quinto ed ultimo parametro: il lavoro domestico acquista finalmente la giusta valenza, restituendo dignità e riconoscimento al lavoro casalingo e di cura della prole, di solito svolto dalle madri e troppo spesso ignorato.

Come anticipato, la riforma, oltre a novare l’articolo 155 del codice civile, vi aggiunge sei commi, che si andranno ora ad analizzare, a partire dall’articolo 155-bis in cui si legge che “Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile”.

Subito dopo, il ter dispone che “I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo”.

Grazie alle nuove previsioni, il provvedimento di affido, suscettibile di revisione al sopraggiungere di fatti nuovi, abbandona la sua staticità, si permea di elasticità, aderendo meglio alle mutevoli esigenze del minore. Di contro, la previsione di tali procedure di modifica, potrà portare ad un affollarsi di giudizi instaurandi, col conseguente prolungamento dei tempi tecnici processuali, a discapito della sempre auspicata certezza del diritto.

Più ricco di spunti e di ripercussioni pratiche, è quanto disposto dal successivo comma quater, in punto di assegnazione della casa familiare, in cui: “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643. Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici”.

In tema di casa coniugale, il legislatore effettua due nette demarcazioni. In primo luogo, prendono strade separate i provvedimenti di assegnazione della casa coniugale e di affidamento della prole, finora collegati. Se prima il giudice era solito disporre l’utilizzo dell’abitazione in favore del coniuge cui venivano affidati i figli minori, oggi si fa esclusivo riferimento all’interesse di questi ultimi, così che i tribunali finiranno per assegnare la casa al coniuge che vivrà più tempo con i figli.

In secondo luogo, si distingue tra godimento dell’abitazione, che trova ragione nell’interesse del minore, e assegnazione, basata solo su parametri economici e diritti reali, tra i quali “l’eventuale titolo di proprietà”, con la conseguenza che il coniuge assegnatario, ma non proprietario, potrebbe veder ridotto l’apporto economico dell’altro, gravato invece degli oneri fiscali. Resta fermo che ogni altro impegno economico relativo alle spese di gestione della casa, ivi comprese quelle condominiali, resta a totale carico del coniuge che ne gode l’abitazione.

Circa la natura del diritto nascente in capo al coniuge assegnatario, esso rientra senza dubbio nell’alveo dei diritti di godimento di tipo personale e non reale, giusta la lettura del codice civile e le parole della Suprema Corte, che più volte sottolineano la tassatività delle modalità di costituzione dei diritti reali, tra cui non figura il provvedimento in esame (fra le altre, Cass. n. 11508/1993).

Sempre nel comma quater, si legge che “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643”. Innanzitutto, si rileva l’incongruenza procedurale del richiamare l’art. 2643 del codice civile, anziché l’art. 1599 dello stesso codice, poiché, come afferma la presidenza dell’Associazione Avvocati di Famiglia, “si tornerà all’epoca in cui sarà estremamente difficile per non dire impossibile riuscire a trascrivere un provvedimento di assegnazione della casa coniugale, con la evidente conseguenza della totale mancanza di tutela per i figli ed il coniuge che in quella casa vivevano”.

Altra precisazione riguarda l’opponibilità ai terzi, tema sul quale si sono in passato susseguite una serie di decisioni giurisprudenziali, a partire dalla Corte Costituzionale che, con pronuncia n. 454 del 1989 e n. 20 del 1990, ha dapprima rilevato la necessità di introdurre nel corpo dell’articolo 155, quarto comma, la dizione “ai fini dell’opponibilità ai terzi”, per poi puntualizzare che l’onere della trascrizione si riferisce solo alle assegnazioni di durata superiore ai nove anni; si faceva così intendere che per periodi più brevi, il provvedimento era opponibile anche in assenza di trascrizione. Seguono diverse sentenze della Corte di Cassazione, tra loro contraddittorie, fino all’intervento delle Sezioni Unite, che mette fine alla questio col dire che “Il provvedimento di assegnazione della casa è opponibile, anche se non trascritto, al terzo che abbia successivamente acquistato, per nove anni dalla data dell’assegnazione. Se il provvedimento è stato trascritto, è opponibile al terzo anche oltre i nove anni” (Cass. Sez. Un., n. 11096/2002).

La nuova disciplina, per evitare dubbi di sorta, segue le orme dettate dalla Corte Costituzionale, specificando a chiare lettere il fine della trascrizione: l’opponibilità ai terzi.

Ulteriore novità, è quella introdotta dal comma quinquies dell’articolo 155 del codice civile, dove “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto. Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori”.

Per la prima volta, si fissano due punti fermi relativamente agli oneri economici verso il figlio maggiorenne: in primis, si afferma la non automaticità dell’obbligo di mantenimento e, in secondo luogo, si chiarisce che l’eventuale assegno trova il figlio quale diretto destinatario, andando così a fugare ogni precedente dubbio.

Di maggiore portata, con riferimento all’interesse del minore, punto focale della normativa esaminanda, appare essere il disposto di cui al comma sexies, in tema di audizione del minore, ove si legge che “Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli».

Le ripercussioni che tale innovazione andrà a portare sul piano concreto, sulla prassi giudiziaria, si evidenziano subito agli occhi degli operatori del diritto, che dovranno quotidianamente confrontarsi con le novità introdotte, portarle in aula e conciliarle con gli interessi e i voleri degli assistiti. Tra le tante riflessioni, una preoccupa più delle altre: quanto durerà ora un’udienza presidenziale? In altre parole, laddove il giudice ritenesse doveroso esperire i cd. mezzi di prova, più correttamente definibili sommarie informazioni giusta la natura cautelare della fase, dove finirebbe l’esigenza di celerità più volte invocata?

I dubbi procedurali non terminano qui: come sostiene la Camera Minorile di Milano, il legislatore non ha tenuto conto, non solo degli emendamenti presentati da maggioranza ed opposizione, ma neppure della Legge n. 80 del 2005 e successive modificazioni, in vigore dal 1 marzo. Con detto intervento, si avrà la modifica di alcune norme del codice di rito e della legge sul divorzio, le quali assumeranno una direzione nettamente opposta a quella appena approvata. Si sono così innescate una serie di gravi incongruenze circa il mancato coordinamento tra le competenze giudiziarie: in primis, la modifica dei provvedimenti presidenziali, spettante al giudice istruttore per via del cd. “pacchetto competitività”, e ora reclamabile in Corte di Appello.

Traendo le fila dell’analisi fin qui condotta, e dimenticando per un attimo le perplessità procedurali, forse dovute a sviste del legislatore o a scelte non saggiamente ponderate, è doveroso ricavarne considerazioni di più ampio respiro.

La riforma appena introdotta nasce da un intento nobile: rivalutare la presenza di entrambi i genitori, conferire nuovo smalto alla figura paterna, finora relegata ai margini, alleggerendo altresì gli oneri e le responsabilità troppo spesso incombenti solo sulle madri.

Pur apprezzandone la ratio, se ne discute la validità sotto un profilo prettamente concreto. In effetti, si tratta di un sistema che può trovare esito positivo solo in costanza di pieno accordo tra i genitori, che purtroppo nella realtà di rado si verifica. Sul punto, si ricorda la decisione della Corte d’Appello di Perugia del 18 gennaio 1992, testualmente riportata: “Poiché l’affido congiunto dei figli di genitori separati postula l’accordo dei genitori, va disposta l’abolizione dell’affido congiunto, concordato e omologato in sede di separazione, ogni volta sopravvenga tra le parti un aperto, grave dissenso, contrassegnato da aperta e accesa conflittualità e comportante serio pericolo di non lieve pregiudizio per i figli”. Nello stesso senso il Tribunale di Milano, che con sentenza del 9 gennaio 1997, individua nella collaborazione la via per “realizzare le esigenze di ordine affettivo e psicologico dei figli”.

Ad ulteriore conferma, l’esperienza e la statistica insegnano che finora l’affido condiviso, seppur non obbligatorio, ma pur sempre previsto dalla legge quale criterio alternativo, ha trovato scarso margine di applicazione, proprio per carenza di “spirito collaborativo” tra i genitori; proprio per questo che ci si domanda se l’affido condiviso potrà ora funzionare, solo perché disposto per legge!

Oltre agli ostacoli dovuti alla mancanza di accordo, di collaborazione e di intesa tra le due figure genitoriali, altri fattori peseranno sulla “vivibilità” della normativa: abitazioni necessariamente non distanti, lavori flessibili e incertezza circa la fissazione della residenza anagrafica del minore, con conseguenze in ordine alla scuola da frequentare o alla scelta del medico di base.

Interessante è rivolgere lo sguardo alle opinioni di esperti del settore, a partire dal presidente della commissione Infanzia Bucchero, il quale afferma che: ''In questa circostanza abbiamo avuto un'apertura di fiducia nei confronti della magistratura che sarà chiamata a risolvere le questioni interpretative che l'articolato porrà. In via ulteriore, si potrà, comunque, nella prossima legislatura, verificare la bontà dell'intervento ed eventualmente ritornare su di esso. Abbiamo dato un segnale affinché nella crisi della coppia non debbano mai rimetterci i figli, i quali hanno diritto a conservare immutati i rapporti con entrambi i genitori, anche se sull'articolato pervenuto dall'altro ramo del Parlamento e non modificato per oggettiva mancanza dei tempi necessari, sussistono significative perplessità in ordine alla non compiuta formulazione tecnica di alcune disposizioni. Mi riferisco in particolare alla mancata previsione dell'affidamento a terzi nei soli casi più gravi, alla mancata regolamentazione dell'affidamento esclusivo, pur previsto, al venir meno ope legis del diritto di assegnazione della casa nel caso in cui l'ex coniuge vi conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio, all'impugnabilità in appello delle ordinanze presidenziali, alle norme processuali mal congegnate e disarmoniche rispetto al sistema, all'applicabilità indiscriminata delle disposizioni a situazioni già ormai consolidate''.

E ancora, la senatrice Dossi, relatrice del provvedimento, per la quale: "E' la riforma più importante del diritto di famiglia dopo quella del '75. Il principio di bigenitorialità viene prima della legge, e' un diritto naturale, nell'antropologia perché deriva dall'esistenza stessa del figlio. Pertanto, da oggi, sarà questo principio la prima soluzione che il giudice valuterà, anche in caso di elevata conflittualità fra i coniugi. L'affido condiviso risponde all'esigenza del minore, senza nulla togliere alla discrezionalità del giudice a seconda del caso, ed e' una fondamentale necessità per fare in modo che i genitori continuino ad occuparsi dei figli nella stessa misura per la crescita e la tutela psicofisica del minore. Certo si poteva osare di più: il testo, pur non essendo tecnicamente perfetto e' sempre meglio della realtà fino ad oggi consolidata. Manca ad esempio l'istituto della mediazione familiare, ma intanto questo provvedimento apre una strada che il centrosinistra, nella prossima legislatura, percorrerà con maggiore impegno per raggiungere traguardi migliori e più concreta. Questa approvazione e' una scelta coraggiosa, che dice si a una legge destinata a modificare una società senza padri. Infatti fino ad oggi il genitore affidatario, in circa l'84% dei casi, e' stata la madre. Non si tratta di costringere i genitori ad andare d'accordo, ma di attuare scelte responsabili e di porre in essere comportamenti civili al solo fine di salvaguardare il figlio''.

Da ultimo, il commento di Mario Finocchiaro: “Si obietta, da quanti sono perplessi a fronte di una tale novità, che un affidamento congiunto può dare risultati positivi solo se i genitori sono “maturi” e lo “accettano” e che, pertanto, la via non è praticabile in presenza di coniugi (o ex coniugi) tra i quali sussista uno stato di conflittualità. La critica, a mio avviso, non coglie nel segno. Contrariamente a quanto comunemente si crede, non è la conflittualità tra i genitori che impone l’“affidamento esclusivo” a uno di essi, ma è proprio la previsione che la regola sia l’affidamento esclusivo e l’eccezione quello congiunto la fonte della conflittualità”.

Qualunque sia la visione cui si preferisce aderire, di certo non possono sottovalutarsi né le sviste procedurali, di cui, de iure condendo, si auspica la revisione, né la realtà dei fatti, per cui di rado i genitori separati troveranno l’accordo su ogni singola questione riguardante i figli. E’ evidente che solo quando le coppie raggiungeranno una maturità tale da subordinare la conflittualità all’interesse del minore, allora si che il legislatore potrà raccogliere i frutti del suo lavoro, con evidente positivo riscontro sul lavoro degli addetti al settore e sulla quotidianità degli affetti.
 

Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 03/3/2006

 

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