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"Nuove prospettive
per le adozioni da parte dei single"
SELENE PASCASI
La vicenda ha per protagonista Doinita V., di origini rumene ma residente a Roma
dal 1992 e oggi cittadina italiana per avere contratto matrimonio con un uomo
del nostro paese. La donna, che nel 2002, ancora single, aveva ottenuto una
sentenza di adozione di minore, con pronuncia del tribunale rumeno di Costanza,
ne richiede il riconoscimento da parte dello Stato italiano, così da poter
portare la piccola Andrea in Italia ed inserirla nella nuova famiglia a tutti
gli effetti.
Purtroppo, a Doinita il Tribunale per i minorenni di Roma ha negato il
riconoscimento della sentenza rumena, poiché la legge italiana preclude di
recepire decisioni straniere che regolarizzino fattispecie adottive da parte di
una persona singola. Al diniego del Giudice di prime cure, è seguito il ricorso
alla Corte d’Appello di Roma, anch’esso rigettato in data 21 aprile 2005, per le
stesse motivazioni.
Il caso approda così davanti alla Suprema Corte, che non può non seguire la via
già percorsa nei primi due gradi di giudizio, ribadendo l’impossibilità di
riconoscere una generalizzata adozione internazionale da parte del richiedente
non coniugato, giusto il contrasto con la normativa italiana che, a differenza
di quella rumena, suole dar valenza a una tal richiesta solo se proveniente da
ambo i coniugi.
I Giudici di legittimità precisano che il legislatore “ben potrebbe provvedere,
nel concorso di particolari circostanze, tipizzate dalla legge o rimesse di
volta in volta al prudente apprezzamento del giudice, ad un ampliamento
dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola
persona, anche qualificandola con gli effetti dell’adozione legittimante, ove
tale soluzione sia giudicata più conveniente all’interesse del minore” ma che
non si può per questo “fondare il riconoscimento di una generalizzata
ammissibilità di tale adozione da parte di persona singola”.
In sostanza, nonostante la Convenzione di Strasburgo del 1967 consenta ai
singoli Stati di regolamentare liberamente le richieste di adozione da parte dei
singoli, salvi il preminente interesse del minore e il criterio di preferenza
per l’adozione da parte di coniugi, ciò, come sottolinea la Cassazione, potrebbe
avvenire solo in presenza di determinate condizioni.
Circa la Convenzione citata, interessante è la lettura della decisione presa
dalla Corte d’Appello di Roma, con ordinanza del 9 luglio 1993, per cui “La
Convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967 prevede la illimitata possibilità
della persona singola di adottare un minore. La norma pattizia internazionale,
resa esecutiva in Italia con la legge 22 maggio 1974 n. 357, non e' suscettibile
di abrogazione con legge ordinaria e quindi non e' modificata dalla successiva
legge 4 maggio 1983 n. 184, che limita a casi particolari la possibilità di
adozione del minore da parte di una singola persona. La possibilità di adozione
consentita dall'art. 6 della Convenzione appare in contrasto con il dettato
costituzionale degli artt. 29 e 30, che tutelano i diritti della famiglia e dei
minori che della stessa fanno parte. La stessa norma appare di non sicura
costituzionalità anche sotto il profilo della irragionevolezza e quindi
violatrice dell'art. 3 della Costituzione. Il procedimento dell'ordine di
esecuzione conferisce natura speciale alle norme pattizie internazionali e le
rende immodificabili da leggi successive finché l'ordine di esecuzione stesso
non sia modificato. Ne consegue l'applicabilità' della Convenzione di Strasburgo
e la possibilità ai sensi dell'art. 6 del singolo di adottare, senza limiti di
sorta, un minore”.
Tralasciando quanto disposto dalla Convenzione di Strasburgo, per comprendere
appieno le motivazioni che hanno spinto gli “ermellini” al rigetto dell’istanza
proposta dalla donna, occorre ripercorrere le linee essenziali della normativa
vigente in Italia in materia di adozioni, disciplinata dalla legge n. 184 del
1983, successivamente modificata con intervento legislativo n. 149 del 2001.
Già dal titolo della legge de qua, “Diritto del minore ad una famiglia”, si
comprende la ratio seguita dal legislatore, che intende garantire al minore un
nucleo familiare stabile, individuandolo nel composto bigenitoriale, più idoneo
ad occuparsi del bambino stante in condizioni di abbandono.
Entrando nello specifico, la legge n. 184 del 1983, agli articoli 6 e seguenti,
prevede una disciplina piuttosto particolareggiata che si va ad analizzare,
seppure a grandi linee.
Punto di partenza: l’adozione è consentita solo ai coniugi uniti in matrimonio
da almeno tre anni, o, in caso di vita coniugale più breve, che abbiano
convissuto in modo stabile nel precedente triennio. Essenziale è il rispetto di
determinati requisiti circa l’età degli adottandi, che deve superare di almeno
diciotto anni l’età dell’adottando, senza tuttavia oltrepassare i quarantacinque
anni di distanza, salva la deroga in caso di danno grave per il minore.
La procedura di adozione inizia con la presentazione di un’istanza, valida per
tre anni e riproponibile, rivolta ad uno o più Tribunali per i minorenni, con
specifica dell’eventuale disponibilità ad accogliere in famiglia più fratelli.
Alla richiesta seguiranno, per disposizione giudiziale, delle indagini, svolte
da servizi socio-assistenziali ed aziende sanitarie, volte ad accertare
l’idoneità concreta ad educare il minore, a sostenerlo economicamente e ad
inserirlo in un sano ambiente familiare. Al fine di “toccare con mano” tale
idoneità, è previsto un periodo di affidamento preadottivo, sotto la vigilanza
del Tribunale, della durata di un anno, decorso il quale, si potrà pronunciare
l'adozione, con duplice effetto: scioglimento del rapporto adottato - famiglia
di origine ed acquisizione da parte del minore, dello status di figlio legittimo
degli adottanti.
Se questo è quanto previsto circa l’adozione su istanza di una coppia coniugata,
in punto di adozione da parte del single, è bene precisare che il nostro
ordinamento non la vieta in toto, ma ne restringe l’ambito di operatività ai
casi specifici di cui all’articolo 44 della legge n. 184 del 1983 e alle
circostanze tassativamente indicate nel quarto e quinto comma dell’articolo 25
della stessa legge, ferma la preferenza per le coppie coniugate da almeno 3
anni.
Il primo comma dell’articolo 44 della legge de qua descrive le situazioni in cui
si consente anche al single richiedente di accedere all’adozione nazionale: ove
la parte istante sia legata al minore “da vincolo di parentela fino al sesto
grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano
di padre e di madre” (lett. a); qualora il minore risulti affetto da handicap e
sia orfano di padre e di madre (lett. c) o, ancora, in presenza di “constatata
impossibilità di affidamento preadottivo” (lett. d). Comune denominatore a base
della norma, il forte legame con l’adottante o l’estrema difficoltà di adozione.
Funge da legante tra la situazione delle adozioni nazionali e quella in tema di
adozioni internazionali, l’ordinanza n. 347 emessa dalla Corte Costituzionale di
Roma il 29 luglio del 2005.
Con tale decisione, l’organo giudicante, nel dichiarare manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale degli artt. 29 bis, 31 secondo comma,
35 primo comma, 36 primo e secondo comma e 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184,
prende spunto per offrirne un’interpretazione costituzionalmente orientata,
volta all’equiparazione tra adozione nazionale ed internazionale.
In pratica, la Corte ha ritenuto che l’adozione internazionale dovesse
incontrare stessi limiti e stesso ambito applicativo di quella nazionale,
consentita anche al single, seppur nei casi particolari già esaminati.
La pronuncia prendeva le mosse dalla fattispecie di una cittadina italiana la
quale, pur non essendo coniugata, presentava istanza di adozione di una bimba
bielorussa gravemente malata e costretta a vivere nel suo paese in condizioni di
abbandono.
La richiesta della donna circa l’ottenimento del decreto di idoneità
all’adozione era parsa legittimata sia alla luce di quanto disposto
dall’articolo 44, lettera d, già richiamato, e sia per carenza di motivazioni
fondanti un affidamento della bambina a terzi.
Invero, la difficoltà prospettatasi al giudice costituzionale nasceva
dall’intervento legislativo di cui alla legge 31 dicembre 1998 n. 479, che
inseriva l’articolo 29 bis, nel corpo della legge n. 184 del 1983.
Detta norma, nel disciplinare l’adozione internazionale, faceva espresso
richiamo alla sola disposizione contenuta nell’articolo 6 della legge n. 184,
senza alcun riferimento all’articolo 44 della stessa, che citava i “casi
particolari” nei quali si riconosceva l’adozione al single richiedente; così
facendo, il legislatore sembrava voler precludere ogni possibilità di adozione
internazionale da parte del single, pur in costanza dei medesimi presupposti in
cui si consentiva quella nazionale.
Ebbene, la Corte ha ritenuto inaccettabile un’interpretazione meramente
letterale della norma, giusto l’evidente contrasto col principio di eguaglianza
di cui all’articolo 3 del testo costituzionale. In effetti, se riconosciuti
presupposti valgono a legittimare un’adozione nazionale, non è dato sapere per
quali ragioni non possano rilevare anche ai fini di quella internazionale.
Inoltre, si creerebbe un’iniqua discriminazione tra minori italiani e stranieri,
anche alla luce di quanto dispone l’articolo 30 della Costituzione, che prevede
il diritto del minore e non del minore italiano in stato di abbandono ad essere
cresciuto in un ambiente a lui idoneo.
Ecco perché, a voler dare un’interpretazione costituzionalmente corretta della
normativa, l’adozione internazionale, al pari di quella nazionale, dovrebbe
essere consentita oltre che alle coppie di coniugi che abbiano preventivamente
ottenuto un decreto di idoneità da parte del Tribunale per i minorenni del luogo
di residenza e che si siano avvalsi dell’intervento di un ente autorizzato a
proseguire la procedura nel paese estero, altresì ai soggetti singoli che si
trovino nelle specifiche situazioni descritte dall’articolo 44 della legge n.
184 del 1983.
Chiariti i perché dell’ordinanza pronunciata dalla Corte Costituzionale nel
luglio del 2005, il panorama normativo non può dirsi completo senza che si
accenni a quanto previsto dal quarto comma dell’articolo 36, circa il
riconoscimento delle sentenze straniere di adozione. In esso si dispone che
l’ordinamento italiano può dare valore ad una pronuncia straniera di adozione
solo laddove gli istanti “dimostrino al momento della pronuncia di aver
soggiornato continuativamente nello stesso (nel Paese straniero) e di avervi
avuto la residenza da almeno due anni”.
Tornando al caso di Doinita, e tenendo a mente le considerazioni fin qui
effettuate, la sentenza emessa pochi giorni or sono dalla Suprema Corte parrà di
maggior comprensione.
La Cassazione ha ritenuto di dover rigettare l’istanza della donna per una serie
di motivazioni, prima fra tutte la mancanza di elementi probanti circa la
sussistenza di quel preesistente “rapporto affettivo e genitoriale di fatto
ormai consolidato”, così come vuole l’articolo 44 della legge n. 184 del 1983,
alla lettera a.
In secondo luogo, con riferimento all’articolo 36 della stessa legge, la Corte
ha sottolineato la mancanza, nel caso di specie, del requisito ivi richiesto e
relativo al biennio minimo di residenza nel Paese straniero. In effetti,
l’ininterrotta residenza di Doinita in Italia, fin dal 1992, appare
inconciliabile con la sostenuta comunione di vita ed affetti tra la donna e la
minore Andrea, sempre residente in Romania.
Per parola della stessa Cassazione, la mancata prova di un tal legame «è stata
correttamente valorizzata dalla Corte d’appello romana quale elemento
concorrente alla formazione del convincimento della non configurabilità della
situazione che, ai sensi della legge 184 del 1983 comma 4 art. 36 legittima il
riconoscimento in Italia della adozione pronunciata in un Paese straniero ad
istanza di cittadini italiani».
E ancora, la Corte ricorda ancora che al di fuori dei citati casi particolari,
“la norma non consente ai giudici italiani di concedere l’adozione di minori a
persone single. Al contrario, il principio fondamentale al riguardo è quello
secondo il quale l’adozione è permessa solo alla coppia di coniugi uniti in
matrimonio da almeno tre anni e non ai singoli componenti di questa”.
Per concludere, se per i motivi esplicati il caso di Doinita non poteva essere
ricompreso tra quelle tassative situazioni legittimanti un’adozione da parte di
un single e se l’ordinamento italiano non riconosce un’adozione generalizzata ai
soggetti non coniugati, allora i Giudici della prima sezione non potevano che
rigettare l’istanza proposta.
Consola il fatto che, come spiega il legale della donna, l’avvocato Evandro
Senatra, “I coniugi hanno ottenuto, finalmente, con una sentenza passata in
giudicato, la n. 15 del 2006, l’adozione speciale della figlia, in base
all'articolo 44, lettera d), della legge 184/1983” e comunque, aggiunge, “sono
contento dell’invito mosso dalla Cassazione al Legislatore, perché ritengo sia
meglio concedere un’adozione a un single che lasciare un bambino in istituto».
In effetti, la sentenza emessa dalla Suprema Corte, seppur di rigetto alle
richieste formulate, assume valore se inserita nel contesto normativo e se
correttamente interpretata.
I Giudici di legittimità hanno preso spunto dal caso proposto, per sottolineare
che, scrive il il relatore Maria Rosaria San Giorgio, il legislatore ''ben
potrebbe provvedere... ad un ampliamento dell'ambito di ammissibilità
dell'adozione di minore da parte di una singola persona, ove tale soluzione sia
giudicata più conveniente all'interesse del minore''.
L’innovazione portata dalla sentenza esaminata sta nell’invito, rivolto
all’organo legiferante, al superamento dei limiti imposti dal “diritto vigente”,
anche legittimando l’adozione da parte di un single, sempre che risulti “più
conveniente all’interesse del minore” e fatta salva la preferenza per
l’inserimento dello stesso in un nucleo familiare perfetto.
In conclusione, la Cassazione non ha voluto “fondare il riconoscimento di una
generalizzata ammissibilità di tale adozione da parte di persona singola”;
nessuna rivoluzione dunque, ma solo uno slancio teso verso un’interpretazione
più elastica della normativa.
Sul punto, interessante è il commento del professor Alberto Gambino, docente
ordinario di diritto privato presso l'Università Europea di Roma, il quale
sottolinea che il caso in questione, seppur estremo, non “può essere usato come
un cavallo di Troia per forzare il nostro sistema normativo e aprire
indiscriminatamente all’adozione dei single, che poi significa concretamente
allargare l’adozione anche ai conviventi siano essi etero o omosessuali…
l’adozione non è un diritto soggettivo di chi vuole adottare. E’ piuttosto il
bambino ad avere il diritto, per crescere e svilupparsi armoniosamente, ad una
mamma e un papà. Aggiungo che oggi l’alternativa non è tra il rimanere in un
istituto o l’essere adottato da un single: infatti il numero delle coppie
coniugate pronte ad adottare è, anche sul fronte internazionale, di gran lunga
superiore al numero dei bambini dichiarati adottabili. E’, dunque, davvero un
falso problema: non si comprende infatti perché si dovrebbe dare al bambino un
solo genitore quando si ha la concreta possibilità di dargliene entrambi”.
Sulla stessa linea, l’opinione espressa dal Giudice minorile Melita Cavallo,
secondo la quale "Ben venga l’apertura della Cassazione alle adozioni in favore
dei single, ma va detto che i bambini preferiscono avere una mamma e un papà
come riferimento". Inoltre, nel condividere l’appello che i Giudici hanno
rivolto al legislatore, ella aggiunge che “oggi nei confronti delle persone che
vivono sole non esiste più un pregiudizio culturale. In ogni caso deve prevalere
l’interesse superiore e se coincide con l’affido ad una persona single, allora
ben venga. Ma un giudice deve tenere presente anche che un bambino si sente più
rassicurato se ha con sé una mamma e un papà. In una coppia solitamente c’è
anche una condizione di maggiore stabilità».
Sotto altro profilo, la decisione della Corte ha avuto il merito di esortare un
allineamento della posizione italiana a quella europea, superando, come
affermato dalla senatrice Marisa Nicchi, “una discriminazione inaccettabile,
quella che vede la legge esprimere soltanto un tipo unico di genitorialità e di
famiglia”.
Di contro, la presa di posizione degli “ermellini” non ha trovato sostegno, come
era prevedibile, né nel pensiero delle famiglie adottive, né da parte del mondo
cattolico.
A conferma, si riporta la critica dell’Anfaa, associazione famiglie adottive e
affidatarie, che, insorgendo, lamenta l’assurdità insita nella volontà di
ampliare la normativa a vantaggio dei single, giacché, a loro dire “ci sono già
tante coppie che non accedono all’adozione, meglio dare due genitori ai bambini
piuttosto che uno”.
Infine, l’opposizione della Curia secondo la quale “E’ sbagliato sollecitare il
Parlamento a legiferare ampliando le opportunità di adozione per i single … dal
punto di vista della crescita psicologica del minore una coppia offre garanzie
che una persona singola non può dare”; d’altro canto, la reazione del Vaticano
era scontata, anche alla luce del fatto che, proprio pochi giorni fa, il
presidente della Cei Camillo Ruini, aveva fatto appello al mondo politico nel
senso di “una speciale attenzione” per “il sostegno della famiglia legittima
fondata sul matrimonio”.
In attesa di sapere se e in quali termini il legislatore italiano vorrà cogliere
l’imput della Cassazione, di certo il segnale lanciato dagli “ermellini”,
accolto o criticato che sia, ha avuto un grande merito: riaccendere i riflettori
sulla triste realtà dei tanti minori abbandonati, le cui piccole vite restano,
purtroppo, molto spesso “intrappolate” nelle maglie della legge e della
burocrazia. Auspicando che la società e il legislatore non perdano mai di vista
i diritti e gli interessi dei “grandi di domani”, una considerazione appare
doverosa: che ad adottare sia una famiglia o sia un single, l’importante resta
soddisfare la sete di affetto e di protezione tatuati nel cuore di ogni minore
abbandonato.
Avv. Selene Pascasi, 28 marzo 2006
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 28/03/2006