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ARTICOLO 171 DEL
CODICE PRIVACY:
Un parametro base per la scelta del Consulente Privacy
ERIC FALZONE(*)
Indice
INTRODUZIONE
I – ANALISI DELL’ARTICOLO 171 – D.LGS 196/03
II – RISULTATO DELLA RICERCA
III – MOTIVAZIONI DELL’ERRORE
IV – CONCLUSIONI
FONTI
Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - Legge 20 maggio 1970, n. 300 - Legge 24 novembre 1981 n. 689 - Regolamento CE n. 1103/97del 17 giugno 1997 - Decreto Legislativo 24 giugno 1998 n. 213
INTRODUZIONE
Mai sentito parlare
dell’articolo 171 del Codice Privacy?
No?
Ipotesi A): Non vi preoccupate, molto probabilmente non siete un Consulente
Privacy!
Ipotesi B): Preoccupatevi, molto probabilmente siete un Consulente Privacy
improvvisato!
Ma allora come capire se si è veramente un Consulente Privacy?
Come distinguere in ambito lavorativo dei professionisti da personaggi
improvvisati o “venditori di fumo”?
Come selezionare un partner qualificato nel settore della privacy e della
sicurezza delle informazioni da un’azienda puramente commerciale, che sta
tentando di vendervi un prodotto preconfezionato inadeguato ed a caro prezzo?
Per risolvere questo amletico dilemma, una conoscenza più approfondita
dell’articolo 171 del D.Lgs 196/03 può essere sicuramente un valido aiuto per
verificare la competenza tecnica propria e del vostro interlocutore ed
effettuare così una scelta più ponderata del consulente privacy aziendale a cui
affidare l’incarico.
I - ANALISI DELL’ARTICOLO 171 – D.LGS 196/03
Leggendo il titolo di questo saggio, molti di voi si saranno chiesti come
mai proprio l’art. 171 del Codice Privacy può essere considerato un parametro
base per la scelta del Consulente Privacy.
Per rispondere a questa domanda e soddisfare così la legittima curiosità di
quanti non conoscono tale articolo, sarà necessario analizzarne il contenuto e
delinearne la portata e importanza normativa.
All’articolo 171 il testo di legge del Codice Privacy così recita:“Altre
fattispecie – 1. La violazione delle disposizioni di cui agli articoli 113,
comma 1, e 114 è punita con le sanzioni di cui all'articolo 38 della legge 20
maggio 1970, n. 300.”
A prima vista questa criptica disposizione di legge sembra non rivelare nulla di
interessante e anzi essere una semplice indicazione aggiuntiva rispetto alle
fattispecie di illeciti penali definite negli articoli precedenti.
Ma ad un occhio più critico, attento ed esperto balena subito agli occhi la
citazione della Legge 300/70 ovvero dello “Statuto dei Lavoratori”.
A questo punto anche il più sereno e tranquillo degli imprenditori o dei
dirigenti aziendali non può non sobbalzare dalla sedia al sentir parlare di
diritti dei lavoratori e doveri del datore di lavoro in ambito privacy.
Proseguendo oltre con l’analisi si scopre infatti che questo semplice ed
all’apparenza banale articolo in realtà cela un potenziale di conflittualità e
di problematicità tali da costituire forse il più serio e grave dei pericoli che
un’azienda possa trovarsi a dover affrontare in tema di privacy in ambito
lavorativo.
In particolare esaminando dettagliatamente l’articolo 171 si scopre che esso
disciplina le sanzioni relative alle violazioni dei seguenti articoli del Codice
Privacy:
→ “Art. 113. Raccolta di dati e pertinenza - 1. Resta fermo quanto
disposto dall'articolo 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300.” ovvero
che è fatto divieto al datore di lavoro di raccogliere e trattare dati personali
(anche tramite terzi) - ai fini dell'assunzione, come nel corso dello
svolgimento del rapporto di lavoro – al solo scopo di indagare sulle opinioni
politiche, religiose o sindacali del lavoratore, o su fatti non rilevanti ai
fini della valutazione della sua attitudine professionale.
→ “Art. 114. Controllo a distanza - 1. Resta fermo quanto disposto
dall'articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300” ovvero che è
vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di
controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.
Immediatamente si intuisce la vastità della portata legislativa e della
pericolosità sanzionatoria di queste norme, che sinteticamente disciplinano la
materia privacy nei rapporti di lavoro.
Anche ai più scettici e dubbiosi dovrebbe ora essere chiaro il perché l’articolo
171 può essere considerato un parametro base per la scelta del consulente
privacy aziendale.
Infatti chi non conosce le problematiche privacy in ambito lavorativo non può
certamente considerarsi un consulente privacy, ne tanto meno spacciarsi per un
professionista del settore.
Ma se qualcuno non fosse ancora convinto della cosa, non rimane che analizzare
l’ultima parte dell’articolo 171 ovvero quella che rimanda alla seguente
disposizione dello Statuto dei Lavoratori:
→ “Art. 38 – L.300/70: (Disposizioni penali) Le violazioni degli
articoli 2, 4, 5, 6, 8 e 15, primo comma lettera a), sono punite, salvo che il
fatto non costituisca più grave reato, con l'ammenda da €. 154,94 a €. 1.549,37
o con l'arresto da 15 giorni ad un anno. Nei casi più gravi le pene dell'arresto
e dell'ammenda sono applicate congiuntamente. Quando per le condizioni
economiche del reo, l'ammenda stabilita nel primo comma può presumersi
inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla
fino al quintuplo. Nei casi previsti dal secondo comma, l'autorità giudiziaria
ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti
dall'articolo 36 del codice penale.”
Dalla lettura di questo dispositivo dunque si evince che la violazione dei
suddetti articoli 113 e 114 del Codice Privacy è un reato punibile penalmente
con l’ ammenda e/o con l’ arresto.
Fin qui sembrerebbe tutto semplice e chiaro se non fosse per il fatto che
nessuno mai sinora si è seriamente fatto carico di verificare se molte delle
informazioni che circolano nel settore privacy siano in realtà veramente
corrette.
Ed è questo proprio il caso dell’articolo 171, oggetto di molti errori
concettuali e di interpretazione legislativa.
Il più eclatante tra essi è quello facilmente rinvenibile su internet digitando
sui motori di ricerca le seguenti parole: “privacy inosservanza statuto dei
lavoratori” o “articolo 171 e statuto dei lavoratori”.
L’errore di cui vi sto parlando e che vi invito a provare a scoprire da soli,
chiaramente sarà visibile solo per un breve lasso di tempo a partire dalla data
di pubblicazione di questo saggio.
In ogni caso per chi non desiderasse intraprendere tale ricerca o per chi
potesse leggere questo scritto solamente in un periodo posteriore alla data
della sua pubblicazione darò la spiegazione e la motivazione di tale errore nel
paragrafo successivo.
II – RISULTATO DELLA RICERCA
Dopo una veloce ricerca su internet, utilizzando le parole chiave
consigliate, l’errore più comunemente rinvenibile sarà il seguente:
→ Un ammenda da € 51,65 (anziché € 154,94) a € 516,50 (anziché 1549,37)
A prima vista questo potrà sembrare un semplice errore di distrazione, ma in
realtà è un forte segnale di una marcata incompetenza e superficialità.
Innanzi tutto perché stiamo parlando di sanzioni penali, in secondo luogo perché
stiamo parlando di cifre economiche profondamente diverse ed in generale perché
siamo di fronte ad un grave sintomo di carenza di preparazione professionale.
III – MOTIVAZIONI DELL’ERRORE
Analizzando le cause che hanno portato a questo errore si intuisce
chiaramente che siamo di fronte ad un lampante caso di superficiale o
inesistente conoscenza della materia.
Infatti nel corso degli anni la normativa in questione ha subito le seguenti
evoluzioni:
→ L’ammenda inizialmente prevista dall’art. 38 – L 300/70 era “da lire
100.000 a lire un 1.000.000”;
→ Tale cifra è poi stata triplicata dall’art.113 – L. 689/81 che ha portato
l’ammenda da lire 100.000 a lire 300.000 e da lire 1.000.000 a lire 3.000.000;
→ Una ulteriore e finale modifica è poi intervenuta con l’avvento della moneta
unica europea che convertendo la lira in euro ha portato l’ammenda “da €. 154,94
a €. 1.549,37”.
Si intuisce facilmente che chi ritiene che la sanzione corretta per la
violazione degli art. 113 e 114 del Codice Privacy sia “da €. 51,65 a €. 516,50”
commette numerosi errori cronologici, legali e matematici ed in particolare:
→ Cronologicamente e legalmente non tiene conto di come è evoluta la materia
ovvero che è intervenuta una legge successiva allo Statuto dei Lavoratori che ha
triplicato le sanzioni e che perciò la conversione in euro non andava fatta su
lire 100.000 e lire 1.000.000, ma su lire 300.000 e 3.000.000;
→ Matematicamente e legalmente invece compie un errore di conversione
arrotondando alla prima cifra decimale (cioè a €. 516,50) anziché alla seconda
(ovvero a €. 516,46) in violazione di quanto previsto dal Regolamento CE n.
1103/97del 17 giugno 1997 e dal Decreto Legislativo 24 giugno 1998 n. 213.
IV – CONCLUSIONI
L’intento di questo saggio è quindi di cercare di screditare quanti ogni
giorno si improvvisano consulenti e al contempo di fornire una linea guida alle
aziende per la scelta del professionista a cui affidare l’incarico privacy.
A tal proposito gli articoli 113, 114 e 171 del D.Lgs 196/03 ben si prestano ad
essere considerati i candidati ideali per la definizione delle competenze
tecniche privacy che ogni consulente dovrebbe avere in ambito di diritto del
lavoro.
Queste disposizioni infatti possono essere considerate le fondamenta normative
su cui si poggia tutta la disciplina del trattamento di dati personali in ambito
lavorativo.
Una conoscenza superficiale o inesistente di questa materia infatti preclude la
possibilità di offrire servizi di consulenza professionali relativi al
trattamento di dati personali, sensibili e giudiziari del personale dipendente e
soprattutto non consente di fornire pareri legali corretti relativamente
all’adozione di sistemi che potrebbero essere altrimenti considerati strumenti
di controllo a distanza dei lavoratori quali:
→ Videosorveglianza
→ Controllo accessi e presenze
→ Biometria
→ GPS
→ RFID
→ Monitoraggio di e-mail e navigazione internet
→ Monitoraggio e controllo da remoto di PC e Server
→ Monitoraggio del traffico telefonico e dati
L’importanza e delicatezza di queste tematiche rende evidente che una scelta
errata del consulente privacy può essere fonte di innumerevoli problemi legati
al trattamento dei dati personali dei lavoratori, che possono dar adito a
molteplici contenziosi nonché esporre l’azienda al rischio di pesanti sanzioni
amministrative e penali.
Invito quindi ogni “Titolare” a ponderare accuratamente le proprie scelte,
prendendo in considerazione i seguenti parametri di giudizio prima di giungere
ad una decisione definitiva del consulente a cui affidare l’incarico:
→ Valutare accuratamente le capacità tecniche e la preparazione professionale
del vostro interlocutore in campo legale, organizzativo ed informatico;
→ Analizzare dettagliatamente tutte le possibili problematiche inerenti
alla privacy relative a clienti, fornitori e dipendenti;
→ Dare la giusta importanza all’impostazione legale ed organizzativa della
privacy in azienda rispetto a quella informatica;
→ Definire preventivamente le risorse interne necessarie ed il personale da
coinvolgere;
→ Evitare i software “fai da te” o il “copia e incolla”;
→ Diffidare da preventivi eccessivamente bassi o soluzioni semplicistiche dei
problemi.
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(*) eric.falzone@aucs.it
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 18/09/2006