AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Copyright © AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
Gli atti leciti dannosi nella teoria della responsabilità civile(*)
GIOVANNI GIACOBBE
(*) Le pagine che seguono sono parte di capitolo della monografia Atto
illecito e responsabilità civile che è primo dei tomi dedicati alla materia
della responsabilità civile nel Trattato di diritto privato diretto da Mario
Bessone per la casa editrice Giappichelli(**)
La categoria dei c.d. atti leciti dannosi comprende tutti quegli atti che, pur
determinando la lesione della sfera giuridica di uno o più soggetti, tuttavia
ricevono una regolamentazione del tutto particolare e differente rispetto alla
disciplina che la legge prevede per la generalità degli atti illeciti60.
Il codice civile e le leggi speciali individuano molteplici fattispecie nelle
quali ad atti e comportamenti, espressamente autorizzati dalla legge, conseguono
obbligazioni di natura sostanzialmente risarcitoria in capo a colui che tali
atti o comportamenti ha posto in essere61.
Si deve preliminarmente osservare che non tutta la dottrina condivide la
definizione, data alla figura giuridica in esame, di «atto lecito dannoso»62.
Tale definizione, infatti – come, del resto, la stessa configurazione che della
disciplina in esame viene prospettata – trova fondamento nella concezione
sanzionatoria della responsabilità civile, cui si è fatto cenno nei precedenti
paragrafi. Invero, se la responsabilità risarcitoria costituisce una conseguenza
del comportamento riprovevole di colui che ha causato il danno, è evidente che,
ove un giudizio di riprovevolezza non possa essere pronunciato, non sussiterà
l’obbligo di risarcimento. L’atto lecito dannoso costituisce, in una simile
prospettiva, un’ipotesi eccezionale limitata, in quanto tale, ai soli casi
espressamente previsti dalla legge63.
Invero, l’atto lecito è privo della qualificazione di antigiuridicità che,
secondo l’orientamento in esame, caratterizza la responsabilità risarcitoria.
Atto lecito, dunque, che si contrappone all’atto illecito ma che, analogamente a
quest’ultimo, produce un danno ingiusto risarcibile.
Dell’insufficienza della teoria sanzionatoria della responsabilità civile per
fatto illecito si è già parlato in precedenza e sono state evidenziate le nuove
prospettive di interpretazione delle varie fattispecie di responsabilità che
prescindono dalla colpa64.
Orbene, proprio sulla base del più recente orientamento in materia di
responsabilità civile, si può affermare che, in realtà, gli atti leciti dannosi,
di cui si discute, costituiscono una categoria generale, suscettibile di
interpretazione analogica e la cui disciplina è, pertanto, applicabile alle
fattispecie simili, nelle quali, cioè, ad un comportamento autorizzato dalla
legge, quest’ultima ricollega conseguenze di natura risarcitoria65.
Invero, si è detto che spesso la responsabilità sorge indipendentemente dalla
colpa del soggetto, per il solo fatto che un evento sia ad esso materialmente
imputabile. La legge prevede, altresì, determinati criteri di collegamento che
prescindono dalla derivazione materiale dell’evento stesso da colui che è
obbligato a corrispondere il risarcimento. In questi casi, cioè, manca una
condotta soggettivamente, o anche oggettivamente, imputabile e, tuttavia, è
espressamente prevista un’obbligazione risarcitoria.
Ciò che rileva, quindi, è la verificazione materiale del danno e del conseguente
pregiudizio che viene arrecato. La risarcibilità del danno stesso non viene
determinata dalla qualificazione della condotta, sibbene da una valutazione
strettamente attinente alla sfera economica e patrimoniale dei soggetti del
rapporto66.
Proprio in considerazione delle suindicate valutazioni si deve ritenere che
anche la ratio della risarcibilità dei danni conseguenti alle attività cd.
lecite debba essere individuata in un’esigenza di salvaguardia delle ragioni
che, di volta in volta, l’ordinamento ritiene meritevoli di tutela. Si tratta,
quindi, di quel bilanciamento degli opposti interessi, di cui si è detto nei
precedenti paragrafi, che induce a privilegiare, in presenza di determinate
circostanze, alcune posizioni giuridiche soggettive rispetto ad altre.
Naturalmente, poiché varie sono le situazioni nelle quali una simile operazione
di bilanciamento deve essere effettuata, non è possibile individuare precisi
criteri cui l’interprete si deve attenere nello stabilire se, di fronte ad un
comportamento causativo di danno, al danneggiato spetti, ed in che misura, il
risarcimento. La legge, infatti, prevede una serie di ipotesi nelle quali è
consentito ad un soggetto di compiere un atto che, in mancanza di una espressa
previsione che ne autorizzi il compimento, sarebbe illecito. Si pensi, ad
esempio, alle ipotesi, previste dal codice civile, nelle quali il proprietario
di un fondo deve consentire l’accesso ad altri in presenza di specifiche
circostanze; ai casi in cui è consentito a colui che non è proprietario di una
cosa di incidere su di essa; all’ipotesi in cui chi formula una proposta
contrattuale può revocarla senza ulteriori conseguenze, con l’unico limite
costituito dalla circostanza che il destinatario della proposta stessa abbia già
intrapreso in buona fede l’esecuzione del contratto67.
In tutte le suindicate fattispecie, la legge autorizza un determinato
comportamento prevedendo, tuttavia, che, nell’ipotesi in cui da esso derivi un
danno, l’autore dello stesso è tenuto ad indennizzare l’altra parte del
pregiudizio economico subito.
Già dal tenore letterale delle citate disposizioni emerge che il danno non
rientra nella configurazione che, del fatto, viene prospettata dalla legge. In
sostanza, si autorizza un’attività od un comportamento proprio sul presupposto
che da esso non derivi alcun pregiudizio, tant’è che ove quest’ultimo, in
concreto, si verifichi, l’autore dello stesso è tenuto ad effettuare il
risarcimento, sia pure in una forma ridotta.
Una prima osservazione appare necessaria. L’autorizzazione, che la legge
attribuisce al soggetto di porre in essere il fatto, che si potrebbe rivelare
causativo di danno, non elimina l’illiceità del fatto stesso, tant’è che, come
si è detto, viene imposta una forma di riparazione. Più precisamente,
autorizzando la legge quel determinato comportamento, essa introduce una
esplicita deroga alle norme che, in linea generale, tale comportamento vietano.
È, tuttavia, evidente che da una simile deroga non possono derivare conseguenze
ulteriori o diverse rispetto a quelle che la legge ha inteso perseguire, per cui
occorre, di volta in volta, accertare la ratio della singola disposizione68.
Orbene, per tornare agli esempi cui si è accennato in precedenza, è determinante
la considerazione che la norma, se, da un lato, autorizza un determinato
comportamento (ad esempio, l’ingresso nel fondo del vicino), dall’altro, prevede
che, ove a seguito di ciò venga arrecato un pregiudizio, al danneggiato è dovuta
un’indennità.
L’attenzione si sposta, quindi, dalla qualificazione in termini di liceità od
illiceità di un atto – che, ai fini voluti dalla norma, ha scarso rilievo
pratico – al problema della quantificazione del danno in concreto subito dal
soggetto69.
Codesta quantificazione, nelle ipotesi in esame, non coincide con l’integrale
ammontare del pregiudizio arrecato, perché la legge ha inteso operare un
contemperamento degli opposti interessi, distribuendo il peso economico di una
determinata attività.
Sotto l’indicato profilo si deve condividere quell’orientamento che critica la
distinzione, operata da parte della dottrina, tra atti leciti ed atti illeciti
dannosi sulla base delle differenti conseguenze, indennizzo per i primi e
risarcimento per i secondi, che da essi derivano70.
Nelle ipotesi esaminate, infatti, ad entrambe le forme di riparazione deve
essere attribuita la medesima natura, con l’unica differenza costituita dalla
misura della liquidazione. La quantificazione, tuttavia, non consegue ad una
diversa qualificazione delle suindicate forme di riparazione, quanto piuttosto
ad una diversa valutazione che delle posizioni del danneggiante e del
danneggiato ha, in concreto, operato il legislatore.
In tale ottica devono essere inquadrate le fattispecie della legittima difesa e
dello stato di necessità. In entrambe, come sarà evidenziato, vengono in rilievo
comportamenti di per sé illeciti ai quali, tuttavia, per espressa previsione
legislativa, non sono collegate le ordinarie conseguenze risarcitorie.
Legittima difesa e stato di necessità: considerazioni generali
Si è detto nei precedenti paragrafi che la responsabilità civile sorge allorché
vi sia un fatto illecito – individuato in un comportamento umano ovvero in una
situazione di relazione con l’autore del fatto o con la cosa da cui il danno è
derivato – che determina un danno ingiusto. Quest’ultimo consiste nella lesione
di un interesse giuridicamente protetto nella vita di relazione, che si pone
quale conseguenza immediata e diretta del fatto medesimo71.
Può accadere che, pur in presenza dei suindicati presupposti, la legge escluda
la sussistenza, in tutto o in parte, dell’obbligazione risarcitoria.
Al riguardo è opportuno, tuttavia, precisare che, in realtà, tale sussistenza è
solo apparente, poiché nelle fattispecie disciplinate vi sono alcuni dei
requisiti previsti dalla legge ai quali non è possibile attribuire la
qualificazione necessaria per definire ingiusto il danno che si realizza.
Le considerazioni che seguono si fondano, come si vedrà, su di una concezione
del fatto illecito che tiene conto della mutata realtà sociale ed in particolare
di quelle esigenze di contemperamento degli opposti interessi che, in
circostanze particolari, inducono a limitare o addirittura ad escludere la
stessa responsabilità.
La legittima difesa e lo stato di necessità costituiscono due ipotesi nelle
quali vi è un comportamento umano volontario dal quale deriva un danno ad un
altro soggetto.
Il codice civile disciplina espressamente le due fattispecie, a differenza del
precedente codice nel quale, al contrario, esse non trovavano puntuale
regolamentazione72.
È interessante notare, proprio a conferma del fondamento sostanzialmente
equitativo dei due istituti, che, nella pratica attuazione del diritto, anche
sotto il vigore del codice precedente non si dubitava che il danno prodotto in
stato di necessità o per legittima difesa dovesse essere regolato in modo
particolare, tenendo conto delle peculiarità della situazione nella quale il
danno stesso era prodotto73.
Invero, per quanto riguarda la legittima difesa, la dottrina ha sottolineato che
non può essere qualificato ingiusto il danno arrecato nei confronti di colui
che, con il proprio comportamento illecito, ha determinato la necessità di
offendere per difendere sé od altri dall’ingiusta aggressione74.
Tale necessità, infatti, giustifica la reazione dell’aggredito ed esclude che il
danno da quest’ultimo prodotto investa, nel caso specifico, un interesse
tutelato nell’accezione precedentemente indicata.
Relativamente allo stato di necessità, la valutazione del legislatore si è
orientata nel senso di operare un bilanciamento di interessi, ritenuti
egualmente meritevoli di tutela.
La fattispecie dello stato di necessità è composta da due fatti giuridici, tra
loro collegati, consistenti in una situazione di necessità ed in un
comportamento necessitato (c.d. fatto necessitante)75.
Naturalmente, per produrre le particolari conseguenze, di cui si dirà tra breve,
entrambi i fatti devono possedere requisiti ben precisi, non sussistendo, in
mancanza di essi, le ragioni giustificative del particolare regime giuridico76.
Una caratteristica peculiare del danno prodotto in stato di necessità riguarda
il soggetto nella cui sfera giuridica il pregiudizio si verifica, soggetto che è
del tutto estraneo al rapporto che si crea tra l’autore del comportamento
necessitato e colui in favore del quale l’attività è posta in essere (soggetto
che, come si vedrà, può essere anche l’autore medesimo). Da tale circostanza
deriva l’esigenza di tutelare la posizione di chi si trova, senza sua colpa, a
dover subire una lesione nella propria sfera giuridica e, quindi, la ragione per
cui si è ritenuto di distribuire tra tali soggetti le conseguenze dannose77.
La ratio che ispira la scelta del legislatore si ricava dalla stessa relazione
al Re. In essa, infatti, a proposito della legittima difesa si afferma che colui
che agisce a tutela di un proprio diritto esercita un potere di reazione che è
consentito dall’ordinamento. Di conseguenza, il danno non può qualificarsi
ingiusto ai sensi dell’art. 2043 c.c.78.
Diversa è la giustificazione dell’attenuazione della responsabilità
relativamente al danno prodotto in stato di necessità. Si precisa, al riguardo,
che la sussistenza di una responsabilità, sia pure in forma attenuata, deriva da
uno specifico dovere, che incombe sul danneggiante, di contribuire, con il
proprio parziale sacrificio, alla salvezza altrui79.
Di particolare interesse, ai fini che saranno evidenziati nei successivi
paragrafi, è la limitazione del suddetto sacrificio all’ipotesi in cui la
salvezza altrui non sia altrimenti conseguibile: proprio tale limitazione
sottolinea l’esigenza, che costituisce il fondamento dell’art. 2045 c.c., di
distribuire il danno tra i vari soggetti del rapporto.
Dalle delineate caratteristiche delle due situazioni in esame deriva la diversa
disciplina che, per ciascuna di esse, è dettata dal codice civile80.
L’art. 2044 c.c. esclude, infatti, che l’aver agito per legittima difesa
determini alcuna responsabilità in capo all’autore del danno. Al contrario, se
quest’ultimo ha agito in stato di necessità la legge non lo esonera
completamente dall’obbligo di corrispondere al danneggiato una somma a titolo di
riparazione, prevedendo un’indennità la cui misura è affidata all’equo
apprezzamento del giudice.
La legittima difesa, peraltro, è consentita a tutela di un qualsiasi diritto –
sia esso di natura personale o patrimoniale – mentre la necessità di salvare sé
od altri è limitata al pericolo attuale di un danno grave alla persona.
È evidente la ratio della diversa disciplina. Invero, la difesa in tanto è
legittima in quanto si rivolge nei confronti di colui che, a sua volta, lede un
diritto altrui. Il danneggiato è, quindi, anche il soggetto che ha
sostanzialmente dato causa al danno da esso subito. Non vi è ragione, pertanto,
di limitare l’interesse tutelato a svantaggio di chi si difende da
un’aggressione altrui. L’unico limite, come sarà meglio precisato nei successivi
paragrafi, è costituito dalla circostanza in base alla quale la difesa deve
essere proporzionata all’offesa81.
Codesta circostanza costituisce logica conseguenza della valutazione di non
antigiuridicità che del comportamento dell’aggredito viene effettuata dal
legislatore. Tale valutazione ha, infatti, come indispensabile presupposto la
sussistenza del fine di difesa – e non di ulteriore offesa o addirittura di
ritorsione – che l’aggredito medesimo intende perseguire82.
Il danno compiuto in stato di necessità, come si è detto, si verifica a carico
di un soggetto del tutto estraneo alla situazione necessitante. Invero, esso si
trova in una posizione di terzo danneggiato in relazione ad una fattispecie
nella quale l’unico vantaggio deriva in favore del soggetto che compie l’azione
necessitata ovvero del terzo che viene salvato. Il legislatore, cioè, di fronte
alla scelta tra due posizione giuridiche soggettive – di cui l’una in pericolo,
l’altra destinata ad essere pregiudicata per scongiurarare il pericolo stesso –
consente che venga posta in essere un’attività pregiudizievole che, ove la
situazione necessitante non sussistesse, sarebbe fonte di responsabilità
risarcitoria83.
È, tuttavia, evidente che il pregiudizio a carico di un terzo estraneo in tanto
può essere tollerato, in quanto il pericolo al proprio o all’altrui diritto sia
particolarmente grave. Di qui la necessità che si tratti di un pericolo di danno
grave alla persona84.
Peraltro, la qualità di terzo che riveste il soggetto danneggiato ha indotto il
legislatore a prevedere, nei suoi confronti, una forma di indennizzo, in quell’ottica
redistributiva delle conseguenze pregiudizievoli, di cui si è detto.
Le considerazioni che precedono verranno riprese nei successivi paragrafi,
quando verrà affrontato il problema della natura giuridica e della
qualificazione del comportamento e del danno nelle fattispecie in esame85.
È opportuno, in questa sede, esaminare le caratteristiche principali delle
analoghe ipotesi previste dal codice penale che, sul punto, contiene una
disciplina più completa e, per certi aspetti, esaustiva.
Il codice civile, infatti, non indica espressamente in quali casi la legittima
difesa e lo stato di necessità sussistono.
Il codice penale, al contrario, negli artt. 52 e 54 contiene un’analitica
indicazione delle possibili situazioni che si possono verificare nelle
fattispecie in esame86.
L’art. 52 c.p., infatti, prevede la non punibilità per colui che è stato
costretto a commettere un fatto, costituente reato, dalla necessità di difendere
un diritto proprio o altrui contro il pericolo grave di un’offesa ingiusta. La
norma, a differenza di quella civile, prevede espressamente il requisito della
proporzionalità.
Il successivo art. 54 sostanzialmente riproduce, nel primo comma, la
formulazione civilistica, prevedendo, inoltre, il requisito della
proporzionalità.
La norma è più precisa nei commi 2° e 3°, nei quali è espressamente considerata
l’ipotesi di colui che ha un obbligo particolare di esporsi al pericolo e
l’ipotesi in cui lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia.
Il silenzio del codice civile sul punto ha creato non lievi difficoltà
interpretative, di cui si dirà nei successivi paragrafi87.
Le differenti formulazioni delle norme penali, rispetto a quelle civili in
esame, non escludono che ad esse debba essere attribuito il medesimo fondamento.
Invero, la dottrina penalistica che ha approfondito la relativa problematica ha
sottolineato che le cause di giustificazione, quali devono essere definite le
fattispecie previste dagli artt. 52 e 54 c.p.88,
presuppongono la sussistenza di un reato completo in tutti i suoi elementi:
tipicità, antigiuridicità, colpevolezza89.
La ragione dell’esclusione della punibilità, in tal caso, deriva da
un’operazione di bilanciamento degli interessi individuabili, da un lato, nella
lesione del bene tutelato; dall’altro, in un bene che l’ordinamento considera di
maggior pregio90.
Sotto tale profilo, pertanto, è identica la ratio che ha indotto il legislatore,
in un caso, a ritenere non punibile l’autore del fatto; nell’altro caso, ad
escludere ovvero limitare le conseguenze risarcitorie al fatto stesso connesse.
È importante, tuttavia, sottolineare tale ultimo aspetto, e cioè che mentre le
fattispecie considerate dal codice penale ricevono disciplina sotto il profilo
dell’esclusione della punibilità – nonostante che il fatto costituisca
astrattamente reato – le medesime fattispecie acquistano rilevanza, sotto il
profilo civilistico, quali cause di esclusione ovvero di limitazione della
responsabilità risarcitoria.
Da ciò deriva che, ai fini penali, l’applicazione della norma è condizionata
dalla realizzazione del comportamento in quelle determinate circostanze; la
fattispecie civilistica si realizza, invece, soltanto nell’ipotesi in cui si
determina, in concreto, un danno. In mancanza di esso, infatti, non sorge alcuna
responsabilità in quanto non si completa la fattispecie prevista dall’art. 2043
c.c.91(CONTINUA
)
NOTE
60 In generale, sul punto, D. RUBINO,
Osservazioni in tema di stato di necessità e concorso di persone nel fatto
colposo, in Riv. giur. circ. trasp., 1953, p. 204 ss.; G. TUCCI, La
risarcibilità del danno da atto lecito nel diritto civile, cit., p. 229 ss.
Parla, in questo caso, di danno non antigiuridico A. DE CUPIS, Il danno, cit.,
p. 25, il quale, qualificando l’antigiuridicità quale «espressione della
prevalenza accordata dal diritto ad un interesse opposto», individua ipotesi di
danno che mirano «non già a garantire la prevalenza di un interesse, ma, bensì,
a compensare il soggetto dell’interesse da esso stesso sacrificato».
61 Per un’analisi delle singole fattispecie, nelle quali è
possibile individuare ipotesi di comportamenti leciti, dai quali deriva
l’obbligo di riparare le conseguenze pregiudizievoli, si rinvia a G. TUCCI, La
risarcibilità del danno da atto lecito nel diritto civile, cit., p. 235 ss.
Osserva F.D. BUSNELLI, voce Illecito civile, cit., p. 11, che non possono
qualificarsi ingiusti i danni che derivano da un comportamento dell’agente posto
in essere nell’esercizio di un diritto, che non risulti abusivo.
62 A. DE CUPIS, Il danno, cit., p. 25 ss. parla di danno non
antigiuridico, identificando con tale espressione il danno che deriva da un atto
lecito. Sul punto si veda D. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici
preliminari, Milano, 1939, p. 205 ss.; TORREGROSSA, Il problema della
responsabilità da atto lecito, Milano, 1964, p. 67 ss.
63 A. DE CUPIS, Il danno, cit., p. 34, il quale afferma che «il
danno, il quale non sia contra ius, solo eccezionalmente assume senso
giuridico».
64 Si rinvia, sul punto, al precedente § 3.
65 Così G. DUNI, Lo Stato e la responsabilità patrimoniale,
Milano, 1968, p. 82 ss. Ritiene che anche negli atti leciti dannosi sussiste un
danno ingiusto G. TUCCI, La risarcibilità del danno da atto lecito nel diritto
civile, cit., p. 264. Nello stesso senso E. CASETTA, L’illecito negli enti
pubblici, in Memorie dell’istituto giuridico dell’Università di Torino, Torino,
1953, p. 49 ss. Di contrario avviso F.D. BUSNELLI, La lesione del credito da
parte di terzi, cit., p. 77, secondo cui non può qualificarsi ingiusto, ai sensi
dell’art. 2043 c.c., un danno prodotto da un comportamento posto in essere
nell’ambito di un diritto.
66 Si veda, in proposito, la definizione di danno ingiusto che
è stata prospettata nel precedente § 4. Secondo G. TUCCI, La risarcibilità del
danno da atto lecito nel diritto civile, cit., p. 257 «La funzione
dell’ingiustizia riguarda pertanto la delimitazione della sfera
giuridico-patrimoniale che si deve risarcire».
67 Oltre agli autori già citati nella nota 61 si veda M.
FRANZONI, Fatti illeciti, cit., p. 115 ss., il quale, tra l’altro, osserva che
la figura degli atti leciti dannosi è ambigua poiché «non si può considerare
lecito un comportamento, per il solo fatto che una norma espressamente lo
autorizzi». Si veda, altresì, A. DE CUPIS, Il danno, cit., p. 27 ss.
68 Così M. FRANZONI, Fatti illeciti, cit., p. 115.
69 P. TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano,
1961, p. 17 ss., il quale sottolinea il profilo solidaristico della riparazione
del danno.
70 Rileva M. FRANZONI, Fatti illeciti, cit., p. 114 come «non
sia possibile costruire alcunché a partire dalla nozione di indennità o di
indennizzo, posto che il legislatore la ha impiegata con almeno tre diversi
significati tra loro inconciliabili». Prosegue, quindi, affermando che «non si
può costruire la figura dell’atto lecito dannoso legandola a quella di
indennizzo».
71 Si rinvia, sul punto, al precedente § 4.
72 C.M. BIANCA, Diritto civile, cit., pp. 663 e 675, il quale
rileva, con particolare riferimento allo stato di necessità, che pur in assenza
di un’esplicita disposizione se ne riconosceva la rilevanza nell’ambito della
responsabilità extracontrattuale; M. FRANZONI, Fatti illeciti, cit., pp. 289 e
294; B. INZITARI, voce Necessità, cit., p. 852. Un primo tentativo di
disciplinare le due figure dello stato di necessità e della legittima difesa si
ritrova nell’art. 77 del progetto italo-francese per le obbligazioni e i
contratti del 1927, su cui G. TEDESCHI, Legittima difesa, stato di necessità e
compensazione delle colpe, in Riv. dir. comm., 1931, I, p. 738 ss.
73 La tesi, su cui si rinvia agli autori citati nella nota
precedente, trae fondamento dal¬l’analisi della normativa penalistica, che
espressamente disciplina, sotto il profilo dell’esclusione della punibilità, il
fatto compiuto per difesa legittima o in stato di necessità. Sul punto si veda
il § 8 ss.
74 E. CALVI, La legittima difesa nel diritto civile, in Arch.
resp. civ., 1961, p. 17, il quale, proprio in considerazione di quanto
evidenziato nel testo, dubita dell’effettiva necessità del¬l’art. 2044 c.c.
75 M. BRIGUGLIO, Lo stato di necessità nel diritto civile,
Padova, 1963, p. 17, il quale ricomprende tra gli effetti che la norma collega
alla fattispecie l’insorgere dell’obbligazione indennitaria. Di contrario avviso
S. PIRAS, Saggi sul comportamento necessitato nel diritto civile, in Studi
Sassaresi, 1949, p. 13 ss., il quale esclude la rilevanza, nell’ambito della
fattispecie, di un ulteriore evento.
76 Sul punto si rinvia al successivo § 17 ss.
77 Così R. SCOGNAMIGLIO, voce Responsabilità civile per fatto
altrui, cit., p. 655, il quale parla di una causa parziale di esonero dalla
responsabilità.
78 Nella Relazione al Re, n. 797, si legge «Perché il fatto
colposo o doloso sia fonte di responsabilità occorre che esso produca un
ingiusto danno». «Non vi sarà responsabilità quando il danno è arrecato in
situazione di legittima difesa perché chi agisce ha in tal caso il potere di
difendere il proprio diritto a costo di recar danno a chi lo aggredisce: allora
il danno prodotto non può qualificarsi ingiusto».
79 Relazione al Re, n. 798, nella quale si afferma «… al
danneggiato è dovuta un’indennità che sarà determinata dal giudice secondo
equità (art. 2045), costituendo in sostanza un dovere del soggetto di
contribuire, con il sacrificio parziale proprio, alla salvezza altrui se questa
non si possa altrimenti ottenere».
80 A. NATTINI, Appunti sulla natura giuridica dell’atto
necessitato, in Riv. dir. comm., 1911, I, p. 703 ss.
81 Tale limite, per la verità, non è espressamente previsto
dalla legge. Sul punto E. CALVI, La legittima difesa nel diritto civile, cit.,
p. 20, il quale osserva che grande importanza è affidata all’equo apprezzamento
del giudice. Si rinvia, per un maggiore approfondimento, al successivo § 15.
82 Così C.M. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 675. Individua il
fondamento della legittima difesa in un’esigenza di ragion naturale A. DE CUPIS,
Dei fatti illeciti, cit., p. 43 ss.
83 In proposito B. INZITARI, voce Necessità, cit., p. 857
afferma che «La situazione necessitata fa infatti sorgere un diretto conflitto
tra gli interessi del danneggiato e del danneggiante».
84 Per maggiori approfondimenti sul punto si rinvia al
successivo § 19.
85 Si veda, in particolare, il § 18 sul fondamento giuridico
dello stato di necessità.
86 In generale, sull’argomento, C.F. GROSSO, Difesa legittima e
stato di necessità, Milano, 1964; T. PADOVANI, voce Difesa legittima, in Dig.
disc. pen., 1989, III, p. 509 ss.; M. BOSCARELLI, voce Legittima difesa, in Enc.
giur., 1990, XVIII, p. 1 ss.; G. AZALI, voce Stato di necessità (dir. pen.), in
Noviss. Dig. it., 1971, XVIII, p. 356 ss.; C.M. GROSSO, voce Necessità (dir.
pen.), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, p. 882 ss.; C. AIELLO, voce Stato di
necessità, in Enc. giur., 1993, XLIV.
87 Si rinvia, al riguardo, al § 18 ss.
88 Così M. ROMANO, Giustificazione e scusa nella liberazione da
particolari situazioni di necessità, in Riv. dir. proc. pen., 1991, p. 43 ss.,
il quale afferma che tale qualificazione «vale naturalmente per la legittima
difesa, che in ogni sua parte … sottolinea la totale, piena liceità della
reazione difensiva», ma, aggiunge, «vale anche per lo stato di necessità …
avente alla base un bilanciamento sostanzialmente oggettivo di interessi o beni
giuridici».
89 M. ROMANO, Cause di giustificazione, cause scusanti, cause
di non punibilità, in Riv. dir. proc. pen., 1990, p. 59.
90 M. ROMANO, Cause di giustificazione, cause scusanti, cause
di non punibilità, cit., p. 60 ss., spec. p. 61, dove si precisa che «il dato
specifico per le cause di giustificazione consiste nella circostanza che
l’interesse che esse segnalano ed affermano è per così dire “interno alla
meritevolezza della pena” …».
91 Sul punto M. BRIGUGLIO, Lo stato di necessità nel diritto
civile, cit., p. 18.
(**)C.
SCOGNAMIGLIO,A. FIGONE,C. COSSU,G. GIACOBBE,P.G. MONATERI
ILLECITO E RESPONSABILITA’ CIVILE
G. Giappichelli editore -
Primo dei volumi dedicati alla disciplina della responsabilità civile nel
Trattato di diritto privato diretto da Mario Bessone, e risultato della
collaborazione tra ben noti cultori della materia, quest’opera svolge esauriente
analisi delle normative e delle problematiche indicate con chiarezza già dal
circostanziato indice del volume.
INDICE
L’INGIUSTIZIA DEL DANNO (ART. 2043)
di Claudio Scognamiglio
1. Premessa: ingiustizia del danno e problema della responsabilità civile 1
2. L’ingiustizia del danno ed il sistema della responsabilità civile 12
2.1. La nozione dogmatica di danno ed il concetto di «ingiustizia» del danno: le
posizioni della dottrina 12
2.2. L’ingiustizia del danno: tra «clausola generale» di responsabilità e
«tipicità progressiva» degli illeciti civili 23
3. Il giudizio di ingiustizia del danno 31
3.1. La struttura formale del giudizio di ingiustizia 31
3.2. Il giudizio di ingiustizia: la struttura della situazione giuridica
rilevante 36
3.3. Il giudizio di ingiustizia del danno: il «bilanciamento degli interessi» 42
3.3.1. Giudizio di ingiustizia del danno e regola di buona fede 48
3.4. Giudizio di ingiustizia del danno e norma costituzionale 54
3.4.1. La tutela degli interessi riferibili alla persona umana 54
3.4.2. La tutela degli interessi «meramente patrimoniali» 60
3.4.2.1. Tutela aquiliana e disciplina del mercato: il caso dell’illecito
antitrust 65
ARTT. 2044-2045
di Giovanni Giacobbe
I.
1. Premessa 77
2. Presupposti della responsabilità civile: a) il fatto 82
3. b) l’elemento soggettivo 85
4. c) il danno ingiusto 89
5. d) il nesso di causalità 95
6. Gli atti leciti dannosi nella teoria della responsabilità civile 100
II.
7. Legittima difesa e stato di necessità: considerazioni generali 104
8. La legittima difesa nel diritto penale: elementi costitutivi della
fattispecie 109
9. Lo stato di necessità nel diritto penale: elementi costitutivi della
fattispecie 115
10. Lo stato di necessità e la teoria dell’inesigibilità 122
11. La disciplina penale delle scriminanti 125
III.
12. L’art. 2044 c.c.: caratteri della legittima difesa 129
13. Segue. I diritti tutelabili 133
14. Segue. Il pericolo 134
15. La proporzionalità tra l’offesa e la reazione. L’eccesso colposo di
legittima difesa e la provocazione 136
16. La legittima difesa putativa 140
IV.
17. La previsione dello stato di necessità nel codice civile 144
18. Il fondamento dello stato di necessità 147
19. Elementi costitutivi dello stato di necessità: il danno grave alla persona
153
20. Segue. Il pericolo di danno. Attualità, inevitabilità, involontarietà 159
21. Segue. In particolare: lo stato di necessità putativo 164
22. Segue. Il fatto necessitato dannoso 167
23. Il diritto sacrificato ed il criterio della proporzionalità 170
24. Il dovere di esporsi al pericolo 173
25. Il fatto colposo del terzo 176
26. Il soccorso necessitato 183
27. L’obbligazione indennitaria: natura e fondamento 188
28. La rilevanza dello stato di necessità nella responsabilità contrattuale 193
LA RESPONSABILITÀ E IL DANNO CAGIONATO DALL’INCAPACE (ARTT. 2046-2047)
di Cipriano Cossu
Parte prima: DANNO E IMPUTABILITÀ
1. La nozione di imputabilità. Imputabilità e colpevolezza. Le actiones liberae
in causa 199
2. Imputabilità penale. Imputabilità civile 204
3. Incapacità naturale e incapacità legale: il minore d’età e l’infermo di mente
205
4. Il concorso di colpa dell’incapace 208
5. La risarcibilità dei danni non patrimoniali 214
6. Imputabilità e responsabilità oggettiva 215
Parte seconda: IL RISARCIMENTO DEL DANNO CAGIONATO DALL’INCAPACE
7. La responsabilità dei soggetti tenuti alla sorveglianza 218
8. La prova liberatoria 220
9. La responsabilità dell’incapace e la misura dell’indennizzo 224
RESPONSABILITÀ CIVILE DEI GENITORI, DEI TUTORI, DEGLI INSEGNANTI E DEI MAESTRI
D’ARTE O MESTIERE
di Alberto Figone
1. Una premessa 227
2. Fondamento della responsabilità 229
3. Solidarietà passiva tra genitori e figli 233
4. I soggetti responsabili 235
4.1. Generalità 235
4.2. I genitori 236
4.3. Gli affidatari 239
4.4. Concorso dei genitori con terzi 241
5. La convivenza 242
6. Prova liberatoria 244
7. Precettori e maestri: generalità 249
8. In particolare: gli insegnanti 251
9. I maestri di mestiere o d’arte 256
10. Prova liberatoria 257
IL RISARCIMENTO IN FORMA SPECIFICA
di Pier Giuseppe Monateri
1. Natura e funzione del risarcimento in forma specifica. I rapporti tra
reintegrazione e risarcimento per equivalente 261
2. La prassi evolutiva verso il riconoscimento di una azione generale di
renitegrazione fondata sull’art. 2058 c.c. 264
3. I limiti alla reintegrazione in forma specifica 268
4. Profili processuali 270
5. Risarcimento del danno in forma specifica e Pubblica Amministrazione 273
IL NUOVO DANNO NON PATRIMONIALE LA NUOVA TASSONOMIA DEL DANNO ALLA PERSONA
di Pier Giuseppe Monateri
1. Il nuovo sistema risarcitorio dei danni non patrimoniali 277
2. Le interpretazioni dell’art. 2059 c.c.: la vecchia regola 278
2.1. Segue. Il superamento della “vecchia regola” 280
2.2. Segue. L’abbandono della “vecchia regola” 282
3. Danno biologico, danno morale e danno esistenziale: la nuova tassonomia 286
4. La prova dei danni non patrimoniali 289
5. La quantificazione dei danni non patrimoniali: liquidazione analitica o
liquidazione unica? 290
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 19/1/2006