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L'obbligo di informazione e cooperazione internazionale per la riduzione dell'inquinamento dello strato di ozono
DIMITRIS LIAKOPOULOS*
Lo strato di ozono o ozonosfera è un bene ambientale globale, è patrimonio
comune dell’umanità1,
è un luogo che si distrugge quotidianamente da tutti gli Stati che causano seri
danni di inquinamento. È aperto anche il dibattito relativamente alla
responsabilità internazionale degli Stati2
se sia applicabile anche alla fascia di ozono. L’indennizzo può facilmente
essere rintracciato, perché contempla la sola ipotesi dell’effettivo verificarsi
di danni sul territorio di uno o più Stati3.
Il problema è che il danno causato all’ozonosfera implica danno sostanziale che
rimane aperto l’obbligo espressivo di una concezione della responsabilità
internazionale in materia di ambiente ancorata alla considerazione dei rapporti
reciproci fra Stati4,
all’obbligo di reciproca informazione e collaborazione comune per la tutela
dell’ozono, della prevenzione ambientale5.
Il diritto all’informazione è stato invocato per prima volta con il principio 16
della Carta Mondiale della natura, adottata con la Risoluzione 37/7
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 28 ottobre 1982 che disponeva le
strategie comuni di conservazione della natura, l’individuazione degli
ecosistemi e gli effetti delle politiche in campo ambientale permettendo la
consultazione delle informazioni e la partecipazione alle decisioni. La Carta
africana dei diritti dell’uomo del 1981 specifica all’art. 9 che: “tutte le
persone hanno diritto di accesso alle informazioni”. L’Organizzazione Mondiale
della Sanità ha adottato l’8 dicembre 1989 la Carta europea dell’ambiente e
della salute disponendo che: “tutti i cittadini hanno il diritto a) di
beneficiare di un ambiente che permetta il raggiungimento del livello più
elevato possibile alla salute e del benessere, b) di essere informati sui
progetti, sulle decisioni ed attività suscettibili di influire sull’ambiente e
sulla salute, c) di partecipare ai processi decisionali in materia ambientale”.
Il principio 10 della Dichiarazione di Rio6
trasmette: “le questioni di carattere ambientale saranno meglio gestite tramite
la partecipazione di tutti i cittadini interessati ai vari livelli”. Il
paragrafo 23. 1. dell’Agenda 21 dispone: “l’effettivo coinvolgimento di tutti i
gruppi sociali per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile”7.
Il capitolo 34 dell’Agenda 21 si riferisce al trasferimento delle tecnologie
ambientalmente sane, cooperazione e la capacity building8.
Il trasferimento di tali tecnologie dovrebbe prendere in considerazione lo
sviluppo delle risorse umane e il capacity building locale. Il ruolo delle
tecnologie viene definito come essenziale per crescere alle capacità, in
particolare quelle dei paesi in via di sviluppo, di realizzare lo sviluppo
sostenibile, sostenere l’economia mondiale, proteggere l’ambiente ed alleviare
la povertà e la sofferenza umana. Vanno così rafforzate le reti per lo scambio
di informazioni, basate su clearing houses regionali relative a vari settori,
quali l’agricoltura, l’industria, l’energia e l’ambiente.
Per quanto riguarda il principio di cooperazione, anche questo è un principio
fondamentale che non può essere negato alle disposizioni che proclamano
l’obbligo della cooperazione, ai fattori che concorrono a precisare il
contenuto. La Convenzione di Montego Bay afferma che gli Stati membri hanno
l’obbligo di favorire la cooperazione internazionale fornendo agli altri Stati
di accedere alle informazioni necessarie prevedendo e neutralizzando i pericoli
per la salute, l’ambiente marino e non solo. Quindi si costruisce un regime
giuridico disponibile allo svolgimento di un organizzazione internazionale,
nazionale che agevola la comunicazione e lo scambio di dati e informazioni,
tecniche relative per la protezione ed il monitoraggio dell’inquinamento. Nello
stesso spirito la Convenzione di Barcellona per la salvaguardia del bacino
Mediterraneo9
nel paragrafo 4 riferisce: “Informazione e partecipazione: (…) partecipazione
del pubblico e l’accesso all’informazione costituiscono dimensioni essenziali
per le politiche dirette a raggiungere lo sviluppo sostenibile10
e ad assicurare la protezione ambientale”11.
Il Protocollo sulle aree specialmente protette e la diversità biologica nel
Mediterraneo firmato il 10 giugno 1995 prevedeva: “il coinvolgimento attivo
delle comunità e popolazioni locali nella gestione delle aree specialmente
protette”12.
Secondo l’art. 19: “le Parti contraenti dovranno dare adeguata pubblicità
all’istituzione delle aree specialmente protette, ai loro confini, alla
designazione delle specie protette, dei loro habitats ed alla normativa
applicabile”.
L’articolo 30 della Carta dei diritti e dei doveri economici degli Stati,
adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 3281 (XXIX)
del 12 dicembre 1974 affermando che: “the protection, preservation and
enhancement of the environment for the present and future generations is the
responsibility of all States. All States have the responsibility to ensure that
activities within their jurisdiction or control do not cause damage to the
environment of other States or of areas beyond the limits of national
jurisdiction”. La Carta Mondiale della natura adottata dall’Assemblea generale
delle Nazioni Unite con la Risoluzione 37/7 del 29 ottobre 198213
in base all’articolo 21 riferisce: “(…)censure that activities within their
jurisdiction or control do not cause damage to the natural systems located
within other States or in the areas beyond the limits of national jurisdiction”14.
Il principio 23 della Carta stabilisce: “che tutti gli individui avranno la
possibilità, in conformità con la legislazione del proprio paese, di partecipare
individualmente od in associazione con altri individui, all’elaborazione
ambientale e nel caso di danno o degradazione dell’ambiente stesso, essi
dovranno avere accesso alle procedure dirette ad ottenere la riparazione del
danno”15.
Il diritto all’informazione16
in materia ambientale e la partecipazione ai processi decisionali si è avuto con
la Raccomandazione dell’8 luglio 1988 adottata dal Consiglio dell’organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico. A Francoforte l’8 dicembre 1989 è
stata adottata la Carta europea dell’ambiente e della salute, la quale dispone,
in via generale, che tutti i cittadini hanno il diritto: “di beneficiare di un
ambiente che permetta il raggiungimento del livello più elevato possibile di
salute e benessere, di essere informati e consultati sui progetti, sulle
decisioni ed attività suscettibili di influire sull’ambiente e sulla salute, di
partecipare ai processi decisionali in materia ambientale”. Secondo l’articolo
192 (general obbligation) della Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 sul
diritto del mare17
si ritiene che: “States have the obligation to protect and preserve the marine
environment”18.
L’articolo 19 del progetto di articoli sulla responsabilità da illecito degli
Stati approvato dalla Commissione del Diritto Internazionale nel 1976 dispone
che: “(..) a serious breach of an international obligation of essential
importance for the safeguarding and preservation of the human environment such
as those prohibiting massive pollution of the atmosphere or of the seas (…)”19.
Accordi internazionali, risoluzioni di organizzazioni internazionali consentono
di ritenere che si sia affermata una nuova regola la quale ha conferito ad ogni
Stato il diritto ad esigere il rispetto dell’ambiente20
a prescindere da eventuali danni subiti, arrivando ad un obbligo di
assicurazione, cioè alla salvaguardia di ecosistemi e processi naturali
essenziali, affermando chiaramente che la pace e la sicurezza dell’umanità
dipende anche dalla tutela ambientale ed i danni contro di essa ricomprende fra
i crimini contro l’umanità21.
La Convenzione sugli effetti transfrontalieri di incidenti industriali, adottata
a Helsinki nel 1992, nell’art. 9 riferisce: “le parti alla Convenzione dovranno
assicurare che vengano fornite informazioni adeguate al pubblico nelle aree
suscettibili di essere colpite da incidenti industriali causati da attività
pericolose22.
Queste informazioni devono essere trasmesse attraverso i canali che le parti
considerino adeguati allo scopo e devono includere i dati previsti dall’Allegato
VIII alla Convenzione”. L’art. 9 della Convenzione di Parigi del 1992 per la
protezione dell’ambiente marino del nord Est dell’Atlantico conferisce agli
individui ed alle altre persone interessate il diritto di ottenere le
informazioni richieste che dovranno essere fornite a prescindere dalla prova di
un effettivo interesse da parte del richiedente23.
La Direttiva 90/313CE si riferisce alla libertà di accesso in materia
ambientale. La sezione I delle linee guida viene dedicata al diritto di accesso
all’informazione ambientale, disponendo al par. 2 che: “qualsiasi persona,
fisica o giuridica, dovrebbe avere libero accesso alle informazioni,
indipendentemente dalla cittadinanza, nazionalità o domicilio e senza dover
provare un interesse giuridico od altro interesse effettivo al fine del rilascio
dei dati”. Secondo l’art. 22 della model act (94) formato dal Consiglio
d’Europa: “le autorità competenti sono tenute a rispettare alcune regole
stabilite al fine di tutelare coloro che abbiano fornito le informazioni,
soprattutto nel caso in cui i dati siano coperti da segreto”24.
L’autorità competente è tenuta a mettere a disposizione degli interessanti tutte
le informazioni concernenti la procedura amministrativa, impegnandosi a sentire
le persone interessate prima della decisione che conclude la procedura stessa,
secondo l’articolo 32 della legge redatta. L’art. 14 della legge 349/86 del
Ministero dell’ambiente, basato sul principio n. 10 della Dichiarazione di Rio
del 1992 su ambiente e sviluppo garantiscono l’informazione ambientale intesa
come diritto fondamentale di accesso del cittadino alle informazioni ambientali
possedute dalla pubblica amministrazione e l’informazione ambientale verso il
basso25,
ossia l’obbligo per gli organi dello Stato di fornire un flusso continuo di
materiale informativo sulle condizioni dell’ambiente. Secondo tale impostazione:
“le questioni di carattere ambientale saranno meglio gestite tramite la
partecipazione di tutti i cittadini interessati ai vari livelli, a livello
nazionale ogni individuo dovrà avere accesso appropriato alle informazioni di
carattere ambientale detenute dai pubblici poteri (…) gli Stati dovranno,
inoltre facilitare ed incoraggiare la partecipazione e la sensibilizzazione del
pubblico mettendo ampiamente a disposizione le informazioni ambientali ed
assicurando l’accesso effettivo ai procedimenti amministrativi e giudiziari”. Il
capitolo 36 dell’Agenda 21 sottolinea l’importanza dell’istruzione, della
sensibilizzazione del pubblico e della formazione in materia ambientale mettendo
effettivo il sistema informativo e la partecipazione ai processi decisionali
riguardanti l’ambiente e lo sviluppo sostenibile. Il paragrafo 8. 18 dell’Agenda
ripete e richiama l’articolo 10 della Dichiarazione di Rio26,
promuovendo l’istituzione di procedure giudiziarie ed amministrative finalizzate
a permettere il ricorso ed il risarcimento del danno causato ad azioni che si
dimostrano illecite dagli ordinamenti internazionali e nazionali. Gli Stati
dovranno assicurare l’accesso a tali procedure da parte degli individui, dei
gruppi e delle organizzazioni che vi abbiano interesse27.
Entro questo spirito ricordiamo anche l’art. 18 della legge italiana 349/86 che
prevedeva l’esercizio dell’azione da parte dei soggetti legittimati28.
È così necessario un forte impegno degli Stati per assicurare e rendere
effettiva: la comunicazione al pubblico, delle informazioni su questioni
ambientali e particolarmente sulle attività a rischio, la partecipazione
pubblica da parte delle autorità nazionali competenti, la possibilità di ricorso
individuale ad istanze imparziali per poter ottenere la riparazione dei danni
subiti, il principio di trasparenza alle proprie attività governative relative
all’ambiente.
Si deve quindi affermare che gli Stati devono non causare danni significativi
all’ozonosfera secondo la quale una violazione dell’obbligo generale degli Stati
di tutela dell’ambiente29
si ha solo nel caso di produzione di un danno apprezzabile, cioè di non lieve
entità. Secondo il principio 21 del Rapporto Brundtland, gli Stati responsabili
di violazioni dei loro obblighi di diritto internazionale in materia di ambiente
devono: a) cease the internationally wrongful act, b) as fas as possibile,
re-establish the situation which would have existed if the internationally
wrongful act had not taken place, c) provide compensation for the harm which
results form the internationally wrongful act, d) where appropriate, give
satisfaction for the internationally wrongful act30.
Il diritto di ogni Stato di chiedere il rispetto dell’obbligo generale di non
causare danni significativi all’ambiente viene esplicitamente riconosciuto alla
salvaguardia ratione loci, della fascia di ozono che ricomprende in sé l’obbligo
di verificare il quadro giuridico necessario per evitare danni ambientali
tramite il sistema informativo e cooperativo degli Stati membri31.
Nel sistema giuridico statunitense è stata creata l’Agenzia per la Protezione
Ambientale (EPA) che raccoglie informazioni che arrivano da parte di coloro che
ne sono danneggiati con le denunce contro le industrie che ne fanno uso. Questo
nuovo sistema costituisce un cambiamento delle politiche mettendo possibile un
sistema flessibile degli accordi internazionali.
L’obbligo di informazione32
e di cooperazione internazionale determinano uno dei principi della
responsabilità degli Stati per danni ambientali, in relazione al dovere generale
di prevenzione33
e di controllo dell’inquinamento atmosferico34.
Informazione nel diritto ambientale significa necessità di minimizzare le
conseguenze dannose di eventi di inquinamento in atto35.
Informazione significa anche l’impegno statale volto ad assicurare e rendere
effettiva la comunicazione al pubblico su questioni ambientali, la
partecipazione pubblica nel processo decisionale, un’efficace istruzione
ambientale atta a consentire la partecipazione degli individui.
La protezione dell’ozonosfera e l’obbligo di informazione degli Stati membri
della Comunità internazionale si conferma negli obblighi convenzionalmente
assunti anche dagli Stati membri della Convenzione di Vienna per la protezione
della fascia di ozono adottata il 22 marzo 198536,
in quanto le parti membri della Convenzione devono riconoscere: “any action that
may be taken are appropriate and equitable”37.
Le informazioni sono fornite ad organi autorizzati, raccolte e scambiate,
valutazioni di impatto ambientale, il compromesso della realizzazione di
connessi fini di tutela ambientale, basate sulle ricerche pubbliche e private
previste o in corso di pubblicazione al fine di facilitare il coordinamento dei
programmi di ricerca e di prevenire danni ambientali. Il Protocollo di Montreal
adottato il 16 settembre 1987 sulle sostanze che impoveriscono l’ozonosfera38
ha affermato i principi vienesi sviluppando le esaminate disposizioni relative
allo scambio di informazioni ed in particolare l’obbligo delle Parti contraenti
di comunicare i dati statistici relativi alla produzione, le importazioni e le
esportazioni delle sostanze inquinanti39.
Le parti si impegnano anche a cooperare per promuovere tramite le organi
competenti lo sviluppo e lo scambio delle informazioni sul settore delle
tecnologie ottimali, il recupero, il riciclaggio, distruzione delle sostanze
regolamentate o altrimenti la riduzione delle loro emissioni40,
principio cardine anche per la tutela del cambiamento climatico41.
Non si incontrano elementi che ci permettano di osservare gli effetti dei danni
materiali come conseguenza dell’assottigliamento della fascia di ozono e
l’allarme che dover essere fronteggiato dagli Stati interessanti42.
Il diritto all’informazione abbia come conseguenza la cooperazione degli Stati
per promuovere le ricerche relative all’inquinamento atmosferico43
aderendo se sia bisogno agli organi internazionali competenti. Il principio
cooperativo deriva dal fatto che nessuno Stato da solo è capace di proteggere
fenomeni di inquinamento44
specialmente in quanto questi vengono causati da altri Stati o rappresentano
caratteri di inquinamento transfrontaliero45.
Il termine cooperazione significa amichevole collaborazione e messa in comune di
risorse materiali ed umane per raggiungere un obiettivo comune in un settore
specifico. Può essere una cooperazione bilaterale o multilaterale secondo il
tipo del problema che si presenta tra due Stati o una pluralità di Stati. Le
regole di cooperazione per l’ozonosfera appartengono al cosiddetto soft law, che
significa la non obbligatorietà ed il loro carattere persuasivo, vincolante per
gli Stati che le hanno votate. La Risoluzione S-VI del 1° maggio 1974 e la Carta
dei diritti e doveri economici degli Stati con la Risoluzione 3281-XXIX del 12
dicembre 1974 sono le prime Raccomandazioni ONU che assumono una forma solenne
per un aiuto discrezionale dei paesi industrializzati verso i paesi in via di
sviluppo relativamente ad un trattamento favorevole e permanente46,
il libero trasferimento della tecnologia e per lo sfruttamento del patrimonio
comune dell’umanità. Nello stesso spirito la Dichiarazione di Rio ha formulato i
codici di condotta per i trasferimenti di tecnologia o per le imprese
multinazionali elaborando un sistema adatto in fase di collaborazione da parte
degli Stati beneficiari mettendo le base e le condizioni di coordinamento
internazionale, europeo per la tutela ambientale, l’aiuto verso dei paesi con
economia in transizione47.
La tesi citata ha come conseguenza la conflittualità fra particolari interessi
statali e interesse comune alla cooperazione. Il rapporto Bruntland sostiene
che: “la tutela ambientale è un obbligo generale di cooperazione secondo il
quale gli Stati sarebbero tenuti a cooperare lealmente con gli altri Stati
secondo i generali principi che concernono le risorse ambientali”. Questo
distingue la forma della tutela ambientale dalla cooperazione internazionale.
Entrambi i problemi presentati ogni volta che si presenta un rischio di
inquinamento atmosferico si concerna nel coordinamento tra interessi particolari
e interesse comune, cioè quello di cooperare nelle ricerche scientifiche
relative all’ozonosfera48.
In finis, i punti comuni della Convenzione e del Protocollo per la tutela
dell’ozono era l’adozione di misure legislative per far fronte agli impegni
assunti a perseguire più efficacemente il fine della protezione dell’ozonosfera49.
Passando alle regole internazionali ad hoc per la protezione dell’ozonosfera
riteniamo che la Convenzione di Vienna nell’articolo 2, par. 2, lett. b)
riferisce: “their jurisdiction or control should it be found that these
activities have or are likely to have adverse effects resulting from
modification or likely modification of the ozone layer”. La necessità di un
azione comune è l’obiettivo principale della Convenzione citata che si connette
fra obbligo di cooperazione nel controllo dell’inquinamento e obbligo di
cooperazione nelle ricerche scientifiche, affermando l’obbligo di negoziazione
in buona fede al fine di regolamentare le attività responsabili delle emissioni
delle sostanze che distruggono l’ozono. Una cooperazione attiva nella
realizzazione di valutazioni scientifiche, sui processi ed analisi fisiche ed
chimiche, sugli effetti delle modificazioni dell’ozonosfera sulla salute
dell’uomo e il clima. Con l’intermediazione di Centri, Istituti specializzati si
assicura così la raccolta e la trasmissione dei dati ottenuti dalla ricerca,
nonché dei dati osservati, che secondo le necessità, una clausola ad hoc
istituita dalla Convenzione che accompagna l’obbligo di cooperazione nella
ricerca delle osservazioni sistematiche50.
L’avvio per la cooperazione scientifica è stato istituito dal Consiglio delle
Comunità europee nel 1978 per la prima volta, in quanto si affermava:
“l’opportunità di una cooperazione fra gli Stati membri nella programmazione
delle loro ricerche, nel renderne disponibili i risultati e nell’interpretazione
degli stessi”. Nello stesso spirito l’accordo del 1976 fra Stati Uniti, Francia
e Regno Unito che si impegnavano: “to accelerate the processing, exchange and
analysis of stratospehric ozone data”51.
La Convenzione di Vienna stabilisce che le Parti: “must better understand and
assess the effects of human activities on the ozone layer and the effects on
human health and the environment”52.
Il Protocollo di Montreal si limita ad una seria di disposizioni relative alla
cooperazione nella ricerca e nello sviluppo della scienza e della tecnologia
relative al controllo delle emissioni di sostanze che distruggono la zona di
ozono53.
Questo significa che gli Stati devono regolamentare le attività inquinanti. Una
definizione degli obblighi generali degli Stati è data dall’articolo 2, n. 1
della Convenzione di Vienna per la protezione della fascia di ozone54,
nella quale si riferisce: “The Parties shall take appropriate measures in
accordance with the provisions of this Convention and of those Protocols in
enforce to which they are party to protect human health and the environment
against adverse effects resulting or likely to result from human activities
which modify or are likely to modify the ozone layer (…) adopt appropriate
legislative or administrative measures to control, limit, reduce or prevent
human activities under their jurisdiction or control should it be found that
these activities have or are likely to have adverse effects resulting from
modification or likely modification of the ozone layer”. Quindi l’obbligo di
informazione55
si connette con l’obbligo degli Stati di regolamentare l’inquinamento
atmosferico che provoca l’aumento delle emissioni di gas ed inquinamento
all’assottigliamento della zona di ozono56.
L’obbligo di informazione non è affermato in relazione all’interesse particolare
dei singoli Stati a non subire danni di inquinamento, ma appare espressione
dell’interesse di tutti gli Stati alla protezione della salute umana e
dell’ambiente57.
Dall’altra parta le attività di organizzazione delle banche dati, diffusione
delle metodi statistiche sono condotte da società private e che cercano di
stabilire una serie di limiti allo svolgimento di attività inquinanti tramite il
controllo delle dati sufficienti ed il preordinare di opportuni controlli in
ambito internazionale58.
L’interpretazione citata si basa sul fatto che produzione ed utilizzazione di
alcune sostanze sono già sottoposte sotto il controllo scientifico. Altre
sostanze sono, semplicemente, sotto controllo. Le misure di regolamentazione
stabilite tengono conto del diverso potenziale di distruzione dell’ozono delle
sostanze inquinanti, chiedendo agli Stati interessanti ed alle Organizzazioni
internazionali la riduzione delle emissioni di gas che distrugge l’ozono e
l’impegno statale e quello dei Paesi in via di sviluppo59.
Gli Stati devono limitare o vietare nella misura del possibile una serie di
attività umane dipendenti dalla loro giurisdizione e dal loro controllo tenendo
conto dei diversi fattori tra cui in primo luogo l’accertata nocività delle
missioni a causa della mancanza delle informazioni necessarie. Il fine
dell’informazione è il fine principale della normativa convenzionale e non solo.
Il principio della sovranità degli Stati sulle attività economiche implica solo
un limite di carattere temporale perché il diverso grado di sviluppo degli Stati
si riflette anche nell’ambito di mancanti istituzioni e dei tempi ammissibili di
realizzazione del fine stesso60.
Il diritto internazionale generale e il diritto pubblico comunitario affermi
obblighi e consenta di attribuire rilievo al grado dello sviluppo economico
degli Stati61.
La posizione citata si ricollega con il discorso dei danni causati ad uno o più
Stati nel livello comunitario o transfrontaliero. Nel 1987, il “buco
nell’ozonosfera” ha raggiunto l’Australia e la Nuova Zelanda, più tardi
l’Argentina, arrivando al timore che l’assottigliamento di ozonosfera è un
fenomeno mondiale che tocca a impegnare tutti i paesi. Quel che viene in rilevo
è la dinamica del fenomeno informatico62.
La ratio di controllo delle emissioni nocive, i danni provocati a carattere
irreversibile premette la valutazione del sistema informativo e le modifiche
dell’ozonosfera di per sé considerate63,
cioè valutare se le modifiche dell’ozonosfera in quanto danno ambientale
costituiscano danno rilevante64.
Non essendosi raggiunto ad un accordo comune delle Parti contraenti tanto alla
Convenzione che al Protocollo riferente alla tutela dell’ozonosfera sono stati
esaminati alcuni punti cruciali per l’essenzialità dell’uso delle sostanze
nocive che distruggono lo strato di ozono65.
Da un lato si stabilisce che le riduzioni negli usi per propellenti aerosolici
seguendo la posizione assunta degli Stati Uniti, Canada e Paesi Scandinavi e
dall’altra parte il punto di vista europeo che, ad imis, si proponeva la
stabilizzazione di un limite mondiale massimo per la produzione di tali sostanze
nocive sulla base di limiti ripartiti fra le Nazioni e la quantità di produzione
consentita. Il consumo e la produzione di sostanze nocive non sono l’unica causa
delle alterazioni ambientali temute. Tali attività sono unilateralmente
considerate su scala mondiale, stabilendo l’ammissibilità o inammissibilità dei
limiti proposti e il proprio svolgimento che possono essere condotte a causa del
sistema informativo globale che è diffuso in livello regionale secondo gli
interessi economici degli Stati e le valutazioni nazionali che siano necessarie
per far ricorso ai principi citati. Il concetto di un sicuro sistema informativo
assume una funzione centrale. I livelli nazionali delle emissioni nocive
consentite e lo sviluppo ammissibile dei settori produttivi interessati sono
stati determinati ispirandosi a tale idea. Si è inoltre tenuto conto nella
definizione della portata dei tempi di attuazione degli obblighi relativi alle
sostanze da regolamentare la disponibilità dei differenti valori e dei possibili
usi delle analisi e dei sistemi banche dati. Si assume così il riferimento per
la determinazione degli obblighi delle parti che si presumeva che esse
disponessero di una serie di dati sulla produzione e sugli scambi delle
informazioni regolamentate e relativi al consumo concordato da ogni incontro
delle parti membri interessanti.
Non esiste un esaminato sistema informativo rigido e specifico, ma si presenta
un ampio margine di apprezzamento e di flessibilità conferito sia a fini di
razionalizzazione nazionale, sia per la soddisfazione dei fabbisogni nazionali e
dei Paesi in via di sviluppo. Razionalizzazione nazionale significa
regolamentazione del sistema industriale nazionale. Il Protocollo di Montreal
afferma relativamente che: “industrial rationalization means the transfer of all
or a porting of the calculated level of production of one party to another, for
the purpose of achieving economic efficiencies or responding to anticipated
shortfalls in supply as a result of plant closures”66.
Questo significa che ogni parte può trasferire o ricevere dalle altre parti
quantitative di produzione in eccedenza dei limiti stabiliti a condizione che
tali limiti non siano superati dal totale globale dei livelli calcolati di
produzione. Il sistema funzionale di questo sistema sarà facilitato a causa
dell’istituzione degli ordinamenti interni e la validità di un sistema
informativo che eliminerà le procedure complesse del sistema descritto. Il
concetto citato è stato esteso anche nella prassi comunitaria al fine di
comprendere anche il trasferimento di produzione che avvenga all’interno dei
singoli Stati.
Si deve infine osservare che le disposizioni del Protocollo di Montreal67
che della Convenzione di Vienna sono senza effetto sul diritto delle parti di
adottare conformemente al diritto internazionale, misure interne più rigorose e
sono senza effetto sulle misure interne addizionali già prese. Si istituiscono
così regolamentazioni internazionali il cui fine fondamentale è quello della
protezione dell’ozonosfera e di tutela ambientale in ampio senso. Il sistema
informativo ha come scopo la riduzione delle sostanze di ogni tipo che riducono
lo strato di ozono. La difficoltà di addivenire ad un consenso sulla posizione
di limiti alle emissioni in ambito globale è difficile o un sogno scoperto.
L’urgenza dell’adozione di misure di controllo ha fatto preferire una
regolamentazione che parte dai dati storici relativi alla produzione e al
consumo delle sostanze in questione.
Tutela ambientale significa collaborazione fra gli Stati perseguendo una
valutazione scientifica della situazione basata sulla volontà degli Stati di
porre sotto controllo le attività produttive che ne sono responsabili per
l’attuale dimensione e ripartizione della produzione delle sostanze inquinanti.
I limiti perseguiti in ambito pattizio ed informativo sono scarsi ed imperfetti,
perché non tutte le sostanze distruttrici dell’ozono sono regolamentate,
permettendo un flessibile sistema informativo come conseguenza degli aumenti
delle emissioni nocive consentite rispetto al livello di riferimento per tener
conto degli impianti in costruzione e delle esigenze dei Paesi in via di
sviluppo. Sicuramente l’obiettivo finale rimane quello della totale eliminazione
delle sostanze che distruggono l’ozonosfera. Una forte collaborazione globale
può prevedere una progressiva riduzione della produzione e del consumo di alcune
sostanze i cui tempi sono congegnati in modo tale da consentire i necessari
adeguamenti dei settori interessati. Uno sforzo realistico si compie non tanto
nel livello internazionale ma in quello nazionale, significativo per ridurre
l’impoverimento dell’ozonosfera. L’azione comunitaria appare tuttavia legata
all’entrata in vigore di un sistema ad hoc ed all’effettiva attuazione da parte
degli Stati delle misure stabilite.
Un secondo problema che dobbiamo accennare relativamente alla protezione
dell’ozonosfera è a) il diritto alla cooperazione internazionale inteso come
coordinamento col fine la tutela ambientale ed b) il grado della diligenza
richiesta agli Stati nell’adempimento dell’obbligo di controllo delle emissioni
inquinanti. Occorre tener presente le gravi responsabilità che hanno da tempo
raggiunto elevati livelli di consumo delle sostanze che impoveriscono
l’ozonosfera. La Conferenza di Vienna riconosce: “the relationship between the
level of industrialization of a State and its responsibilities for the
protection of the ozone layer”68.
Il Parlamento europeo con la Risoluzione del 14 giugno 1988 afferma: “la
responsabilità della Comunità europea che è il maggior produttore ed esportatore
mondiale di cfc (clorofluorocarburi)”. Maggiore preoccupazione è stata
incontrata durante i lavori preparatori per l’adozione del Protocollo di
Montreal che si è ribadito parecchie volte il principio secondo cui le risorse
destinate ai Paesi in via di sviluppo per la tutela ambientale devono essere
diverse da quelle ad essi già destinate in base ai programmi di assistenza allo
sviluppo69.
La nozione di basic domestic needs è destinata ad operare entro limiti precisi.
Questo significa che un incremento della produzione per la soddisfazione di tali
bisogni dei Paesi in via di sviluppo sia consentito anche ai paesi sviluppati.
Quindi, l’incremento della produzione per la soddisfazione dei fabbisogni
nazionali di base, previsto in via d’eccezione, deve ritenersi consentito ai
soli Paesi in via di sviluppo. Non può considerarsi nessun Stato: “developing
State, qualora il relativo consumo delle sostanze controllate sia superiore ai
limiti del Protocollo di Montreal”. Entro questo spirito si apre il discorso di
precisione della normativa internazionale in materia di protezione
dell’ozonosfera che si ispira al principio per il quale il controllo e la
riduzione delle emissioni delle sostanze chimiche distruttrici dell’ozono
richiedono interventi ad hoc e sacrifici di varia natura in diversi settori
della vita economica e sociale di un paese e specialmente dei Paesi in via di
sviluppo70.
La Dichiarazione di Stoccolma71
nell’articolo 12 afferma: “resources should be made available to preserve and
improve the environment, taking into account the circumstances and particular
requirements of developing countries and any cost which may emanate from their
incorporating environmental safeguards into their development planning and the
need for making available to them”. La concessione di aiuti finanziari ai Paesi
in via di sviluppo per l’utilizzazione delle migliori tecnologie appare tanto
più necessaria ove si consideri che i costi delle sostanze regolamentante
saliranno ed i costi delle sostanze sostitutive incontreranno forti pressioni da
parte dei paesi più poveri per ottenere finanziamenti ambientali72.
Non dimentichiamo che la Banca Mondiale assistendo i Paesi in via di sviluppo ha
attuato per la protezione dell’ambiente globale, il GEF (Global Environmental
Facility-GEF) che ha concesso prestiti con un programma pilota nel settore della
protezione della fascia di ozono. Con la Risoluzione 2849 (XXVI) del 20 dicembre
1971 sull’ambiente e sviluppo, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha
affermato che: “reiterates the primacy of indipendent economic and social
development as the main and paramount objective of international co-operation”.
Il Rapporto Brundtland del 1987 ha dato un certo vigore al concetto di sviluppo
sostenibile e di cooperazione statale. Nella Risoluzione 44/228 del 22 dicembre
1989, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite considera che: “a) the protection
of the atmosphere by combatting climate change, depletion of the ozone layer and
transboundary air pollution is one of the environment problems (…) of major
concern in maintaining the quality of the Earth’s environment and especially in
achieving environmentally sound and sustainable development in all countries”.
L’art. 23 della Dichiarazione di Stoccolma e le risoluzione 44/207 del 1989
sulla protezione del clima per le generazioni presenti e future dell’umanità
afferma: “to play their due role in preserving and protecting the global and
regional environment in accordance with their capacities and specific
responsibilities”73.
Con la Risoluzione 44/229 del 22 dicembre 1989 l’Assemblea generale delle
Nazioni Unite dispone: “(…) in particular developing countries, for whom the
implementation of such measures would entail a special or abnormal burden, due,
in particular, to their lack of financial resources, expertise and or technical
capacity”.
A livello europeo e nazionale si discute un livello di massima collaborazione al
settore tecnico, secondo anche l’Annesso I della Convenzione di Vienna che
afferma l’obbligo delle parti di cooperare tenendo conto delle particolari
esigenze dei Paesi in via di sviluppo e non solo, promovendo la formazione
scientifica e tecnica necessaria per partecipare alle richieste e alle
osservazioni sistematiche. Il Protocollo di Montreal ha tenuto conto delle
particolari esigenze dei paesi in via di sviluppo promovendo un’assistenza
tecnica volta ad agevolare l’adesione all’accordo e la sua attuazione. La
facoltà di presentare richieste di assistenza tecnica dalle interessanti parti è
vincolate a dare a loro un certo seguito. Le parti al Protocollo si sono inoltre
impegnate a prestare assistenza ai paesi più deboli per una sollecita
utilizzazione di sostanze e tecnologie alternative che non presentino rischi per
l’ambiente74.
Queste disposizioni sembrano dare attuazione al principio n. 20 della
Dichiarazione di Stoccolma secondo cui: “(…) the free flow of up-to-date
scientific information and transfer of experience must be supported and assisted
to facilitate the solution of environmental problems. Environmental technologies
should be made available to developing countries on terms which would encourage
their wide dissemination without constituting an economic burden on the
developing countries”. Nella stessa linea anche il Protocollo di Montreal75
che sostiene le misure stabilite devono essere valutate anche per il modo in cui
realizzano l’obiettivo di una equa distribuzione tra paesi sviluppati e Paesi in
via di sviluppo degli oneri derivanti dalla loro attuazione. Una
regolamentazione equa debba tener conto della duplice dimensione temporale dei
problemi. Da una parte non si può prescindere dalla considerazione delle
attività svolte in passato. Le nuove disposizioni relative all’assistenza
tecnica e finanziaria confermano l’esistenza di un nesso giuridico fra gli
obblighi tendenti alla realizzazione del fine di tutela ambientale e il c.d.
diritto allo sviluppo, poichè la loro attuazione è destinata ad assumere gran
rilievo per la riduzione della produzione e del consumo delle sostanze
regolamentate. Quindi, il Protocollo introduce per la prima volta una
regolamentazione su scala globale di un complesso di attività industriali
secondo cui: “between the needs of development and the need to protect and
improbe the environment”76.
Il Protocollo vieta anche le importazioni delle sostanze regolamentate. Questo
significa che gli obiettivi di riduzione delle sostanze modificatrici
dell’ozonosfera sarebbero vanificati ove si consentisse ad imprese di Stati
terzi di subentrare nell’offerta e le stesse industrie degli Stati contraenti
potrebbero decidere di trasferire la loro produzione. Lo sviluppo della
cooperazione internazionale costituisce un aspetto essenziale del principio del
beneficio comune nell’attuazione del principio di cooperazione, scegliendo le
modalità più adeguate per adempiere un loro fondamentale obbligo giuridico
internazionale, europeo e nazionale.
*dimitris.liakopoulos@libero.it
_____________________________
1
BASLER, The concept of the common heritage of Mankind in international law,
Martinus Nijhoff publishers, The Hague, 1997.
2 DUPUY, Le droit international de l’environnement et la
souverainetè des Etats, in The future of the international law of the
environment, 1984, pp. 30 ss.
3 LIAKOPOULOS, La protezione dell’ozonosfera secondo le regole
del diritto internazionale, ed. University Studio Press, Thessaloniki, 2005 (in
lingua greca), pp. 610.
4 GIALDINO, CAPONERA, voce: Ambiente (tutela dell’ambiente)
diritto internazionale, in Enciclopedia del diritto. GIALDINO, voce: Tutela
dell’ambiente (diritto internazionale-europeo), in Enciclopedia del diritto. 5
CORDINI, voce: Ambiente (tutela dell’) nel diritto delle C.E, in Digesto delle
discipline pubblicistiche. FOIS, voce: Ambiente (tutela dell’) nel diritto
internazionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche.
5 ADEDE, United Nations except toward the development of an
environment code of conduct for steps concerning harmonious of shares natural
resources, in Albany law review, 1979.
6 KISS, DOUMBE-BILL, La Confèrence des Nations Unies sur l’environnement
et le dèveloppement, in Annuaire français de droit international, 1992.
7 MIDDLETON, O’KEEFE, Rio plus ten. Politics, poverty and the
environment, London, Pluto press, 2003.
8 VELLANO, voce: Cooperazione internazionale allo sviluppo, in
Digesto delle discipline pubblicistiche, Utet.
9 La protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento è
rappresentanto dalla Convenzione di Londra del 1953 per la prevenzione del mare
dall’inquinamento da idrocarburi. Cfr. STARACE, PANZERA, La protezione
internazionale del mare contro l’inquinamento, 1979. STARACE, Recenti sviluppi
della cooperazione internazionale in materia di protezione dell’ambiente, in La
Comunità internazionale, 1974.
10 DERNBACH, Sustainable development as a framework for
national governance, in Case Western Reserve Law Review, 1998, pp. 95 ss.
11 UNPE, OCA/MED IG.5/16, Barcellona, 8 June, 1995. Il
preambolo della Convenzione riferisce: “le Parti contraenti sono pienamente
consapevoli del loro dovere di preservare e sviluppare in maniera sostenibile
questo patrimonio comune a beneficio e godimento delle generazioni presenti e
future”. SCOVAZZI, Il quinto Protocollo alla Convenzione di Barcellona sulla
protezione del Mediterraneo, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1995. SCOVAZZI,
Nuovi sviluppi nel sistema di Barcellona per la protezione del Mediterraneo
dall’inquinamento, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1995, pp. 740 ss.
12 SPADI, Il Protocollo relativo alle aree specialmente
protette e alla diversità biologica nel Mediterraneo (Barcellona, 10 giugno
1995). Analisi e confronto con il Protocollo relativo alla aree del Mediterraneo
particolarmente protette (Ginevra, 3 aprile 1982), in Rivista Il diritto
marittimo, 1997. JONES, A review and analysis of the objectives of marine nature
reserves, in Ocean and coastal management, 1994, pp. 150 ss. LEANZA, Le
Convenzioni internazionali sulla protezione del Mediterraneo contro
l’inquinamento marino, Napoli, 1992.
13 PINESCHI, La Carta Mondiale della natura e la legislazione
italiana, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1984, pp. 630
ss.
14 Cfr. In International Legal Materials, 1975, pp. 1307.
15 SCOVAZZI, Partecipazione del pubblico alle decisioni sui
progetti che incidono sull’ambiente, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1989,
pp. 490 ss.
16 CUTILLO FAGIOLI, Il diritto di accesso alle informazioni e
la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale nel
diritto internazionale, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1996.
17 Cfr. anche la Convenzione di Londra del 2 novembre 1973 per
la prevenzione dell’inquinamento marino causato da navi. La Convenzione di
Barcellona del 16 febbraio 1976 per la protezione del mare Mediterraneo contro
l’inquinamento, ratificata dall’Italia con la legge 25 gennaio 1979, n. 30.
18 HANDL, Responsabilità internazionale dello Stato per
inquinamento marino, in Starace (a cura di), Diritto internazionale e protezione
dell’ambiente marino, Milano, 1983, pp. 140 ss.
19 CONFORTI, In tema di responsabilità degli Stati per crimine
internazionale, in Scritti in onore di R. Ago, 1987, pp. 103 ss.
20 CAPACCIOLI, F. DAL PIAZ, voce: Ambiente (tutela dell’),
Parte generale e diritto amministrativo, in Novissimo Digesto Italiano, Torino,
1980, pp. 260 ss.
21 CANSACCHI, Illecito internazionale per inquinamento, in
Studi in onore di G. Balladore Pallieri, Milano, 1978, pp. 120 ss.
22 WILLIAMS, International law and the resolution of Central
and East european transboundary environmental disputes, New York, St. Martins
press, LLC, 2000.
23 ROBB, International environmental law reports. Trade and the
environment, Cambridge, New York, Cambridge University Press, 2001.
24 Consiglio d’Europa, Loi modèle sur la protecction de l’environnement,
Model act (94) I, Strasbourg, 1994.
25 BIRNIE, BOYLE, International law and the environment,
Oxford, 1992.
26 SCOVAZZI, TREVES, World treaties for the protection of the
environment, Milano, 1992, pp. 95 ss.
27 SANDS, International law in the field of sustainable
development, in The British Yearbook of international law, 1994, pp. 360 ss.
28 BECK, Risk society. Towards a new modernity, Sage, London,
1992. CALDWELL, Science and the national environmental policy. Redirecting
policy through procedural reform, University of Alabama press, 1982.
29 FOIS, voce: Ambiente (tutela dell’)-Diritto internazionale,
in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. I, Torino, 1987, pp. 210 ss.
30 ANDRADY, AMIN, HAMID, HU, TORIKAI, Effects of increased
solar ultraviolet radiation on materials, in Ambio, 1995.
31 PALMER, New ways to make international environmental law, in
American Journal of International Law, 1992, pp. 275 BROWN WEISS, JACOBSON,
Engaging countries. Strengthening compliance with international environmental
accords, Cambridge, MA, Mit press, 1998, pp. 142 ss.
32 CONSTANTIN, L’information et la consultation prèalables des
Etats tiers, susceptibles d’etre affectes par une pollution transfrontière, op.
cit.,
33 ADLER, More sorry than safe. Assessing the precautionary
principle and the proposed international Biosafety Protocol, in Texas
international law Journal, 2000. BECKERMANN, The precautionary principle and our
obligations to future generations, in J. Morris, Rethinking risk and the
precautionary principle, Oxford, 2000. MORRIS, Sustainable development.
Promoting progress or perpetuating poverty, London, Profile books, 2002.
FRANCESCATO, PECORARO SCANIO, Il principio di precauzione, Milano, Jaca book,
2002. GOKLANY, The precautionary principle, Washington, DC, Cato Institute,
2001.
34 CONSTANTINI, L’information et la consultation prèalables des
Etats tiers, susceptibles d’etre affectès par une pollution transfrontière, in
Revue Roumaine d’ètudes internationales, avril, 1986, pp. 160 ss.
35 Cfr. La Convenzione del 13 novembre 1979 sull’inquinamento
atmosferico a lunga distanza attraverso le frontiere. Secondo la Convenzione
citata ed il Protocollo di Ginevra del 29 settembre 1984: “air pollution means
the introduction by man, directly or indirectly, of substances or energy into
the air resulting in deleterious effects of such a nature as to endanger human
health, harm living resources and ecosystems and material property and impair or
interfere with amenities and to her legitimate uses of the environment (…)”.
36 GIARDINO, Campagna di ricerca su clima e ozono, in Economia
e ambiente, 1999. BERBENNI, Dall’effetto serra al buco dell’ozono. Le
conseguenze del cambiamento del clima, in Inquinamento, 1996. LUCCA, Direttiva
Parlamento europeo e Consiglio 12 febbraio 2002, n. 2002/3/CE, relativa
all’ozono nell’aria, in Prime note, 2002.
37 Annesso II, p. 1. Cfr. HANDL, The environmental.
International rights and responsibilities, in ASIL Proceedings, 1980, pp. 225
ss.
38 Il Protocollo stabiliva misure di regolamentazione della
produzione, del consumo e del commercio di determinate sostanze, contenendo
norme speciali per i paesi in via di sviluppo procedure per la revisione delle
misure adottate e per il controllo sull’adempimento da parte degli Stati dei
loro obblighi. Cfr. KOEHLER, HAJOST, The Montreal Protocol. A dynamic agreement
for protecting the ozone layer, in Ambio, 1990, pp. 88 ss.
39 SHIMBERG, Supplementing the Montreal Protocol. The need for
domestic legislation, in Ambio, October,1990, pp. 312 ss. SOMERSET, An attempt
to stop sky from falling. The Montreal Protocol to protect against atmospheric
ozone reduction, in Syracouse journal of international law, 1988. TRASK,
Montreal Protocol non-compliance procedure. The best approach to resolving
international environmental disputes?, in Georgetown law journal, 1992, pp. 1975
ss. TRIPP, The UNEP Montreal protocol. Industrialized and developing countries
sharing the responsibility for protecting the ozone layer, in International law
and policies, 1988, pp. 745 ss. WEKSMAN, Trade sanctions under the Montreal
Protocol, in Revue of european community and international environmental law,
1992, pp. 90 ss. YOSHIDA, Soft enforcement of treaties the Montreal
non-compliance procedure and the functions of the internal international
institutions, in Colorando Journal of European Law and Policy, 1999, pp. 100 ss.
40 Cfr. The seventh meeting of the parties decided in Dec.IVII/12:
1. To recommend that all parties not operating under article 5 should endeavour,
on a voluntary basis, to limit the emissions halon to a minimum by: a) accepting
as critical those applications meeting the essential use criteria as defined in
decision IV/25, paragraph 1 (a), b) limiting the use of halons in new
installation to critical applications, c) accepting that existing installations
for critical applications may continue to use halon in the future, d)
considering the decommissioning of halon systems in exiting installations, which
are not critical application, as quickly as technically and economically
feasible, e) ensuring that halons are effectively recovered, f) preventing,
whenever feasible the use of halon in equipment testing and for training of
personnel, g) evaluating and taking into account only those substitutes and
replacements of halon, for which no other more evnironmentally suitable ones are
available, h) promoting the environmentally safe destruction of halons, when
they are not needed in halon banks. 2. To request the technology and economic
assessment panel and its halon technical options committee to prepare a report
to the eight meeting of the parties to provide guidance on the above. Decision
V/15: International halon bank management: 1. To note with appreciation the
efforts of the industry and environment activity Centre of the United Nations
Environment Programme function as a clearing house for information relevant to
international halon Bank management and to request it to continue its work in
this field in cooperation with the halons technical options Committee including
holding details of all known halon banking schemes and a list of those banks
with halon for sale and particularly to emphasize regional halon banking and
international coordination of halon banks to supply the parties operating under
paragraph 1 of article 5 of the Protocol, 2. To encourage all parties to submit
information relevant to international halon bank management to the industry and
environment programme activity Centre of the United Nations Environment
Programme. The tenth meeting of the parties decided on Dec. X/7 noting that in
the executive summary of its 1998 report, the scientific assessment panel
identifies complete elimination and destruction of halon-1211 and 1301 as the
most environmentally benediciate opting to enhance the recovery of the ozone
layer. Noting that the technology and economic assessment panel, in its 1998
report pursuant to decision IX/21, concludes that by definition all non-critical
uses of halon-1211 and 1301 can be decommissiones, taking into account the costs
and benefits of such operations: 1. To request all parties to develop and submit
to the ozone Secretariat a national or regional strategy for the management of
halons, including emissions reduction and ultimate elimination of their use, 2.
To request parties not operating under article 5 to submit their strategies to
the ozone Secretariat by the end of July 2000, 3. In preparing such a strategy,
parties should consider issues such as, a) discouraging the use of halons in new
installations and equipment, b) encouraging the use of halon substitues and
replacement acceptable from the standpoint of environment and health, taking
into account their impact on the ozone layer, on climate change and any other
global environmental issues, c) considering a target date for the complete
decommisioning of non-critical halon installations and equipment, taking into
account an assessment of the availability of halons for critical uses, d)
promoting appropriate measures to censure the environmentally safe and effective
recovery, storage, management and destruction of halons, 4. To request the
technology and economic assessment panel to update its assessment of the future
need for halon for critical uses in light of these strategies, 5. To request the
technology and economic assessment panel to report on these matters to the
twelth meeting of the parties.
41 Cfr. PAPPASAVA, MOOMAW, Adverse implications of the Montreal
Protocol grace period for developing countries, in International environmental
affairs, 1997, pp. 225 ss.
42 HEIMSOETH, The protection of the ozone layer, in
Environmental law and policy, 1983, pp. 35 ss.
43 Cfr. Anche la Convenzione di Helsinki per la protezione
dell’ambiente marino dell’area del mar baltico del 1992, la Convenzione per la
protezione dell’ambiente marino del nord-Est Atlantico (Convenzione OSPAR),
firmata a Parigi il 22 settembre 1992 ed entrata in vigore il 25 marzo 1998. cfr.
EHLERS, The Helsinki Convention 1992. Improving the Baltic sea environment, in
International journal of marine and coastal law, 1993, pp. 192 ss.
44 KOIVUROVA, Environmental impact assessment in the Arctic. A
study of international legal norms. Aldershot, Ashgate publishing, 2002.
45 SCOVAZZI, La responsabilità internazionale in caso di
inquinamento transfrontaliero, in Rivista giuridica dell’ambiente, 1986, pp. 275
ss.
46 ISRAEL, Le droit au dèveloppement, in Revue gènèrale de
droit international public, 1983.
47 FLORY, Souverainetè des États et cooperation pour le
dèveloppement, in Recueil des cours de l’Acadèmie de droit internazional de la
Haye, 1974. KREININ, FINGER, A critical survey of the new international economic
order, in Journal of world trade, 1976. FLORY, Droit international du
dèveloppement, Paris, 1977. GIULIANO, La cooperazione degli Stati e il commercio
internazionale, Milano, 1978. YUSUF, Legal aspects of trade preferences for
developing States. A study on the influence of development needs on the
evolution of international law, The Hague, 1982. ALESSANDRINI, La politica
italiana di cooperazione allo sviluppo, Milano, 1983. SNYDER, SLINN (ed.),
International law of development. Comparative perspectives, London, 1987.
SACERDOTI, Cooperazione economica internazionale, in Digesto delle discipline
pubblicistiche. COMPA, GREPPI, Ordine economico internazionale, in Enciclopedia
del diritto. FEUR, CASSAN, Droit international du dèveloppement, Paris, 1991.
BULAJIC, Principles of international development law, Dordrecht, 1993. ISERNIA,
La cooperazione allo sviluppo, Bologna, 1995. SANDS, International law in the
field of sustainable development, in The British yearbook of international law,
1995. PELLET, SOREL, Le droit international du dèveloppement social et culturel,
Lyon, 1997. LUCCHINI, Cooperazione e diritto allo sviluppo nella politica
esterna dell’Unione europea, Milano, 1999, LIAKOPOULOS, The politics of United
Nations in Asia Pacific region, ed. Aracne, Rome, 2004. LIAKOPOULOS, The
politics of european Union in Asia pacific region, ed. Aracne, 2004.
48 MAKHIJANI, GURNEY, Mending the ozone hole. Science,
technology and policy, Cambridge, MA and London, the MIT press, 1995.
49 XUE, Transboundary damage in international law. Cambridge,
Cambridge University press, 2003.
50 DESOMBRE, KAUFFMAN, The Montreal Protocol multilateral fund.
Partial success story, in R.O. Keohane e M.A. Levy, Institutions for
environmental aid, Cambridge, MA, Mit press, 1996.
51 NANDA, Stratospheric ozone depletion. A challenge for
international environmental law and policy, in Michigan journal of international
law, 1989, pp. 485 ss.
52 Art. 2, par. 2, lett. a.
53 UNDERTAL, KENNETH (eds.), International environmental
agreements and domestic politics. The case of acid rain. Aldershot. Ashgate
publishing, 2000.
54 BENEDICK, Ozone diplomacy. New directions in safeguarding
planet, Cambridge, Massachussets, Harvard University Press, 1998. BROWN-WEISS,
Our rights and obligations to future generations for the environment, in
American Journal of International Law, 1990, pp. 198 ss. CHRISTOL, The legal
common heritage of mankind. Capturing an illusive and applying it to world needs,
in IISL proc., 1976, pp. 40 ss.
55 Cfr. INFOTERRA 2000, Global Conference on access to
environmental information, Dublin, Ireland, 11-15 September 2000. In particolare
si è notato che: “(…) the United Nations Environment Programme (UNEP), as the
global authority in the field of the environment, should be given full support
in developing a state-of-the art global environmental internet portal (…) the
information services shall promote as a two-way information flow between UNEP
and the governments of participating countries, and also among governments of
participating countries (…) cooperation between UNEP Infoterra and other
relating bodies such as the Aarhus Convention Secretariat and the Convention
task forces is of mutual benefit and should be maintained and strengthened (…)
States which are not signatories to the Aarhus Convention should be encourage to
consider the option of acceding to the Convention where this its their
particular circumstances and to explore the possibility of undertaking similar
initiatives in their own region or subregion taking note of the Convention and
other relevant instruments such as the inter-American strategy for the promotion
of public participation in decision-making for sustainable development, as
potentially useful reference documents in this context (…)”. Dublin declaration
on access to environmental information, September 2000.
56 WATSON, Il grado di assottigliamento dello strato di ozono,
in Studi economici e sociali, 1989. MANETTI, Nuovo regolamento CEE sulle
sostanze che riducono l’ozono, in Economia e ambiente, 1995. CARON, Protection
of the stratospheric ozone layer and the structure of international
environmental law making, in Hastings international and comparative law review.
University of California, vol. 14, n. 4, Symposium issue, 1991, pp. 772 ss.
57 SCOVAZZI, Considerazioni sulle norme internazionali in
materiale di ambiente, in Rivista di diritto internazionale, 1989, pp. 595 ss.
58 KINDT, MENEFEE, The vexing problem of ozone depletion in
international environmental law and policy, in Texas international law journal,
1989, pp. 262 ss.
59 Cfr. Il principio n. 23 della Dichiarazione di Stoccolma che
riferisce: “without prejudice to such criteria as may be agreed upon by the
international community or to standards which will have to be determined
nationally, it will be essential in all cases to consider the systems of values
prevailing in each country and the extend of the applicability of standards
which are valid for the most advanced countries but which may be inappropriate
and of unwarrented social cost for the developing countries (…)”. L’Assemblea
generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 2849 del 1971 dichiara:
“notwithstanding the general principles that might be agreed by the
international community, criteria and minimal standards of preservation of the
environment as a general rule with have to be defined at national level and in
all cases will have to reflect conditions and systems of values prevailing in
each country, avoiding where necessary the use of norms valid in the advanced
countries, which may prove inadequate and of unawarrented cost or the developing
countries (…)”.
60 SPRINZ, VAAHTORANTA, The interest based explanation of
international environmental policy, in International organization, 48 (1).
61 NTAMBIRWEKI, The developing countries in the evolution of an
international environmental law, in Hastings international and comparative law
review, 1991, pp. 910 ss.
62 ELLIOT BENEDICK, Ozone diplomacy. New directions in
safeguarding the planet. Enlarged editions, Cambridge, MA, Harvard University
Press, 1998.
63 Cfr. le Raccomandazioni: 89/349, 90/437, 90/438 della
Commissione che si affermano comunemente: “recenti studi scientifici hanno
confermato che si è già verificato un certo impoverimento dello strato di
ozono”.
64 Il principio n. 6 della Dichiarazione di Stoccolma dichiara:
“the discharge of toxic substances must be halted in order to censure that
serious or irreversible damage is not inflicted upon ecosystems”.
65 Cfr. La Decisione della Commissione del 7 marzo 2002 che
assegna quote di importazione per le sostanze controllate di cui al Regolamento
(CE) n. 2037/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle sostanze che
riducono lo strato di ozono per il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31
dicembre 2002 (2002/273/CE).
66 GALLAGHER, The new Montreal protocol and the future of
international law for protection of the global environment, in Houston journal
of international law, 1992. GARDINER, Montreal protocol fortified, in
Environmental New Network, 2001. HORENSEN, Montreal Protocol on substances that
deplete the ozone layer, in Harvard international law journal, 1988, pp. 200 ss.
HURLBUT, Beyond the Montreal protocol. Impact on non-arty states and lessons in
future environmental protection regimes, in Colorando journal of international
law and policy, 1993.
67 SORENSEN, Montreal Protocol on substances that deplete the
ozone layer, in Harvard international law journal, 1988, pp. 185 ss.
68 LAMMERS, Efforts to develop a protocol on chloroflurocarbons
to the Vienna Convention for the protection of the ozone layer, in Hague
yearbook of international law, 1988, pp. 226 ss.
69 KOEHLER, HAJOST, The Montreal protocol. A dynamic agreement
for protecting the ozone layer, in Ambio, 1990, pp. 85 ss.
70 MONTZKA, BUTLER, ELKINS, THOMPSON, CLARKE, LOCKE, Present
and future trends in the atmospheric burden on ozone depleting halogens, in
Nature, 1999.
71 UN Doc. A/CONF/48/14/REV. 1.
72 MOORE, Industry responses to the Montreal Protocol, in
Ambio, 1990, pp. 320 ss.
73 HANDL, International efforts to protect the global
atmosphere. A case of too little, too late?, in European journal of
international law, 1990, pp. 260 ss.
74 BIRNIE, BOYLE, International law and the environment,
Oxford, 1992, pp. 195 ss.
75 BLEGEN, International cooperation in protection of
atmospheric ozone. The Montreal protocol on substances that deplete the ozone
layer, in Denver journal of international law and politics, 1988, pp. 415 ss.
CARON, Protection of the stratospheric ozone layer and the structure of
international environmental lawmaking, in Hastings international and comparative
law review, 1991, pp. 758 ss. CHAFEE, SHIMBERG, Supplementing the Montreal
protocol. The need for domestic legislation, in Ambio, 1990. DAVIDSON, The
Montreal Protocol. The first step toward protecting the global ozone layer, in
New York University, Journal of international law and politics, 1988, pp. 800
ss. EHRENSTEIN, A moralistic approach to the ozone depletion crisis, in
Inter-American law review, University of Miami, 1990, pp. 612 ss.
76 Dichiarazione di Stoccolma, principio n. 14.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 3/1/2006