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Editoriale

L'EVOLUZIONE DI UN PREDATORE

Alle radici di una devolution criminale.


di Leo Stilo

 


Recenti successi e vecchie considerazioni.

I recenti successi nella lotta alla criminalità organizzata di tipo mafioso e le riflessioni compiute dai vertici delle forze dell'ordine e della magistratura all'indomani dell'arresto di Bernardo  Provenzano1 induco a compiere alcune considerazioni in merito alla verifica di un reale abbattimento, quantitativo e qualitativo, della criminalità organizzata "autoctona" all'interno del territorio nazionale ed in particolare delle regioni meridionali.
In argomento di criminalità organizzata il ruolo del ragionamento deduttivo non può che essere marginale ed attiene solo alla prima fase dell'indagine speculativa. Parlando, infatti, di fenomeni strettamente connessi alla realtà ed allo sviluppo del territorio in cui si manifestano, ogni dissertazione che prenda le mosse da archetipi generali per poi dedurne probabili regole applicabili al caso concreto non riesce a dipingere un quadro veritiero di una situazione che per sua natura è fisiologicamente particolare.
Non è una novità, ad esempio, considerare la criminalità organizzata calabrese diversa, nei suoi aspetti cognitivi ed operativi, da quella siciliana, pugliese, campana.

L'evoluzione della specie: dal territorio ad internet.
La domanda da porsi è la seguente: questa triste "fauna predatoria" è realmente estinta ?
Purtroppo, non intravedendo nella storia recente nessun catastrofico evento simile ad una glaciazione o alla caduta di una meteorite, penso che i nostri potenti "dinosauri" non si siano estinti, ma semplicemente evoluti.
Un esempio di questa evoluzione della specie - anche Darwin probabilmente ne sarebbe rimasto stupito ed interessato - è rinvenibile nel mutato rapporto delle organizzazioni stesse con il territorio e con i segni atavici attraverso cui si palesano all'esterno, marcandoli indelebilmente, i confini della propria autorità.
Il controllo e la gestione del territorio (chiodo fisso di ogni organizzazione criminale piccola o grande) oggi si possono ottenere efficacemente senza una reale presenza fisica: basta disporre delle conoscenze necessarie per utilizzare al meglio le nuove tecnologie informatiche e della comunicazione e di qualche insider - consapevole o inconsapevole - posti nei punti nevralgici del flusso di dati di cui la società dell'informazione necessità per esistere.
Quale valore ha il territorio ? Perché è così importante ?


Il territorio, probabilmente, costituiva lo sfondo, scenario fisico necessario, di qualunque operazione economica: gli interessi finanziari, politici e gli stessi operatori si muovevano da un luogo all'altro; (ad esempio, per rimanere alle operazioni "d'ordinaria amministrazione": per minacciare una persona era necessario imbucare e consegnare una lettera (o un feticcio...), parlargli direttamente o indirettamente; per rubare qualcosa o per progettare un omicidio bisognava fare un sopralluogo nella zona interessata per rendersi conto delle reali distanze o calcolare tempi di reazione della polizia...).
L'arretratezza del Sud d'Italia, oggi estremo Sud d'Europa, è legata indissolubilmente alle esigenze di controllo e di repressione delle organizzazioni criminali; queste ultime, infatti, preferirono sacrificare l'incremento economico - proveniente da un improbabile turismo di massa o da inverosimili investimenti imprenditoriali - sull'altare dell'isolamento, per continuare ad avere un costante controllo delle attività economiche e politiche nei luoghi d'interesse. La stasi e l'immobilismo facilitavano il compito e favorivano i traffici !
Non si trattava, per questo motivo, come molti pensano di accontentarsi e di contendersi solo un osso già spolpato, le poche e povere risorse di un territorio economicamente morente, ma di garantirsi un luogo di sicurezza, una roccaforte feudale, dove poter vivere tranquilli e da cui partire per gestire i propri "affari".
Oggi questa esigenza non esiste più ! Perché si devono sprecare energie al fine di garantire il perpetuarsi dello status quo?
Ora serve la dinamicità di tutti e di ogni cosa, perché a differenza del passato si può controllare meglio e in profondità le cose che si "muovono" di più. Un soggetto, o un oggetto, lascia un numero di tracce che aumenta in modo esponenziale con il suo movimento fisico o virtuale: più segni del proprio passaggio si lasciano e maggiore diventa la probabilità di essere soggetto ad un controllo da parte di qualcuno.
Stranamente il rapporto tra la velocità di movimento degli "oggetti d'interesse" delle organizzazioni criminali ed il loro controllo potrebbe diventare la nuova terra di frontiera dove ingaggiare una rinnovata lotta, nuova nei mezzi e vecchia nei fini, tra l'ordinamento giuridico statale - comunitario - internazionale e le organizzazioni criminali. Le tracce che tutti noi lasciamo movendoci ed operando fisicamente (percorrendo l'autostrada, utilizzando la carta di credito, il bancomat e il telefono cellulare...) o "virtualmente" nella rete (dando e ricevendo le informazioni in modo volontario o involontario; richiedendo e concedendo l'utilizzo di una serie di dati personali oppure semplicemente consultando determinate notizie piuttosto che altre...) potrebbero rappresentare, per le organizzazioni criminali il nuovo territorio "virtuale e reale" da sottoporre ad un rigido controllo.
Il tessuto economico dell'Italia meridionale è cambiato notevolmente negli ultimi anni. Sia pure a macchia di leopardo, si stanno affermando distretti produttivi estremamente dinamici. E' compito dello Stato, a livello nazionale e locale, assecondare tali tendenze cercando di offrire servizi, energia ed infrastrutture funzionali allo sviluppo economico e sociale del territorio.
La mafia, la camorra, la ndrangheta, la sacra corona unita... e le altre organizzazioni criminali hanno avuto, nel corso della storia del nostro Paese, un ruolo importante (visibile in pochi casi, invisibile in molti altri). Quello che si deve riconoscere a queste entità organizzate è la grande capacità di rinnovamento che ha garantito loro una lunga e prospera sopravvivenza. Ogni boss, agente, sicario, politico corrotto arrestato o in qualche modo "bruciato" non ha determinato la morte del nucleo organizzativo, ma ha rappresentato un fisiologico momento rigenerativo in cui veniva impiantato al posto dell'arto amputato un nuovo tessuto più efficiente, perché attento a non ripetere gli errori del suo predecessore.
L'invito che si può muovere alle autorità di pubblica sicurezza e alla magistratura è quello di andare alle radici dei fenomeni economici e davanti alle richieste improvvise di modernità ed infrastrutture, prima di concedere acriticamente qualcosa, vagliare attentamente la richiesta utilizzando, per orientare le proprie decisioni, l'eterna bussola delle miserie umane costituita dalla domanda "cui prodest ?"

Alle radici di una devolution criminale.
Osservando con attenzione i diversi e numerosi fenomeni criminali di tipo associativo, quotidiani catalizzatori dell'opinione pubblica nazionale ed internazionale, si riesce a scorgere in tutti loro la fiera presenza di un nuovo e comune elemento: un particolare tipo di decentramento organizzativo.
La ragione di tale novità è ancora una volta di tipo evolutivo…
Non sembrano esserci più enormi strutture associative organizzate in modo patriarcale e rigidamente gerarchico sul modello della vecchia mafia siciliana. Il c.d. modello a piramide, estremamente efficiente nella sua verticistica autorità, si presenta allo stesso tempo macchinoso e poco duttile in rapporto alle esigenze della moderna e camaleontica pratica quotidiana.
Nelle organizzazioni così costituite la pianificazione delle attività criminali viene calata dall'alto senza una partecipazione diretta della base, se non in termini esecutivi e di verifica. I legami rilevanti e vitali sono quelli che mettono in comunicazione il vertice con i diversi livelli inferiori e con la base stessa dell'organizzazione. Quest'ultima, infatti, vive finché permangono vitali i legami vertice/livelli intermedi/base e base/livelli intermedi/vertice. E' proprio attraverso questi legami che scorre, in ambo i sensi di marcia, un flusso costante di informazioni e di risorse. Il black-out comunicativo determinerebbe un'interruzione di tali flussi causando la cancrena dei livelli inferiori scollegati e la necessità di un periodo di tempo per la rigenerazione di nuovi tessuti attraverso complessi processi di vascolarizzazione. La fine dell'organizzazione, quindi, non potrebbe essere determinata dall'amputazione di una parte periferica della struttura, per sua intima essenza autorigenerante, ma dalla decapitazione definitiva del vertice. Nel momento in cui la testa dell'organizzazione cade è la comunicazione con le parti e tra le parti a cessare o compromettersi.
I legami con le periferie sono, nel modello di organizzazione criminale piramidale, generalmente accentrati nelle mani di poche entità; poiché, sono le conoscenze e le possibilità comunicative a determinare il ruolo che ciascuno riveste all'interno della stessa struttura. Quando il detentore dei contatti (politici, criminali, economici) cade si apre un periodo di dubbioso silenzio tra gli "orfani" dell'organizzazione sopravvissuti che porta con sé sospetti e dispendiose lotte per la successione.
La sostituzione del vertice, quindi, apre una crisi che difficilmente si concluderà con la nascita di un'entità che presenta le stesse caratteristiche, quantitative e qualitative, della precedente. In qualche modo la personalità del vertice influenza, dando una propria impronta, l'intera organizzazione criminale che nasce, vive e muore seguendo i punti della parabola vitale del gruppo di comando.
L'importanza del vertice per l'esistenza dell'organizzazione criminale, sua espressione tentacolare, è testimoniata dalla necessità di stabilire, nel caso in cui vengano assicurati alla giustizia personalità rilevanti, dei contatti continui per preservare, funzionale, il legame informativo - economico: linfa vitale dell'intera struttura. La testa, anche se rinchiusa in un istituto penitenziario, continua a ricevere, archiviare e digerire informazioni consegnando le direttive per lo svolgimento dell'attività criminale o semplicemente creando le condizioni necessarie per un successione soft ai vertici. La guerra alle organizzazioni criminali piramidali si combatte principalmente puntando ai vertici, cercando di isolare questi ultimi, poiché il resto della struttura crolla polverizzandosi senza un continuo contatto con la fonte della forza di coesione del gruppo.
Lo Stato ha ottenuto, ad esempio nel caso delle organizzazioni mafiose, numerose vittorie scegliendo di investire ingenti risorse umane ed economiche nell'attuazione della strategia in precedenza, a larghe linee, descritta.
Le investigazioni di tipo "classico" se da un lato erano utili al fine di trovare gli autori materiali dei singoli delitti non si presentavano, però, sufficientemente idonee ad individuare i mandanti dei delitti.
In altre parole, la difficoltà d'individuazione dei soggetti responsabili aumenta in rapporto alla posizione rivestita dal mandante nella scala gerarchica. Per questo motivo, nel momento in cui lo Stato ha compreso la struttura e il relativo funzionamento delle organizzazioni mafiose, ha cercato nuove vie per arrivare al vertice, alla testa, alla mente dell'organizzazione rischiando, in alcuni casi, di trascurarne il tentacolo amputato che poteva:
1) continuare ad operare prima di spegnersi in modo convulso, come una coda di lucertola che perdendo in modo traumatico il contatto con il corpo, ciecamente, si agita prima del rigido ultimo fremito;
2) se sufficientemente forte: 2.1.) sopravvivere in uno stato di quiescenza prima di essere fagocitato e metabolizzato da altre organizzazioni, 2.2) assumere esso stesso, tramite una mutazione genetica, la forma di una nuova testa alla ricerca di altri tentacoli.
Lo strumento investigativo classico viene così gradualmente sostituito dallo strumento "pentiti", cioè da persone appartenenti alle organizzazioni criminali che decidono, per vari motivi (morali, religiosi, di convenienza, economici…), di tradire l'organizzazione mettendone a nudo la struttura ed indicandone in modo puntuale i vertici.
In questa sinfonia di dati e informazioni il pentito diviene il protagonista principale di scene processuali sempre più vaste e complesse assumendo, sempre più, il ruolo di procacciatore di notizie ed informazioni utili ai fini delle indagini.

La difficile reazione di uno Stato ferito.
La recrudescenza della criminalità organizzata dei primi anni '90, testimoniata dalle stragi del 1992, obbligò i vertici delle Istituzioni italiane a compiere una profonda riflessione sugli strumenti di lotta utilizzati fino a quel momento contro la criminalità organizzata, in particolare di tipo mafioso.
Gli orrendi delitti di quegli anni sembravano testimoniare la carenza di capacità investigative delle forze dell'ordine, incapaci di anticipare la verificazione non solo di piccoli eventi criminosi ma anche e principalmente di sciagure di dimensioni notevoli.
Lo Stato apparve disarmato davanti ad una strategia del terrore applicata in modo violento, sistematico e chirurgico.
Si avvertì immediatamente l'esigenza di riarmare lo Stato attraverso strutture e modalità operative capaci non solo di reagire in modo forte agli attacchi ma anche e soprattutto prevenire la loro realizzazione. La sicurezza del territorio e delle Istituzioni divenne un punto nevralgico della strategia di lotta alla mafia.
L'opinione pubblica sconvolta da terribili eventi di cronaca chiedeva alle Istituzioni, gridando ad alta voce, di reagire2.


Non si potevano lasciare impuniti gli autori materiali e i mandanti di quelle stragi...
Bisognava a tutti i costi onorare la memoria di chi aveva sacrificato la propria vita sull'altare del rispetto della legalità. Bisognava abbattere a tutti i costi la colonna infame eretta a perenne memoria della vittoria della mafia sullo Stato.
Il duro colpo inferto all'avanguardia dello Stato nella lotta contro il crimine organizzato era là a testimoniare che occorreva, a tutti i costi, riuscire a penetrare all'interno delle "segrete cose" di "cosa nostra".
Per cercare di raggiungere tale obiettivo lo Stato poteva seguire, essenzialmente, due linee operative:
1. aumentare le risorse umane e materiali di quella che può essere, per comodità espositiva, definita "investigazione classica";
2. tentare di conoscere la struttura e i piani delle predette organizzazioni attraverso i soggetti ad esse appartenenti e catturati durante le operazioni di polizia.
Per mettere a regime la prima linea operativa era necessario, però, un periodo di tempo lungo poiché occorreva reclutare e addestrare personale idoneo a svolgere attività investigative ad alto livello, in ambienti altamente ostili ed utilizzando strumenti e tecniche innovative.
Oltre al lavoro sul campo apparve necessario, inoltre, incrementare i contatti permanenti tra le diverse strutture presenti sul territorio nazionale e dare avvio, attraverso numerose iniziative diplomatiche, ad alleanze internazionali che garantissero un flusso continuo di informazioni tra la nostra polizia e quella di tutta Europa, d'America e in tempi più recenti del "vicino" e "medio" "Oriente".
Durante i lavori per la creazione e la messa a regime di tale fitta ragnatela investigativa, in cui il flusso delle informazioni avrebbe dovuto rappresentare un perfetto meccanismo atto a disegnare la mappa delle attività economiche e strategiche delle organizzazioni criminali, si andò alla ricerca di un sistema "economico" e di "rapida" utilizzazione per sferrare un significativo attacco alla criminalità organizzata che più di altre si era contrapposta allo Stato: la mafia.
Il reperimento delle informazioni, in particolare sulle attività economiche e sul riciclaggio dei proventi delle attività illecite si dimostrò un compito piuttosto arduo. Non solo non si disponeva delle strutture necessarie a livello investigativo ma mancavano dei "supporti" normativi nazionali e internazionali che consentissero di procedere in modo rapido a controlli e verifiche approfondite di conti e movimenti bancari svolti all'estero, in particolare nei c.d. paradisi fiscali.
L'esperienza acquisita durante il periodo del terrorismo e quella più recente maturata nelle indagini su numerosi sequestri di persona era pronta ad essere sfruttata come know-how per la nuova lotta alla criminalità.
Lo strumento principe per scardinare le organizzazioni criminali divenne, come evidenziato, il "pentito".
L'unico modo per conoscerne i progetti criminosi, le future intenzioni, l'identità e l'ubicazione fisica degli associati ad un'organizzazione criminale ordinata in modo verticistico e gerarchico, territorialmente forte, socialmente chiusa verso l'esterno e in alcuni casi strutturata a compartimenti stagni era quello di utilizzare al meglio le conoscenze di un suo ex-associato.
Come costringere o rendere appetibile il "pentimento" a soggetti che nel migliore dei casi avevano solo qualche omicidio sulla coscienza e che prima di essere catturati amavano fregiarsi del "nobile" titolo di "uomini d'onore"?
Lo Stato non tardò a mettere in atto la propria reazione utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione.
La disciplina del c.d. "carcere duro" rappresenta una reazione, forse una delle poche attuabili nel breve periodo, messa in atto dallo Stato italiano per rispondere ad un duro attacco della mafia.


Dalla piramide all'arcipelago.
Se il modello piramidale, sino a qualche anno addietro, si presentava come dominante e il più diffuso non solo su scala nazionale ma anche internazionale ( si pensi, ad esempio, alla rigida gerarchia presente nelle organizzazioni criminali che rientrano in quella che comunemente vengono definite "mafia cinese", "mafia albanese", "mafia russa"; dove il termine mafia indica proprio l'esistenza di una struttura di tipo piramidale e tentacolare) oggi sembra aver perso terreno, sino quasi a scomparire, sostituito da quello che si può metaforicamente definire: organizzazione ad "arcipelago".


L'organizzazione criminale, di qualunque natura, sembra tendere inevitabilmente verso una graduale frammentazione della propria struttura.
Non si scorgono più tentacoli saldamente legati ad un unico corpo, ma l'organismo mutando ed adattandosi alla realtà di un'economia ed una politica di sicurezza sempre più globale e tecnologica trova la sua "nicchia biologica", dove poter sopravvivere e riprodursi, nell'indipendenza e nelle ridotte dimensioni di particolari forme di esistenza: le "cellule" criminali.
La forma a "cellula" se da un lato non garantisce un puntuale e continuo coordinamento rispetto al fine da perseguire, dall'altro consente la sopravvivenza dell'organizzazione indipendentemente da quale parte, importante o meno importante, venga colpita e/o assicurata alla giustizia.
Non ci sono veri e propri vertici comuni, ma semplicemente dei fini comuni da perseguire in modo autonomo, salvo alcuni momenti di occasionali sinergie.
Ogni cellula nasce, vive, si scinde, viene fagocitata e muore indipendentemente dalle altre, ma con le altre ha in comune il perseguimento del fine ultimo dell'organizzazione. Il perseguimento dell'obiettivo sembra impresso nel DNA di queste cellule che si dimostrano fisiologicamente orientate a raggiungerlo utilizzando i metodi che appaiono a ciascuna più idonei.
Non bisogna pensare, però, che le singole cellule siano delle monadi irrelate, perché le stesse vivono di flussi di informazioni e denaro che pervengono dal collegamento con le altre autonome entità cellulari. La differenza rispetto all'organizzazione piramidale risiede nel tipo di struttura del collegamento, non più "a radice" (dal tronco principale alla periferia ) ma "a rete" (costituita da nodi orizzontalmente dislocati).
L'immagine della rete è utile per comprendere che la stessa comunicazione tra tali entità non viene mai meno per l'estinzione di una loro cellula (nodo) perché nessuna è gerarchicamente superiore all'altra e nessuna è collegata in modo univoco alle altre.
Il black-out in questo modello organizzativo non si può provocare semplicemente eliminando uno o più elementi. E' necessario mandare in "corto" l'intero sistema orizzontale su cui tali strutture poggiano tramite l'utilizzo di virus idonei a riprodursi ed infettare esponenzialmente ogni cellula che venga a contatto con quella ormai malata, ma ancora non morta.
Ogni organizzazione, essendo costituita essenzialmente da persone, nasce perseguendo un fine ben determinato e finché quest'ultimo non sia raggiunto le singole cellule, in modo autonomo, si indirizzeranno verso di esso cercando di raggiungerlo con ogni mezzo.
E' sul fine, quindi, che bisogna concentrare l'attenzione.
Due appaiono le soluzioni astrattamente percorribili:
1) agire sui motivi di fondo che spingono i soggetti membri delle cellule dell'organizzazione criminale a voler raggiungere quei fini;
2) rendere poco appetibile il fine stesso.

Dal "pentito" alle "lezioni di diritto".
Sono necessari nuovi strumenti e nuove professionalità investigative per far fronte a queste organizzazioni che traggono la loro forza dal numero e dall'autonomia dei singoli elementi che le compongono.
I c.d."pentiti", non appaiono più come un formidabile grimaldello con cui scardinare e scassinare complesse strutture criminali, perché la cattura di uno o più "boss " oggi non rappresenta che un colpetto inferto ad un elemento strutturale di un'organizzazione che per sua intima essenza non ha struttura.
Le varie organizzazioni criminali mafiose (locali, nazionali e internazionali) e terroristiche (da quelle a sfondo politico a quelle motivate da particolari fondamentalismi religiosi) dimostrano pienamente come ciò che conta è il fine (potere, denaro…).
Il momento propulsivo, quindi, e non la funzionalità della struttura appare essere l'elemento chiave ed unificante dell'ampia fenomenologia organizzazione criminale. La lotta fisica alle strutture organizzative ad "arcipelago" è destinata a fallire se non sarà affiancata da una congrua opera culturale e di informazione tesa ad eliminare, o almeno limitare, la nascita dei desideri, degli odi e degli oggetti (scopi) che rappresentano il fertile terreno di coltura di ogni organizzazione criminale. Si deve tenere ben presente, però, che non si può parlare di cultura e principi dove manca il lavoro, le in fratture e i servizi pubblici di primaria rilevanza (sanità, istruzione, giustizia).
In questa situazione di forte instabilità dai tessuti isolati e dimenticati nell'oceano della società prendono forma e vita quelle cellule criminali che trovano negli scopi comuni, o semplicemente dei nemici comuni, il collante necessario per saldare la loro attività a quella delle altre nate per analoghi motivi costruendo così un'organizzazione ad "arcipelago" .
Per concludere vi invito a rileggere una delle pagine più belle scritte da LEONARDO SCIASCIA, scrittore che forse più di altri è riuscito ad intravedere, tra le righe dei suoi romanzi, la realtà di una responsabilità che oltrepassa i limiti del singolo individuo agente per concretizzarsi in una epidermica e cruda realtà quotidiana appartenente non solo all'Italia meridionale, ma al "Sud" dell'anima di ogni moderna società.

"-(Omissis) Proverbio, regola: il morto è morto, diamo aiuto al vivo.
Se lei dice questo proverbio a uno del Nord, gli fa immaginare la scena di un incidente in cui c'è un morto e c'è un ferito. Un siciliano vede invece il morto ammazzato e l'assassino. Che cosa è poi un morto per un siciliano…: un morto è una ridicola anima del purgatorio, un piccolo verme dai tratti umani che saltella su mattoni roventi… Ma si capisce che quando il morto è del nostro sangue, bisogna far di tutto perché il vivo, cioè l'assassino, vada presto a raggiungerlo tra le fiamme del purgatorio…Io non sono siciliano fino a questo punto: non ho mai avuto inclinazione ad aiutare i vivi, cioè gli assassini, e ho sempre pensato che le carceri siano un più concreto purgatorio… Ma c'è qualcosa, nella fine di mio figlio, che mi fa pensare ai vivi, che mi dà una certa preoccupazione per i vivi…
- I vivi che sono gli assassini ?
-No, non a quei vivi che direttamente, materialmente l'hanno ucciso. Ai vivi che l'hanno disamorato, che l'hanno portato a vedere certe cose della vita, a farne certe altre… Ad un'età come la mia, uno che ha la ventura di arrivarci è disposto a credere che la morte è un atto di volontà; un piccolo atto di volontà, nel mio caso: a un certo punto sarò stufo di sentire la voce di costui - indicò il giradischi - e il rumore della città, la cameriera che da sei mesi canta di una lacrima sul viso e mia nuora che da dieci anni, ogni mattina, si informa della mia salute con la speranza appena velata di apprendere che sono finalmente all'amen (omissis) ma voglio dire questo: che ci può essere in un uomo una esperienza, una pena, un pensiero, uno stato d'animo per cui la morte, infine, è soltanto una formalità. E allora, se responsabili ci sono, bisogna cercarli tra i più vicini: e nel caso di mio figlio si potrebbe cominciare da me, ché un padre è sempre colpevole, sempre - Gli occhi spenti sembravano perdersi nella lontananza del passato, dei ricordi.- Come vede, sono anch'io uno dei vivi che bisogna aiutare3"

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1 Bernando Provenzano, ritenuto uno dei capi della mafia siciliana, è stato catturato a Corleone nella mattinata dell'11 aprile 2006 in un casolare di campagna. Provenzano era ricercato sin dal 1963.

2  Per ricordare il clima politico ed istituzionale di quegli anni di lotta alla criminalità organizzata si riportano brevemente alcune notizie concernenti gli eventi di cronaca e politica più rilevanti del 1992. La scelta di questo particolare anno deriva dal fatto che gli eventi in esso verificatesi rappresentano: 1. l'humus emotivo e razionale delle scelte legislative di politica criminale di lotta alla criminalità organizzata che diverranno negli anni successivi opzioni strutturali; 2. l'incubatrice di articolate vicende giudiziarie e politiche che si manifesteranno compiutamente negli anni successivi.
1992 - Gennaio: viene rapito a Porto Cervo un bambino di 7 anni (Farouk Kassam) dall'anonima sarda; l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino è condannato per associazione mafiosa; si conclude l'inchiesta Gladio e il Presidente della Commissione stragi Libero Gualtieri ne denuncia il ruolo chiave nella strategia della tensione. Febbraio: il procuratore della Repubblica di Roma, Ugo Giudiceandrea, richiede l'archiviazione dell'inchiesta su Gladio; viene arrestato a Milano Mario Chiesa (presidente del Pio Albergo Trivulzio) con l'accusa di concussione (inizia tangentopoli); a Verona Pietro Maso è condannato per la brutale uccisione dei genitori. Marzo: Salvo Lima, ex sindaco di Palermo e uomo di estrema rilevanza della DC, viene ucciso a Mondello. Aprile: i risultati delle elezioni politiche mettono in rilievo il successo della Lega Lombarda (9%); da Milano arriva la sentenza definitiva sul caso del crac del Banco Ambrosiano; rio Chiesa inonda di rivelazioni la procura di Milano e numerosi imprenditori dichiarano al sostituto procuratore Antonio Di Pietro di aver versato tangenti a vari esponenti di partiti politici; il Presidente della Repubblica Cossiga si dimette. Maggio: i PM Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo emettono numerosi avvisi di garanzia diretti ad esponenti politici di primaria rilevanza e a seguito degli scandali legati a Tangentopoli la giunta della regione Lombardia si dimette; il 23 a Capaci in un terribile attentato vengono assassinati il Giudice Giovanni Falcone, la moglie e 3 agenti della scorta; il nuovo Presidente della Repubblica è Oscar Luigi Scalfaro. Giugno: il Presidente della Repubblica incarica l'on. Giuliano Amato di formare il nuovo Governo. Luglio: il Governo, con una manovra finanziaria, decide di privatizzare IRI, ENI, ENEL e INA; Farouk Kassam viene liberato; viene emesso un ordine di cattura per l'imprenditore Ligresti (accusato di corruzione); il 19 a Palermo, in via D'Amelio, un nuovo attentato di mafia. Muoiono il Giudice Paolo Borsellino e 5 agenti di scorta: il 26 nuovo colpo allo Stato: la mafia uccide l'ispettore di polizia Giovanni Lizzio. Agosto: alla direzione della superprocura antimafia viene posto Giuseppe De Gennaro; a Gioia Tauro viene inferto un duro colpo alla 'ndrangheta: arrestato Saro Mammoliti; Settembre: un deputato socialista si suicida a Brescia, era coinvolto nelle indagini dell'inchiesta "Mani Pulite"; un rilevante esponente dei vertici della mafia viene catturato dalla polizia nei pressi di Vicenza; a Napoli viene catturato Carmine Alfieri esponente di rilievo della camorra, erede di Raffaele Tutolo; il Consiglio Superiore della Magistratura apre un'indagine sul Presidente della I sez. penale della Cassazione: Corrado Carnevale. Ottobre: a Roma in Corte d'Assise si apre il processo contro la loggia massonica P2 (tra i tanti imputati: Licio Gelli); i pentiti Tommaso Buscetta e Gaspare Cutolo illustrano le loro verità sull'omicidio di Salvo Lima; la Cassazione annulla la sentenza di condanna emessa contro Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani per l'omicidio Calabresi; le forze dell'ordine (carabinieri) sequestrano alcuni archivi nell'ufficio del Ministro della Sanità (De Lorenzo) per sospetti di corruzione. Novembre: il procuratore della Repubblica di Palmi Agostino Cordova emette numerosi avvisi di garanzia contro vari personaggi politici e del mondo dell'informazione in relazione all'inchiesta sulle logge massoniche deviate; il "superpentito" Tommaso Buscetta rende le sue verità davanti alla Commissione nazionale antimafia, in particolare sull'omicidio del generale Dalla Chiesa. Dicembre: la commissione bicamerale per le riforme approva il progetto di una riforma della legge elettorale al fine di far adottare un sistema misto con una quota rilevante di maggioritario e una minima di proporzionale; un sostituto procuratore di Palermo si suicida per le infamanti dichiarazioni di un pentito che lo accusano di collusione con la mafia; nelle elezioni per il rinnovo dei Consigli comunali la Lega è il secondo partito in Italia; il pool di Milano invia un avviso di garanzia a Bettino Craxi (segretario del PSI) per corruzione e illecito finanziamento dei partiti; Giancarlo Caselli è nominato capo della procura della Repubblica di Palermo; Bruno Contrada (ex funzionario dei servizi segreti) viene arrestato con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Le notizie riportate sono state estratte dall'opera di BRUNO VESPA, 1989-2000 Dieci anni che hanno sconvolto l'Italia, Mondadori, 2000.

3  Il brano riportato è estratto dal Romanzo di LEONARDO SCIASCIA, "A ciascuno il suo", edito da Adelphi.

 

Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 20/06/2006

 

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