AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Copyright © AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
(nota a Cassazione – Sezioni Unite civili – sentenza 21 febbraio 2002, n. 2515)
Alessia Di Caprio
Sommario: Introduzione; 1) La ricostruzione del fatto; 2) Il principio
di diritto; 3) La nuova configurazione dell’art. 2059 c.c. dopo le sentenze
della Corte di Cassazione n. 8827- 8828 del 2003; 4) Le pronunce
giurisprudenziali successive alla sentenza n. 2515/2002; 5) Conclusioni
Introduzione:
L’attenzione dell’uomo verso la salvaguardia dell’ambiente in cui egli vive
cresce in maniera proporzionale allo sviluppo scientifico e tecnologico, il
quale se da una parte produce benessere e ricchezza, dall’altra, crea pericoli e
rischi sempre più gravi e sempre meno controllabili.
Negli ultimi decenni del secolo scorso, il processo di modernizzazione ha avuto
come effetto collaterale negativo la nascita di quella che è stata
emblematicamente definita come “società del rischio”1, laddove per rischio si
intende la eventualità del verificarsi di gravi incidenti ecologici, a danno
dell’intero ecosistema, in conseguenza dello scellerato uso degli strumenti di
nuova generazione, nonché della incosciente corsa allo sviluppo
industriale. Condizione questa da cui origina una società ove i pericoli per la
vita dell’uomo e della natura hanno oltrepassato i confini della fabbrica e
degli Stati per assumere rilevanza globale.
Comprensibile, dunque, che, davanti ad una prospettiva così catastrofica,
l’attenzione dell’uomo si sia trasformata in vera e propria paura per le sorti
del mondo e l’abbia spinto a chiedere alle istituzioni una migliore protezione
delle risorse umane e naturali dallo sfruttamento incontrollato e pericoloso
degli ultimi tempi.
Chiaramente rappresentativo, a tale proposito, è il “caso Seveso”, risalente al
1976, che qui si prende in esame.
D’altro canto, risulta ormai evidente lo sforzo operato a livello legislativo,
oltre che dottrinario e giurisprudenziale, di ampliare la tutela di un bene,
quale l'ambiente, che da tempo la Corte Costituzionale identifica quale "elemento
che concorre a determinare la qualità della vita, essendo espressione
dell'esistenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive e agisce".2
La ricostruzione del fatto:
Nello stabilimento della società ICMESA di Seveso, in Brianza, il 10 luglio 1976
un reattore destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente di
diversi diserbanti, perde il controllo della temperatura e si scalda oltre i
limiti previsti. La causa prima dell’incidente si rinviene, probabilmente, in un
arresto volontario della lavorazione, senza azionare il raffreddamento della
massa e, quindi, senza contrastare l'esotermicità della reazione. L'apertura
delle valvole di sicurezza evita l'esplosione del reattore, ma l'alta
temperatura causa una modifica della reazione con una massiccia formazione di
tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina. La
TCDD viene rilasciata per la durata di 20 minuti circa e trascinata verso sud
dal vento in quel momento prevalente. Si forma, dunque, una nube tossica che
colpisce i Comuni di Meda (ove era localizzata la fabbrica), Seveso, Cesano
Maderno e Desio. Seveso è il Comune più colpito, essendo immediatamente a sud
della fabbrica.
Alcune persone subirono delle degenerazioni della pelle (cosiddetta cloracne)
mentre gli effetti sulla salute generale sono ancora oggi oggetto di studi.
Pochi anni dopo, la vicenda giunge nelle aule di tribunale.
Con atto di citazione notificato il 13 giugno 1981, Giorgio P. conviene dinanzi
al Tribunale di Monza la s.p.a. in liquidazione ICMESA, chiedendone la condanna
al risarcimento per il fatto che, essendo stato investito direttamente dalla
nube tossica, aveva subito danni diretti alla salute.
Peraltro, con altro atto di citazione, notificato il 16 luglio 1983, il P.
conviene nuovamente in giudizio l’ICMESA, per ottenere anche il risarcimento dei
danni psico-fisici sofferti in conseguenza dello stesso episodio di polluzione
chimica.
In sede penale, concessa la sospensione del giudizio civile3, viene affermata la
responsabilità del direttore tecnico della società, in ordine al reato di cui
all'art. 449 c.p., aggravato peraltro ai sensi dell'art. 61 n. 3, stesso codice,
per essersi ingerito di fatto nella gestione della società, trovandosi, per la
sua funzione e preparazione specifica, nella condizione di rappresentarsi i
rischi connessi al procedimento adottato ed a rilevare le insufficienze delle
cautele in atto; doveva e poteva esigersi da lui, in definitiva, l'adozione di
un progetto esente dalle riscontrate carenze funzionali degli impianti, con
particolare riguardo alla sicurezza del loro esercizio.
Il giudizio veniva riassunto all’esito della formazione del giudicato penale di
condanna, a carico dei responsabili tecnici della società.
Dato corso all’istruttoria l’adito Tribunale, con sentenza del 1992, ritiene
sostanzialmente fondate le domande dell’attore e dichiara la responsabilità
della convenuta in ordine ai danni patrimoniali e morali sofferti dal P. e la
condanna al pagamento per danno biologico e per danno morale.
Avverso tale decisione propone gravame l’ICMESA e, in via incidentale, il P.. La
Corte di Appello ambrosiana, con sentenza del 1995, rigetta le domande del P.
tranne quella per danno morale.
Il danno biologico non è riconosciuto dalla Corte poiché, a seguito della C.T.U.
ritualmente espletata, la sintomatologia accusata dal P. non risulta collegata
causalmente al fatto illecito ascritto all’ICMESA.
Diversamente, i giudici di merito riconoscono, pur in assenza di un danno
biologico, il risarcimento del danno morale, “ravvisabile nel perturbamento
psichico conseguente ai numerosi e documentati accertamenti sanitari ai quali il
P. aveva dovuto sottoporsi.
Per la cassazione di tale sentenza l’ICMESA s.p.a. propone ricorso alla Suprema
Corte.
I ricorsi, chiamati all’udienza del 24 marzo 2000, davanti alla III Sezione
Civile, vengono rimessi, con ordinanza di pari data, al Primo Presidente, per
l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rinvenendosi una questione di
massima (la riducibilità del danno morale in assenza di danno biologico)
ritenuta di particolare importanza.
Il Giudice delle leggi conferma la sentenza d’appello nel merito del danno
morale.
Il Principio di Diritto
La problematica principale affrontata dal Giudice del diritto nella decisione
del febbraio 2002, la n. 2515, si concreta nello stabilire se il danno morale
sia risarcibile pur non derivando dalla menomazione dell’integrità psichica
dell’offeso, ovvero di altro evento produttivo di danno patrimoniale4. La questione sembra inizialmente essere unica, tuttavia, nel dispiegarsi delle
argomentazioni contenute nella motivazione, ne emerge una seconda che,
interessando la curiosità del civilista e del penalista, diventa parimenti
oggetto della presente nota: essa consiste nell’individuare la differenza che
intercorre tra danno morale e danno esistenziale5.
Il contributo più evidente che viene riconosciuto alla decisione in esame e che
ha giustificato l’assegnazione della questione alle Sezioni Unite è quello di
aver superato l’aporia che subordina il risarcimento del danno morale al danno
biologico. Per modificare la suddetta impostazione, l’interpretazione del
giudice di legittimità parte dal superamento della tradizionale dicotomia
danno-evento e danno-conseguenza.
Negli ultimi anni, l’aspetto cd. “dinamico” del danno biologico, così come
tracciato dalla Consulta nella sentenza n. 184/86, ha mostrato la sua valenza
diffusiva e la sua natura propulsiva, richiedendo nuove tecniche epistemologiche
e qualificatorie ed idonei indirizzi di prassi.
La finalità è quella di dare sicura e calibrata tutela ai profili di
realizzazione personale dell’individuo in un’ottica non reddituale.
La Corte Costituzionale, nella nota sentenza, qualifica il danno morale come
“danno-conseguenza” del fatto illecito lesivo della salute6, in tal modo delinea lo
spartiacque tra danno morale e danno biologico in base al rapporto
causa-effetto. Le relazioni, tuttavia, si sottopongono ad una rivisitazione, nel
segno di nuova interpretazione, quando alla iniziale distinzione tra danno
biologico e danno morale si aggiunge quella tra quest’ultimo e “danno alla
salute psichica”. In questa seconda ipotesi, la linea di demarcazione tra le due
voci di danno diventa sempre più sottile, incidendo entrambe su un campo in cui
risulta labile il confine che determina le tracce della lesione. Tuttavia, il
danno alla salute psichica, specificandosi in un trauma psico-fisico
scientificamente verificabile, presenta una maggiore concretezza del danno
morale, il quale finisce per risolversi in un “inosservabile”, dal punto di
vista probatorio, se considerato quale pecunia o pretium doloris
corrispondente a quel patema d’animo, transeunte turbamento dell’integrità
morale, conseguente al fatto illecito costituente reato, da verificare in
astratto ed anche se l’elemento soggettivo è provato per mezzo di presunzioni.
Per il Giudice costituzionale risulterà “irrazionale” una decisione che “nelle
conseguenze dello shock psichico patito dal familiare discerna ciò che è
soltanto danno morale soggettivo da ciò che incide sulla salute, per ammettere
al risarcimento solo il primo”7.
Il danno alla salute psichica si specifica nella degenerazione del danno morale,
quale trauma fisico e psichico permanente, per meglio dire, esso rappresenta la
“conseguenza” del patema d’animo.
In tale logica, trova completezza il rapporto eziologico indicato dalla sentenza
della Corte costituzionale, il quale si risolve come segue: danno biologico
(evento) – danno morale (conseguenza e, a sua volta, evento) – danno biologico
di natura psichica (conseguenza).8
Riassumendo, la sentenza costituzionale n. 184/1986 mette in relazione come
causa ed effetto il danno biologico con il danno morale; diversamente, nella
decisione n. 372/1994, la Consulta sostiene la “conseguenza” danno morale (a sua
volta) in causa generatrice di ulteriore voce di danno, quello “biologico di
natura psichica”.
L’approccio causalistico e materiale della ricostruzione delle varie voci di
danno si incrina ulteriormente9, denunciando la fallibilità
delle proprie “sovrastrutture”, all’affermarsi giurisprudenziale del danno
esistenziale.
La consapevolezza acquisita dal giudice della difficoltà di scomporre e
ricostruire la lesione secondo una logica causa-effetto, al fine di discernere
il danno biologico da quello morale, o il danno morale dal “danno biologico di
natura psichica” ovvero, infine, il danno esistenziale da tutti i precedenti,
persuade ad abbandonare la logica “teorica” per condividere un approccio
maggiormente pratico. Più importanti delle categorie diventano i fini e, se per
il Giudice delle Sezioni Unite è giusto risarcire la lesione “nel caso di reati
di pericolo o plurioffensivi, non sussiste alcuna ragione, logica e/o giuridica,
per negare tale risarcibilità ove il soggetto offeso, pur in assenza di una
lesione alla salute, provi di aver subito un turbamento psichico”.
Il primo contributo offerto dalla sentenza in esame si riassume nel superare le
precedenti “sovrastrutture teoriche” introdotte dalle suesposte decisioni
costituzionali, per condividere un orientamento sostanziale informato da ragioni
di “logica e di giustizia”, il quale suggerisce di superare gli impedimenti
legati alle categorie formalistiche, attraverso un criterio che si mostra
evidentemente incentrato sulla diversità di funzioni cui può assolvere il
risarcimento del danno, piuttosto che sulle moltiplicazioni delle sue rispettive
voci.
In sintesi, la risarcibilità del danno morale non presuppone l’esistenza di
danno biologico o di altro evento produttivo di danno patrimoniale10, ma la sussistenza di un reato che ha deluso l’aspettativa del destinatario
dell’illecita condotta nella fiducia del valore delle norme. Le categorie di
“danno evento” e “danno conseguenza” perdono efficacia euristica nella
spiegazione delle modalità attraverso cui la lesione si manifesta nella realtà.
In questo contesto, un'importanza preminente deve attribuirsi alla sentenza del
2002, la quale, oltre a segnalarsi all'attenzione dell'opinione pubblica per la
rilevanza sociale della vicenda presa in esame, sembra destinata a lasciare il
segno anche per le implicazioni più strettamente giuridiche in essa contenute.
La sensazione che si avverte, infatti, è di essere giunti a un punto molto
avanzato di quella costante evoluzione dottrinale e giurisprudenziale che ha
modificato progressivamente il rigido impianto normativo, ancorato al doppio
binario tra danno patrimoniale e non patrimoniale,11
consistente quest'ultimo nel pretium doloris, ovvero nelle sofferenze e
patemi d'animo subite dal danneggiato e risarcibili in presenza di un'esplicita
disposizione normativa. Il disegno sistematico del legislatore del '42 risulta,
come è noto, profondamente permeato da quella concezione "paneconomica" del
diritto privato, il quale privilegiava la tutela di interessi suscettibili di
valutazione in termini patrimoniali. La lesione di interessi più strettamente
personali era, invece, collocata in una dimensione di minore ampiezza.12
La valorizzazione dei precetti costituzionali e l'emersione di nuove istanze di
protezione recepite a livello giuridico e sociale, hanno contribuito, in modo
decisivo, all'allargamento delle prospettive di tutela dei singoli, orientando
l'interprete verso una rilettura dei principi normativi più attenta agli
interessi legati allo sviluppo della personalità.
Significativa, in questo senso, risulta l'elaborazione di alcuni nuovi concetti
volti ad ampliare il raggio di tutela dei danneggiati, pur in assenza di un
pregiudizio strictu sensu patrimoniale:
è stata così coniata, ad esempio, la figura del danno esistenziale, suscettibile
di venire in rilievo in presenza di un non meglio definito diritto alla "qualità
della vita".13
Circa i rapporti tra danno esistenziale, danno morale soggettivo e danno
psichico, tutti riconducibili all'area del danno non patrimoniale - nel senso
ampio di pregiudizio arrecato ad interessi non economici aventi rilevanza
sociale - sono stati adottati vari criteri distintivi, tra cui merita consenso
quello più recente suggerito dalla giurisprudenza di legittimità.
La Cassazione14, al riguardo, ha avuto modo di affermare che si versa nell'ipotesi dell'art..
2059 c.c., laddove il pregiudizio subito non sia riconducibile alla sfera
interiore dell'individuo, trattandosi in tal caso di danno morale soggettivo, la
cui ricorrenza, al fine di evitare una ingiustificata duplicazione dell'obbligo
risarcitorio, è condizionata principalmente al verificarsi di evento-reato,
ex art. 185 c.p..
Qualora, invece, il pregiudizio cagionato abbia inciso sulla libera esplicazione
della personalità, pur al di fuori di una lesione del diritto alla salute, come
tale tutelabile ex art. 2043 c.c. secondo i dettami della Corte
Costituzionale (sent. n. 184/86), allora sarà possibile fare ricorso alla figura
del danno esistenziale, con conseguente valutazione equitativa del danno.
Il danno esistenziale, quindi, si rapporta non alla natura meramente emotiva ed
interiore del pregiudizio subito, come nel caso del danno morale soggettivo, ma
alle scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse
verificato l'evento dannoso, traducendosi in una concreta modificazione
dell'agire del singolo.
Per quanto attiene, poi, al modo di relazionarsi di danno patrimoniale e danno
morale soggettivo, l'orientamento finora prevalente ha fatto ricorso alla nota
distinzione tra danno-evento, integrante l'illecito ed ascrivibile al
responsabile secondo il principio di imputazione, e danno-conseguenza,
costituito dagli effetti pregiudizievoli rilevanti secondo il principio di
causalità.15
Si era giunti così ad affermare che "il danno morale soggettivo, inteso quale
transeunte turbamento psicologico, è, al pari del danno non patrimoniale in
senso stretto, danno conseguenza, risarcibile solo ove derivi dalla menomazione
dell'integrità fisica dell'offeso o da altro tipo di evento produttivo di evento
patrimoniale".16
La risarcibilità in via autonoma del danno morale, ove non fosse conseguenza
della menomazione specificamente subita nella propria integrità psico-fisica,
era quindi generalmente esclusa,17
così come il risarcimento della capacità lavorativa specifica
(danno-conseguenza), non era ritenuto meritevole di pretesa risarcitoria se non
risultava lesa la capacità lavorativa generica (danno-evento).
In questo controverso quadro sistematico, la sentenza sul disastro di Seveso è
destinata a capovolgere la portata delle precedenti affermazioni
giurisprudenziali, chiamando gli interpreti ad un ripensamento delle
tradizionali coordinate ermeneutiche presenti in materia ed aprendo le porte ad
un prevedibile aumento del contenzioso in tale ambito.
Nella sentenza che si annota, l’intenzione del giudicante è diretta, con il
risarcimento del danno, non a sanzionare la delusione di un’aspettativa del
consociato nei confronti del valore delle norme violate, bensì a ripristinare la
lesione di un’aspettativa esistenziale.18 Quello che il giudice del
diritto vivente richiede, al fine della prova del danno, è la dimostrazione
concreta che il “turbamento psichico (sofferenze e patemi d’animo) di natura
transitoria” sia dipeso dall’ “esposizione a sostanze inquinanti” e dalle
“conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita”.
Pertanto, in relazione a tale rilievo, la prova del danno, la sentenza si espone
ad alcune considerazioni problematiche. La prova di un danno, che si consuma
lungo lo svolgimento di un’esistenza, non può essere soddisfatta, in tal senso,
facendo riferimento a criteri come la gravità del reato19,
le modalità della condotta, la colpevolezza dell’autore20,
la misura della pena edittale21
o le percentuali di danno biologico, cui solitamente il giudice si riporta per
la liquidazione del danno morale.
La ratio della decisione n. 2515/2002 può apparire dunque contraddittoria
nel punto in cui il giudicante, da una parte, presume la pericolosità dell’agire
di cui all’art. 449 c.p., perchè “il pericolo è implicito nella condotta e
nessuna ulteriore dimostrazione deve essere fornita circa l’insorgenza effettiva
del rischio per la pubblica utilità” e, dall’altra, esige la prova del
turbamento psichico dei soggetti che subiscono gli effetti del comportamento
delittuoso.22
L’unico onere probatorio gravante sui destinatari del reato dovrebbe realizzarsi
nella dimostrazione di essere in relazione con un determinato habitat, nel senso
che ivi risiedono e/o svolgono attività lavorativa.23
Risulta, pertanto, difficile conciliare la presunzione della pericolosità della
fattispecie dei “Delitti colposi di danno”, nonché la conseguente offesa dei
soggetti che vivono o lavorano nella zona interessata dagli effetti lesivi del
“disastro ambientale”, e l’esigenza da parte dei medesimi individui di fornire
la prova del danno stesso, determinato dall’ “esposizione a sostanze inquinanti
ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita”.
Nei reati di pericolo presunto, come il disastro colposo, il pericolo, essendo
implicito nella condotta, non esige l’ulteriore dimostrazione dell’offesa per la
pubblica incolumità24, a meno che la prova del
danno, richiesta dal giudicante, non si riferisca ad un tipo di lesione
differente da quella morale.
Ne discende, considerate le suddette riflessioni, che dall’accertamento della
condotta colposa deve ricavarsi implicitamente un danno morale in capo alle
vittime, da liquidarsi indipendentemente dalla prova di un concreto nocumento;
diversamente, si esigerà la prova della lesione quando si vorrà risarcire, non
il semplice patema d’animo procurato da reato, ma la compromessa dimensione
esistenziale della persona offesa.25
Deriva che la funzione del risarcimento del danno non patrimoniale, quando si
rivolge alla salvaguardia delle “limitazioni del normale svolgimento della (…)
vita”, sarà finalizzata più a riparare la lesione esistenziale che a
ricompensare il patema d’animo sofferto.26
In sede di ricostruzione sistematica, la risarcibilità del danno non
patrimoniale incontra nel sistema il limite dell’esplicita previsione
legislativa, che, per quanto concerne il danno da reato, è realizzata con il
rinvio dell’art. 2059 c.c. all’art. 185 c.p.27
e da questo alle singole figure di reato; occorre, a tal fine, che il reato
incida su una posizione soggettiva che può ben essere rappresentata, nel caso di
delitto di disastro colposo ex art. 449 c.p., dal diritto alla salute,
nella sua esplicazione di diritto alla salubrità dell’ambiente, suscettibile di
tutela aquiliana diretta; per delimitare l’area del danno risarcibile, in
relazione alla possibilità che il reato produca perturbamenti psichici in un
numero indeterminato di persone, risulta applicabile il criterio di cui all’art.
1223 c.c., che, richiamato dall’art. 2056 c.c., comporta che la risarcibilità
dei perturbamenti psichici richiede che essi costituiscano la conseguenza
diretta ed immediata del reato, nel senso, altresì, che il collegamento tra
danno ed interessi protetti dalla norma penale può essere colto sia in via
primaria, sia in via secondaria e collaterale.28
Tuttavia, proprio questo indirizzo interpretativo incontra nel tempo
orientamenti di segno contrario. Si auspica, infatti, il superamento29
di una ricostruzione influenzata, probabilmente, dalla preoccupazione di evitare
una illimitata proliferazione di azioni risarcitorie nelle ipotesi di disastri
ambientali, la quale si basa su una lettura non corretta della giurisprudenza
costituzionale, affatto orientata nel porre il danno alla salute, o al
patrimonio, quale presupposto della giuridica rilevanza del danno morale.
L’art. 185 c.p. non richiede, oltre al perturbamento psichico della vittima,
anche il verificarsi di un distinto evento di danno incluso nella fattispecie
incriminatrice e, in detto contesto normativo, pure accogliendo del danno non
patrimoniale la nozione ristretta, si conclude a favore della tesi della
risarcibilità, in presenza dei diversi elementi dell’idoneità del fatto a ledere
l’interesse protetto dalla norma penale; della incidenza di esso su una
posizione soggettiva ;
della compatibilità del risarcimento con i reati di pericolo; della riconosciuta
possibilità di risarcire il perturbamento psichico dei titolari di interessi
suscettibili di essere compromessi da reati plurioffensivi, categoria nella
quale si iscrivono i reati contro la pubblica incolumità.30
A ciò si aggiunge, per il caso di specie, la peculiare natura dell’ipotesi
delittuosa di cui all’art. 449 c.p., ove la tutela del bene giuridico è
anticipata ad un momento antecedente la consumazione del reato, senza necessità
di fornire alcuna prova circa l’insorgenza effettiva del rischio.31
Il reato, infatti, si configura come delitto colposo di pericolo presunto, nel
senso che il pericolo è implicito nella condotta e nessuna ulteriore
dimostrazione deve essere fornita circa l’insorgenza effettiva del rischio per
la pubblica incolumità, ma, soprattutto, esso si configura come delitto
plurioffensivo, in quanto con l’offesa al bene pubblico immateriale ed unitario
dell’ambiente32,
di cui è titolare l’intera collettività, concorre sempre l’offesa per quei
soggetti singoli i quali, per la loro relazione con un determinato habitat
(nel senso che ivi risiedono e/o svolgono attività lavorativa), patiscono un
pericolo astratto di attentato alla loro sfera individuale.
La Corte risolve dunque la questione alla stregua del seguente principio di
diritto: in caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro colposo
(art. 449 c.p.), il danno morale soggettivo lamentato dai soggetti che si
trovano in una particolare situazione (in quanto abitano e/o lavorano in detto
ambiente) e che provino in concreto di avere subito un turbamento psichico
(sofferenza e patemi d’animo) di natura transitoria a causa dell’esposizione a
sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento
della loro vita, è risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione
all’integrità psico-fisica (danno biologico) o di altro evento produttivo di
danno patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre
all’offesa dell’ambiente ed alla pubblica incolumità, anche l’offesa ai singoli,
pregiudicati nella loro sfera individuale.33
Affrontando ora la questione di natura sostanziale, occorre individuare la
funzione che assolve il risarcimento liquidato dal giudice per il “perturbamento
psichico”, causato dal sottoporsi a controlli sanitari nel dubbio di aver
contratto malattia per la diffusione di sostanze tossiche.34
Il punto focale delle argomentazioni delle Sezioni Unite non s’incentra sulle
lacrime, le sofferenze fisiche, o i dolori delle vittime dell’illecita condotta,
bensì sulle loro rinunce alla quotidianità, che si risolvono nel condizionamento
delle proprie sfere di esplicazione personale. La prostrazione emotiva dei
soggetti coinvolti si manifesta in una sindrome di paura generalizzata, dovuta
all’angoscia di un grave rischio personale ed aggravata da un clima di grave
allarme. Gli effetti di una tale lesione non si consumano nell’immediatezza del
fatto illecito, ma assillano la vittima in una dimensione prolungata ed il
decorso del tempo, anziché lenire le sofferenze, le acutizza.35
Il danno morale è essenzialmente un sentire, il danno esistenziale è
piuttosto un non fare, o meglio un non poter più fare, un dover agire
altrimenti, un relazionarsi diversamente. Di qui l’evidente differenziazione tra
danno morale e danno esistenziale, dove quest’ultimo, anzi, sembra poter essere
teleologicamente inteso come la giusta reazione ai profondi cambiamenti subiti,
al di fuori dei danni non patrimoniali.36
Ritornando, dunque, all’onere della prova del danno richiesto dal giudice di
legittimità, esso viene considerato assolto attraverso la dimostrazione di
essersi sottoposti a “controlli sanitari, resi necessari dall’insorgenza di
sintomi preoccupanti”, ove la “preoccupazione duratura nel tempo”, cui fa
riferimento la sentenza che si annota, sembra costituire valida testimonianza di
ciò che sostanzia il danno morale. Deve trattarsi, insomma, di uno stato d'ansia
che realizzi quella somatizzazione del danno morale che, per la sua particolare
natura, si riveli idonea a produrre un turbamento apprezzabile della propria
stabilità psichica.37
“Danno morale” e “danno esistenziale”, nell’ambito di applicazione, vanno sempre
più a confondersi, quasi ad identificarsi: la sentenza n. 2515/2002 testimonia
tale tendenza.
Pertanto, danno morale, danno alla salute psichica e danno esistenziale possono
anche coincidere, ma cambia la funzione assolta dalla misura atta a provvedere
agli effetti ed alle conseguenze derivate dall’atto illecito.
Il danno patrimoniale esige come controspinta il risarcimento, il danno
esistenziale il ripristino, il danno morale l’afflizione.
Il carattere della non patrimonialità accomuna il danno morale con quello
esistenziale, traducendosi entrambi nella delusione di un’aspettativa, mentre la
natura della situazione giuridica lesa li divide.38
Il riconoscimento di un diritto all’integrità morale ha il pregio di collocare
la sofferenza sul piano delle conseguenze dell’illecito, senza nuovamente
identificarla con la stessa lesione dell’interesse (danno evento) ed a fondarne
l’autonoma risarcibilità pur in assenza di una lesione dell’integrità fisica,
ovvero di un interesse della persona, diverso ed altro rispetto all’integrità
morale.39
Si delineano i contorni di un’offesa che travalica il patimento da reato,
l’integrità fisica, la dignità personale e professionale del soggetto, la
recisione dei suoi legami personali o familiari, collocandosi contestualmente a
monte di un’afflizione psichica che tocca le corde primarie dell’esistenza e che
si traduce essa stessa in una determinazione negativa del singolo verso la vita
e le relazioni sociali ed in un atteggiamento di rinuncia o di chiusura.
Riecheggia la constatazione che la riduzione della sfera esistenziale alla sola
dimensione del non voler più fare ed all’agenda personale dell’agire del
danneggiato, che si vorrebbe stravolta dal fatto illecito, riconduce ad
un’ottica larvatamente patrimonialistica la stessa dimensione del pregiudizio
esistenziale, emarginando la componente emozionale che pure è spesso decisiva
nelle opzioni negative del soggetto.40
In tal modo non può non constatarsi come, all’esito della complessa operazione
di riordino concettuale, la tutela del danno morale è frazionata tra l’area di
operatività degli interessi primari della persona, l’ambito dei danni non
patrimoniali da reato coperti dall’art. 185 c.p. e l’equità formativa del
giudice. In quest’ultimo contesto il danno non patrimoniale può essere risarcito
anche al di fuori della tutela degli interessi costituzionali della persona o
della sussistenza del reato (posto che gli artt. 2059 c.c. e 185 c.p. non
vincolano il giudice siccome norme sostanziali), mentre, ove venga in gioco un
interesse primario di carattere personale, non può esserne negata la tutela
senza violare le norme costituzionali.41
La persona, nell’orientarsi nella vita sociale, confida in aspettative
normativamente tutelate;
il delitto, deludendo queste aspettative, ingenera sfiducia tra i consociati sul
valore delle norme. La funzione general preventiva della pena è appunto diretta
a confermare tra i cittadini fedeli alla legge che è giusto confidare nel valore
delle norme.42
Nelle motivazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 184/1986 si
chiarisce che la ratio informatrice dell’art. 2059 c.c. è quella di
sanzionare adeguatamente chi si è comportato in maniera vietata dalla legge,
nella misura in cui “accanto alla responsabilità penale (anzi, forse meglio,
insieme ed “ulteriormente” alla pena pubblica) la responsabilità civile ben può
assumere compiti preventivi e sanzionatori”.43
L’obiettivo finale che si consegue con il risarcimento del danno morale è quello
di rafforzare il carattere preventivo e sanzionatorio della responsabilità
penale, per cui si delinea una relazione fra la delusione di un’aspettativa
normativamente (penalmente) tutelata, o danno morale, ed il risarcimento
sanzionatorio.
Equilibri diversi, invece, governano la logica del danno esistenziale che si
traducono nell’equazione tra delusione dell’attesa di progetto esistenziale, o
danno esistenziale, ed il risarcimento ripristinatorio.44
Il pregiudizio “nella sfera individuale” degli abitanti della zona prossima a
quella in cui si è verificato il disastro non corrisponde all’ “offesa” la quale
insiste sulla vittima del reato e che si manifesta nel transeunte turbamento
psichico per la delusione di un’aspettativa normativizzata.45
Mentre, infatti, nel
destinatario o nei destinatari della delittuosa condotta la sofferenza morale si
manifesta nell’immediatezza della consumazione del reato, nel danneggiato gli
effetti pregiudizievoli del fatto illecito si esprimono, nella sfera
esistenziale, dopo un intimo processo di metabolizzazione.
Le limitazioni del normale svolgimento della vita rappresentano la lesione della
personalità;
capire l’essenza del danno esistenziale significa comprendere la personalità del
soggetto che coordina i dati della realtà per dare spazio vitale alla sua
esistenza.46
La compromissione di una scelta, o meglio la compromissione della personalità
dell’individuo47, derivante dal timore di aver contratto un male letale, si concreta nella
delusione di un progetto esistenziale e non nella sfiducia sul valore delle
norme.
La nuova configurazione dell’art. 2059 c.c. dopo le sentenze della Corte di
Cassazione n. 8827- 8828 del 2003:
A questo punto, la vexata quaestio della risarcibilità dei danni non
patrimoniali, a-reddituali, non è ancora conclusa.
Le sentenze della Corte di Cassazione n. 7281-7282-7283 del 12 maggio 2003
riconoscono il danno non patrimoniale anche nelle ipotesi di “colpa
civilisticamente presunta” da cui l’autore del danno non si è liberato,
sempreché il fatto, ricorrendo la colpa (provata), sarebbe qualificabile in
astratto quale reato. Solo alcuni giorni dopo, sempre la Corte di Cassazione con
le sentenze n. 8827-8828 del 31 maggio 2003 dà una configurazione all’art. 2059
c.c. decisamente più ampia, riconoscendo la risarcibilità di tutti i danni alla
persona non patrimoniali, indipendente dalla sussistenza di un reato. Il dogma
del combinato disposto degli art. 2059 c.c. e 185 c.p. è definitivamente
infranto.
Il problema su cui la Corte è chiamata a pronunciarsi è ben noto.
Si tratta di specificare entro quali limiti la risarcibilità del danno morale da
reato è condizionata dall’accertamento degli elementi costitutivi della
fattispecie incriminatrice, ed in particolare dell’elemento soggettivo del fatto
penalmente rilevante.
Fino al maggio 2003 il doppio rinvio48
che l’art. 2059 c.c. compie all’art. 185 c.p. e quindi, in via mediata, alle
singole norme incriminatrici si riteneva postulasse, ai fini del risarcimento,
l’accertamento in concreto di tutti gli elementi costitutivi del reato, quindi,
della condotta, del nesso causale, dell’evento ed, infine, dell’elemento
soggettivo.
In effetti, attraverso una tipizzazione di secondo grado, il fatto di reato è
calato nella struttura dell’illecito civile, definendo i contorni di una
fattispecie che, in luogo che sul requisito dell’ingiustizia del danno, gravita
attorno all’elemento della condotta ed alla sua offensività, assunta a fonte di
un allarme sociale che giustifica “l’anomalia” del risarcimento di un danno
sfuggente ad ogni tentativo di quantificazione in base a parametri oggettivi. Di
certo, il rinvio alla norma penale introduce un criterio selettivo diretto a
contenerne l’altrimenti illimitata risarcibilità.49
L’orientamento maggioritario ha costantemente asserito che l’insieme di tutti
gli elementi costitutivi del reato, inclusa la colpevolezza, deve essere
accertato in vista del riscontro di tipicità dell’illecito non patrimoniale,
senza che il giudice civile possa utilizzare le presunzioni di responsabilità,
data l’impossibilità di mutuare l’adozione di un parametro valutativo tanto
restrittivo, come quello ad es. vigente in rilevanti settori della disciplina
civilistica (es. nel settore della circolazione dei veicoli) che non trova
riscontro nell’ordinamento penalistico.
L’esegesi storica, l’esame dei lavori preparatori, nonché delle precedenti
elaborazioni dottrinali, e della stessa relazione al codice evidenziano come
l’art. 185 c.p. non solo assumesse il valore di principale ipotesi tipizzata di
danno non patrimoniale, ma anche che, nel riferimento alle conseguenze non
patrimoniali del reato, si volevano indicare solo i danni morali soggettivi,
ossia i patimenti soggettivi e transeunti, ontologicamente sfuggenti ad ogni
tentativo di accertamento secondo canoni verificabili50. Quindi, un aggancio alla fattispecie penale ma anche una perentoria
delimitazione contenutistica dei danni risarcibili.
La novità, costituita dall’introduzione nel codice civile dell’art. 2059 c.c.
che significò, pur con talune rilevanti particolarità, un sostanziale
avvicinamento al modello tedesco51, fondato sulla tipicità dei beni protetti (ma non delle condotte lesive), fu
contenuta entro i limiti di un’impostazione eminentemente patrimonialistica del
diritto civile, propria di un sistema che non contemplava i diritti fondamentali
della persona.52
A ben vedere, la precedente formula dell’art. 1151 c.c. del 1865 appariva molto
più permissiva, specie se valutata in relazione alle aperture che l’analoga
formula dell’art. 1382 del codice francese aveva da tempo consentito proprio sul
versate del risarcimento del danno morale.53
L’identificazione tra reato ed illecito civilistico, sia pure di matrice non
patrimoniale, supponeva la persuasione che a qualunque fattispecie di reato
corrispondesse poi una parallela ipotesi di illecito dannoso ed in sostanza che
il danno fosse in re ipsa.54
Le condizioni restrittive imposte alla risarcibilità del danno non
patrimoniale non ne hanno tuttavia ostacolato la lenta ma costante emersione.
L’affacciarsi sulla scena di nuove tipologie di danno ha, invero, acuito
l’insoddisfazione degli interpreti verso l’anacronistica previsione dell’art.
2059 c.c.. Di certo, siffatta identificazione, seppure inizialmente posta in
dubbio dalla stessa Corte costituzionale55, ha anteposto l’esigenza di una progressiva dilatazione contenutistica dei
confini del danno puramente soggettivo.56
Le sentenze c.d. “gemelle” del 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828,
pronunciate dalla terza Sezione, indubbiamente contengono spunti pregevoli e
profonde novità giurisprudenziali, introducendo, da un lato, alcuni elementi di
chiarificazione, sotto l’aspetto delle categorie qualificatorie, dall’altro,
tracciando, anche se per sommi capi, le linee della futura elaborazione
interpretativa.
Lo spirito innovativo contenuto in dette pronunce viene ben presto avallato
anche dalla Corte Costituzionale, la quale con la pronuncia n. 233 dell’11
luglio 200357, si è mossa, come è
chiaramente rilevabile, in una sorta di sinergia ermeneutica con la Corte di
Cassazione; il mutamento legislativo e giurisprudenziale, venutosi in tal modo a
realizzare, ha fatto assumere all’art. 2059 cod. civ. una funzione non più
sanzionatoria, ma soltanto tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del
danno non patrimoniale. Nel proprio iter argomentativo, il Giudice
Costituzionale ha rilevato come il legislatore abbia introdotto ulteriori casi
di risarcibilità del danno non patrimoniale, estranei alla materia penale,
riguardo ai quali è del tutto inconferente qualsiasi riferimento ad esigenze di
carattere repressivo (facendo eco ad identiche sottolineature della Cassazione,
sono state ricordate le azioni di responsabilità previste dall’art. della legge
13 aprile 1988, n. 117, per i danni derivanti da ingiusta privazione della
libertà personale nell’esercizio di funzioni giudiziarie e dall’art. 2 della
legge 24 marzo 2001, n. 89, per i danni derivanti dal mancato rispetto del
termine ragionevole di durata del processo). Essa pone così un netto spartiacque
tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, affermando, con riferimento
alle citate sentenze della Corte di Cassazione, “l’indubbio pregio, consistente
nell’aver ricondotto ... a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della
tutela risarcitoria del danno alla persona, atteso che in esse viene prospettata
con ricchezza di argomentazioni, nel quadro di un sistema bipolare del danno
patrimoniale e di quello non patrimoniale, un’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione
della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori
inerenti la persona e di interessi di rango costituzionale inerenti alla
persona: e dunque, sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte
turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso
stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito,
all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento
medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in
giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi
di rango costituzionale inerenti alla persona”.58
Fino a questo momento l’art. 2059 c.c. aveva costituito una norma di
sbarramento.
Nell’ordinamento il danno non patrimoniale era identificato con il solo danno
morale, risarcibile esclusivamente allorquando il fatto dannoso integrasse una
fattispecie costituente reato. Era chiaro che simile lettura rappresentasse un
ostacolo insormontabile alla panrisarcibilità del danno non patrimoniale.
Le sentenze della Corte conducono ad una differente chiave di lettura ed
innovano la struttura generale della responsabilità.59
Infatti, dall’epoca in cui il danno è risarcito solo ai sensi dell’art. 2043
c.c. si veicola in un’altra, in cui ricondurre un caso concreto nell’ambito
applicativo dell’art. 2043 c.c., ovvero nell’art. 2059 c.c., ove fondamentale è
non solo qualificare il tipo di danno, affermandone la risarcibilità in base ai
diversi presupposti e requisiti previsti dalle due norme, ma anche identificare
le conseguenti differenze inerenti l’onere probatorio e la quantificazione del
danno stesso.
Se la struttura della responsabilità trova il fondamento nelle norme suddette in
modo comune, richiedendo l’antigiuridicità, l’evento che cagiona il danno ed il
nesso causale che consente l’attribuibilità dello stesso all’autore del fatto
illecito, criterio differenziale è che mentre il danno ex art. 2043 c.c.
è una conseguenza immediata e diretta dell’azione od omissione dell’agente, il
danno ex art. 2059 c.c. costituisce una conseguenza indiretta, ciò
nondimeno, autonoma nei suoi elementi costitutivi e sostanziali, ovvero non
dipendente da un ulteriore e pregiudiziale evento di danno.60
Certamente, un nuovo riconoscimento ed una nuova definizione dei danni non
patrimoniali di cui, a partire da questo momento, tutti gli operatori di
diritto, devono tenere conto.
Il nuovo inquadramento giurisprudenziale, dettato dalle pronunce citate, ha
posto, in astratto, un netto spartiacque tra danno patrimoniale e danno non
patrimoniale, avendo ri-codificato il binomio patrimoniale - non patrimoniale.
Attualmente, verificatosi un danno ad una persona, questa può essere
astrattamente colpita sia nell’aspetto del patrimonio sia in quello della
personalità. Sarà onere del soggetto leso offrire la prova matematica della
perdita patrimoniale e quella scientifica (medica) che, invece, comproverà
l’esistenza di danni non patrimoniali.
Il danno a-reddituale rileva ora nella forma di danno morale soggettivo, inteso
sia come il classico transeunte turbamento dello stato d’animo, che consegue
all’accertamento di un fatto costituente reato, sia come il pregiudizio
sofferto, diverso ed ulteriore, che comunque è conseguenza di una lesione di un
interesse costituzionalmente garantito e che trova la sua acme in un fatto che
non sia configurabile come reato.
Secondo la ricostruzione siffatta, il c.d. danno esistenziale non sarebbe altro
che quell’insieme di tutte le ripercussioni negative derivanti da una
compressione alle attività realizzatrici dell’individuo, conseguenza appunto
dall’ingiusta lesione di diritti costituzionalmente garantiti. Si verserebbe in
sostanza nell’ipotesi di un danno alla qualità della vita, concetto già noto
come danno alla vita di relazione.61
In dottrina e giurisprudenza, peraltro, non vi è assolutamente univocità in tema
di criterio di liquidazione applicabile al danno alle attività realizzatrici
della persona e, quindi, ci si orienta sul criterio liquidativo puro. Le
conseguenze astratte di tale criterio adottato sono inevitabili: quantificazioni
evidentemente differenti da giudice a giudice.
Partendo quindi dal presupposto per cui, di fronte a valori personali di rilievo costituzionale, deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale che ne consegua sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge, correlata al predetto art. 185 c.p., una lettura della norma in questione “costituzionalmente orientata” impone di ritenere inoperante il detto limite ove la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti.62
Sotto il profilo teorico, la soluzione interpretativa deriva dal principio per
cui il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non
patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della
Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale, atteso che il
riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona,
non aventi natura economica implicitamente ma necessariamente, ne esige la
tutela ed, in tal modo, configura un caso determinato dalla legge, al massimo
livello, di riparazione del danno non patrimoniale.
Da quanto esaminato discende, pertanto, la summa divisio tra danno
patrimoniale e danno non patrimoniale; quest’ultimo, a sua volta, si suddivide
in danno morale soggettivo, danno da lesione dell’integrità fisica (danno
biologico), danno ricollegabile ad altri interessi di rango costituzionale
inerenti alla persona (danno esistenziale).
L’adeguamento dell’art. 2059 c.c. ai precetti costituzionali è attuato anche
attraverso il recupero, solennemente proclamato, della funzione tipizzante della
norma, contrapposta alla atipicità che sostiene il regime dell’illecito
patrimoniale. Difficile, in tale contesto, prevedere se l’opera di tipizzazione
resterà appannaggio della giurisprudenza di merito, chiamata a condurre una
coraggiosa operazione di selezione degli interessi e di anticipata percezione
delle nuove istanze di tutela, ovvero sarà avocata dal sindacato di legittimità,
con il compito di sancire nuovi limiti contenutistici alla tutela risarcitoria o
di indicare i nuovi percorsi.63
Di certo - si è osservato - il sistema sarebbe chiamato per la prima volta ad
arretrare rispetto a territori già fortificati.64
Le pronunce giurisprudenziali successive alla sentenza n. 2515/2002:
La portata innovativa della sentenza del 2002 ha inevitabilmente esplicato i
suoi effetti sulle pronunce giurisprudenziali ad essa successive ed aventi ad
oggetto le medesime questioni di diritto.
Come precisato, il danno non patrimoniale si riconduce, dopo tale data, alle
conseguenze pregiudizievoli del fatto, essendo definitivamente respinta la
teoria del “danno evento” identificato nella lesione dell’interesse protetto e
non nelle sue ricadute pregiudizievoli. E’ quindi definitivamente accantonato
quel dualismo che altrove, in caso di lesione della salute, aveva condotto a
soppesare separatamente gli effetti soggettivi della lesione dell’integrità
fisica, scomponendo il dolore e l’afflizione soggettiva, veicolati nella
direzione del patimento indotto dalla commissione del reato.65
Il dilemma che aveva indotto ad interrogarsi se il danno morale dovesse sempre
assumere le sembianze di un pregiudizio provocato dalla lesione
dell’integrità fisica, oppure come effetto del danno patrimoniale, o infine di
un interesse primario di diversa consistenza, si risolve nella statuizione che
il soggetto chiede iure proprio il risarcimento del danno patito in
conseguenza di una lesione, la quale incide su un interesse giuridico diverso
dal bene salute ove risulti intaccata l’integrità biopsichica (danno biologico).66
La tutela del danno morale è quindi frutto del fatto lesivo, quale effetto di
una condotta plurioffensiva e, in quanto tale, meritevole di tutela
indipendentemente dalla rilevanza penale dell’illecito.
Sulla scia di questa impostazione si muove la giurisprudenza degli ultimi anni.
La Corte d’Appello di Milano67, con sentenza del febbraio 2003, si pronuncia su una richiesta di risarcimento
dei danni subiti per l’asserita intollerabile rumorosità degli impianti di
stampa del Centro Poligrafico di Milano.
In prima istanza, il Tribunale di Milano condannava, previo riconoscimento del
superamento della soglia della normale tollerabilità delle immissioni acustiche,
il Centro Poligrafico al pagamento di una somma, a titolo di risarcimento del
danno.
La questione affrontata nel caso di specie, pur non vertendo specificamente
sulla tematica della risarcibilità del danno morale, nondimeno, si incentra
sulla risarcibilità in genere dei danni non patrimoniali, nella specie del danno
esistenziale, confermando la mutata natura dell’art. 2059 c.c..
Il Giudice riconosceva che “costituisce nozione di comune esperienza che rumori
che superino la soglia della normale tollerabilita' con carattere continuativo (
e non saltuario o occasionale) determinano stress, nervosismo, irascibilita',
ossia una sensazione di malessere ed un’alterazione dell’equilibrio psico-fisico
che, pur senza qualificarsi come vero e proprio danno biologico (effettiva
menomazione dell’integrita' psico fisica soggetta all’onere della prova) puo'
considerarsi comunque una lesione del diritto alla salute ed alla serenita'
domestica, suscettibile di risarcimento”.
Avverso tale sentenza veniva proposto appello.
La Corte, nel confermare la pronuncia, rileva come ai fini della completezza del
sistema risarcitorio non debbono rimanere vuoti o spazi scoperti nella tutela di
diritti soggettivi, costituzionalmente garantiti, a seguito di alterazioni, non
riconducibili al danno biologico, della personalità del soggetto leso, avendo
comunque diritto il danneggiato al ristoro integrale delle conseguenze
pregiudizievoli nella sfera dei diritti fondamentali costituzionalmente
garantiti, conseguenti a fatto illecito di terzi.
La tutela risarcitoria, prevista in termini generali negli artt. 2043 c.c. e
2059 c.c., costituisce una sorta di convenzione, codificata dalla
giurisprudenza, in mancanza di una normativa specifica, che, in sintesi, può
essere determinata nella tripartizione: danno patrimoniale, danno non
patrimoniale (per lungo tempo identificato nel danno morale), danno biologico.
In presenza di alterazioni fisiche o psichiche nel soggetto danneggiato, il
danno non patrimoniale, per il combinato disposto degli artt. 2059 c.c. e 185
c.p., è stato per lungo tempo riconosciuto solamente in presenza di fatto-reato
e il danno biologico è stato ritenuto risarcibile solamente in presenza di una
lesione all’integrità psico-fisica, medicalmente accertabile.
Rimaneva fuori dal sistema risarcitorio il danno non patrimoniale , non
risarcibile in mancanza di fatto reato e le alterazioni fisio-psichiche, non
rilevabili con criterio medico-legale. Tali limitazioni, peraltro, mostravano
profili di incostituzionalità sotto il profilo della parità di trattamento (art.
3 della Cost.) , riflettendo ad esempio sulla non risarcibilità del danno non
patrimoniale in caso, statisticamente non infrequente, di presunzione di
responsabilita' ex art. 2054 c.c., il quale non consente il risarcimento
del danno morale al danneggiato.68
Sotto il profilo sistematico, appare netta la distinzione tra danno morale (che
considera il dolore e le sofferenze, c.d. pretium doloris, ), danno
biologico (lesione dell’integra' psico-fisica, suscettibile di accertamento
medico-legale e risarcibile indipendentemente dalla capacità di produzione di
reddito del danneggiato ) ed il danno esistenziale (lesione della personalità
del soggetto nel suo modo di essere sia personale che sociale, che si sostanzia
nella alterazione apprezzabile della qualità della vita consistente in “un agire
altrimenti” o in un “non poter più fare come prima”).69
In particolare, al Corte rileva come il danno morale attiene alla sfera
esclusivamente personale del danneggiato ed alla sua sensibilità emotiva ,
mentre il danno esistenziale fa anche riferimento all’ambiente esterno ed al
modo di rapportarsi con esso del soggetto leso, nell’estrinsecazione della
propria personalità che viene impoverita o lesa.
Pertanto, in linea di principio, le tre voci risarcitorie potranno essere tutte
individuabili , distintamente e cumulativamente, e potranno dar luogo, ciascuna,
ad autonomo risarcimento.
Nella fattispecie in esame è ravvisabile , nei confronti dei coniugi appellati,
una violazione del diritto alla libera estrinsecazione della personalità di
entrambi, lesa a seguito di alterazione, ad opera di fatto illecito di terzi,
delle loro quotidiane attività, protrattasi per un arco temporale considerevole
(circa due anni).
Trattasi di alterazioni non riconducibili direttamente ad una lesione psichica,
accertabile medicalmente, ma che, tuttavia, appaiono suscettibili di tutela,
provocando una alterazione del modo di essere dell’individuo che, se non assume
rilievo sotto il profilo del danno psichico in senso stretto, connesso ad una
vera e propria patologia, accertabile medicalmente, tuttavia lede diritti
fondamentali dell’individuo, di rango costituzionale, che vanno tutelati
dall’ordinamento, indipendentemente da limitazioni risarcitorie previste da
singole leggi ordinarie.
Non assume particolare rilievo il nomen iuris del danno, individuato, in
senso positivo, nella tutela della serenità domestica e che può definirsi quale
“danno esistenziale da inquinamento ambientale”.
Occorre, tuttavia, evitare duplicazioni risarcitorie, c.d. overcompensation,
e sarà, quindi, compito del giudicante specificare eventuali accorpamenti di
danno sotto la voce del danno non patrimoniale o del danno biologico, che
potrebbero anche essere liquidati comprensivi del cd. danno esistenziale.
Ancora una Corte d’Appello, questa volta di Napoli70, nel gennaio 2004, si
pronuncia a favore del risarcimento del danno morale in conseguenza di lesioni
personali cagionate da caduta da motociclo.
I Giudici di merito, accogliendo l’appello della danneggiata, che vede negarsi
il risarcimento del danno morale, correggono la pronuncia del Giudice primo
grado, nella parte in cui questi, “incoerentemente affermando la responsabilità
esclusiva” del danneggiante, sussume il caso nella previsione di cui all'art.
2054, co. 1, c.c., “ingiustamente denegando il danno morale subiettivo”.
La Corte, infatti, rileva come, a seguito di recentissimo riesame della
problematica sulla spettanza del danno morale in tema di responsabilità
presunta, la Suprema Corte ha statuito che alla risarcibilità del danno non
patrimoniale, ex artt. 2059 c. c. e 185 c.p., non osta il mancato
positivo accertamento della colpa dell'autore del danno se essa, come nei casi
di cui all' art. 2054 c. c., debba ritenersi sussistente in base ad una
presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile
come reato.71
Non essendo dubbio che, ricorrendo il requisito della colpa, la condotta sarebbe
riconducibile al delitto di cui all'art. 590 c.p. ne discende la risarcibilità
del danno morale in favore della appellante.
Evidente, in tale contesto, il problema dei rapporti tra giudicato penale e
giudizio civile.
La progressiva erosione dell’efficacia oggettiva del giudicato penale,
definitivamente compiutasi con la riforma del codice di procedura penale, ha
determinato che la postulata sufficienza di un reato sussistente nella sua
materialità obiettiva, a prescindere dall’imputabilità o della colpevolezza, più
che segnare un effettivo mutamento interpretativo, ha contrassegnato una delle
possibili vie di fuga dalle strettoie del danno non patrimoniale (specie con
riferimento alle vittime secondarie), sperimentate specie ove (ad es. nella
responsabilità indiretta ed oggettiva) quella dipendenza comportava
insopportabili limitazioni risarcitorie.72
La pronuncia penale d’assoluzione vincolava (e vincola) nei giudizi civili per
le restituzioni ed i risarcimenti solo quando fosse stata negata la stessa
sussistenza del fatto ovvero il nesso di causalità con la condotta
dell’imputato, mentre la formula assolutoria per mancanza dell’elemento
soggettivo precludeva l’azione risarcitoria ordinaria ex art. 2043 c.c.
ma non l’azione per responsabilità presunta, proprio in virtù dell’asserita
diversità contenutistica tra la colpa penale ed il contenuto della prova
liberatoria del conducente, o dell’autore di un’attività pericolosa, estesa fino
a comprendere la dimostrazione di aver compiuto il possibile per evitare il
danno. Restava comunque escluso il risarcimento del danno morale accertabile in
base a presunzioni.73
In ogni caso l’improponibilità delle azioni civili derivanti dalle decisioni
assolutorie per insussistenza del fatto, per l’impossibilità di attribuirlo
all’imputato o per effetto di scriminanti, non elevavano ostacoli al giudice
civile in tutte le ipotesi in cui le azioni di risarcimento fossero fondate su
di un titolo diverso da quello correlato in via diretta alla lesione
dell’interesse protetto dalla norma penale.74
La premessa sottesa all’inquadramento di tali ipotesi di responsabilità per colpa si rinviene nel richiamo alla diligenza, quale essenziale metro di valutazione della condotta del responsabile.
Tale inquadramento si è tradotto nell’enucleazione di doveri tipizzati (in sede
d’interpretazione delle norme elastiche di generica prudenza o delle
prescrizioni speciali del codice della strada), attraverso la definizione di
standards comportamentali (del conducente o dell’autore d’attività
pericolose).
Sempre nel settore della responsabilità presuntiva la corrispondenza tra colpa
penale e civile non sembra affatto biunivoca. L’indagine sulla diligenza
demandata al giudice civile investe aspetti che possono esorbitare dai profili
della colpa penale, sicché, la pronuncia che esclude l’elemento soggettivo del
reato lascia residuare spazi per una sua nuova valutazione in sede civile, sia
pure attraverso l’inversione dell’onere della prova e a condizione che il
giudice penale non abbia scagionato sotto ogni possibile profilo il
responsabile.
Sembrerebbe coerente escludere, per difetto di conformità al fatto di reato, la
risarcibilità del danno morale in tutti i casi in cui una sentenza assolutoria
sia stata emessa e possa far stato nel giudizio civile. Solo se la pronuncia non
è invocabile nel giudizio civile, può nuovamente aver luogo l’impiego delle
presunzioni anche in vista del risarcimento del danno non patrimoniale.75
Tornando alla questione principale, è pacifico oggi che il danno morale è ormai
ricostruito secondo più ampi confini, non solo in termini temporali, con
riferimento al trauma soggettivo, ma anche in termini oggettivi. È
definitivamente tramontata, infatti, l’idea che il danno morale sia, di
necessità, danno conseguenza di quello biologico, che sarebbe danno evento.
Anche il danno morale può essere infatti danno evento, in presenza di reati
plurioffensivi, quando il delitto, pur offendendo interessi pubblici, si rivolge
contro una persona.
Il risarcimento del danno morale è pertanto in grado di coprire l’intera area
dei casi in cui il fatto illecito fonte di danni, diretti o indiretti alla
persona, costituisce reato, ivi compresa, ex art. 2046 c.c., la colpa
presunta.
Ciò nondimeno, tutte le volte che si verifichi la lesione di un interesse
costituzionalmente protetto il pregiudizio consequenziale, integrante il danno
morale soggettivo (patema d’animo), è risarcibile anche se il fatto non sia
configurabile come reato.
Ciò che residua, dunque, nell’ambito del danno non patrimoniale è il c.d. danno
esistenziale e su di esso la giurisprudenza degli ultimi anni si è
particolarmente soffermata.
In Europa (e così in Italia) si affacciano figure di danno a-reddituale alla
persona, svincolate dalla lesione di situazioni giuridiche patrimoniali e legate
allo sconvolgimento della vita del soggetto in quanto essere umano inserito in
un determinato contesto storico, sociale e relazionale: un danno alla esistenza.76
Il “Prejudice physiologique” francese, il “pain and suffering”
inglese e, così, il “danno esistenziale” italiano.
A fondamento di questa figura di danno si deduce che il rinvio ai casi in cui la
legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere
riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni
della legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella
Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona, non aventi natura
economica, implicitamente configura un caso determinato dalla legge, al massimo
livello, di riparazione del danno non patrimoniale.
Il Consiglio di Stato77, con sentenza del marzo
2005 afferma che il danno non patrimoniale (risarcibile) deve essere inteso come
categoria ampia, nella quale trovano collocazione giuridica tutte le ipotesi in
cui si verifichi la lesione di beni o valori inerenti alla persona, ovvero sia
il danno morale soggettivo (o danno da reato, concretantesi nel turbamento
dell’animo della
vittima), sia il danno biologico in senso stretto (o danno all’integrità fisica
e psichica, coperto dalla garanzia dell’art. 32 Cost.), sia il c.d. danno
esistenziale (o danno conseguente alla lesione di altri beni non patrimoniali di
rango costituzionale)78
La sentenza così statuisce: "Venendo ora ad esaminare la questione della
ammissione a risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione di congiunto,
consistente nella definitiva perdita del rapporto parentale (con tale
espressione sinteticamente lo designa una ormai cospicua giurisprudenza di
merito, che lo inserisce nell'ambito del cosiddetti danno esistenziale), osserva
il Collegio che il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno
subito in conseguenza della uccisione di un congiunto lamenta l'incisione di un
interesse giuridico diverso sia dal bene salute del quale è titolare (la cui
tutela ex art. 32 Cost., ove risulti intaccata l'integrità biopsichica, si
esprime mediante il risarcimento del danno biologico), sia dall'interesse
all'integrità morale, la cui tutela, agevolmente ricollegabile all'art. 2 Cost.,
ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il
risarcimento del danno morale soggettivo. L'interesse fatto valere nel caso di
danno da uccisione di congiunto è quello alla intangibilità della sfera degli
affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, alla
inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici
della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale
costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30
Cost.
Si tratta di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura
economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell'art.
2043, nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad un risarcimento (o
meglio: ad una riparazione) ai sensi dell'art. 2059, senza il limite ivi
previsto in correlazione all'art. 185 c.p. in ragione della natura del valore
inciso, vertendosi in tema di danno che non si presta ad una valutazione
monetaria di mercato.
Il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, consistente nella perdita
del rapporto parentale, si colloca quindi nell'area dell'art. 2059 in raccordo
con le suindicate norme della Costituzione.
Il suo risarcimento postula tuttavia la verifica della sussistenza degli
elementi nel quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito
dall'art. 2043. L'art. 2059 non delinea una distinta figura di illecito
produttiva di danno non patrimoniale, ma, nel presupposto della sussistenza di
tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile, consente,
nei casi determinati dalla legge, anche la riparazione di danni non patrimoniali
(eventualmente in aggiunta a quelli patrimoniali nel caso di congiunta lesione
di interessi di natura economica e non economica)".79
Ne deriva che:
- proprio perché con il danno non patrimoniale vengono in evidenza beni e valori
personali di rilievo costituzionale, deve escludersi che, in caso di loro
lesione, la risarcibilità ex art. 2059 c.c. sia soggetta al limite
dell'espressa previsione di legge, tradizionalmente fatta coincidere con il
disposto dell'art. 185 c.p., essendosi peraltro già da tempo fatta strada in
contesti affini a quello di odierno interesse la tutelabilità diretta ed
immediata delle posizioni giuridico-soggettive che, concorrendo a definire il
valore della persona, possono ricondursi alle "figure matrici" dei diritti
inviolabili dell'uomo, delle libertà fondamentali e degli altri diritti
dell'individuo riconosciuti dalla Costituzione repubblicana, tanto da potersi
definire ius receptum nella giurisprudenza sia di merito sia di
legittimità, che l'ha ampiamente affermata soprattutto nel campo del diritto
alla salute ed anche in quegli altri campi in cui vengono in evidenza
prerogative intrinsecamente espressive della persona umana (per esempio, nel
campo della libertà di pensiero: Cass. 14.5.1997 n. 4244);
- in ogni caso, le norme della legge fondamentale che garantiscono quei beni e
valori ben possono rappresentare esse stesse previsioni di legge che soddisfano
il rinvio di cui all'art. 2059 c.c..
Alla pronuncia del Consiglio di Stato80
è, tuttavia, seguita la recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione ,
segnatamente la Sezione III a cui si deve la paternità delle gemelle
8827-8828/2003, intervenuta quasi a completare il percorso avviato negli anni
precedenti o con una sorta di interpretatio autentica delle proprie
disposizioni di diritto vivente.
Semplicemente tertium non datur: il Collegio corregge il tiro e sconvolge
nuovamente l’assetto.
La Corte si esprime a chiare lettere: il danno esistenziale non esiste.
Non è possibile sostenere che esistano tre diversi danni non patrimoniali, poiché si tratta sempre e comunque di profili di una stessa voce risarcitoria che concorrono a quantificare un unico medesimo danno: l’art. 2059 c.c., per precisa indicazione in rubrica del legislatore, non è né danno morale né danno esistenziale, ma, semplicemente, danno non patrimoniale.
Questo può essere preso in considerazione esclusivamente nelle ipotesi previste
dalla legge, in modo esplicito o implicito, ed in quest’ultimo caso si tratta di
lesioni di valori costituzionalmente tutelati.
La categoria del danno esistenziale non può, quindi, transitare nell’alveo
dell’art. 2059 c.c. in quanto, differentemente dall’art. 2043 c.c., in questa
norma, si opta per una tipicità del danno risarcibile (nei casi previsti dalla
legge).
L’area del danno esistenziale, quindi, è, semmai, un fertile terreno in cui
soggiornare per reperire lesioni risarcibili ma non è sicuramente una categoria
autonoma ricompresa nell’art. 2059 c.c. , pena lo sconfinamento nella atipicità.
Ne discende un preciso monito all’interprete: “il giudice di merito dovrà
evitare le duplicazioni risarcitorie”.81
La terza sezione della Cassazione, quindi, nell’occasione, legittima il danno
qualificato in termini di “morale” o “esistenziale”, esclusivamente ai fini
descrittivi della lesione, statuendo che l’unica categoria giuridico–sistematica
resta quella del danno non patrimoniale, un danno tipico e risarcibile iure
proprio: in modo esplicito, quando previsto dalla legge in modo implicito,
se vengono in gioco valori costituzionali.
La prospettiva che ritorna all’attenzione dell’interprete, quindi, è la lesione
in sé, la quale potrà essere risarcita in termini di danno non patrimoniale
tipico sussistendone i presupposti (che rimangono, ovviamente, quelli di cui
all’art. 2043 c.c.): in tal senso, è consentito al Giudice ricorrere a voci
quali “morale”, “biologico” o “esistenziale”, solo a fini descrittivi e per
orientare la quantificazione.
Non è, dunque, possibile, pena duplicazione del risarcimento, liquidare con
autonomi capi, ora il danno esistenziale, ora il danno morale: il giudice dovrà,
puntualmente, liquidare solo la voce del danno non patrimoniale, eventualmente
mostrando di tenere presenti aspetti ora dell’una ora dell’altra categoria
descrittiva, in termini esclusivamente di nomen iuris.
La pronuncia n. 15022 del luglio scorso, tuttavia, non chiude la partita nel
campo del danno esistenziale: la prima sezione della Suprema Corte, infatti,
sembra pensarla, a distanza di qualche mese, in termini differenti.82
Nell’occasione il Collegio osserva come “la figura del danno "esistenziale"
sia stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, anche di questa Corte
(Cass. 7 giugno 2000, n. 7713 e Cass. 10 maggio 2001, n. 6507), là dove, con
riguardo alla tutela di pregiudizi non patrimoniali conseguenti alla lesione di
diritti fondamentali della persona, diversi dalla salute, collocati al vertice
della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti e la cui violazione non
può rimanere senza "la minima delle sanzioni - risarcimento del danno - che
l'ordinamento appresta per la tutela di un interesse", si è fatto
riferimento ad una categoria di danno, appunto "esistenziale od alla vita di
relazione", capace di ostacolare "le attività realizzatrici della persona
umana", per sopperire alle lacune, riscontrate in tema di protezione civilistica
degli attributi e dei valori della persona medesima, connesse all'impossibilità
di giovarsi dell'art. 185 c.p. (e di liquidare perciò il relativo danno morale)
quante volte non risultasse concretizzata una fattispecie di reato.
Appare evidente, dunque, come il pregiudizio esistenziale costituisca una "voce"
del danno indicato da ultimo83, conformemente, del resto, a quanto riconosciuto, in via di principio, dalla
stessa Corte, là dove si afferma che, nel vigente assetto dell'ordinamento, in
cui assume posizione preminente la Costituzione, che, all'art. 2, riconosce e
garantisce i diritti
inviolabili dell'uomo, il danno non patrimoniale deve essere inteso come
categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi di ingiusta lesione di un valore
inerente alla persona umana, costituzionalmente protetto, dalla quale conseguano
pregiudizi non suscettibili di valutazione economica, onde esso non si
identifica e non si esaurisce nel danno morale soggettivo, costituito dalla
sofferenza contingente e dal turbamento transeunte dell'animo84, ovvero, dagli stati d'ansia, dal patimento e dal disagio interiore connessi al
protrarsi nel tempo dell'attesa di una decisione vertente su un bene della vita
reclamato dal soggetto interessato, ma comprende altresì il pregiudizio che
dalla durata irragionevole dell'attesa di giustizia si riflette sulla vita di
relazione del medesimo soggetto.85
La distonia tra la sentenza n. 15022 e la n. 19354 non è di poco conto: la prima
sezione della Cassazione, infatti, pare mettere espressamente in mora
l’ermeneutica della terza sezione, richiamando, nel danno esistenziale, una
tradizione giuridica di altissima levatura, la quale non può essere né ignorata
e neppure non differenziata.
Il contrasto giurisprudenziale è aperto.
Conclusioni
La persona umana non è un bene di comune valutazione. Tutti i valori che la
investono la rendono una inaestimabilis res e ciò non soltanto perché il
suo valore prescinde dai criteri di valutazione economica, ma soprattutto perché
non può essere apprezzata e valutata secondo i parametri di una res generalis;
essa deve essere considerata, oltre che per un'eventuale pretesa ad una
riparazione corporea, per il complesso insieme di azioni e relazioni che
inevitabilmente porta con sé, poiché attorno a quella vita, toccata da un
illecito, esistono esseri dotati di interessi e di bisogni da soddisfare (i
familiari) e perché quella vittima di oggi è destinata ad una sua autonoma vita
con diritti ed obblighi da calcolare nel risarcimento.
Il danno patito dalla inaestimabilis res deve essere risarcito solo
allorquando vi è la lesione di un diritto, sia esso attuale o potenziale,
potendo questo diritto comprendere anche legittime aspettative, ma non pretese
non fondate su presupposti legittimamente riconosciuti.
Il sintagma di Gaio, che ci ammonisce a ritenere che " alcun risarcimento può
mai esistere per riparare al danno delle cicatrici e delle deformazioni subite
dal corpo di un uomo libero"86, ci evidenzia l’importanza
che da sempre ha rivestito il concetto di salubritas quale valore
esistenziale di ciascun individuo. Al centro dell’attenzione della compagine
sociale esso assume, ora, una valenza indiretta, nel ritenere la persona come
quella cosa che è titolare di diritti su altre cose e che quindi
viene tutelata quale doverosa difesa sociale del patrimonio, ora, nella
accezione di rilevanza diretta e primaria, ritenendo la persona come quel centro
di interessi giuridicamente rilevanti, ai quali è evidentemente ancorata la
pretesa risarcitoria spettante al danneggiato.
La frontiera della responsabilità civile, sotto il profilo dell’individuazione
di criteri di ingiustizia del danno e dell’area di risarcibilità degli stessi,
si incentra, in questi ultimi anni, sulle istanze della persona umana nel suo
complesso e nella sua complessità.
Il torto civile deve ora essere posto (e su questa linea si muove la spinta innovativa del danno esistenziale) a fronte della sfera personale della vittima senza scontare procedure od accertamenti che conducano ad una componente patrimoniale del pregiudizio. E ciò, da un lato, senza dover subire il limite del mero danno morale come “patema d’animo”, dall’altro, guardando alla vittima in tutta la sua dimensione personale e non solo al campo della salute.87
Sul fronte del danno biologico si evidenzia come esso sia sorto per dare
soddisfazione ad urgenti ed inesaudite necessità di tutela di beni strettamente
connessi al valore-persona; sul piano dogmatico, le vie considerate percorribili
– al fine di reperire legami qualificativo-identificativi della nuova figura –
intese a collocare detto danno in seno ad una categoria definitoria, sono: a)
ampliamento della nozione di danno patrimoniale, attuato tramite il mutamento
del concetto di patrimonio; b) allargamento del concetto di danno non
patrimoniale oltre i confini del patema d'animo e contestuale sottrazione alla
disciplina dell'art. 2059 c.c. delle voci diverse dal danno morale; c)
individuazione nel sistema di un nuovo genere di danno.88
L’indirizzo che si è ritenuto preferibile, e maggiormente seguito, considera il
danno in questione un tertium genus, rendendo evidente la scelta per la
linea sub c).
Sul piano evolutivo, all’affermazione ed al consolidamento del diritto a livello
giurisprudenziale, deve corrispondere anche la sua adeguata tutela
giurisdizionale, tuttavia, mancando il riferimento certo delle norme positive,
essa stenta a definirsi nelle decisioni giudiziali, per la preoccupazione del
giudicante di sconfinare dal proprio ambito di competenza.
I principi cui fa riferimento la creatività del giudice, quando è gravato dalla
necessità di integrare l’ordine giuridico, sono quelli fondamentali della Carta
costituzionale, come avviene del resto con il danno esistenziale, quando il
giudice nel riconoscere e liquidare la nuova voce di danno fa riferimento ai
diritti di libertà, di sviluppo della persona e della famiglia.89
Il compito della giurisprudenza, nella società postmoderna, non può essere più
quello di elaborare concetti che esprimono un ordine pre-dato e statico, “ma
piuttosto quello di cogliere la regola di diritto applicabile, attraverso una
grande tensione culturale attenta ai valori basilari del patto sociale, intorno
ai quali soltanto può tentarsi l’unificazione delle diverse logiche ed il
superamento delle antinomie”.90
Il pensiero corre all’affermazione dei diritti della personalità91
ed al corrispettivo danno esistenziale, testimonianze della complessità sociale,
che hanno rotto la continuità tra le premesse decisionali e l'effettività delle
decisioni.92
Le differenze che intercorrono tra il legislatore ed il giudicante si riassumono
nella constatazione che mentre il legislatore, nel porre la legge, persegue
scopi nell’ottica dell’adeguamento ai mutamenti sociali, il giudice,
nell’applicarla, compie un’opera di corretta interpretazione della fattispecie e
di sussunzione sotto norme e principi ordinamentali.93
D’altra parte, non esiste nel nostro ordinamento un “diritto alla felicità”,
sicché, non è pensabile un ristoro economico per ogni afflizione patita.
Inevitabile, dunque, che talune sofferenze rimangano giuridicamente scoperte.
Per altri versi, infatti, come ci insegna Eschilo, “la ricompensa per il dolore
è l'esperienza”.
1 Sull’argomento v. C BASCIU, Tutela dell’ambiente nella società del rischio,
2005 e A.M. DANIELE, I mass torts, 2003.
2 Corte Cost. sentenza n. 641/87.
3 Cass pen. sentenza n. 1465/87.
4 Al riguardo, in chiave critica, P.G. MONATERI, Illecito e responsabilità
civile, Torino, 2002, il quale ritiene palesemente errato il ragionamento
della Cassazione, laddove giunge a sostenere la non risarcibilità del danno
morale in assenza della prova di una vera e propria menomazione dell’integrità
psicofisica
5 Sul tema v. P. CENDON, Danno esistenziale: esistere o non esistere, in
Trattato breve dei nuovi danni, a cura di P. Cendon, Padova, I, 2001; P. ZIVIZ,
Danno biologico e danno esistenziale: parallelismi e sovrapposizioni, in
Respo. Civ., 2001.
6 V. Corte cost., 14.7.1986, n. 184, Giur. costit., 1986, 1439 nella cui
motivazione si argomenta “Il danno morale subiettivo, che si sostanzia nel
transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso, è danno conseguenza, in
senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute e costituisce, quando
esiste, condizione di risarcibilità del medesimo; il danno biologico è, invece,
l’evento, interno al fatto lesivo della salute, deve necessariamente esistere ed
essere provato, non potendosi avere rilevanza delle eventuali conseguenze
esterne all’intero fatto (morali o patrimoniali) senza la completa realizzazione
di quest’ultimo, ivi compreso, ovviamente, l’evento della menomazione
dell’integrità psico-fisica del soggetto offeso”.
7 V. Corte Cost., 27.9.1994, n. 372, in Foro it., 1994, I, 3307.
8 Nell’approccio eventistico le ripercussioni esistenziali finiscono per
coincidere (processualmente o sostanzialmente) con la lesione “in sé” di quel
bene giuridico; il pregiudizio si atteggia come qualcosa di automatico,
un’entità ravvisabile in re ipsa. Nella visione consequenzialistica esso
è tutt’uno, invece, con le “attività realizzatrici” che figurano compromesse; in
tale compromissione l’eventolesione ha ragione di emergere in funzione
mediatrice, quale anello precedente della catena.
9 Sul punto, F.G. CATULLO, Danno da reato, in Nuovi danni a cura di G.
Cassano, Torino, 2002.
10 In questo senso, Cass. 20 giugno 1997, n. 5530, in Foro it., 1997, I, 2070,
con nota di A. PALMIERI, dove l’A. sottolinea come la tesi della irrisarcibilità
del danno morale in assenza di danno biologico era già esclusa dalla sentenza
della Corte cost. 37/94, al punto n. 3 della motivazione in diritto, e dalle
ipotesi di diffamazione e di tutela della privacy che per la liquidazione del
danno morale non presuppongono una lesione della salute.
11 In questo senso, v. F ZUNICA, La vicenda Severo: nuovi orizzonti di tutela
del danno psichico e ambientale, in www.filodiritto.com, 2002.
12 Cfr. S. PUGNO, Danno alla persona, 2004; la giurisprudenza
tradizionale considerava il danno alla persona come danno essenzialmente
reddituale (danno patrimoniale alla persona). Il danno alla persona, in altri
termini, era un tipo di danno patrimoniale diretto, che si sostanziava nella
perdita (temporanea o definitiva) della capacità di produrre reddito da parte
del soggetto danneggiato. Affianco al danno patrimoniale alla persona la
giurisprudenza riconosceva al danneggiato anche un danno di natura non
patrimoniale, qualora il comportamento o l’attività illecita posta in essere dal
danneggiante integrasse gli estremi di un reato. I giudici ritenevano
risarcibili anche ulteriori danni alla persona: in particolare il danno alla
vita di relazione (Cass. 19 novembre 1969, n. 3763) e il danno edonistico (Cass.
5 aprile 1954, n. 1054). Per la giurisprudenza, questi danni avevano natura
patrimoniale (anche se trattasi di danni patrimoniali indiretti, in quanto
incidono solo in maniera mediata sulla capacità reddituale della persona, a
differenza del danno patrimoniale diretto così come definito sopra).
13 Sull’argomento, v. P.G. MONATERI, Alle soglie di una nuova categoria
risarcitoria: il danno esistenziale, in Danno e resp., 1999, 82.
14 V. Cass. Sent. n. 7713/2000.
15 Sul tema, v. G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale:
novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova, in www.altalex.it,
2002.
16 V. Corte cost. sent. n. 37/1994.
17 V. Cass. sent. n. 4631/1997.
18 Sul punto, v. F.G. CATULLO, Danno da reato, in Nuovi danni a cura di
G. Cassano, Torino, 2002.
19 Così Trib. Camerino 17 febbraio 1990, Arch. circolaz., 1990, 784.
20 Così Trib. Palermo 25 giugno 2001, Danno e resp., 2001, 1103, che subordina
la quantificazione del danno morale da liquidare alle vittime di un omicidio a
criteri equitativi come la tipologia del delitto, il coefficiente psicologico
che lo sosteneva, le modalità della condotta, le capacità patrimoniali degli
autori del delitto; nello stesso senso Trib. Brescia 20 gennaio 1996, Arch.
circolaz., 1996, 377; App. Roma 5 novembre 1990, La Repubblica c Dova, Della
Valle, Dir. informazione e informatica, 1991, 848; Trib. Venezia 27 gennaio
1990, Nuova giur. civ., 1990, I, 734; Cass. 26 novembre 1982, Brescia, Resp. civ.,
1984, 212.
21 Così Pret. Monza 19 dicembre 1992, Arnaldo e Soc. Sai, Foro it., 1994, I,
2294 secondo cui “un utile – anche se non esclusivo – elemento per la
quantificazione del danno si possa desumere da una valutazione normativa che
costituisce il controaltare di quella che si compie allorché si quantifica il
danno morale, la c.d. pecunia doloris. Se è vero, infatti, che quest’ultima
deve ristorare l’offeso dal reato, quale migliore parametro di riferimento di
quello costituito dall’afflizione che con la pena lo Stato ritiene a livello di
pena edittale di comminare all’autore del reato”; nello stesso senso Cass. 5
febbraio 1998, n. 1164, Resp. civ., 1998, 1134 con nota di P. Ziviz.
22 In tal senso, v. G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale:
novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova, in www.altalex.it,
2002.
23 Cfr. App. Roma 5 novembre 1990, cit., 1991, 847, dove si ricorda che “per la
risarcibilità dei danni non patrimoniali ex delicto (…) non occorre
l’accertamento di uno specifico rapporto di causalità, il quale sussiste in ogni
caso, una volta accertata la sussistenza del fatto e la qualità della persona
offesa di chi pretende il risarcimento”.
24 V. Trib. Monza 24 settembre 1983, Von Zwehl, Giust. pen., 1986, II.
25 Per ciò che attiene al momento consumativo da considerarsi, si veda Cass. 6
novembre 1996, Petrillo, Cass. pen., 1997, 2493, secondo la quale “il danno “non
patrimoniale” – quale sofferenza patita in conseguenza di un fatto illecito
incidente sulla sfera psichica e morale della persona – quale sofferenza patita
in conseguenza di un fatto illecito incidente sulla sfera psichica e morale
della persona – si realizza nel momento stesso in cui l’evento dannoso si
verifica. Pertanto è con riferimento a tale momento che (qualora non si tratti
di illecito permanente ) il danno morale dev’essere riscontrato e liquidato,
senza alcuna considerazione per i fatti od avvenimenti successivi – quale la
morte del soggetto leso – che non incidono sulla misura del danno predetto”.
26 In questo senso, v. F.G. CATULLO, Danno da reato, in Nuovi danni a
cura di G. Cassano, Torino, 2002.
27 Danni non patrimoniali" secondo cui: "Il danno non patrimoniale deve essere
risarcito solo nei casi determinati dalla legge". All’epoca dell’emanazione del
codice civile (1942) l’unica previsione espressa del risarcimento del danno non
patrimoniale era racchiusa nell’art. 185 del c.p. del 1930.
28 V. Cass. SS.UU- sent. 25 febbraio 2002, n. 2515.
29 In questo senso, v. ZIVIZ, “Verso un altro paradigma risarcitorio”, in
Cendon-Ziviz, Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità
civile, Milano 2000.
30 Il danno morale soggettivo viene identificato, storicamente, con quel
patema d’animo e quelle sofferenze di ordine psichico, strettamente personali,
che il soggetto è costretto a subire in conseguenza dell’illecito e che
sono in qualche modo presunti dalla legge: si tratta del danno non patrimoniale
per antonomasia, il cui risarcimento è finalizzato a lenire, attraverso lo
strumento del denaro, i dolori sofferti, sempre che nel fatto illecito altrui
fossero ravvisabili gli estremi del reato.
Infatti, l’art. 2059 c.c., norma di copertura per tale risarcimento, veniva
letta in necessario combinato disposto con l’art. 185 c.p., limitando il
riconoscimento di una somma di denaro al solo caso di fatto-reato: la condanna
al pagamento, cioè, serviva anche a rafforzare la sanzione penalistica
principale, cui soggiaceva il colpevole danneggiante.
È interessante notare come assai risalenti siano le origini di tale limitazione.
In particolare, la connessione tra risarcimento del danno morale e rilevanza
penale del fatto generatore risale al diritto romano, per il quale non si
ammetteva responsabilità per danni morali che non derivassero direttamente da
iniuria: in questi casi, il soggetto leso esercitava la c.d. actio
iniuriarum aestimatoria e poteva ottenere l’aggiudicazione di una somma di
denaro di ammontare variabile, in quanto dipendente dalla stima che l’attore
faceva del danno patito.
31 In tal senso, cfr. F ZUNICA, La vicenda Severo: nuovi orizzonti di tutela
del danno psichico e ambientale, in www.filodiritto.com, 2002; in presenza
di una tale tipologia di reati, il danno morale è insito nella stessa
commissione dell'azione illecita proprio perché, come detto, il pericolo è
implicito nella stessa condotta. In definitiva, viene meno quel rapporto di
necessaria consequenzialità tra lesione della salute e danno psichico,
rivestendo quest'ultimo carattere di autonomia ed essendo qualificabile perciò
anch'esso, secondo la tradizionale distinzione, in termini di danno-evento.
Oggetto della norma, infatti, non è soltanto il bene pubblico dell'ambiente, la
cui titolarità si radica in capo all'intera collettività, ma anche l'offesa per
quei singoli individui che subiscono un pericolo, sia pure astratto, di
attentato alla propria sfera personale, in virtù della relazione con un
determinato contesto ambientale, in quanto luogo di residenza o anche di
svolgimento della propria attività lavorativa.
32 V Corte cost. 30/12/1987, n. 641.
33 Sul tema v. anche F. GAZZONI L’art. 2059 c.c. e la corte costituzionale:
la maledizione colpisce ancora!, in Judicium – Il processo civile in Italia
e in Europa, www.judicium.it; in questa prospettiva l’Autore ricorda che “il
danno morale è ormai ricostruito secondo più ampi confini, non solo in termini
temporali, con riferimento al trauma soggettivo, ma anche in termini oggettivi.
È definitivamente tramontata, infatti, l’idea che il danno morale sia, di
necessità, danno conseguenza di quello biologico, che sarebbe danno evento,
secondo la nota terminologia della sentenza Dell’Andro. Anche il danno morale
può essere infatti danno evento, in presenza di reati plurioffensivi, quando il
delitto, pur offendendo interessi pubblici, si rivolge contro una persona o un
familiare (ad es. artt. 556 comma secondo, 594 ss c.p.) o quando, ad esempio in
caso di disturbo del riposo delle persone (art. 659 c.p.), il soggetto dimostri
di aver subìto immissioni acustiche intollerabili o, in caso di disastro
ambientale con immissioni di sostanze tossiche (art. 449 c.p.), dimostri di aver
subìto un turbamento psichico, senza danno biologico, per la paura di aver
contratto una malattia. Il risarcimento del danno morale è pertanto in grado di
coprire l’intera area dei casi in cui il fatto illecito fonte di danni diretti o
indiretti alla persona costituisce reato, ivi compresa, ex art. 2046 c.c., la
colpa presunta. Restano i casi in cui non c’è reato, ma qui, là dove non vi sia
danno biologico, è davvero compito del solo legislatore ordinario stabilire se
il risarcimento del danno non patrimoniale sia dovuto, perché il carattere
meramente rafforzativo del comando contenuto nella legge (si pensi a quella che
tutela i dati personali o gli extracomunitari) o comunque sanzionatorio di
inosservanze, fosse anche da parte di organi dello Stato, è di tutta evidenza”.
34 Cfr. FEOLA, Il prezzo dell’inquietudine: il caso “Seveso” torna in
Cassazione, in Resp. civ. prev., 2002; PONZANELLI E TASSONE, Una nuova stagione
del danno non patrimoniale? Le sezioni Unite e il caso Severo, in Danno e
resp., 2002.
35 Sul tema, v. M. FRANZONI, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una
svolta per il danno alla persona, in www.dannoallapersona.it, 2002.
36 V. CASSANO, La giurisprudenza del danno esistenziale, II ed.,
Piacenza, La Tribuna, 2002.
37 V. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale; novità
giurisprudenziali e questioni in tema di prova, in Giust.it, 10/2002.
38 Sul tema, ZIVIZ, Verso un altro paradigma risarcitorio, in
CENDON-ZIVIZ, Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità
civile, Milano 2000; il contenuto e l’ambito di applicazione del danno
biologico si pone inteso come alterazione organica e\o funzionale di incidenza
anatomo-psichica sul soggetto; questo è il profilo “ statico” e costituisce
l’evento della lesione. A ciò si deve aggiungere il decadimento, temporaneo o
irreversibile, delle preesistenti condizioni psicofisiche, tale da incidere in
senso negativo su ogni concreta estrinsecazione della persona, sul suo modo di
vivere pregresso, indipendentemente dall’attitudine della stessa a produrre
reddito; si parla allora di profilo “dinamico”, affermandosi la valenza
civilistica della dimensione non solo economica, ma anche spirituale, sociale,
culturale ed estetica.
Il concetto di danno viene sottoposto ad un processo di revisione, che si muove
nell’ottica dei valori costituzionali: ed allora l’ambito di applicazione
dell’art. 2043, in correlazione all’art. 32 Cost., deve estendersi fino a
ricomprendere il risarcimento non solo dei danni patrimoniali in senso stretto
ma tutti i danni che ostacolano le attività realizzatrici della persona umana.
Va sottolineata la vis assorbente di tale impostazione, poiché nel nuovo
concetto devono, di conseguenza, farsi rientrare tutte queste nuobve voci di
danno (estetico, alla vita relazionale, alla sfera sessuale, ecc.), da
individuarsi per consentire il risarcimento di lesioni prive di immediata,
sebbene non indiretta, incidenza sulla capacità di produrre reddito del soggetto
danneggiato.
39 In tal senso v. B. BENNATO, Il danno esistenziale: elaborazione teorica e
applicazione, 2002; l’emersione di un concetto di “fare non reddituale” apre
nuovi orizzonti nello sviluppo del comparto aquiliano, che non si esauriscono
nella figura del danno biologico. E’ questo il contesto culturale in cui nasce e
si afferma l’idea di dare rilevanza risarcitoria anche ai riflessi esistenziali
conseguenti alla violazione di un interesse comunque tutelato dall’ordinamento.
Tale esigenza, sia pure confusamente ed inconsapevolmente, traspare da alcune
pronunce giurisprudenziali sotto il profilo di riflessi dannosi prima
sconosciuti: ad esempio, è stato risarcito il pregiudizio subito dalla vedova e
dall’orfano per morte del congiunto nei termini di “modificazione
peggiorativa della qualità della vita, essendo venuto meno quel fascio di
relazioni umane identificantesi nella stessa posizione di moglie e figlio e,
come tale arricchito di quegli stessi contenuti specifici ricollegantisi alla
detta qualità” (Trib. Napoli 28 dicembre 1995); sempre in tema di danni
conseguenti alla morte di un familiare, si è d’altra parte affermata la
risarcibilità di “tutte quelle menomazioni della persona che ne impediscano
il libero sviluppo, vuoi come singolo, vuoi nelle formazioni sociali in cui
necessariamente o volontariamente si svolga la sua personalità” (Trib. Monza
7 giugno 1996); ancora, in tema di immissioni di rumore, si è riconosciuta la
tutela aquiliana per risarcire “il turbamento al benessere psicofisico, quale
insieme di condizioni socio ambientali atte ad assicurare il pieno sviluppo
della personalità” (Trib. Alessandria 7 maggio 1992). L’ essenza del danno
esistenziale, in sostanza, risiede in una perdita, in una forzosa rinuncia allo
svolgimento di attività non remunerative causata da una compromissione ad una
sfera diversa dall’integrità psicofisica. Si tratta dunque di un pregiudizio
a-reddituale, non patrimoniale e, almeno nella elaborazione dottrinale
originaria, tendenzialmente onnicomprensivo, in quanto qualsiasi privazione,
lesione di attività esistenziali del danneggiato può dar luogo al risarcimento.
40 NAVARRETTA, Il danno alla persona tra solidarietà e tolleranza, in
Responsabilità civile, 2001.
41 Cassazione 24 ottobre 2003, n. 16004, in Foro it. 2004, I, 782 con nota di
Bona, La morte del danno evento.
42 V. in particolare la teoria della prevenzione generale positiva di G. JAKOBS,
La funzione del dolo, della colpa e della colpevolezza nel diritto penale,
in Studi sulla colpevolezza a cura di L. Mazza, Torino, 1991.
43 Cfr. Corte Cost. (30 giugno) 14 luglio 1986 n. 184, Giur. costit., 1986,
1438.
44 V. M. BONA, La violazione del rapporto familiare nel segno del danno
esistenziale, in Danno e resp., 2002.
45 In riferimento a tale questione, puntuali le riflessioni di N. LUHMANN, La
differenziazione del diritto, Bologna, 1990, che scrive: “La normatività è
la forma di un’aspettativa di comportamento attraverso la quale si indica che
l’aspettativa deve essere tenuta ferma anche in caso di delusione. Le norme
vengono intese qui, allora, come aspettative stabilizzate in maniera
contraffattuale che resistono alla delusione e che, in quanto tali, inizialmente
non sono ordinate in modo né naturale, né sistematico, né logico. Nella vita
sociale tali proiezioni normative scaturiscono da un bisogno strutturale:
ciascuno deve poter essere sicuro delle proprie aspettative anche di fronte a
delusione deve poter collegare le aspettative degli altri con le proprie”.
46 V. E. MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore, Milano, 1974
47 Sull’argomento, v. A. J. JACOBSON, Prendere la rivelazione sul serio,
in Ars Interpretandi, 1998.
48 V. C. SALVI, Responsabilità extracontrattuale (dir. vig.), in Enc.
Dir., Milano, 1988, 1208.
49 Per un commento alle sentenze, v. P. CENDON, Vincitori e vinti (… dopo la
sentenza 11 luglio 2003 n. 233 della Corte costituzionale),
www.studiolegaleriva.it.
50 Cfr. BUSNELLI, Diritto alla salute e tutela risarcitoria, in Tutela
della persona, cit, 1978,; CASTRONOVO, Il danno alla persona tra essere e
avere, in Danno e responsabilità, 2004.
51 L’ordinamento tedesco riconosce la risarcibilità del danno non patrimoniale
nelle ipotesi di lesioni di diritti fondamentali della libertà, l’incolumità e
l’onore.
52 RESCIGNO, Introduzione a Tutela della persona e diritto civile, a cura
di Buisnelli e Breccia, 1978, XVII.
53 Com’è noto l’art. 1382 Codé Napoleon, che ha ispirato l’art. 1151 del codice
civile italiano del 1865, non limita la risarcibilità al solo danno patrimoniale
sicché la giurisprudenza ha ritenuto sicuramente risarcibili anche i danni non
patrimoniali senza esigere ulteriori condizioni di ammissibilità. Sin dai primi
decenni del secolo si è ammesso il risarcimento del danno da uccisione o ai
congiunti delle vittime di lesioni personali, a prescidenre da un legame di
parentela o di coniugio. Nel 1962 la Corte di Cassazione francese ha
riconosciuto il danno morale per la perdita di affezione per l’uccisione di un
cavallo, oltre i limiti della spesa necessaria all’acquisto di un nuovo animale:
su tali precedenti si rinvia a Zwigert-Kotz, Introduzione al diritto comparato,
II, Milano, 1995.
54 Così ALPA e ZENO-ZENCOVICH, Responsabilità civile da reato, in Enc.
Dir. Milano, 1988, XXXIX.
55 Corte cost. 87 del 1979, che riconobbe come la categoria del danno non
patrimoniale non si esaurisse nel solo danno morale soggettivo ma comprendesse
ogni pregiudizio non reddituale e non suscettibile di valutazione economica
secondo i criteri di mercato.
56 La legittimità costituzionale dell’art. 2059 c.c. in relazione alla risarcibilità del danno non patrimoniale è fatta salva proprio da siffatta
identificazione nella orami definita storica decisione della Corte
costituzionale n. 184 del 1986.
57 Per analoga impostazione v. CASSANO, La responsabilità civile con due
(belle?) gambe, e non più zoppa, in La nuova giurisprudenza ondine, su
IPSOA.it.
58 La Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla possibile lesione del principio
disuguaglianza in ordine a presunzioni di colpa che, non rendendo possibile
l’esame della componente soggettiva in concreto, non conferirebbero, secondo il
Giudice remittente, la possibilità di valutare la sussistenza di un reato, anche
se ai soli fini della responsabilità di civile sub specie del danno
morale, ha ricordato e ricostruito, seppur per brevi cenni, l’evoluzione
sull’area di risarcibilità del danno non patrimoniale. Ed anche in questa
occasione, facendo riferimento all’ambito applicativo dell’art. 2059 del c.c.,
ne è stata respinta – prevedendo i danni non patrimoniali solo nei casi previsti
dalla legge - la pratica incidenza nell’ordinamento solo nell’ipotesi
contemplata dall’art. 185 c.p. è cioè solo in presenza di fattispecie di reato.
59 La “costituzionalizzazione” del danno non patrimoniale affermata dalle
Cassazioni di fine maggio prende avvio da posizioni dottrinali inizialmente
avanzate in via sperimentale dai suoi stessi propugnatori, ma poi rivelatesi
ricche di proficui sviluppi teorici; Il riferimento è a G.B. FERRI, L’oggetto
del diritto della personalità e danno non patrimoniale, in Le pene private a
cura di Busnelli e Scalfi, Milano, 1985. La tesi trova compiuta sistemazione
specie per quanto concerne i limiti del bilanciamento nel conflitto da interessi
della persona di pari rilievo costituzionale, in NAVARRETTA, Bilanciamento di
interessi e risarcimento del danno, Rivista critica diritto privato, 1997.
625 e ss. e NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno,
Torino, 1996. Ove il fatto dannoso leda contestualmente un interesse
costituzionalmente rilevante integrando anche un illecito penale, non sarà
necessario verificare la tipicità penalistica del fatto, dovendo, a parere della
Corte, risarcirsi l’intero pregiudizio ingiusto ivi incluso il tradizionale
danno morale soggettivo, che affiancherà il danno biologico e quello
esistenziale con l’unico limite costituito dalla congruità della liquidazione in
relazione alle particolarità di ogni singolo caso concreto allo scopo di evitare
il rischio di overcompensation.
60 La soluzione prescelta dalla Corte appare univoca.Con riferimento alle
sofferenze per la morte dei prossimi congiunti è espressamente sancito che “il
soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno patito in conseguenza
dell’uccisione di un congiunto lamenta l’incisione di un interesse giuridico
diverso sia dal bene salute, del quale è titolare, la cui tutela ex art. 32 Cost.,
ove risulti intaccata l’integrità biopsichica, si esprime mediante il
risarcimento del danno biologico, sia dall’interesse all’integrità morale, la
cui tutela, agevolmente ricollegabile all’art. 2 Cost., ove sia determinata
un’ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del
danno morale soggettivo” (Cass. 8827-8828/2003). La tutela del danno morale è
quindi frutto della lesione, effetto di una condotta plurioffensiva, di un
distinto diritto all’integrità morale sancito dall’art. 2 cost. e perciò
meritevole di tutela indipendentemente dalla rilevanza penale dell’illecito.
61 G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale: novità
giurisprudenziali e questioni in tema di prova, in Giust.it, 10/2002,
secondo l’A. “la nozione di danno esistenziale comprende qualsiasi evento che,
per la sua negativa incidenza sul complesso dei rapporti facenti capo alla
persona, è suscettibile di ripercuotersi in maniera consistente e talvolta
permanente sull’esistenza di questa. Diventa, allora, decisiva una
considerazione non restrittiva degli eventi potenzialmente lesivi, non ancorata
a valutazioni tecniche basate su parametri e tabellazioni, bensì capace di
segnalare interferenze negative e pregiudizievoli in senso ampio. Un
fatto-evento causato da terzi può rilevarsi dannoso quando risulta idoneo ad
incidere sulle possibilità realizzatrici della persona”.
62 Secondo opinioni critiche in tal senso, cadrebbe, definitivamente minata, la
stessa legittimità costituzionale dell’art. 185 c.p. che, in sostanza, lascia
persistere una limitazione risarcitoria rispetto ad un diritto ora assurto a
dignità primaria, motivando posizioni di rilevata tacita abrogazione dello
stesso art. 2059 c.c.. La costituzionalizzazione del danno morale inficia la
tassatività penale introdotta dall’art. 185 c.p., non quella generale sancita
dall’art. 2059 c.c., una volta che questo sia piegato ad una lettura conforme
alla legge fondamentale, v. VITTORIA, Un regolamento di confini per il danno
esistenziale. Diversamente, la dottrina tradizionale, afferma che “i danni
morali non costituiscono mai per la valutazione giuridico-sociale, che si è
considerata come determinante, un danno in sé e per sé, ma vengono in evidenza
solo in conseguenza di determinati danni. Il danno morale non è pertanto, come
qualcuno sembra avere equivocato, un autonomo danno alla persona e il suo
riconoscimento non si traduce nella attribuzione di un ulteriore e più lato
diritto della personalità: si tratta soltanto di conseguenze del danno vero e
proprio alla persona, cui si attribuisce eccezionale rilevanza, già per ragioni
di equità e più specificamente per la miglior tutela della persona umana”, v.
SCOGNAMIGLIO, Il danno morale, contributo alla teoria del danno
extracontrattuale, in Rivista diritto civile 1957.
63 G. FORTUNATO Il nuovo volto del danno non patrimoniale: problemi e
prospettive interpretative, 2004.
64 M. FRANZONI, Il nuovo corso del danno non patrimoniale, in Contratto e
impresa, 2004.
65 V. CASTRONOVO, Il danno alla persona tra essere e avere, in Danno e
responsabilità 2004, l’A. contesta la scomposizione che il metodo tabellare
attua tra lesione all’integrità fisica ed il dolore da essa determinato,
ammettendo una separata e concorrente liquidazione delle due voci di danno.
66 Cassazione 24 maggio 1997, n. 4631, Giur. it., 1998, con nota di Bona ; Cass.
20 giungo 1997, n. 5530, in Foro italiano, 1997, I, con nota di Palmieri. Il
contrasto ha trovato composizione con Cass. sez. un. 21.2.2002, n. 2515, Giur.
it., 2002, 691, con nota di Bona, attribuendo al danno morale la natura di danno
evento, quindi risarcibile di per sé a prescindere dall’individuazione di un suo
autonomo fondamento nella lesione di un interesse protetto dall’ordinamento
67 Corte di Appello di Milano, Sez. II Civ., sentenza 14 febbraio 2003; per un
commento v. P.VINCI, Il danno esistenziale da stress psichico, 2005.
68 Il mese di maggio del 2003 sono state pubblicate ben tre sentenze della terza
sezione della Cassazione nelle quali è stato affermato che il danno non
patrimoniale è risarcibile anche quando il criterio di imputazione della
responsabilità sia quello degli artt. 2050-2054 c.c. Il rinvio va alla Cass., 12
maggio 2003, n. 7282, pres. ed est. Preden, in
http://www.dirittoegiustizia.it/Dettagli.asp?ID=12731, a proposito della
responsabilità secondo l’art. 2054 c.c.; così come alla Cass., 12 maggio 2003,
n. 7283, pres. ed est. Preden, in http://www.ipsoa.it/dronline/news/7283.asp,
mentre la Cass., 12 maggio 2003, n. 7281, pres. ed est. Preden, ibidem, riguarda
la responsabilità del custode secondo l’art. 2051 c.c.
69 Sul tema, v. G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale: novità
giurisprudenziali e questioni in tema di prova, in www.altalex.it, 2002.
70 Corte di Appello di Napoli, 4^ sez. civ., sentenza n. 460/2004.
71 Cfr. Cass. 12.5.03 n. 7283, in Guida al diritto n. 22 del 7.6.03; Cass. 7281
e 7282/03
72 V. BUSNELLI, Interessi della persona e risarcimento del danno, in Rivista
trim. dir proc. civile, 1996. Cass. sez. un. 6.12.1982, n. 6651, in Foro it.,
1983, I, con nota critica di JANNARELLI, che esclude la natura sanzionatoria
della responsabilità civile ex art. 185 c.p., professando che l’astratta
configurabilità di un reato, indipendentemente dalla imputabilità e quindi dalla
punibilità del reo, già di per sé turba la coscienza sociale e giustifica la
riparazione del danno soggettivo. La contraria soluzione, che invece postula la
punibilità ai fini del risarcimento, conduce ad escludere la risarcibilità del
danno morale a carico anche dei responsabili indiretti dell’autore, sostenendo
la necessità che, ai fini del risarcimento, il reato sussista in tutti i suoi
elementi in conformità alla norma incriminatrice. Riguardo all’imputabilità è
peraltro fortemente discusso se essa sia elemento interno al fatto reato ovvero
solo esterno, influente sulla punibilità.
73 Sul punto, v. M. FRANZONI, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una
svolta per il danno alla persona, in www.dannoallapersona.it, 2002.
74 Cass. 8.10.1999, n. 11283 secondo cui l’efficacia di giudicato, nel giudizio
civile, della sentenza penale irrevocabile d’assoluzione o di condanna emessa a
seguito di dibattimento è limitata alla controversia su un diritto il cui
riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali (condotta,
evento e nesso di causalità) oggetto del giudizio penale, con esclusione della
colpevolezza e delle questioni concernenti la qualificazione giuridica dei
rapporti controversi, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile e
pertanto l'assoluzione per insufficienza di prove sul dolo, nella vigenza del
precedente cod. proc. pen., non è idonea a precludere l'accertamento del giudice
civile sulla sussistenza della buona fede. Il giudicato penale d’assoluzione per
esclusione del dolo del reato non esclude l’accertamento in sede civile ed agli
effetti della tutela apprestata ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., della colpa
per la medesima condotta: Cass. 5.2.1996 n. 956. Il giudicato assolutorio non
vincola in merito all’azione di danno fondata sul presupposto della natura
contrattuale dell’inadempimento: Cass. 30.12.1971, n. 3780. Sul problema della
identificazione tra fatti oggetto del giudicato di assoluzione e dell’azione
civile si rinvia per un’ampia casistica a V. ZENO ZENCOVICH, Il danno civile da
reato, Padova, 1989.
75 In senso contrario ROLFI, Illecito civile e danno morale: spostamento o
crollo del limes?, in Corriere giuridico, il quale sostiene che il
proscioglimento penale per mancanza dell’elemento soggettivo consente sempre una
diversa valutazione in sede civile.
76 Cfr. G.GRECO, Crollo di un pregiudizio sotto la pressione della normativa
europea e dei contributi della dottrina, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999.
77 Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 1096 del 16 marzo 2005.
78 Per un commento alla sentenza v. G. Buffone, Danno esistenziale: il neo
bipolarismo costituzionale della responsabilità civile, 2005.
79 Cfr. Cass. sent. 11.11.2003 n. 16946 e Corte Cost. ord. 12.12.2003 n. 356.
80 Corte di Cassazione, sez. III civ., sentenza n. 15022/2005. Vedi anche nota
di M. Rossetti, Danno esistenziale: fine di un incubo, in Diritto e Giustizia,
2005.
81 V. G. BUFFONE, Danno esistenziale: il neo bipolarismo costituzionale della
responsabilità civile, 2005.
82 Si tratta di Cassazione, sez. I civile, sentenza 04.10.2005 n. 19354.
83 Cfr. Cass. 5 novembre 2002, n. 15449.
84 Cfr. Cass. 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828; Cass. 18 novembre 2003, n.
17429; Cass. 12 dicembre 2003, n. 19057; Cass. 15 gennaio 2005, n. 729.
85 Cfr. Cass. 17 aprile 2003, n. 6168.
86 “Cicatricium aut deformitatis nulla fit aestimatio, quia liberum corpus
nullam recepit aestimationem”, GAIO, in Digesto”, libro IX, titolo IV, frammento
VII.
87 Si veda ZIVIZ, “Verso un altro paradigma risarcitorio”, in Cendon-Ziviz,
Il
danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, Milano
2000. E ancora, la pubblicazione dell’autore relativa all’intervento al convegno
presso il CSM, anno 2001, intervento dedicato alle frontiere dell’area della risarcibilità civile.
88 Per una trattazione generale v. CASSANO, La giurisprudenza del danno
esistenziale, II ed., Piacenza, La Tribuna, 2002; dello stesso autore v.
Fondamenti giuridici del danno esistenziale; novità giurisprudenziali e
questioni in tema di prova, in Giust..it, 10/2002.
89 Così S. CHIARLONI, Ruolo della giurisprudenza e attività creative di nuovo
diritto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002.
90 Al riguardo, S. SENESE, Funzione di legittimità e ruolo di nomofilachia, in
Foro it., 1987.
91 F.G. CATULLO, Tutela penale dei diritti della personalità, in Diritti della
personalità a cura di G. Cassano, Torino, 2002, dove viene evidenziato come
nell’ambito dei diritti della personalità tra l’attività del legislatore e
quella del giudice penale non esiste un rapporto di stretta interdipendenza. Il
contenuto valutativo dei reati contro i diritti della personalità, infatti,
legittima l’interprete a rinnovare di volta in volta il giudizio di “disvalore”
della condotta incriminatrice, ampliandone o riducendone la portata.
92 Così, N. LUHMANN, La differenziazione del diritto, Bologna, 1990.
93 Sul punto, v. S. NATOLI, Intenzione e norma, in “Ars Interpretandi”, 1998.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 08/05/2006