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Il "nuovo" danno ambientale. Note minime



ANTONIO DI MARTINO





È in vigore da oggi, 29 aprile, il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”)1, correntemente denominato “Codice dell’ambiente” o “Testo unico ambientale” in quanto riforma la gran parte della normativa in materia paesaggistico/ambientale: tale provvedimento attua la legge 15 dicembre 2004, n. 3082, recante com’è noto la delega al Governo per “il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale”, anche attraverso la redazione di uno o più testi unici per settori e materie differenti. Tra le materie delegate figura anche, per l’argomento che qui interessa, la nuova disciplina in punto di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente (art. 1, comma 1, lett. e))3.
L’iter della riforma è stato a dir poco travagliato: in attuazione della delega parlamentare, l’Esecutivo ha istituito una Commissione di 24 esperti – scelti tra docenti universitari, dirigenti di istituti pubblici di ricerca ed esperti, personalità di comprovata competenza nei settori e nelle materie oggetto dei provvedimenti da assumere – con il compito di riformulare in modo razionale ed efficace l’estesa (e, talora, contraddittoria) normativa ecologica. In esito ai propri lavori, la Commissione ministeriale ha quindi elaborato cinque testi unici, inerenti rispettivamente alle procedure di valutazione ambientale, alla difesa del suolo, alla gestione dei rifiuti, all’inquinamento atmosferico ed al danno ambientale.
Nella seduta del 18 novembre 2005, il Governo, riuniti i cinque predetti testi unici in un unitario schema di decreto legislativo, ha trasmesso quest’ultimo alle competenti Commissioni parlamentari, per i prescritti pareri: il testo, riveduto alla luce delle osservazioni formulate dagli organismi parlamentari, è stato definitivamente deliberato nella seduta del Consiglio dei ministri del 10 febbraio scorso.
Ma non basta: ancora in sede di promulgazione, il Presidente della Repubblica ha richiesto all’Esecutivo ulteriori chiarimenti al decreto legislativo in commento, ottenuti i quali ha quindi proceduto alla prescritta promulgazione del testo4.
Le vicende, sopra succintamente descritte, sono sintomatiche delle difficoltà incontrate dal Governo nell’adozione del nuovo testo unico ambientale: la novella ha invero scontentato Regioni, Autonomie Locali e buona parte degli studiosi del diritto ambientale, tutti concordi nel ritenere il provvedimento eccedente rispetto alla delega legislativa e non rispettoso del principio di sussidiarietà sancito con la riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione.
Nel frattempo, il Parlamento ha approvato la legge 23 dicembre 2005, n. 2665 (c.d. legge finanziaria 2006) che reca disposizioni sugli interventi di bonifica dei siti inquinati e la procedura di determinazione del danno ambientale (art. 1, commi 434–443).
 

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Stante il quadro normativo sommariamente descritto, il presente contributo intende offrire, senz’alcuna pretesa di completezza, alcuni spunti di riflessione sulla nuova disciplina in tema di responsabilità civile per danno ambientale.
A tale materia si rivolge la Parte VI del d. lgs. n. 152/06 (articoli 299-318): oltre ad attuare la direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 “sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e di riparazione del danno ambientale6, il decreto (art. 318, comma 2 lett. a) abroga tout court l’articolo 18 della legge n. 349/86, senza peraltro riproporne talune importanti previsioni.
Dal nuovo impianto normativo emerge la volontà di accentrare in capo allo Stato le competenze in materia di risarcimento per danno ambientale, disciplinando con maggior rigore, e talora limitandolo, l’accesso alla tutela giurisdizionale. Non è riproposta infatti la previsione (ex art. 18, comma 3, l. 349/86) che, accanto allo Stato, legittimava gli Enti locali territoriali (Regioni, Province e Comuni) a promuovere l’azione di risarcimento qualora, beninteso, a tali Enti si riferissero i beni oggetto del fatto lesivo: l’unico soggetto ora legittimato a proporre l’azione de qua è lo Stato attraverso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio – Direzione Generale per il danno ambientale (art. 299, comma 1 T.U.).
Alle Autonomie locali, così come alle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, viene riconosciuta piuttosto una funzione di collaborazione all’esercizio dell’azione ministeriale (v. art. 299, comma 2°): nello specifico, l’art. 309 legittima (rectius: facoltizza) le Regioni, le Province autonome e gli Enti locali – nonché le persone, fisiche e giuridiche, che sono o potrebbero essere colpite dal danno ambientale, o che comunque vantino un interesse legittimante la partecipazione al procedimento – a “presentare denunce e osservazioni, corredate da documenti e informazioni, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale e chiedere l’intervento statale a tutela dell’ambiente”7. Si tratta, com’è evidente, di una prerogativa afferente all’istituto dell’intervento facoltativo ex art. 9 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 e s.m.i..
Viene allora da chiedersi se, ed in quale misura, simile assetto normativo si concili con la riforma della Parte II, Titolo V della Costituzione (legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3): giova ricordare infatti come, al fine di giustificare la soluzione escogitata dal legislatore del 1986, la Consulta avesse a suo tempo argomentato che “la legittimazione ad agire, che è attribuita allo Stato e agli enti minori, non trova fondamento nel fatto che essi hanno affrontato spese per riparare il danno o nel fatto che essi abbiano subito una perdita economica, ma nella loro funzione a tutela della collettività e della comunità nel proprio ambito territoriale e degli interessi all’equilibrio economico, biologico e sociologico del territorio che ad essi fanno capo” (Corte Costituzionale, sent. n. 641/87).
A mio avviso, poiché viene in considerazione un istituto inerente al profilo giurisdizionale, la soluzione legislativa pare – in termini di stretta legalità formale – in linea con il nuovo dettato costituzionale dell’articolo 117: al contempo, però, non può sottacersi la circostanza che la stessa giurisprudenza costituzionale riconosce alle Regioni e alle Autonomie locali prerogative in tema di governo del territorio – e, quindi, strumenti di esercizio/tutela effettivi di questa funzione – nella misura in cui ritiene che l’ambiente, anziché configurarsi come “materia” a carattere prettamente tecnico e circoscritto, è piuttosto un “valore costituzionalmente protetto” che si colloca in maniera trasversale rispetto alle materie dell’ art. 117, di competenza anche regionale, quali lo sviluppo economico sostenibile del territorio, l’urbanistica, le infrastrutture e la salute pubblica8.
È in tal senso che, verosimilmente, deve leggersi il rinvio ai principi costituzionali di sussidiarietà e di leale collaborazione nell’esercizio dell’azione ministeriale sul danno ambientale, di cui al comma 3° dell’art. 299 del decreto legislativo n. 152/06. È allora prevedibile ed auspicabile un intervento chiarificatore della stessa Corte Costituzionale, in riferimento anche all’articolo 24 Cost..
La tendenza all’accentramento delle competenze statali non sempre si accompagna, peraltro, ad un’esplicita dichiarazione di obbligatorietà dell’azione amministrativa: per esempio, in alcune disposizioni l’intervento sostitutivo dello Stato (in caso di inerzia nelle azioni di prevenzione, ripristino e recupero ambientale a cura dell’autore del fatto) viene previsto come mera possibilità9.
Altra norma che suscita riflessione è contenuta nell’art. 315 del decreto legislativo, che introduce il termine di decadenza di due anni per l’emissione dell’ordinanza ministeriale di ripristino ambientale: in sostanza, decorsi i due anni dalla notizia del fatto lesivo, sarebbe preclusa al Ministero la possibilità di emanare ordinanze di ripristino. Tale previsione costituisce una novità nel nostro ordinamento giuridico che, invece, attualmente, impone l’adozione di simili misure fino a quando l’interesse pubblico lo richieda, senza vincoli di tempo10. Inoltre, non è specificato se lo Stato possa promuovere un giudizio per il risarcimento del danno ambientale anche a prescindere dall’emissione dell’ordinanza de quo: se così non fosse, il termine (di decadenza dei due anni per l’emissione dell’ordinanza di ripristino) finirebbe con il tradursi anche in un termine processuale di decadenza dell’azione per il risarcimento del danno ambientale innanzi all’autorità giudiziaria; si limiterebbe, pertanto, la possibilità di agire in giudizio per il risarcimento del danno, una facoltà che fino ad oggi è soggetta – come ordinariamente previsto per le azioni di risarcimento del danno per fatto illecito – al termine prescrizionale di cinque anni.
 

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La definizione di danno ambientale (art. 300) viene modificata rispetto a quella contenuta nell’art. 18 della l. 349/86: mentre quest’ultimo definiva il danno ambientale come “compromissione dell’ambiente attraverso un qualsiasi fatto doloso o colposo”, il testo unico qualifica tale illecito come “qualsiasi deterioramento significativo e misurabile di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”(art. 300, comma 1). In sede di primo commento allo schema di decreto legislativo, si è asserito che l’introduzione della “misurabilità” del deterioramento è nella migliore delle ipotesi inutile (se non c’è danno, esso non è nemmeno misurabile), nella peggiore pericolosa (misurabile rispetto a cosa, e con quale metodo?)11.
Il comma secondo del medesimo art. 300 riporta un elenco di ciò che costituisce “danno ambientale”: sebbene sia sostanzialmente ripresa l’elencazione dell’art. 2 della direttiva 2004/35/CE, la tecnica legislativa espone al rischio di collegare la nozione di danno ambientale ad un elenco di fattispecie lesive “a carattere chiuso”, lasciando scoperti eventuali altri fatti lesivi ad oggi non previsti né prevedibili. Possibile rimedio a tale stato di cose potrebbe essere la circostanza di considerare detto elenco come non esaustivo, bensì meramente esemplificativo12.
Ulteriore elemento di criticità discende dall’articolo 311, comma 2°, a mente del quale “chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato”: la norma, ancorando la responsabilità per illecito ambientale ai requisiti del dolo e della colpa, quali elementi costitutivi della fattispecie “illecito ambientale”, mal si concilia con il sistema della responsabilità oggettiva previsto dalla direttiva 2004/35/CE, alla cui stregua il danno ambientale, o la sua minaccia, vanno imputati senza l’onere della prova del dolo o colpa dell’operatore (art. 3), tranne l’ipotesi del danno (o pericolo) alle specie ed agli habitat naturali protetti, e fatta salva la facoltà degli Stati membri di derogare a tale principio nelle limitate ipotesi e alle sole condizioni esplicitate nell’art. 8, comma 4°13 .
Si palesa quindi la necessità di allineare il testo della norma alla direttiva comunitaria, in sede di emanazione delle disposizioni correttive e/o integrative al decreto legislativo n. 152 del 2006.
 

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Come anticipato, ulteriori disposizioni in materia ambientale sono state introdotte con la legge finanziaria 2006: si tratta, rispettivamente, delle norme in tema di bonifica dei siti inquinati (art. 1, commi 434-438) e di quantificazione del danno all’ambiente (commi 439-443)14.
La normativa in discorso si connota per la circostanza di anticipare la disciplina sull’illecito ambientale, in vista dell’approvazione del testo unico, recependo parzialmente la direttiva 2004/35/CE15: ed infatti, a scanso di equivoci, l’art. 318, comma 2 lett. d) del d. lgs.162/06 si è premurato di abrogare i commi da 439 a 443 della legge n. 266/05.
Ciò malgrado, una breve disamina di questa disciplina mi pare opportuna, posto che essa è destinata ad applicarsi agli illeciti commessi nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2006 e l’entrata in vigore del testo unico.
La novella si incentra sull’adozione, da parte del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, di un’ordinanza esecutiva, impugnabile da parte del soggetto obbligato innanzi al TAR o con ricorso straordinario al Capo dello Stato (art. 1, comma 439): accertato che un’attività ha determinato un danno ambientale, il Ministro adotta la predetta ordinanza, sia irrogando le sanzioni amministrative di competenza, sia ingiungendo all’autore del danno il ripristino della “situazione ambientale antecedente”, a titolo di risarcimento in forma specifica. Qualora il danno non sia eliminabile, con la stessa o con altra ordinanza viene ingiunto il pagamento di una somma di denaro pari al valore economico del danno.
Soggetto obbligato è l’autore materiale del fatto dannoso, in solido con il soggetto che aveva interesse od ha tratto vantaggio dal fatto lesivo.
Sotto il profilo della quantificazione del danno, il comma 440 richiede che esso comprenda “il pregiudizio arrecato alla situazione ambientale a seguito del fatto dannoso e del costo necessario per il suo ripristino”, richiamando, a tal fine, quanto previsto dalla direttiva n. 35/2004/CE16. Ove non sia possibile procedere ad una precisa quantificazione del danno, l’ordinanza ne determinerà l’ammontare in via equitativa, avendo riguardo al profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del comportamento lesivo.
In ordine all’applicazione nel tempo del nuovo regime, si stabilisce (comma 442) che le disposizioni in esame “non si applicano ai danni ambientali presi in considerazione nell’ambito di procedure transattive ancora in corso di perfezionamento alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che esse trovino conclusione entro il 28 febbraio 2006, né alle situazioni di inquinamento per le quali sia effettivamente in corso o sia avviata la procedura per la bonifica […]”.
Come già detto, la disciplina sopra esposta costituisce un’anticipazione, sia pure sotto forma embrionale, di quella ben più esaustiva realizzata con il decreto legislativo n. 152/06. In questa estrema sinteticità delle disposizioni risiede il vero limite della disciplina, aggravata dall’assenza di coordinamento con le norme vigenti: circostanza che, unita al clima concitato che solitamente accompagna l’approvazione delle leggi finanziarie ed all’obiettiva estraneità della tematica alla materia finanziaria, ha indotto i commentatori della normativa a parlare di un “[…] intervento normativo, nel suo complesso, confuso ed approssimativo, oltre che inopportuno17.
Diversamente dal testo unico, la finanziaria 2006 nulla statuisce in merito alla disciplina sul danno ambientale ex art. 18 l. n. 349/86: si tratta – com’è evidente – di una vistosa lacuna del testo, dal momento che i due regimi non possono coesistere, senza generare delicati problemi applicativi. Si pensi, ad esempio, al rapporto tra azione risarcitoria ed ordinanza ministeriale18.
Il parziale richiamo alla direttiva n. 35/2004/CE, con riferimento ai soli costi di ripristino da considerare ai fini della quantificazione del danno, solleva ulteriori dubbi, riconducibili al mancato accoglimento della nozione comunitaria di “danno ambientale” che rappresenta, ormai, un dato dall’irrinunciabile valore interpretativo nella misura in cui si connota di specifici profili, a seconda che si abbia riguardo alle specie ed agli habitat naturali protetti, alle acque interne, costiere e marine, ed al terreno.
Com’è agevole verificare, la nozione comunitaria di danno ambientale considera, infatti, rilevanti elementi finora assenti nel nostro diritto positivo: è il caso, per fare un esempio, del “danno al terreno”, definito come “qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana a seguito dell’introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul sottosuolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi e microrganismi nel suolo”. La definizione richiama parametri interpretativi innovativi, tra i quali la “significatività del rischio di effetti negativi sulla salute umana”: parametri che, per un verso, sono del tutto assenti nella nozione di danno ambientale, sinora prevista dall’art. 18, e che, per altro verso, stridono con la vigente definizione di “sito inquinato” (art. 2, comma 1, lett. b) D.M. n. 471/99), a termini della quale l’obbligo di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale deriva dal mero superamento anche di un solo valore tabellare.
 

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In conclusione di queste brevi note, due osservazioni si impongono in ordine al decreto legislativo n. 152 del 2006: di merito, la prima; di metodo, la seconda.
Sotto il primo profilo, il nuovo testo unico ambientale ha l’indubbio pregio di riunire e coordinare (gran parte del)la normativa ambientale e, dunque, di ricondurre a unità sistematica il complesso di norme prescrittive di obblighi e responsabilità a carico degli operatori economici, che nella sua corposità, in passato, ha sovente ingenerato incertezze in merito agli adempimenti posti a carico delle stesse imprese. In particolare, la disciplina precedente sulla responsabilità ambientale ha impegnato gli interpreti in attività di analisi sistematica dell’argomento nient’affatto agevole, date le notevoli problematiche che emergevano dal coordinamento tra le varie ipotesi di tutela previste dal legislatore.
Naturalmente, solo l’esperienza applicativa delle nuove norme ci dirà se, e quanto, vi sia di buono nel nuovo sistema di regole.
Sotto il secondo aspetto, invece, suscita perplessità la scelta del Governo di procedere nella riforma scavalcando, nei fatti, la Conferenza delle Regioni e degli Enti locali con le conseguenti “accuse”, da parte delle Autonomie, di avere espropriato le prerogative ed aver rovesciato i principi di cooperazione e di sussidiarietà di cui al nuovo Titolo V della Costituzione.
Sarebbe stato auspicabile invece l'apertura di un reale confronto nel Parlamento e nel Paese, che realizzasse il "riordino, il coordinamento e l’integrazione" della normativa ambientale mediante strumenti ed azioni di governo basati sulla cooperazione tra Stato centrale/Regioni/Autonomie locali e l’effetiva partecipazione dei cittadini e delle rappresentanze degli interessi economici, sociali e delle associazioni ambientaliste alla formazione delle decisioni.
V’è da sperare che un simile confronto possa verificarsi in occasione delle (probabili) disposizioni correttive e/o integrative al decreto legislativo, ex art. 3 del decreto medesimo, da discutere quindi preventivamente e fattivamente nelle appropriate sedi istituzionali: ora, la Conferenza Unificata; domani, chissà?, il c.d. Senato Federale.

Oggi, di certo, registriamo l'impegno di impugnare il Decreto legislativo 152/2006 da parte delle Regioni, innanzitutto davanti alla Corte costituzionale. Per il futuro, restiamo in attesa: nel frattempo, parafrasando Alexander Langer, si potrebbe soltanto aggiungere che “La nostra civiltà ha bisogno di <disarmare e di digiunare> altrimenti rompe ogni equilibrio e impedisce ogni possibile giustizia e sviluppo durevole. Il pretenzioso motto del "citius, altius, fortius" (più veloce, più alto, più forte), che contiene la quintessenza della nostra cultura della competizione, dovrà urgentemente convertirsi al più modesto, ma più vitale "lentius, profundius, suavius" (più lento, più profondo, più dolce)".

 


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1 In Gazzetta Ufficiale 14 aprile 2006, n. 88, Supplemento Ordinario n. 96.
2 Pubblicata in G.U. del 27 dicembre 2004, n. 302, Supplemento ordinario. Per un commento, v. RAMACCI, in Guida al diritto, 2005, 4, 47 e segg.; GIAMPIETRO, Testi Unici ambientali: i criteri direttivi specifici della legge-delega n. 308/2004, in www.giuristiambientali.it.
3 Ad onor del vero, la legge de qua ha previsto anche una nutrita serie di disposizioni applicabili in via diretta e immediata, come quelle relative ai rifiuti, alla c.d. «compensazione ambientale» - altresì detta «compensazione edilizia» - e agli interventi puntuali su determinate aree geografiche del nostro Paese, come l’ormai nota «Punta Perotti», nel Comune di Bari.
4 In particolare, il Capo dello Stato ha sollevato le questioni relative al parere negativo espresso dalla Conferenza Stato Regioni sulla delega ambientale e all’eventualità di un parere del Consiglio di Stato.
5 In G.U. del 29 dicembre 2005, n. 302, Supplemento ordinario.
6 Pubblicata in GUCE, serie L 143/56, del 30 aprile 2004.
7 La facoltà di intervento è riconosciuta pure alle associazioni ambientaliste, purché riconosciute ai sensi e per gli effetti dell’articolo 13 l. 349/86.
Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, valutate le richieste di intervento e le annesse osservazioni, è quindi tenuto ad informare tempestivamente i soggetti richiedenti circa i provvedimenti assunti: tuttavia, nei casi di somma urgenza, il Ministro può provvedere sul danno denunciato anche prima di aver risposto ai richiedenti.
8 Cfr., ad esempio, Corte Cost. 7.10.2003, n. 307 (in www.giurcost.org) in tema di localizzazione degli impianti emittenti onde elettromagnetiche.
In dottrina, si veda, ad esempio, FERRARA, La “materia ambiente” nel testo di riforma del Titolo V, in Osservatorio sul Federalismo. I processi di federalismo: aspetti e problemi giuridici (Milano, 30 maggio 2001), pagg. 1-7.
9 Si vedano, rispettivamente, gli artt. 304, comma 4, e 305, comma 3, del decreto, dove si statuisce che il Ministero, qualora l’operatore (soggetto pubblico o privato) non adempia agli obblighi di prevenzione o ripristino e riparazione ambientale, ha “facoltà” di adottare, esso stesso, tali misure.
10 In tali termini, BIZ, Osservazioni allo schema di decreto legislativo recante “Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente, in www.wwf.it/ambiente/dossier/leggeDelegaDecreti.pdf.
11 BIZ, Osservazioni, cit.
12 Così BIZ, Osservazioni, cit., ove anche il rilievo secondo cui “Sembra inoltre di percepire un vecchio pregiudizio secondo il quale l’ambiente va tutelato per le sue ripercussioni sulla salute umana. E’ quanto si legge […] laddove il danno ambientale viene definito come il deterioramento provocato al “terreno … che crei un rischio significativo di effetti negativi, anche indiretti, sulla salute umana …”. Ci si chiede: la contaminazione del terreno, qualora non crei rischi alla salute umana, è danno ambientale? Noi, ovviamente riteniamo di si, visto che il bene ambiente è autonomo e distinto, anche se correlato, a quello della salute umana”.
13 Così LEONI, Danno ambientale e legge delega, in www.dirittoambiente.net.
14 In argomento, GIAMPIETRO, La “minidisciplina” del danno ambientale nella legge finanziaria n. 266/2005, in www.giuristiambientali.it.
15 Si veda ANILE, Sanzioni amministrative e danno ambientale nel disegno di legge della “Finanziaria 2006”, in www.ambientediritto.it.
16 Il rinvio è agli Allegati I e II della direttiva, in tema rispettivamente di Criteri di cui all’art. 2, punto 1) lettera a) [significatività del danno ambientale] e di Misure di riparazione del danno ambientale.
17 Così ANILE, cit.
18 A questo riguardo, va detto che mentre il Testo unico ha sancito l’improcedibilità dell’azione risarcitoria, a seguito dell’adozione dell’ordinanza ministeriale (art. 315), la legge finanziaria 2006 nulla stabilisce in proposito, aprendo la via a potenziali conflitti tra il Giudice ordinario, competente ex art. 18, L. 349/86, e quello amministrativo, competente a conoscere dell’illegittimità degli atti e dei provvedimenti adottati nell’ambito del procedimento che ha condotto all’adozione dell’ordinanza ministeriale.

 

Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 2/5/2006

 

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