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Prestazioni previdenziali in favore dei superstiti
ANTONINO SGROI
Le principali prestazioni previdenziali che la previdenza pubblica assicura
ai superstiti del lavoratore o del pensionato sono la pensione di reversibilità,
la pensione privilegiata di inabilità e la rendita ai superstiti, a una
sintetica illustrazione di questi tre istituti, e nei limiti della presente
trattazione, saranno dedicate le prossime pagine.
1. La pensione di reversibilità.
La pensione di reversibilità è il beneficio previdenziale riconosciuto ai
superstiti nel caso di morte del lavoratore assicurato o pensionato
nell’assicurazione generale obbligatoria (art. 2, Regio decreto legge 14.4.1939,
n. 636, conv.to con modificazioni dalla legge 6 luglio 1939, n. 1272 e, per il
settore pubblico, il Titolo V del Testo unico delle norme sul trattamento di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato).
La legge istitutiva della succitata pensione nel settore privato (ma le medesime
osservazioni valgono anche per il settore pubblico, stante il disposto del comma
41, dell’art. 1 della legge 8.8.1995, n. 335) non opera ulteriori distinzioni,
mentre è stata la prassi a ulteriormente distinguere fra pensione di
reversibilità e pensione indiretta.
La prima è quella erogata ai superstiti dopo la morte del pensionato titolare di
pensione diretta, ovverosia radicata sulla posizione previdenziale di
lavoratore.
La seconda è quella erogata ai superstiti alla morte del lavoratore assicurato.
L’evento protetto è costituito da un fatto naturale, la morte, che sopravviene
quando si è costituita una situazione giuridica qualificata dalla norma
(maturazione dei requisiti di assicurazione e contribuzione per il conseguimento
della pensione di invalidità o vecchiaia) o per una causa (finalità di servizio
[art. 6 legge 12.6.1984, n. 222]) capace di modificare quella situazione.
Secondo quanto insegnato dalla Corte costituzionale la pensione di reversibilità
appartenente al più ampio genus delle pensioni ai superstiti, è una forma
di tutela previdenziale nella quale l’evento protetto è la morte cioè, un fatto
naturale che, secondo una presunzione legislativa, crea una situazione di
bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti (Corte
cost. 28.7.1987, n. 286).
L’evoluzione legislativa dell’istituto e la ormai compiuta equiparazione,
operata dalla cd. Riforma Dini del 1995, tra settore privato e settore pubblico,
porta a concludere che la pensione di reversibilità sia una forma di tutela
previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse
della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla
garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono
l’effettivo godimento di diritti civili e politici (art. 3, 2° comma, Cost.) con
una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un
trattamento preferenziale (art. 38, 2° comma, Cost.) rispetto alla generalità
dei cittadini (art. 38, 1° comma, Cost.).
Il diritto alla pensione di reversibilità sorto in capo ai superstiti, previa
ovviamente la verifica dell’esistenza dei requisiti legislativamente previsti, è
un diritto che spetta automaticamente per legge iure proprio, che non è
in connessione alcuna con la posizione riconosciuta ai medesimi soggetti quali
eredi del defunto, con la conseguenza pertanto che quello spetterà anche in
presenza di rinuncia all’eredità.
La pensione ai superstiti decorre dal primo giorno del mese successivo a quello
in cui è avvenuto il decesso dell’assicurato o del pensionato (art. 5 D. Lgs.
Lgt. 18.1.1945, n. 39), qualunque sia il momento della presentazione della
domanda da parte degli aventi diritto; domanda sempre necessaria e la cui
tardiva presentazione, stante l’imprescrittibilità del diritto a pensione, agirà
sulla prescrizione, quinquennale, dei ratei di pensione (art. 129, primo comma,
R. d. l. n. 1827 del 4.10.1935, convertito con modificazioni dalla legge
6.4.1936, n. 1155).
1.1. Condizioni di accesso.
L’accesso al diritto al citato beneficio pensionistico è subordinato ovviamente
alla morte del lavoratore, e al venir in essere di ulteriori condizioni che
riguardano da un verso la posizione previdenziale del lavoratore defunto e, da
altro verso, le condizioni soggettive dei superstiti.
1.1.A. La posizione previdenziale del lavoratore defunto.
Con riguardo alla posizione previdenziale del lavoratore defunto:
- se lo stesso, al momento della morte, era titolare di trattamento
pensionistico di vecchiaia, anzianità, invalidità (questo con data anteriore
all’entrata in vigore della legge 12.6.1984, n. 222) e inabilità, il diritto
alla pensione di reversibilità sorge automaticamente senza alcuna investigazione
sulla posizione previdenziale del titolare della posizione;
- se lo stesso, al momento della morte, aveva in corso la liquidazione di uno
dei trattamenti pensionistici di cui retro opera la citata regola;
- se lo stesso, al momento della morte, non era titolare di pensione, ma era
assicurato, la pensione spetta ai superstiti a condizione che fossero stati
perfezionati i requisiti contributivi per la pensione di vecchiaia o per le
prestazioni di invalidità (art. 13, primo comma, Regio decreto legge 14.4.1939,
n. 636, convertito con modificazioni dalla legge 6.7.1939, n. 1272). I requisiti
richiesti si concretizzano: a) nell’esistenza dei requisiti necessari per il
diritto alle prestazioni di invalidità, cioè cinque anni dall’inizio
dell’assicurazione e cinque anni di contribuzione, di cui tre nell’ultimo
quinquennio; b) nell’esistenza dei requisiti di accesso (si noti che si
preterisce ovviamente in tal caso dal requisito anagrafico) alla pensione di
vecchiaia previsti dalla legislazione vigente al 31 dicembre 1992 e cioè 15 anni
di assicurazione e di contribuzione (ex art. 2, primo comma, del decreto
legislativo 30.12.1992, n. 503, che fa salvi i requisiti richiesti dalla
previgente normativa per le pensioni ai superstiti).
Con riguardo ai superstiti di soggetto titolare di assegno ordinario di
invalidità, costoro, non essendo il citato assegno reversibile, sono considerati
superstiti di lavoratore assicurato e per il riconoscimento della pensione di
reversibilità, con riguardo al versante contributivo, si contabilizzano i
periodi di godimento da parte del lavoratore assicurato dell’assegno ordinario
di invalidità, durante i quali non sia stata prestata attività lavorativa.
Infine il sistema disciplina l’ipotesi che i superstiti non possano fruire del
trattamento pensionistico di reversibilità perché il lavoratore defunto, non
aveva, al momento della morte, perfezionato i requisiti contributivi dianzi
sommariamente delineati.
L’ipotesi, a sua volta, si deve suddividere in due ulteriori sub-ipotesi, a
seconda che il lavoratore defunto rientri o meno, integralmente, nella riforma
delle pensioni dettata dalla legge 8.8.1995, n. 335, essendo la sua una
posizione previdenziale di tipo contributivo.
Nel caso di lavoratore non soggetto alla disciplina della legge n. 335/1995
opera la precedente disciplina, in forza della quale al coniuge spetta una
indennità pari a 45 volte l’ammontare dei contributi versati, e in ogni caso
l’indennità non può essere inferiore a L. 43.200 (ora Euro 22.31) né superiore a
L. 129.600 (ora Euro 66.93), sempreché nel quinquennio precedente la morte
risulti versato o accreditato almeno un quindicesimo dei contributi indicati al
n. 1) del primo comma dell’art. 9 del Regio decreto legge n. 636/1939 (art. 13,
commi primo e secondo, Regio decreto legge n. 636/1939).
Nella successiva ipotesi ai superstiti, che non abbiano diritto a rendite per
infortunio sul lavoro o malattia professionale in conseguenza della morte del
lavoratore assicurato e che si trovino nelle condizioni reddituali previste dal
sesto comma dell’art. 3 della medesima legge per l’attribuzione dell’assegno
sociale, è riconosciuta una indennità una tantum pari all’ammontare
dell’assegno sociale moltiplicato per il numero delle annualità di contribuzione
accreditata a favore del lavoratore assicurato (art. 1, comma ventesimo, secondo
periodo, legge n. 335/1995, ma si veda anche il D.M. 13.1.2003).
Da ultimo è opportuno far menzione di un’ipotesi peculiare di riconoscimento
pensione reversibilità che incide sul quantum dell’importo dovuto, si
tratta della pensione erogata in favore dei superstiti (si osservi che la legge
specificamente annovera in questa categoria solo le vedove e gli orfani [ex art.
2, primo comma], implicitamente escludendo dal suo ambito di efficacia le altre
categorie di soggetti possibili beneficiari della pensione di reversibilità, fra
cui l’ex coniuge) in caso di morte della vittima a causa di atti di
terrorismo e di stragi di tali matrice (art. 4, terzo comma, legge 3.8.2004, n.
206).
In questa ipotesi la determinazione del beneficio previdenziale dovuto in favore
dei superstiti avviene, fatti salvi i trattamenti pensionistici di maggior
favore (art. 2, u. c.), secondo i criteri dettati dall’art. 2 della legge
24.5.1970, n. 336.
Disposizione questa che prevede l’attribuzione di aumenti periodici, per ogni
anno o frazione superiore a sei mesi, di stipendio.
1.1.A.a. L’assenza del lavoratore assicurato.
L’ipotesi generale per il riconoscimento del beneficio in questione è
rappresentata dalla morte, o dalla dichiarazione di morte presunta, del
lavoratore assicurato ma, il diritto alla pensione di reversibilità può sorgere
anche nell’ipotesi di assenza del lavoratore assicurato, allorquando lo stesso,
al momento dell’assenza, sia titolare di una pensione (si v. Cass. 5.11.1988, n.
5988).
Problemi attengono, una volta riconosciuto tale beneficio:
- alla sorte dei ratei di pensione di reversibilità erogati a seguito della
dichiarazione di morte presunta di un lavoratore assicurato di cui,
successivamente e in via giudiziale sia stata data la prova dell’esistenza in
vita;
- all’individuazione del dies a quo dal quale il lavoratore ha diritto a
vedersi ripristinata la pensione di cui godeva.
Con riguardo all’assicurato (dichiarato <<morto-presunto>>) e del quale, poi è
stata (giudizialmente) provata l’esistenza, (egli) ha l’incontestabile diritto
di ottenere il ripristino del trattamento pensionistico di cui era in vita
titolare, con la decorrenza pretesa, a norma dell’art. 66, comma 2° c. c.,
secondo cui – il soggetto ha <<diritto di pretendere l’adempimento delle
obbligazioni considerate estinte, ai sensi del secondo comma dell’art. 63…>>.
Con riguardo al coniuge che ha percepito ratei della pensione di reversibilità,
l’Inps, nei suoi confronti, potrà recuperare le somme erogate stante la loro
indebita erogazione.
1.1.B. Condizioni soggettive attinenti ai superstiti.
Il trattamento pensionistico di reversibilità è riconosciuto:
- al coniuge (art. 13, primo comma, Regio decreto legge 14.4.1939, n. 636,
conv.to con modificazioni dalla legge 6 luglio 1939, n. 1272);
- ai figli superstiti (comprendendosi in questa categoria i figli legittimi,
legittimati e naturali, ed equiparandosi a questi i figli adottivi, gli
affiliati, i minori affidati ex art. 404 cod. civ., i figli naturali o nati da
precedente matrimonio del coniuge dell’assicurato o del pensionato [art. 2, u.
c., decreto legislativo luogotenenziale 18.1.1945, n. 39]) che, al momento della
morte del pensionato o dell’assicurato, non abbiano superato l’età di 18 anni e
ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore
al momento del decesso di questi (art. 13, primo e terzo comma, Regio decreto
legge 14.4.1939, n. 636, conv.to con modificazioni dalla legge 6 luglio 1939, n.
1272);
- ai genitori superstiti di età superiore ai 65 anni (a costoro sono equiparati
gli adottanti, gli affiliati, il patrigno e la matrigna, nonché le persone alle
quali l’assicurato fu affidato [art. 38, secondo comma, d.P.R. 26.4.1957, n.
818]) che non siano titolari di pensione e alla data della morte dell’assicurato
o del pensionato risultino a suo carico, qualora non vi siano né coniuge né
figli superstiti oppure, esistendo, non abbiano titolo alla pensione di
reversibilità (art. 13, sesto comma, primo periodo, Regio decreto legge
14.4.1939, n. 636, conv.to con modificazioni dalla legge 6 luglio 1939, n.
1272);
- ai fratelli celibi e alle sorelle nubili superstiti che non siano titolari di
pensione, sempreché al momento della morte del dante causa risultino
permanentemente inabili al lavoro e a suo carico (v., con riguardo a quest’ultimo
requisito, art. 40 d.P.R. n. 818 del 26.4.1957), qualora non vi siano né
coniugi, né figli superstiti né genitori oppure, esistendo, non abbiano diritto
al trattamento pensionistico di reversibilità (art. 13, sesto comma, secondo
periodo, Regio decreto legge 14.4.1939, n. 636, conv.to con modificazioni dalla
legge 6 luglio 1939, n. 1272).
Le prime due categorie di soggetti, coniuge e figli, se entrambi esistenti,
concorrono fra loro nel riconoscimento e nella fruizione della pensione; le
ultime due categorie di possibili beneficiari sono alternative fra loro, se
esistono e possono fruire del beneficio i genitori non potranno fruirne i
fratelli e sorelle celibi del defunto, costoro rappresentano l’ultima e residua
categoria di possibili beneficiari del trattamento pensionistico.
Le ultime due categorie di possibili destinatari della pensione, secondo quanto
legislativamente previsto, devono essere a carico del defunto e tale situazione
ricorre allorquando l’assicurato o il pensionato, prima del decesso, provvedeva
al loro sostentamento in maniera continuativa.
La Corte di cassazione, con costante orientamento, ritiene che il presupposto di
fatto della vivenza a carico del titolare della pensione – previsto per il
riconoscimento del diritto del superstite alla pensione di reversibilità – non
implica necessariamente che il mantenimento di quest’ultimo sia stato
esclusivamente a carico del titolare medesimo, essendo sufficiente che il
secondo abbia integrato il reddito del primo, perché inidoneo a garantire il suo
sostentamento; con l’ulteriore specificazione, che, nell’ipotesi di convivenza
dei due soggetti, occorre accertare in concreto se l’apporto economico del
titolare della pensione abbia avuto carattere prevalente e decisivo per il
mantenimento del superstite (Cass. 7.2.2005, n. 2371), né si aggiunga la vivenza
a carico comporta indissolubilmente lo stato di convivenza (in questi termini,
da ultimo: Cass. 1.6.2005, n. 11689).
1.1.B.a. Il coniuge superstite.
Con riguardo al coniuge superstite e al nascere del suo diritto a godere della
pensione di reversibilità la Corte costituzionale ha espunto dal micro-sistema
previdenziale regole che ancoravano il riconoscimento del citato beneficio
all’esistenza di requisiti ulteriori quali, fra l’altro, quelli fissati
dall’art. 1, primo comma, n. 2 del decreto legislativo luogotenenziale 18
gennaio 1945, n. 39.
Disposizione in forza della quale non aveva diritto alla pensione di
reversibilità il coniuge quando, dopo la decorrenza della pensione, il
pensionato avesse contratto matrimonio in età superiore a 72 anni ed il
matrimonio fosse durato meno di due anni.
Siffatta preclusione di accesso veniva meno quando fosse nata prole anche
postuma o il decesso fosse avvenuto per causa di infortunio sul lavoro, di
malattia professionale o per causa di servizio, nonché per i matrimoni celebrati
successivamente alla sentenza di scioglimento del precedente matrimonio di uno
dei due coniugi pronunciata a norma della legge 1.12.1970, n. 898, ma non oltre
il 31.12.1975 (art. 1, secondo comma, del decreto legislativo luogotenenziale 18
gennaio 1945, n. 39).
Il giudice delle legge è intervenuto con riguardo ai pensionati dello Stato, si
tratta della sentenza del 16.2.1990, n. 123; ma ancor prima Corte cost. n. 3 del
1975 e, da ultimo, Corte cost. 13.6.2000, n. 187.
Mentre l’intervento demolitorio del giudice delle leggi con riguardo
all’assicurazione generale obbligatoria si è avuto con la sentenza del 2.5.1991,
n. 189.
Con riguardo al coniuge superstite di sesso maschile si riconosceva il suo
diritto alla pensione di reversibilità solo nel caso che esso fosse stato
riconosciuto invalido al lavoro ( art. 13, 5° comma, Regio decreto legge
14.4.1939, n. 636, conv.to con modificazioni in legge 6.7.1939, n. 1272) e tale
regola restava valida ed efficace nonostante il disposto dell’art. 11, primo
comma, della legge 9.12.1977, n. 903, in forza del quale “Le prestazioni ai
superstiti, erogate dall’assicurazione generale obbligatoria, per l’invalidità,
la vecchiaia e i superstiti, gestita dal Fondo pensioni per i lavoratori
dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste per la moglie
dell’assicurato o del pensionato, al marito dell’assicurata o della pensionata
deceduta posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.”
Il giudice delle leggi, con la sentenza del 30.1.1980, n. 6, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale del citato comma quinto dell’art. 13, nella parte
in cui stabilisce che se superstite è il marito la pensione è corrisposta solo
nel caso che costui sia riconosciuto invalido al lavoro, e del primo comma
dell’art. 11 legge ultima citata limitatamente all’espressione deceduta
posteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge.
Il diritto a fruire della pensione di reversibilità cessa quando il coniuge
contragga matrimonio ma, in tal caso, al coniuge spetta un assegno pari a due
annualità della pensione stessa, escluse le quote integrative a carico dello
Stato (art. 3, Decreto legislativo luogotenenziale 18.1.1945, n. 39).
Resta allo stato irrisolta la questione della ripetibilità o meno dell’assegno,
pari alle due annualità di pensione, erogato al momento della cessazione del
diritto alla pensione di reversibilità.
1.1.B.a.x. Il coniuge superstite separato.
Il legislatore disconosceva il trattamento di reversibilità in capo al coniuge
superstite quando fosse passata in giudicato la sentenza di separazione
personale per sua colpa (art. 1, primo comma, n. 1, Decreto legislativo
luogotenenziale, 18.1.1945, n. 39).
Dopo la riforma del diritto di famiglia la separazione per colpa è stata
sostituita dalla separazione con addebito di responsabilità, addebito dal quale
scaturiva la medesima preclusione di accesso alla pensione di reversibilità.
La Corte costituzionale è intervenuta con la sentenza n. 286 del 28.7.1987,
dichiarando l’illegittimità costituzionale della disposizione.
Sul problema, successivamente alla sentenza della Corte costituzionale, ha avuto
occasione di pronunciarsi la Corte di cassazione.
In una delle ultime decisioni, che constano essere state emanate, la sentenza
dell’8.2.2005, n. 2445, la Suprema Corte, ricollegandosi a un precedente della
medesima Corte, la sentenza n. 15516 del 16.10.2003 e a quanto affermato dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 286 del 28.7.1987, ha confermato la
decisione della Corte di Appello di Torino, si trattava della sentenza n. 894
del 22.10.2001.
Sentenza questa che aveva riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità
al coniuge superstite, ancorché separato con addebito e non fruente
antecedentemente del diritto agli alimenti, dovendo equipararsi il coniuge
separato per colpa a quello separato senza colpa e anche al coniuge non
separato.
Siffatta opzione ricostruttiva trova il suo fondamento nell’argomentare che il
Supremo Collegio ha compiuto nella citata sentenza n. 15516 del 16.10.2003.
La Corte di cassazione, dalla lettura da se stessa compiuta delle due note
sentenze della Corte costituzionale la n. 14 del 15.2.1980 e la n. 286 del
28.7.1987, trae la conseguenza che in esse nucleo essenziale della motivazione è
che non è più giustificabile, dopo la riforma dell’istituto della separazione
personale introdotta dal novellato art. 151, il diniego al coniuge, cui è stata
addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di
sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli, ed
inoltre che sussiste disparità di trattamento rispetto al coniuge del divorziato
al quale la pensione di reversibilità è corrisposta quando sia titolare
dell’assegno di divorzio, oltre che rispetto al regime della reversibilità
operante per il coniuge del dipendente statale separato per colpa.
La Corte, dalla espunzione delle norme sottoposte al vaglio di legittimità
costituzionale, conclude che la situazione del coniuge separato per colpa, o al
quale la separazione sia stata addebitata, è equiparata in tutto e per tutto al
coniuge superstite (separato o non) ai fini della pensione di reversibilità, che
gli spetta a norma dell’art. 13 del Regio decreto legge 14 aprile 1939, n. 636,
nel testo sostituito dall’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903.
L’opzione ermeneutica opposta, secondo la quale il coniuge separato ha diritto a
percepire la pensione di reversibilità a condizione che sussista in suo favore
il diritto agli alimenti che presuppongono uno stato di bisogno, risulta essere
stata fatta propria sempre dal Supremo Collegio, da ultimo, nella decisione resa
il 18.6.2004, la n. 11428.
1.2. Il procedimento per il riconoscimento della quota di pensione di
reversibilità.
L’ex coniuge che promuove procedimento giudiziario per il riconoscimento
del suo diritto alla pensione di reversibilità può avvalersi del foro del luogo
in cui l’obbligazione deve essere adempiuta, ossia del luogo in cui l’ente
erogatore ha la propria sede (Cass. 14.1.2004, n. 336).
Il procedimento giudiziario vede quali parti necessarie non solo il coniuge e
l’ex coniuge ma altresì l’ente previdenziale che deve provvedere all’erogazione
della prestazione pensionistica (Cass. 18.7.2005, n. 15111).
Con riguardo al profilo probatorio, la Suprema Corte ha affermato che quanto
alla mancata allegazione dell’atto notorio dal quale risultino tutti gli aventi
diritto, va osservato che dalla stessa formulazione dell’art. 9 ultimo comma,
della legge n. 898 del 1970 (nel testo risultante a seguito dell’art. 13 della
legge 74/87) emerge chiaramente che dalla mancata produzione di tale documento
non possa derivare né l’inammissibilità e/o improponibilità della domanda, né il
suo rigetto: come è stato rilevato in dottrina, la norma, stabilendo che <<in
ogni caso, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica la tutela, nei
confronti dei beneficiari, degli aventi diritto pretermessi, salva comunque
l’applicabilità delle sanzioni penali per le dichiarazioni mendaci>>,
evidentemente non considera l’atto notorio alla stregua di un presupposto
processuale o di una condizione dell’azione, dal momento che la pronuncia di
accoglimento della domanda fa comunque salvi i diritti di altri eventuali
soggetti. Ciò sta a significare che dalla mancata allegazione dell’atto notorio
consegue il solo effetto che il richiedente dichiara implicitamente di essere
l’unico avente diritto all’attribuzione di una quota della pensione di
reversibilità, assumendosi la relativa responsabilità nel caso di dichiarazione
non rispondente al vero, al pari di quanto avviene nell’ipotesi in cui nell’atto
notorio non siano indicati tutti gli aventi diritto, ma solo alcuni di essi
(Cass. 20.5.1999, n. 4902).
Qualora non si discuta di concorso fra ex coniuge e coniuge superstite
nell’individuazione della quota di pensione di reversibilità di pertinenza di
entrambi, ma si verta del diritto alla pensione di reversibilità, nella sua
interezza, dell’ex coniuge si tratterà di un procedimento di previdenza
di competenza del giudice del lavoro, se il defunto era assicurato o pensionato
presso l’Inps o presso altro ente di previdenza che assicuri rapporti di lavoro
privato.
Di converso sarà competente la Corte dei conti allorché si tratti di un rapporto
di pubblico impiego.
Ma in entrambe le ipotesi prospettate, nell’ipotesi che sorga questione
attinente alla titolarità dell’assegno di divorzio, sarà competente il tribunale
(Cass. 4.10.1984, n. 4912).
2. La pensione di reversibilità nel diritto comunitario.
Prima di passare all’esame della posizione fatta nel micro-sistema previdenziale
al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di
cessazione degli effetti civili del matrimonio, con riguardo al riconoscimento
della pensione di reversibilità è opportuno soffermarsi sulla disciplina
rinvenibile sull’argomento in ambito comunitario, precisando sin da ora che la
nozione di retribuzione ex art. 119 del Trattato CE (divenuto, in seguito a
modifica, art. 141 CE) comprende il regime pensionistico aziendale, costituendo
le prestazioni corrisposte ai dipendenti in base al regime (previdenziale)
controverso un vantaggio pagato al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo
(Corte Giust. 13.5.1986, procedimento C-170/84).
Tale divisione, fra regime previdenziale legale e regime previdenziale
aziendale, comporta che le decisioni in materia di pensione riguardano la sola
previdenza complementare, quella affidata nei diritti degli Stati componenti la
Comunità alla libertà delle parti sociali.
La Corte di Giustizia, a quel che consta, si è interessata per la prima volta
della pensione di reversibilità erogata da un sistema di previdenza
complementare, con la decisione del 6.10.1993 (procedimento C-109/91) ritenendo
che la stessa rientrasse nella sfera di applicazione dell’art. 119 del Trattato,
senza che questa interpretazione è infirmata dalla circostanza che la pensione
di reversibilità, per definizione, non è corrisposta al lavoratore, ma al
coniuge superstite. Va rilevato, infatti che il diritto ad una tale prestazione
è un vantaggio che trae origine dall’affiliazione al regime del coniuge
superstite, per modo che la pensione spetta a quest’ultimo nell’ambito del
rapporto di lavoro tra il datore di lavoro e il suddetto coniuge e gli è
corrisposta in conseguenza dell’attività lavorativa svolta da quest’ultimo,
pertanto il coniuge superstite del lavoratore defunto può far valere l’art. 119
del Trattato CE per far riconoscere il principio e la portata del suo diritto al
versamento di una pensione di reversibilità.
La stessa Corte, affrontando il problema del riconoscimento della pensione di
reversibilità all’interno di un fondo di previdenza integrativo (si tratta della
sentenza 9.10.2001, procedimento C-379/99), ha concluso che l’art. 119 del
Trattato CE (gli artt, 117 – 120 del Trattato CE sono stati sostituiti dagli
artt. 136 CE – 143 CE) deve essere interpretato nel senso che enti quali le
casse mutue per le pensioni di diritto tedesco (<<PensionsKassen>>), incaricate
di erogare prestazioni di un regime pensionistico aziendale, sono tenuti a
garantire la parità di trattamento tra uomini e donne, anche se i lavoratori
vittime di una discriminazione basata sul sesso hanno nei confronti dei loro
debitori principali, vale a dire i datori di lavoro in quanto parti di contratti
di lavoro, un diritto protetto in caso di insolvenza, che esclude qualsiasi
discriminazione.
3. L’ex coniuge.
Il legislatore ha ritenuto di dovere apprestare una forma di tutela nei
confronti del soggetto che, al momento della morte del lavoratore o del
pensionato, non può vantare la posizione di coniuge dello stesso o perché il
matrimonio canonico con rilevanza civile è stato annullato dall’autorità
ecclesiastica e tale annullamento e stato poi recepito nel nostro ordinamento
con le note forme della delibazione, o perché il matrimonio è stato sciolto.
In entrambi i casi la legge n. 898 dell’1.12.1970 riconosce la possibilità di
fruire in toto vel pro quota della pensione di reversibilità e degli
altri assegni, allorquando vi sia concorrenza nel diritto fra ex coniuge e
coniuge superstite.
L’espressione “altri assegni”, nel contesto del riferito articolato normativo,
esprime l’intenzione del legislatore di equiparare alle ipotesi tipizzate
(pensioni di reversibilità) gli altri emolumenti al cui accantonamento, in
favore del lavoratore, ha parimenti contribuito l’ex coniuge in costanza di
matrimonio e individua ogni attribuzione anche solo in senso lato previdenziale,
spettante al superstite in dipendenza della morte del proprio ex coniuge.
Il diritto in questione sorge, in caso di morte dell’ex coniuge:
- se il rapporto di lavoro, da cui trae origine il trattamento pensionistico da
erogare, sia anteriore alla sentenza con la quale si è proceduto alla
delibazione della sentenza di nullità matrimoniale dell’autorità ecclesiastica o
alla sentenza di scioglimento del matrimonio;
- se il possibile titolare del trattamento pensionistico sia titolare
dell’assegno alimentare previsto e disciplinato dall’art. 5 del medesimo testo
legislativo, assegno che è concesso dal tribunale “…tenuto conto delle
condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale
ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del
patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati
tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio… quando
(il coniuge beneficiario) non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli
per ragioni oggettive.” (sesto comma) ;
- se, infine, il richiedente la prestazione non sia passato a nuove nozze.
Sulla contestuale esistenza dei suddetti requisiti si è pronunciata la
Cassazione affermando che in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti
per la pensione di reversibilità questa, ai sensi dell’art. 9, comma 2, L. n.
898/70, spetta interamente al coniuge divorziato, titolare di un autonomo
diritto di natura previdenziale, a condizione che lo stesso non sia passato a
nuove nozze, sia titolare di assegno di divorzio e che il rapporto di lavoro da
cui deriva il trattamento pensionistico sia sorto anteriormente al divorzio
(Cass. 28.11.2003, n. 18220).
Una volta riscontrata la positiva esistenza dei requisiti dinanzi delineati:
a) se il richiedente la pensione di reversibilità non concorre con il coniuge
superstite avente i requisiti per la pensione in questione, egli avrà diritto
all’intero importo della pensione di reversibilità spettante al coniuge (è
opportuno rammentare che l’importo della pensione di reversibilità da erogare
corrisponde a una quota percentuale della pensione percepita dal pensionato
defunto o della pensione che sarebbe stata percepita dal lavoratore defunto, in
particolare al coniuge superstite spetta il 60%, tenendo conto che il successivo
quarto comma dell’art. 9 si preoccupa di affermare che restano fermi, nei limiti
stabiliti dalla legislazione vigente, i diritti spettanti a figli, genitori o
collaterali in merito al trattamento di reversibilità);
b) se, all’opposto, il trattamento pensionistico di reversibilità spetta al
coniuge superstite che ha i requisiti per fruirla, all’ex coniuge è
riconosciuta dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto ormai
sciolto o ritenuto non più esistente ab origine, una quota variabile di
quella quota, del 60%, assegnata dall’ordinamento al coniuge superstite;
c) se il diritto in questione può essere riconosciuto a più ex coniugi, sempre
il tribunale provvederà a ripartire fra tutti loro la quota di pensione di
pertinenza del coniuge superstite e se, nel corso della fruizione della
pensione, qualcuno dei beneficiari verrà meno o contrarrà nuove nozze, sarà
sempre l’organo giudiziario a provvedere a una nuova assegnazione fra gli aventi
diritto della quota di pensione di reversibilità di pertinenza del coniuge
superstite.
4. La pensione privilegiata di inabilità.
Il riconoscimento di una pensione privilegiata indiretta di inabilità, è
esclusivamente riconosciuto in favore dei superstiti dei lavoratori iscritti
all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità la vecchiaia e i
superstiti dei lavoratori dipendenti (art. 6, secondo comma, legge 12.6.1984, n.
222), con esclusione pertanto, in via generale, dalla platea dei beneficiari di
tutti quei superstiti di lavoratori iscritti alle gestioni speciali dei
lavoratori autonomi, nonché di lavoratori iscritti a regimi esonerativi ed
esclusivi della precitata assicurazione.
La categoria dei superstiti, possibili beneficiari, è individuata con il rinvio
all’art. 22 della legge 21.7.1965, n. 903 (articolo che, come noto, ha
sostituito l’art. 13, primo comma, della legge 4.4.1952, n. 218), che menziona
il coniuge, i figli superstiti, i genitori superstiti di età superiore a 65
anni, i fratelli celibi e le sorelle nubili superstiti.
La pensione privilegiata indiretta di inabilità ai citati soggetti è
riconosciuta solo previa verifica di esistenza dei seguenti requisiti:
- il primo riguardante il defunto, la morte dell’iscritto deve risultare in
rapporto causale diretto con finalità di servizio;
- il secondo riguardante i beneficiari della prestazione, in forza del quale a
costoro, dalla morte dell’iscritto, non deve essere riconosciuto il diritto a
rendita a carico dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, o il diritto a trattamenti a carattere continuativo di
natura previdenziale o assistenziale a carico dello Stato o di altri enti
pubblici.
5. La rendita ai superstiti.
Ulteriore beneficio ai superstiti è riconosciuto dal testo unico che disciplina
l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali (d.P.R. 30.6.1965, n. 1124).
Il legislatore prevede, se dall’infortunio del lavoratore consegua la morte del
medesimo, la nascita in favore dei superstiti di una rendita.
La categoria dei beneficiari è costituita, come dalla stessa norma previsto
(art. 85, primo comma):
- dal coniuge superstite fino alla morte o a nuovo matrimonio;
- dal figlio legittimo, naturale, riconosciuto o riconoscibile, e adottivo, fino
al raggiungimento del 18° anno di età (art. 85, commi 1° e 5°);
- in mancanza di coniuge e figlio: a) dagli ascendenti e dai genitori adottanti
se viventi e a carico del defunto e fino alla loro morte, b) dai fratelli e
dalle sorelle se conviventi con il lavorato infortunato e a suo carico, nei
limiti e nelle condizioni stabiliti per i figli (art. 85, primo comma, nn. 3 e
4).
Il coniuge superstite ha diritto al 50% dell’importo della rendita e, se
successivamente passato a nuove nozze, a tre annualità della rendita, ovviamente
nella misura a lui spettante. A questo beneficio si somma, esclusivamente in
favore del coniuge superstite (e solo in sua assenza erogabile ad altre
specifiche e individuate categorie di beneficiari), il diritto alla
corresponsione una volta tanto di un assegno di lire un milione, ora Euro
516,45.
Il diritto alla rendita, al pari del diritto alla pensione di reversibilità,
compete ai superstiti iure proprio e non iure successionis, con la
conseguenza che sono irrilevanti le particolarità, ovvero le speciali modalità
delle prestazioni per infortunio attribuite in vita all’assicurato, di talché la
circostanza che a quest’ultimo fosse stata liquidata la prestazione in capitale
da parte della allora esistente cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e
vecchiaia non vale ad escludere il diritto dei superstiti alla rendita ai sensi
del citato art. 85 (Cass. 29.5.1999, n. 5289).
La Corte di cassazione ha escluso il sorgere del diritto alla rendita in
questione nell’ipotesi di dichiarazione di assenza del titolare di rendita di
inabilità a carico INAIL e ciò perché la fattispecie costitutiva del diritto
alla rendita ai superstiti risulta integrata non solo dalla morte del titolare
della rendita, ma anche dal nesso di causalità tra l’infortunio sul lavoro o la
tecnopatia e la morte (Cass. 3.8.2005, n. 16283).
Il diritto alla rendita in favore dei superstiti è soggetto alla prescrizione
triennale prevista dall’art. 122 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, decorrente
dal giorno della morte dell’assicurato. Né, tenuto conto delle diversità
esistenti tra il suddetto termine e quello di decadenza (sottolineate anche
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 14 del 1994), appare ipotizzabile
alcuna violazione del principio di uguaglianza in riferimento alla suddetta
decorrenza e, in particolare, alla sua non coincidenza con quello della
comunicazione che l’INAIL è tenuto ad inviare ai familiari dell’assicurato da
cui decorre il termine in questione (Cass. 8.4.2002, n. 4997).
Si ricordi sul punto che la Corte costituzionale, con la sentenza 3 febbraio
1994, n. 14, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 122 del
d.P.R. 30.6.1965, n. 1124 nella parte in cui non prevede che l’Inail, nel caso
di decesso dell’assicurato, debba avvertire i superstiti della loro facoltà di
proporre domanda per la rendita nella misura e nei termini previsti dall’art. 85
nel termine decadenziale di novanta giorni decorrenti dalla data dell’avvenuta
comunicazione, con la conseguenza che la domanda del congiunto superstite di
assicurato già titolare di rendita di inabilità non può essere respinta sul
rilievo della intervenuta decadenza per essere decorso il detto termine,
trovando la menzionata pronunzia di incostituzionalità applicazione nei casi di
rapporti solo apparentemente esauriti, nei quali cioè il giudizio sull’avvenuto
esaurimento dipende proprio dalla norma dichiarata costituzionalmente
illegittima, senza che a ciò sia d’ostacolo il carattere cosiddetto <<additivo>>
di detta pronuncia (Cass. 13.8.1997, n. 7577).
Con riguardo, da ultimo, al profilo processuale si è ritenuto da parte del
Collegio della legittimità che la controversia instaurata nei confronti
dell’INAIL dai superstiti del lavoratore deceduto per infortunio sul lavoro
(nella specie, il coniuge ed i figli), per la corresponsione della rendita di
cui all’art. 85 del d.P.R. 30.6.1965, n. 1124, non dà luogo a litisconsorzio
necessario, qualora essi agiscano sulla base di un diritto autonomo, a ciascuno
spettante in virtù di detta norma (Cass. 26.11.2002, n. 16702).
Il legislatore con l’art. 73 della legge 23.12.2000, n, 388 ha previsto che a
decorrere dal 1° luglio 2001, il divieto di cumulo fra pensioni di reversibilità
(lo stesso divieto operava anche per le pensioni di inabilità e per l’assegno
ordinario di invalidità) a carico dell’assicurazione generale obbligatoria
liquidate in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale con
la rendita vitalizia liquidata per lo stesso evento invalidante cessi.
I profili problematici che in argomento risultano essere stati affrontati dalla
Suprema Corte attengono al riconoscimento del beneficio in favore del coniuge
separato e dell’ex coniuge.
Con riguardo al coniuge separato la giurisprudenza ha ritenuto che in caso di
infortunio sul lavoro che abbia determinato la morte del lavoratore, il coniuge
superstite, anche se legalmente separato, ha diritto ad una quota della rendita,
a norma dell’art. 85 t. u. in materia di assicurazione contro tali infortuni (d.P.R.
30 giugno 1965 n. 1124), a prescindere dalla titolarità del diritto ad un
assegno di mantenimento, data l’inequivoca portata dell’articolo citato, nel
nuovo testo di cui all’art. 7 l. 10 maggio 1982 n. 251, nel quale è stata
eliminata la condizione ostativa della pronuncia della separazione per colpa del
coniuge superstite (che, successivamente alla riforma del diritto di famiglia
del 1975 doveva essere riferita alla separazione con addebito) e non è stato
introdotto alcun requisito relativo al diritto dello stesso coniuge ad assegni
di mantenimento, in caso di separazione legale (Cass. 23.8.2000, n. 11025).
Il vero punctum dolens, allo stato, è rappresentato dal disconoscimento,
operato dalla giurisprudenza, del diritto da parte dell’ex coniuge a
fruire della citata rendita.
La Suprema Corte infatti, pur prendendo atto che gli assegni al coniuge
divorziato di cui all’art. 9 l. n. 898/70 hanno natura previdenziale, osserva
che è altrettanto vero che, nel caso di riconoscimento del diritto alla rendita
Inail, anche con riferimento a quanto testualmente previsto dall’art. 85 d.P.R.
n. 1124/65, si verte in tema di assegno erogato dall’Inail per infortunio sul
lavoro avente ovviamente natura risarcitoria (e non previdenziale); ne consegue
che il coniuge divorziato, non qualificabile erede, non ha alcuna legittimazione
sostanziale alla richiesta, a titolo di reversibilità, di quota del relativo
importo risarcitorio, corrisposto al coniuge superstite (e ad eventuali altri
eredi) mortis causa (Cass., 24.11.1999, n. 13044), tale soluzione rimane
ferma anche nei confronti dell’ex coniuge a seguito di cessazione degli
effetti civili del matrimonio canonico trascritto.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 2/1/2006