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PROJECT FINANCING: POTERE DI ANNULLAMENTO D’UFFICIO DELLA P.A. E ASPETTATIVA DEL POMOTORE.

 

 

GERARDO GUZZO*

 

 


1. Premessa. 2. L’art. 21-nonies della legge n. 241/1990. 3. La sentenza del T.a.r. Campania - Napoli, I sezione, n. 6431, del 2 novembre 2006. 4. La sentenza del Consiglio di Stato, IV sezione, del 31 ottobre 2006, n. 6456. 5. Le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di giustizia nella causa C-412/04. 6. Considerazioni finali.



1. Premessa.


La legge quadro sul procedimento amministrativo, com’è noto, ha subito nel corso della passata stagione riformista delle sostanziali modifiche che ne hanno sensibilmente cambiato architettura e contenuti. In particolare, la nuova versione della legge n. 241/90, quale risulta dagli innesti compiuti nel 2005 dalle leggi n. 15 e n. 80, si apprezza per un condivisibile potenziamento delle garanzie partecipative, inteso a equilibrare il rapporto tra P.A. e cittadino. In questa direzione si muovono le integrazioni contenute nell’intero Capo III e le norme costituenti il successivo Capo IV - bis, dedicato alla “efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso”. Il messaggio giuridico che attraversa le disposizioni dell’articolato in parola, per quanto chiaro, non sembra, tuttavia, essere stato colto appieno dai magistrati del Tar Campania, sezione di Napoli, i quali, con una “pericolosa” sentenza, resa in tema di project financing, rubricata n. 6431, risalente allo scorso 2 novembre 2006, hanno sistematicamente disatteso il portato dell’art. 21-nonies, annullando, ben tredici mesi dopo l’affidamento, la concessione di opere pubbliche aggiudicata al promotore. Si tratta di una decisione che evidenzia lo scarso peso riconosciuto dai giudici napoletani all’aspettativa creata nel promoter/concessionario, la cui posizione in materia di finanza di progetto, secondo il Tribunale campano, non sarebbe assimilabile a quella di un’impresa che ha vinto una gara ad evidenza pubblica. Il caso segnalato, dunque, pone sul tappeto il problema della tutela del privato nei confronti della P.A. e, più in particolare, quello della tutela del promotore, una volta divenuto concessionario, nei confronti della discrezionalità amministrativa che attraversa l’esercizio del potere di autotutela della stazione appaltante. In sostanza, il nodo gordiano da sciogliere è quello della definizione dell’ampiezza e dell’estensione longitudinale della potestà di annullamento d’ufficio che l’art. 21-nonies riserva alla P.A., in uno alla cristallizzazione del concetto di termine ragionevole entro il quale tale potere può essere esercitato. Lo spinoso problema verrà affrontato con specifico riferimento proprio alle procedure di affidamento di concessione di opere pubbliche, mediante l’impiego della tecnica del project financing, tenendo in debita considerazione sia una interessante sentenza del Consiglio di Stato, IV sezione, n. 6456, del 31 ottobre 2006, in materia di annullamento in sede di autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva di un appalto, che le conclusioni da poco depositate dall’Avvocato generale della Corte di giustizia nella causa C-412/04, promossa dalla Commissione europea contro lo Stato italiano, avente ad oggetto la verifica della tenuta comunitaria della legge Merloni - quater (L. 166/02), limitando l’analisi, in questo caso, alla sola trattazione della finanza di progetto.



2. L’art. 21 - nonies della legge n. 241 del 1990.


L’art. 21 - nonies1 , collocato all’interno del Capo IV - bis della legge n. 241 del 1990, dedicato all’inefficacia e invalidità degli atti, è stato introdotto dalla legge n. 15/05. La rubrica dell’articolo in parola svela la ferma intenzione del legislatore di codificare l’istituto dell’annullamento d’ufficio, da sempre oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza amministrativa, nel tentativo di “stabilizzare” i rapporti tra amministrazione e cittadino. La struttura della norma evidenzia come la P.A., una volta riscontrato il vizio di incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge di un provvedimento amministrativo, sia tenuta a compiere una valutazione piuttosto stringente dell’interesse privato che verrebbe inciso per effetto dell’adozione dell’atto di secondo grado, tenendo conto del prevalente interesse pubblico. Tuttavia, il legislatore non ha fornito alcun indizio in merito ai criteri da utilizzarsi per la comparazione degli interessi configgenti né, tampoco, per la definizione del concetto di ragionevole termine entro il quale la P.A. può ritirare l’atto considerato illegittimo. Qualche elemento di chiarezza è rinvenibile nella Direttiva F.P. del 17 ottobre 20052, rubricata “Direttiva in materia di annullamento d’ufficio di provvedimenti illegittimi, ai sensi dell’articolo 1, comma 136, della legge 30.12.2004, n. 311 e dell’articolo 21-nonies della legge 7.8.1990, n. 241, come introdotto dalla legge 11.2.2005, n. 15”, resasi necessaria al fine di illuminare alcuni coni d’ombra legati alla non pregevole fattura del precetto legislativo richiamato. L’assunto trova una precisa conferma proprio nel punto 2) della Circolare dove è possibile scorgere, claris verbis, che essa intende fornire alle pubbliche amministrazioni prime indicazioni interpretative delle nuove norme in materia di annullamento d’ufficio, individuando modalità e criteri di riferimento che evitino incertezze sul piano applicativo, allo scopo di pervenire ad un indirizzo amministrativo univoco. L’inciso evidenzia le difficoltà ermeneutiche legate alla lettera dell’art. 21 - nonies che si atteggia a norma di non facile inquadramento giurisprudenziale. In particolare, il documento ministeriale, ripercorrendo i diversi approcci della giustizia amministrativa allo specifico istituto dell’annullamento d’ufficio, avverte le P.A. che l’interesse pubblico, che deve sempre orientare e determinare l’adozione di provvedimenti di secondo grado, non può certo esaurirsi nel soddisfacimento del bisogno di ripristino della legalità. In sostanza, la Direttiva mette in guardia le P.A. affinché non facciano un uso indiscriminato del potere di autotutela, invitandole ad assicurare il minor danno possibile agli interessi privati coinvolti e solo se strettamente necessario, (…) a valutare - ai fini dell’annullamento d’ufficio - sia la sussistenza di effetti giuridici ampliativi che il provvedimento ha eventualmente prodotto nella sfera giuridica dei privati (nei quali potrebbe essersi ingenerato un ragionevole affidamento in ordine alla definitività dell’assetto delle posizioni di interesse o di diritto composte con il provvedimento), sia gli eventuali effetti ampliativi conseguenti dall’annullamento d’ufficio dell’atto. In questo modo, il Ministero della Funzione Pubblica ha inteso limitare fortemente l’esercizio del potere di ritiro della P.A. riconoscendo piena dignità giuridica alle posizioni del privato che potrebbero essere compresse da un uso improprio dell’azione amministrativa in sede di autotutela. In questa ottica si inquadra il richiamo operato nei confronti del principio di proporzionalità, di derivazione comunitaria, e di tutti i principi ispiratori dell’agere publico, disseminati all’interno all’art.1 della stessa legge quadro sul procedimento amministrativo, quali quello della economicità, efficacia ed efficienza, diretta emanazione del generale principio di buon andamento ed imparzialità della P.A., codificato dall’art. 97 della Costituzione. In definitiva, si può dire che la Direttiva del 17 ottobre 2005 non ha fatto altro che ulteriormente specificare quanto già sufficientemente chiarito dalla giurisprudenza amministrativa in tema di criteri di esercizio del potere di annullamento d’ufficio, di motivazione e di ragionevole termine. In questo solco si colloca la illuminante sentenza della III Sezione del Tar Sicilia - Palermo - dello scorso 21 febbraio 20063, rubricata n. 426. Con l’arresto segnalato, i Giudici siciliani hanno avuto modo di riaffermare il consolidato principio a tenore del quale “(…) il mero ripristino della legalità violata non è mai presupposto sufficiente per giustificare il provvedimento (di natura discrezionale) di annullamento in autotutela, ostandovi, in particolare, il principio della certezza dei rapporti giuridici (di valore primario nell’ordinamento) e la presunzione di legittimità dei provvedimenti adottati dalla P.A. (cui non può non riconnettersi anche un minimo di autoresponsabilità per le determinazioni adottate e gli affidamenti suscitati).

Principi, questi, che oggi risultano espressamente codificati dal legislatore nella norma di cui all’art. 21 - nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241 (introdotto dalla L. n. 15/2005)”. Com’è facile cogliere dal brano della sentenza riportato, la stessa giurisprudenza amministrativa è pressoché unanimemente orientata nel ritenere indispensabile per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio la presenza di almeno tre elementi: a) la giuridica esistenza di un provvedimento amministrativo; b) la ricorrenza di uno dei vizi di legittimità del provvedimento (violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza); c) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico per l’annullamento d’ufficio. Tuttavia, le condizioni appena elencate non sono sufficienti a giustificare l’adozione di un atto di ritiro da parte della P.A. senza che questi sia sorretto da una adeguata comparazione tra l’interesse pubblico, che ne ispira l’azione, e quello privato, destinato ad essere conculcato. Infatti, gli stessi Giudici palermitani hanno severamente ammonito le P.A. affinché evitino motivazioni “di stile” che “(…) enunciano solamente in astratto l’interesse perseguito, senza tuttavia affrontare, in alcun modo, la dovuta comparazione tra l’interesse enunciato, il sacrificio imposto al privato e l’affidamento in questi suscitato (omissis) dal provvedimento abilitativo rilasciato (…)”. Si tratta di una presa di posizione graniticamente sostenuta dalla giurisprudenza amministrativa che riconosce ampia tutela alla consolidata posizione giuridica soggettiva del privato destinatario del provvedimento di autotutela, in specie in quei casi in cui l’azione “correttiva” della P.A. interviene dopo molto tempo4. Del resto, lo stesso Consiglio di Stato ha più volte ricordato che il provvedimento di autotutela non sfugge alla censura di illegittimità in tutti quei casi in cui la trama motivazionale appaia inconsistente ed inadeguata soprattutto con riferimento al rilievo dell’interesse pubblico da tutelarsi in danno delle posizioni giuridiche soggettive del privato destinatario del provvedimento di secondo grado5



3. La sentenza del Tar Campania - Napoli, I Sezione, n. 6431, del 2 novembre 2006.


La sentenza del Tar Campania, riportata in rubrica, sembra discostarsi dal granitico orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di tutela del privato nei confronti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio della P.A.. La vicenda scrutinata dal Tribunale napoletano investe un provvedimento di ritiro, in sede di autotutela, di una concessione per la costruzione e gestione di un ospedale affidata mediante la procedura di project financing, disciplinata dagli articoli 37-bis e seguenti della legge n. 109/94 e s. m. e integrazioni. Nel caso esaminato dai Giudici campani, la stazione appaltante aveva annullato dopo un anno gli atti della gara all’esito della quale aveva affidato la concessione di costruzione e gestione dell’opera. I vizi di legittimità dell’atto venivano individuati: a) nell’erronea valutazione del piano economico - finanziario; b) nell’aver erroneamente indetto un pubblico incanto anziché una licitazione privata, ai sensi dell’art. 37 - quater della legge n. 109/94 e s. m. e integrazioni; c) nella sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria. La stazione appaltante, un’Asl, nell’annullare d’ufficio tutti gli atti della procedura non ha minimamente considerato l’aspettativa ingenerata nel privato promotore, il quale, dopo undici mesi, si è visto spogliato della concessione affidatagli. La trama motivazionale sviluppata dall’Azienda sanitaria non convince sotto diversi profili, così come la sentenza dei Giudici campani. In prima battuta, è facile gioco cogliere l’irragionevolezza del decisum nella parte in cui dopo aver affidato la concessione al promotore ha rilevato, a distanza di ben undici mesi, che il piano economico finanziario, da questi presentato secondo quanto prescritto dall’art. 37 - bis della legge quadro sulle opere pubbliche6 , risultava inadeguato. Com’è noto, la valutazione del piano economico finanziario costituisce un momento centrale nella procedura disciplinata dagli articoli 37 - bis e seguenti della legge n. 109/94. Più nel dettaglio. La positiva valutazione del piano economico finanziario, predisposto dal privato, rappresenta la condicio sine qua non perché la P.A. possa ritenere idonea la proposta formulata dal promotore a soddisfare l’interesse pubblico alla cui gestione e cura essa è preposta. Del resto, lo stesso Consiglio di Stato, con arresto della V Sezione, risalente allo scorso 10 novembre 2005, rubricato n. 6287, ha avuto modo di chiarire che “(…) la proposta del promotore non può essere valutata indipendentemente dal piano economico finanziario e se questo risulta incongruo, la proposta non può che essere valutata inidonea allo scopo (…)” 7. La irresponsabilità della stazione appaltante appare ancora più evidente se solo si considera che l’interesse dell’aspirante promotore, seppur concettualmente distinto dall’interesse alla concessione di eseguire l’opera, racchiude, inevitabilmente, anche l’interesse all’aggiudicazione, nel quale va individuato il bene della vita a cui aspira il presentatore del progetto8. Pertanto, se l’interesse ad assumere il ruolo di promotore è funzionale alla realizzazione del profitto, che discende dall’aggiudicazione della concessione, ne consegue, a fortiori, la irragionevolezza della decisione nella parte in cui essa ritiene che la posizione del promoter non sia assimilabile a quella di un’impresa che ha partecipato ad una gara ad evidenza pubblica9. La funzione assunta dal promotore all’interno della procedura di project financing, al contrario, avrebbe dovuto suggerire alla Asl una diversa e maggiore considerazione delle consolidate aspettative venutesi a creare in capo a quest’ultimo invece di stimolarne l’esercizio, in modo disinvolto, del potere di autotutela. La condotta tenuta dalla stazione appaltante stride, infatti, con quanto predicato dal Consiglio di Stato che riconosce una totale simmetria funzionale tra la figura del promoter e quella dell’affidatario della concessione, entrambi accomunati dallo stesso interesse all’aggiudicazione dell’opera. Non convince, inoltre, lo snodo argomentativo seguito dai Giudici partenopei nella parte in cui questi ritengono il promotore provvisoriamente concessionario dell’opera per effetto di una gara per pubblico incanto andata deserta. Si tratta di un passaggio che tradisce la stessa lettera dell’art. 37 - quater, oggi trasfuso nell’art. 155 del d.lgs. n. 163/06 e s. m. e integrazioni. Il precetto richiamato, com’è noto, oltre a prevedere una seconda fase al termine della quale approdare alla selezione di due sparring partners da mettere in competizione con il promotore, dispone, altresì, al comma 2, che, qualora la gara da tenersi mediante licitazione privata vada deserta, la concessione venga, automaticamente, aggiudicata al promotore in ragione del carattere vincolante della proposta da questi formulata10. Ne consegue che il promotore dichiarato concessionario a seguito della gara di evidenza pubblica andata deserta diventa definitivamente concessionario dell’opera e non provvisoriamente, come, invece, erroneamente sostenuto dal Tribunale partenopeo. Fatta questa premessa, risulta difficile condividere la posizione dei Magistrati napoletani quando affermano che l’affidamento ingenerato nel privato non ha una consistenza significativa rispetto all’interesse pubblico sotteso alla decisione di secondo grado. Il che equivale a dire che la posizione giuridica del promotore, concessionario a tutti gli effetti dell’opera pubblica, in ragione della procedura concorsuale prevista dall’art. 37 - quater andata deserta, è meno rilevante e, dunque, meno “giustiziabile” di quella di un “normale” affidatario di concessione di costruzione e gestione. L’assunto, del resto, è confortato anche da un recente decisum della Sezione V del Consiglio di Stato, rubricato n. 6727, del 17 novembre scorso. In quella occasione i Magistrati del supremo Organo di giustizia amministrativa hanno avuto modo di chiarire che la conclusione della procedura di affidamento di una concessione di opera pubblica o di pubblica utilità, mediante il meccanismo del project financing, si identifica con la ultimazione della fase di comparazione dei due migliori progetti, selezionati all’esito della licitazione privata o dell’appalto concorso, da porre a confronto con quello del promotore, a sua volta posto a base della gara. Ne consegue che, in tutti quei casi in cui la gara volta alla scelta dei due sparring partners registri la presenza di nessun concorrente, si determina la conclusione dell’intera procedura di affidamento della concessione. Non a caso, infatti, i Magistrati di Palazzo Spada ritengono che una situazione di vantaggio o pregiudizio di uno dei competitori, in danno dell’altro, o di entrambi, a favore del promotore, ha luogo soltanto all’esito della fase negoziata che segna la conclusione dell’intero procedimento di aggiudicazione della concessione11. Ora, considerato che nel caso scrutinato dai Magistrati partenopei il sistema di selezione dei due competitori, previsto dall’art. 37 - quater della legge n. 109/94 e s. m. e integrazioni, non ha avuto luogo, attesa l’assenza di concorrenti, ne discende che la posizione del promotore doveva essere considerata alla stessa stregua di quella di un concessionario “definitivo” e non, come erroneamente ritenuto dal T.a.r. Napoli, “provvisorio” 12. I Giudici campani, inoltre, non sembrano cogliere nel segno neppure quando considerano l’art. 37 - quater della legge n. 109/94, s. m. e integrazioni, norma di stretta interpretazione, dal cui ambito di applicazione non residuerebbero ulteriori ipotesi concorsuali, diverse da quelle tipizzate dal legislatore. Un approccio siffatto alla norma viola apertamente il principio della effettività della libera concorrenza, in questo caso applicabile a protezione della esigenza di garantire la massima partecipazione alla gara e, in definitiva, a presidio del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, cristallizzato nell’art. 97 della Costituzione. La violazione in cui è incorsa l’Asl integrerebbe, al più, una mera lesione formale della norma di legge, superabile dalla sostanziale sovrapponibilità della dinamica procedurale della licitazione privata a quella del pubblico incanto. Entrambi i meccanismi di selezione, notoriamente, negano alla P.A. alcuna discrezionalità, dal momento che in tutte e due le ipotesi la stazione appaltante è tenuta ad ammettere alla gara soltanto quei soggetti che abbiano i requisiti fissati nel bando. L’unica differenza può essere colta nella circostanza che, mentre nella licitazione privata i soggetti ammessi sono scelti tra quelli che hanno fatto pervenire la lettera di invito, purché in possesso dei requisiti richiesti dalla P.A., nel pubblico incanto, al contrario, sono ammessi a partecipare alla gara indistintamente tutti coloro che possiedono i requisiti indicati nella lex specialis. Pertanto, non sembra ragionevole e conforme al principio comunitario di proporzionalità considerare un discrimen meramente formale elemento sufficiente a giustificare un atto di ritiro, adottato dopo ben undici mesi e senza alcuna considerazione delle aspettative create nel promotore/concessionario. Questo aspetto rende la sentenza in parola ancora meno condivisibile, dal momento che essa finisce, di fatto, per introdurre una sorta di immunità a favore delle P.A. in tutti quei casi in cui essa faccia un uso improprio del potere di annullamento d’ufficio codificato dall’art. 21 - nonies L. n. 241/90 al fine di “correggere” sue precedenti condotte colpose. In casi del genere si ritiene doveroso da parte della Magistratura amministrativa l’impiego di ben altro metro di valutazione nei confronti di tutte quelle stazioni appaltanti che compiono valutazioni in ordine al PeF predisposto dal privato caratterizzate da estrema superficialità, proprio al fine di evitare che si verifichino situazioni limite come quella scrutinata dal Tribunale napoletano. Sarebbe opportuno, allora, che anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato cominci a guardare alla procedura di scelta del promotore, disciplinata dall’art. 37 - ter, L. 109/94, come ad una vera sequenza non espressione della discrezionalità amministrativa della P.A. quanto, piuttosto, emanazione della discrezionalità tecnica, tanto in ragione del fatto che il piano economico - finanziario approntato dal privato rappresenta momento centrale nella futura scelta del concessionario13 Infine, la stessa motivazione della sopravvenuta mancanza di fondi, quale elemento determinante nella scelta della stazione appaltante di annullare tutti gli atti di gara, non pare immune da vizi. Infatti, nella parabola motivazionale tracciata dalla sentenza del T.a.r. Napoli, non vi è alcuna traccia di una qualche spiegazione sul perché e sul come le risorse finanziarie, appena un anno prima esistenti, siano svanite nel nulla. Considerato il torno di tempo trascorso dall’affidamento della concessione (undici mesi) e l’aspettativa creata nel privato sarebbe stato più logico attendersi una congrua e stringente motivazione sul punto, in linea con quanto sostenuto dalla costante giurisprudenza del Consiglio di Stato e di altri T.a.r. regionali. Non appare accettabile, pertanto, la decisione dei Giudici campani i quali hanno ritenuto sufficiente la giustificazione fornita dalla Asl, che, laconicamente, si è limitata a precisare che “(…) l’amministrazione ha interesse a non erogare finanziamenti di danaro pubblico cospicui per un progetto che non appare vantaggioso (…)”, in ragione del fatto che il procedimento di aggiudicazione della gara non si era concluso14. Al contrario, la mancata stipulazione della convenzione finale tra la stazione appaltante e il promotore/concessionario avrebbe legittimato quest’ultimo, proprio in ragione del torno di tempo trascorso dall’affidamento della concessione (undici mesi), a far valere una evidente responsabilità precontrattuale della P.A., determinata dalla violazione dei principi di buona fede e correttezza, la cui osservanza è prescritta dall’art. 1337 del c.c.. Tanto basta per ritenere che la condotta complessivamente tenuta dall’Asl meritava ben altra valutazione.



4. La sentenza del Consiglio di Stato, IV Sezione, del 31 ottobre 2006, n. 6456.


L’arresto riportato in rubrica evidenzia, indirettamente, l’errore in cui è incorso il T.a.r. Napoli con la sentenza commentata nel precedente paragrafo. Infatti, il Consiglio di Stato con arresto della IV Sezione, n. 6456, del 31 ottobre 2006, nell’esaminare un caso di annullamento del provvedimento di aggiudicazione di un appalto integrato di progettazione ed esecuzione di opere pubbliche, ha affermato, mediante un obiter dictum, che l’aggiudicazione, in quanto atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, costituisce il momento in cui la volontà della P.A. e del privato si incontrano dando vita al rapporto sinallagmatico. Ciò che in questa sede rileva è che i Magistrati di Palazzo Spada, pur non negando alla stazione appaltante la possibilità di poter annullare in sede di autotutela il provvedimento di aggiudicazione, ancorano questa opzione ad una adeguata motivazione che dia contezza del concreto interesse pubblico perseguito15. Non si può certo dire che il Tribunale campano nel caso esaminato abbia condiviso la medesima posizione del Consiglio di Stato, dal momento che ha ritenuto sufficiente a soddisfare l’obbligo motivazionale gravante sulla P.A. la semplice enunciazione dell’interesse pubblico compromesso. Di particolare interesse, poi, risulta la parte della sentenza dedicata all’applicazione delle norme contenute nel Capo III della L. n. 241/90, s. m. e integrazioni, alle ipotesi di esercizio del potere di ritiro da parte dell’amministrazione aggiudicatrice. Si tratta di uno snodo per molti versi significativo, dal momento che apre un varco nella direzione della indispensabilità della comunicazione dell’atto di inizio del procedimento volto all’adozione di un provvedimento di secondo grado, riduttivo della sfera giuridica del destinatario. Traslando il principio in materia di project financing ne consegue che ogni qual volta la P.A. intenda annullare d’ufficio il provvedimento di aggiudicazione della concessione, affidata all’esito della gara prevista dall’art. 37-quater, comma 1, e della successiva procedura negoziata - norma oggi trasfusa nell’art. 155 del d.lgs. n. 163/06 - è tenuta a comunicare l’inizio del relativo procedimento al privato divenuto concessionario16. I termini della questione non mutano nell’ipotesi in cui si tratti di promotore divenuto concessionario a seguito dell’esperimento della procedura di evidenza pubblica andata deserta, giacché, ai sensi dell’art. 37 - quater, comma 2, tale situazione integra gli estremi di una aggiudicazione definitiva e non certo provvisoria, quale può essere considerata la scelta del promotore al termine della valutazione delle proposte pervenute alla P.A., secondo quanto disposto dall’art. 37 - ter, L. 109/94 ( recte: art. 154 del d.lgs. n. 163/06); segmento procedimentale, questo, che chiude la fase precedente l’indizione della procedura concorsuale. Diversamente opinando, si svuoterebbe di significato proprio il precetto contenuto nel comma 2 dell’art. 37 - quater della legge quadro sulle opere pubbliche che attribuisce natura vincolante alla proposta nelle ipotesi in cui la gara pubblica vada deserta, con questo non riconoscendo in capo alla P.A. alcuna discrezionalità nell’aggiudicazione della concessione. Infine, la sentenza in commento si apprezza anche per aver fissato i criteri di liquidazione del danno, sub specie di lucro cessante, derivante dall’illegittimità della condotta tenuta dalla P.A.. Secondo i Magistrati di Palazzo Spada, infatti, il danno dovrebbe essere risarcito nella misura del 10% dell’utile d’impresa stimato, qualora il concorrente dimostri di non aver potuto utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, ovvero, nel caso in cui non sia possibile fornire tale prova, nella diversa misura del 5%, determinata in via equitativa. Questo significa che il promotore/concessionario, illegittimamente inciso da un atto di autotutela adottato dalla stazione appaltante, avrebbe diritto a un risarcimento dei danni da lucro cessante in un quantum che varia dal 5% al 10% dell’utile d’impresa previsto nel piano economico finanziario, oltre, naturalmente, al rimborso di tutte le spese sostenute e documentate per predisporre la proposta poi positivamente valutata. Nella sentenza del T.a.r. Campania, invece, si è preferita una miope difesa ad oltranza dell’interesse pubblico dichiarato, con questo, paradossalmente, sacrificando proprio il principio di buon andamento dell’azione amministrativa sul quale notoriamente si fonda il potere di autotutela della P.A..


5. Le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia nella causa C-412/04.


A margine del presente lavoro, dedicato in magna pars al project financing, pare opportuno dedicare alcune righe alle conclusioni recentemente depositate dall’Avvocato generale della Corte di giustizia, Damaso Ruiz-Jarabo Colomer, presso il supremo Organo di giustizia europeo. Com’è noto, la causa C-412/04 è stata promossa dalla Commissione europea innanzi ai Giudici comunitari contro lo Stato Italiano, per sospetta incompatibilità con il diritto comunitario della legge n. 166/02 (Merloni quater). Per quanto in questa sede rileva, giova ricordare che il diritto di prelazione riconosciuto al promotore, così come originariamente disciplinato dall’art. 37 - bis, cioè prima della modifica apportata dalla legge n. 62/05, è stato considerato dall’Avvocato generale poco aderente al dettato comunitario. In particolare, la Commissione ritiene che la norma così strutturata integri una evidente violazione dei principi di trasparenza e di parità di trattamento dal momento che i partecipanti non sarebbero messi a conoscenza, già a partire dalla pubblicazione del bando, del diritto di prelazione accordato dal legislatore al promotore17. Si tratta di un precetto che, come cennato, è stato adattato ai principi comunitari successivamente alla proposizione del ricorso. Ciononostante, a parere della Commissione, l’intervento emendante dello Stato Italiano sarebbe tardivo e, comunque, non esimerebbe la suprema Corte dal condannare lo Stato Italiano per violazione degli articoli 43 e 49 del Trattato dell’Unione. L’assunto trova la sua spiegazione nella circostanza che i Giudici devono considerare la situazione dello Stato membro al tempo del radicamento della lite, essendo del tutto irrilevante ogni eventuale successiva modifica del quadro normativo all’epoca esistente. 18 Dunque, sulla scorta di quanto accaduto a Bruxelles, nonostante i correttivi introdotti dalla legge n. 62/05, è molto probabile che i magistrati europei infliggeranno una condanna allo Stato Italiano per non aver tempestivamente “conformato” la disciplina interna, in materia di finanza di progetto, alle vigenti prescrizioni comunitarie. Il problema di tenuta con il diritto dell’Unione della disciplina nazionale del project financing potrebbe riproporsi se l’interpretazione dell’art. 37 - quater, comma 2, fornita dal T.a.r. Napoli diventasse il comune e consolidato parametro applicativo della giurisprudenza amministrativa. In quel caso, bisognerà prepararsi ad un ulteriore monito proveniente dal Governo di Bruxelles per violazione della norma in parola dei principi di libera concorrenza, trasparenza, ragionevolezza e imparzialità. Infatti, la procedura concorsuale, regolarmente indetta, una volta andata deserta, finisce per dilatare l’originario interesse legittimo “provvisorio” del promotore a vedersi affidata la concessione, consolidandone gli effetti, proprio in ragione del riconoscimento da parte del legislatore italiano del diritto di prelazione in suo favore, radicando, inoltre, in capo al medesimo, un diritto soggettivo pieno e assoluto alla stipula della convenzione con la stazione appaltante. Il modus agendi dell’Asl campana, ritenuto legittimo dal Ta.r. Napoli con la sentenza in commento, pertanto, fornisce una interpretazione dell’art. 37 - quater, comma 2, decisamente poco in linea con i principi comunitari richiamati, esponendo lo Stato Italiano a nuove censure di incompatibilità del diritto interno con le norme dell’Ue.



6. Considerazioni finali.


La disciplina del project financing nel corso degli ultimi dieci anni è stata più volte oggetto di rivisitazione da parte del legislatore nazionale. Alcune volte le modifiche legislative sono state “suggerite” dal bisogno di omologare le norme interne al dettato comunitario, come nel caso della “correzione” dell’art. 37-bis della legge quadro sulle opere pubbliche disposta attraverso l’art. 24, comma 9, della legge n. 62/05. Ciononostante, si può affermare che l’istituto della finanza di progetto non ha ancora trovato all’interno dell’ordinamento italiano un assetto del tutto in linea con le coordinate dettate dal diritto dell’Unione. Il punto dolente, a parere di chi scrive, è rinvenibile proprio nella mancanza di un corretto bilanciamento tra l’esigenza di garantire e, in qualche modo, ”premiare” il promotore e il bisogno ineludibile di osservare i principi di derivazione comunitaria della parità di trattamento, della trasparenza e della concorrenza, senza pregiudicare il buon andamento dell’azione amministrativa. Sarebbe opportuno, allora, che lo stesso art. 37 - bis, oggi art. 154 del d.lgs. n. 163/06 (T.U. delle opere pubbliche) indicasse, per esempio, le linee guida nel rispetto delle quali le stazioni appaltanti, in modo uniforme, fissino i criteri in base ai quali valutare comparativamente le proposte pervenute. In questo modo, si eviterebbero proteiformi meccanismi selettivi non sempre rispondenti all’interesse pubblico da soddisfarsi. Inoltre, non si rischierebbe di alterare il libero gioco del mercato, esposto a seri pericoli a causa di una procedura “bifasica” come quella del project financing, caratterizzata da un sistema di selezione della proposta più vantaggiosa per la P.A. - alla quale è agganciato il diritto di prelazione - non governato dalle regole della evidenza pubblica, nonostante la sostanziale omogeneità dell’intera procedura interessata da diversi fenomeni concorsuali (art. 37 - quater). Altro tema spinoso riguarda la posizione del promotore, una volta divenuto aggiudicatario della concessione a seguito dell’espletamento della gara prevista dal citato art. 37 - quater della legge n. 109/94, oggi trasfuso nell’art. 155 del d.lgs. n. 163/06. Al riguardo, non si ritiene affatto condivisibile la soluzione fornita dal T.a.r. Campania, commentata nell’odierno lavoro, per due ordini di motivi. In primo luogo, è la stessa lettera del comma 2 dell’art. 37 - quater a stabilire che qualora la procedura concorsuale, finalizzata alla scelta dei due sparring partners, vada deserta la proposta formulata dal promotore diventa vincolante. Dal che ne discende che la stazione appaltante è tenuta ad aggiudicare la concessione al privato selezionato all’esito della valutazione compiuta ai sensi dell’art. 37 - bis della legge n. 109/94, e s. m. e integrazioni. In secondo luogo, sarebbe illogico riconoscere in capo al promotore il diritto di prelazione e poi, nell’ipotesi di gara andata deserta, prevedere che l’aggiudicazione della concessione abbia un carattere provvisorio e non definitivo. Al contrario, si ritiene che il promotore, nella ipotesi descritta dall’art. 37 - quater, comma 2, sia titolare di una vera e propria posizione giuridica di diritto soggettivo alla stipula della convenzione con la P.A., proprio in quanto aggiudicatario definitivo della concessione. Ne consegue che l’aspettativa del promoter,in casi di tal fatta, non può non avere eguale consistenza giuridica di quella di un “normale” affidatario di concessione di costruzione e gestione. Il comportamento tenuto dall’Asl campana, dunque, ha finito per integrare gli estremi di un illecito civile, giustiziabile ai sensi dell’art. 1337 del codice civile, per violazione delle più elementari regole di correttezza e buona fede. Ancora. Il fatto che il promotore in casi del genere debba essere considerato alla stregua di un aggiudicatario definitivo e non provvisorio, come erroneamente ha ritenuto il Tribunale partenopeo, impone alla P.A., che agisce in via di autotutela, di comunicare l’inizio del procedimento volto a ritirare l’atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario, di guisa che, questi, interloquendo con la stazione appaltante, possa prospettare osservazioni e valutazioni finalizzate alla migliore individuazione dell’interesse pubblico, concreto e attuale alla cui cura deve essere indirizzata la potestà pubblica19. A prescindere da quest’ultimo aspetto, non sottoposto al vaglio del Giudice di prime cure, vi è da augurarsi che il Consiglio di Stato, in sede di appello, faccia giustizia di una sentenza che tradisce sostanzialmente lo spirito del principio di buon andamento della P.A., posto alla base dell’esercizio del potere di autotutela, restituendo alla figura del promotore quella dignità giuridica riconosciutagli dal legislatore.

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 * Professore di Organizzazione Aziendale presso l’Unical e partner dello studio legale Cristofano, Guzzo & Associates (e - mail: guzzo@cgaalaw.com).


1 La lettera della norma, rubricata annullamento d'ufficio, così recita: 1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. 2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole".


 2 Il punto 2) della Circolare del Ministero della Funzione Pubblica, rubricato ” 2. L’annullamento d’ufficio nella legge 11.2.2005, n. 15 (articolo 21-nonies della legge 7.8.1990, n. 241)”, espressamente prevede che “La presente circolare intende fornire alle pubbliche amministrazioni prime indicazioni interpretative delle nuove norme in materia di annullamento d’ufficio, individuando modalità e criteri di riferimento che evitino incertezze sul piano applicativo, allo scopo di pervenire ad un indirizzo amministrativo univoco. Pur essendo temporalmente successiva all’intervento normativo operato dall’articolo 1, comma 136, della legge n. 311/2004, si ritiene opportuno chiarire preliminarmente i profili applicativi della norma prevista dalla legge n. 15/2005, che ha introdotto nel nostro ordinamento la disciplina “generale” dell’annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi (articolo 21-nonies legge n. 241/1990). Nel contesto normativo delineato in premessa, la nuova normativa generale sull’annullamento d’ufficio, già soltanto per il fatto di rappresentare la legificazione di principi ricostruiti in passato soltanto in via dottrinaria e giurisprudenziale, fornisce un quadro compiuto in ordine alla materia dell’annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo assicurando maggiore stabilità ad un istituto di particolare rilevanza per la cura degli interessi dei cittadini.

L’annullamento d’ufficio è un provvedimento amministrativo di secondo grado la cui emanazione comporta la perdita di efficacia, con effetto retroattivo, di un provvedimento inficiato dalla presenza “originaria” di uno o più vizi di legittimità.
Oggetto dell’annullamento d’ufficio è dunque un provvedimento che, pur constando di tutti gli elementi essenziali per la sua giuridica esistenza, presenta uno dei tradizionali vizi di legittimità delineati dall’articolo 26 del Testo Unico 26.6.1924, n. 1054 sul Consiglio di Stato.
La legge n. 15 del 2005, conformemente al predetto articolo 26 e all’unanime dottrina e giurisprudenza, ha quindi specificato, introducendo l’articolo 21-octies nel corpo della legge n. 241/1990, che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
Il legislatore ha già da tempo previsto che la presenza di uno di tali vizi può condurre di per sé all’annullamento dell’atto da parte dell’autorità giudiziaria e da parte della stessa Pubblica amministrazione, anche se limitatamente ai casi in cui è chiamata a conoscere in sede giustiziale dei ricorsi amministrativi.
Con l’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990 trova, invece, compiuta disciplina legislativa la potestà dell’autorità amministrativa di provvedere di propria iniziativa, nel perseguimento dell’interesse pubblico, all’annullamento di atti che risultino inficiati da uno dei vizi di legittimità ricordati.
In particolare, l’articolo 21-nonies dispone che il provvedimento illegittimo possa essere annullato d’ufficio dallo stesso organo che lo ha emanato, o da altro organo previsto dalla legge, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Per procedere, quindi, l’amministrazione competente all’annullamento d’ufficio ha l’obbligo di verificare:
 la giuridica esistenza di un provvedimento amministrativo;

 la ricorrenza di uno di vizi di legittimità del provvedimento (violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza);
 la sussistenza di ragioni di interesse pubblico per l’annullamento d’ufficio
Nella valutazione della ricorrenza di ragioni di interesse pubblico all’annullamento dovrà tenersi conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Infine, ricorrendo tutte le altre condizioni previste dall’articolo 21-nonies, la pubblica amministrazione competente potrà procedere all’annullamento d’ufficio entro un termine ragionevole.
Il disposto dell’articolo 21-nonies, pur consolidando normativamente principi giurisprudenziali non controversi, deve essere in ogni caso interpretato anche in coerenza con i principi generali dell’azione amministrativa.
Elemento necessario per poter procedere all’annullamento dell’atto illegittimo è, in prl o luogo, l’interesse pubblico.
L’interesse pubblico alla base del provvedimento di autotutela, come costantemente precisato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, non può esaurirsi nel mero interesse al ripristino della legalità violata.
Ai fini di una corretta valutazione dell’esistenza, nel caso concreto, dell’interesse pubblico all’annullamento dell’atto, le Pubbliche Amministrazioni dovranno tener conto anche della circostanza che la propria attività è costituzionalmente orientata secondo i canoni dell’imparzialità e del buon andamento (articolo 97 Cost.), ed è retta dai principi generali dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 1, comma 1, della legge n. 241/1990, così come modificato dall’art. 1 della legge 11.2.2005, n. 15.
Risponde all’interesse pubblico l’annullamento d’ufficio improntato a criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza, nonché di “proporzionalità” dell’azione amministrativa.
Tale ultimo criterio, pur non essendo esplicitamente previsto dall’articolo 1 della legge n. 241/1990 tra i principi generali dell’attività amministrativa, rientra nei “principi del diritto comunitario”, assolutamente consolidati anche nella giurisprudenza italiana, di cui al medesimo articolo 1 della legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 15/2005.
Il principio di proporzionalità va inteso come dovere in capo alla Pubblica Amministrazione di non comprimere le situazioni giuridiche soggettive dei privati, se non nei casi di stretta necessità ovvero di indispensabilità.
In ossequio al principio di proporzionalità, che obbliga ad assicurare il minor danno possibile agli interessi privati coinvolti e solo se strettamente necessario, l’amministrazione competente dovrà valutare sia la sussistenza di effetti giuridici ampliativi che il provvedimento ha eventualmente prodotto nella sfera giuridica dei privati (nei quali potrebbe essersi ingenerato un ragionevole affidamento in ordine alla definitività dell’assetto delle posizioni di interesse o di diritto composte con il provvedulento), sia gli eventuali effetti ampliativi conseguenti dall’annullamento d’ufficio dell’atto.
Sempre nell’ottica della proporzionalità ,inoltre, dovranno essere valutati i pregiudizi a carico dei privati derivanti dall’atto illegittimo.
L’amministrazione, pertanto, procederà al ritiro d’ufficio dell’atto illegittimo una volta riscontrato che l’interesse pubblico all’annullamento è prevalente rispetto a quello alla conservazione dell’atto, alla luce degli interessi privati coinvolti, avendo riguardo, in particolare, al principio dell’ordinamento comunitario della “proporzionalità”.
In altri termini, in considerazione del principio di proporzionalità, l’amministrazione procederà all’annullamento d’ufficio quando ciò sia necessario al fine di evitare un danno non proporzionato agli interessi dei privati coinvolti nel procedimento.
Nella motivazione del provvedimento sarà poi necessario esplicitare l’apprezzamento - anche sul piano comparativo - in merito al sacrificio imposto al privato, ovvero circa la possibilità di ovviare all’errore commesso con appositi strumenti giuridici (in questo senso, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12 ottobre 2004, n. 6554).
Peraltro, se il vizio che inficia il provvedimento può essere rimosso senza addivenire all’annullamento dell’atto, l’amministrazione dovrà procedere in tal senso.
Nel caso di atti endoprocedimentali illegittimi, ivi compresi gli atti che rappresentano il momento conclusivo di subprocedimenti che afferiscono a procedimenti complessi, la potestas di adottare l’atto di ritiro è in primo luogo in capo all’amministrazione che ha emesso l’atto endoprocedimentale.
In particolare, in fase endoprocedimentale, l’amministrazione competente valuterà la ricorrenza dell’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio dell’atto avendo riguardo al rispetto del principio di proporzionalità, come sopra illustrato, nonché all’interesse ad evitare, in ossequio al principio di economicità dell’azione amministrativa, che l’atto endoprocedimentale illegittimo provochi l’illegittimità derivata del provvedimento conclusivo del procedimento principale, con le prevedibili ricadute in termini di ampliamento del contenzioso.
Altro elemento che l’amministrazione dovrà valutare è il trascorrere del tempo, sia perché esso tende ad attenuare progressivamente l’interesse pubblico ad annullare, riducendone l’attualità e la concretezza, sia perché favorisce il consolidamento dell’assetto degli interessi privati creato dall’atto annullabile.
La scelta operata in via generale dall’articolo 21-nonies è quella che consente alle pubbliche amministrazioni di procedere all’annullamento d’ufficio “entro un termine ragionevole”.
Pertanto, più tempo sarà trascorso dall’emanazione dell’atto illegittimo, più dovrà essere approfondita la valutazione dell’amministrazione ed intenso lo sforzo di motivazione circa l’esistenza dell’interesse pubblico all’annullamento dell’atto.

Inoltre, la “ragionevolezza” del termine dovrà essere valutata di volta in volta, oltre che in relazione al tempo, anche in considerazione del grado di illegittimità del provvedimento, della graduazione degli interessi pubblici e privati in gioco, ecc.”

3
In quella occasione i Giudici peloritani, affrontando un caso di annullamento in sede di autotutela di una concessione edilizia dopo ben 14 anni, annullarono il provvedimento di secondo grado dell’amministrazione comunale per evidente violazione del legittimo affidamento ingenerato dal comportamento inerte della p.a. per tutto il torno di tempo considerato. In particolare, i Magistrati siciliani rilevarono che, proprio a causa del legittimo affidamento ingenerato nel privato, “(…) il provvedimento impugnato avrebbe richiesto una puntuale motivazione circa l’interesse pubblico perseguito in relazione al sacrificio imposto al cittadino; e ciò nell’ottica di un bilanciamento di interessi che, per costante dottrina e giurisprudenza, deve connotare gli atti di ritiro allorché gli stessi intervengano dopo un lungo lasso di tempo ed abbiano suscitato nei privati affidamenti incolpevoli (…)”.

4 In terminis anche il Tar Abruzzo, sezione di Pescara, che con una recentissima sentenza del 24 luglio 2006, ha affermato che incombe sulla P.A. l’onere di “(…) valutare comparativamente l’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento dell’atto con la qualificata posizione del privato, consolidatasi nel tempo, dando prevalenza all’affidamento del privato ove non sussistano particolari e pregnanti ragioni di interesse pubblico”.
Il Consiglio di Stato, VI Sezione, con una recente sentenza del febbraio 2006, rubricata n. 671, ha stabilito che “(…) il provvedimento di autotutela non si sottrae, “in parte qua”, alla censura di insufficienza ed inadeguatezza della motivazione, ove si consideri che esso interviene a salvaguardia dell’interesse di rilievo pubblico (omissis), la cui compromissione, prima di pervenire alla statuizione di annullamento d’ufficio, va valutata sul piano dell’effettività, in raffronto alle posizioni soggettive del privato beneficiario del provvedimento autorizzatorio (…)”.


5 Il Consiglio di Stato, VI Sezione, con una recente sentenza del febbraio 2006, rubricata n. 671, ha stabilito che “(…) il provvedimento di autotutela non si sottrae, “in parte qua”, alla censura di insufficienza ed inadeguatezza della motivazione, ove si consideri che esso interviene a salvaguardia dell’interesse di rilievo pubblico (omissis), la cui compromissione, prima di pervenire alla statuizione di annullamento d’ufficio, va valutata sul piano dell’effettività, in raffronto alle posizioni soggettive del privato beneficiario del provvedimento autorizzatorio (…)”.

6 L’art. 37 - ter così dispone:”Le amministrazioni aggiudicatici valutano la fattibilità delle proposte presentate sotto il profilo costruttivo, urbanistico e ambientale, nonché della qualità progettuale, della funzionalità, della fruibilità dell’opera, dell’accessibilità al pubblico, del rendimento, del costo di gestione e di manutenzione, della durata della concessione, dei tempi di ultimazione dei lavori della concessione, delle tariffe da applicare, della metodologia di aggiornamento delle stesse , del valore economico e finanziario del piano e del contenuto della bozza di convenzione, verificano l’assenza di elementi ostativi alla loro realizzazione e, esaminate le proposte stesse anche comparativamente, sentiti i promotori che ne facciano richiesta, provvedono ad individuare quelle che ritengono di pubblico interesse. La pronuncia delle amministrazioni aggiudicatici deve avvenire entro quattro mesi dalla ricezione della proposta del promotore. Ove necessario, il responsabile del procedimento concorda per iscritto con il promotore un più lungo programma di esame e valutazione. Nella procedura negoziata di cui all’articolo 37 - quater il promotore potrà adeguare la propria proposta a quella giudicata dall’amministrazione più conveniente. In questo caso, il promotore risulterà aggiudicatario della concessione

7 Cfr. sull’argomento G. Guzzo: “Project financing: fu vera gloria?”, in Rivista Trimestrale degli Appalti, n. 1/2006

8 In terminis: Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza n. 142, del 25 gennaio 2005. Per un ulteriore approfondimento si segnala G. Guzzo “Alcune riflessioni sul project financing alla luce delle recenti pronunce del Consiglio di Stato, V Sezione, n. 6287, del 10 novembre 2005, del CGA della Regione Sicilia, n. 974, del 22 dicembre 2005 e della legge n. 266, del 23 dicembre 2005 (finanziaria 2006), in www.LexItalia.it, n. 2/2006. Il corollario che discende dai principi riportati è che le regole dell’evidenza pubblica dovrebbero trovare applicazione già nella fase della scelta del promotore (art. 37 - ter), e non a partire dalla successiva procedura di evidenza pubblica, finalizzata alla scelta dei due sparring partners, ex art. 37 - quater. Tanto, proprio in ragione dell’affermata unitarietà della procedura, certificata dalla perfetta sovrapponibilità dell’interesse ad assumere la posizione di promotore a quello delle imprese che partecipano alla procedura concorsuale

9 Più in particolare, i Giudici del Tar Napoli hanno sostenuto che “(…) La posizione del privato, nel caso di specie, non è certo assimilabile a quella di un’impresa che ha vinto una gara ad evidenza pubblica, ma si avvicina piuttosto all’ipotesi in cui vi è una situazione di provvisorietà (o se si vuole di non definitività) nella quale l’affidamento ingenerato nel privato non ha una consistenza significativa rispetto all’interesse pubblico sotteso alla decisione di secondo grado

10  L’art. 155 del T.U. degli appalti (d.lgs. n. 163/06), stabilisce:”(Indizione della gara) (art. 37 quater, l. n. 109/1994)
1. Entro tre mesi dalla pronuncia di cui all'articolo 154 di ogni anno le amministrazioni aggiudicatrici, qualora fra le proposte presentate ne abbiano individuate alcune di pubblico interesse, applicano, ove necessario, le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e, al fine di aggiudicare mediante procedura negoziata la relativa concessione di cui all'articolo 143, procedono, per ogni proposta individuata:
a) ad indire una gara da svolgere con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa di cui all'articolo 83, comma 1, ponendo a base di gara il progetto preliminare presentato dal promotore, eventualmente modificato sulla base delle determinazioni delle amministrazioni stesse, nonché i valori degli elementi necessari per la determinazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa nelle misure previste dal piano economico-finanziario presentato dal promotore; si applica l’articolo 53, comma 2, lettera c);
b) ad aggiudicare la concessione mediante una procedura negoziata da svolgere fra il promotore e i soggetti presentatori delle due migliori offerte nella gara di cui alla lettera a); nel caso in cui alla gara abbia partecipato un unico soggetto la procedura negoziata si svolge fra il promotore e questo unico soggetto.
2. La proposta del promotore posta a base di gara è vincolante per lo stesso qualora non vi siano altre offerte nella gara ed è garantita dalla cauzione di cui all'articolo 75, comma 1, e da un’ulteriore cauzione pari all'importo di cui all'articolo 153, comma 1, quinto periodo, da versare, su richiesta dell'amministrazione aggiudicatrice, prima dell'indizione del bando di gara.
3. I partecipanti alla gara, oltre alla cauzione di cui all'articolo 75, comma 1, versano, mediante fideiussione bancaria o assicurativa, un'ulteriore cauzione fissata dal bando in misura pari all'importo di cui all'articolo 153, comma 1, quinto periodo.
4. Nel caso in cui nella procedura negoziata di cui al comma 1, lettera b), il promotore non risulti aggiudicatario entro un congruo termine fissato dall'amministrazione nel bando di gara, il soggetto promotore della proposta ha diritto al pagamento, a carico dell'aggiudicatario, dell'importo di cui all'articolo 153, comma 1, quinto periodo. Il pagamento è effettuato dall'amministrazione aggiudicatrice prelevando tale importo dalla cauzione versata dal soggetto aggiudicatario ai sensi del comma 3.
5. Nel caso in cui la gara sia esperita mediante appalto avente ad oggetto sia l’esecuzione dei lavori che la presentazione del progetto in sede di offerta e nella successiva procedura negoziata di cui al comma 1, lettera b), il promotore risulti aggiudicatario, lo stesso è tenuto a versare all'altro soggetto, ovvero agli altri due soggetti che abbiano partecipato alla procedura, il rimborso delle spese sostenute e documentate nei limiti dell'importo di cui all'articolo 153, comma 1, quinto periodo. Il pagamento è effettuato dall'amministrazione aggiudicatrice prelevando tale importo dalla cauzione versata dall'aggiudicatario ai sensi del comma 3”.

11 Più nel dettaglio, il Consiglio di Stato, con la sentenza della V Sezione, n. 6727, ha chiarito che “(…) La conclusione della licitazione privata (o dell’appalto concorso ex art. 37 - quater co. 1, lett. a), non determina una situazione di vantaggio o pregiudizio di uno dei competitori a danno dell’altro. Questa situazione si verifica solo all’esito del confronto finale, quando, cioè, nella fase negoziata una delle due proposte ammesse prevale sull’altra o quella del promotore prevale su ambedue (…)”

12 Del resto, i Giudici del Consiglio di Stato, sempre con la sentenza della Sezione V, rubricata n. 6727, del 17 novembre 2006, hanno indirettamente precisato che esiste una sostanziale identità tra la posizione del promotore e quella dei partecipanti alla procedura concorsuale, prevista dall’art. 37 - quater della legge n. 109/94 e s. m. e i., in quanto, questi ultimi, sono da considerare, alla stregua del primo, “(…) di aspiranti all’aggiudicazione, non essendo ancora iniziata né conclusa la comparazione di ciascuno dei due migliori progetti con quello del promotore posto a base della gara (…)”. Dal che ne discende che, una volta esaurito il sub - procedimento costituito dalla gara prevista dall’art. 37- quater , a causa dell’assenza di concorrenti, il promotore deve essere considerato alla stessa stregua di una normale impresa aggiudicataria, in via definitiva, della concessione

13 Cfr. G. Guzzo : “Alcune riflessioni sul project financing. (…)”; op. cit.

14 I Giudici del T.a.r. Napoli hanno affermato che: “(…) diverso è l’onere motivazionale minimo richiesto dalla giurisprudenza per procedere all’annullamento degli atti di gara, a seconda della circostanza che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva e la stipula del contratto, ovvero che il procedimento di conclusione della gara non sia giunto completamente a termine”, con questo ritenendo il promotore/concessionario non assimilabile ad un vero e proprio aggiudicatario della concessione


15 In particolare, il Consiglio di Stato ha stabilito che “(…) non è precluso all’amministrazione di procedere, con atto successivo, purché adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca d’ufficio ovvero all’annullamento dell’aggiudicazione (ex multis, C.d.S., sez. IV, 12 settembre 2000, n. 4973; C.d.S., sez. IV, 22 ottobre 2004, n. 6931)”.

16 Più nel dettaglio i Giudici di seconde cure hanno precisato che “(…) in presenza di un provvedimento di aggiudicazione definitivo l’esercizio del potere di autotutela deve essere necessariamente preceduto, a pena illegittimità, dalla comunicazione di inizio del procedimento, dovendosi darsi modo all’aggiudicatario definitivo, titolare di una posizione giuridica evidentemente qualificata, di poter interloquire con l’amministrazione, rappresentando fatti e prospettando osservazioni e valutazioni finalizzate alla migliore individuazione dell’interesse pubblico, concreto e attuale, alla cui unica cura deve essere indirizzata la potestà pubblica”.


17 La modifica al primitivo testo dell’art. 37 bis della legge n. 109/94 e s. m. e integrazioni è stata apportata dall’art. 24, comma 9, della legge n. 62/05, così strutturato:” 9. All'articolo 37-bis, comma 2-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: "L'avviso deve contenere i criteri, nell'ambito di quelli indicati dall'articolo 37-ter, in base ai quali si procede alla valutazione comparativa tra le diverse proposte. L'avviso deve, altresi', indicare espressamente che e' previsto il diritto a favore del promotore ad essere preferito ai soggetti previsti dall'articolo 37-quater, comma 1, lettera b) ove lo stesso intenda adeguare il proprio progetto alle offerte economicamente piu' vantaggiose presentate dai predetti soggetti offerenti. Con apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono disciplinati gli effetti sulle procedure in corso che non si siano ancora chiuse a seguito di aggiudicazione alla data di adozione del predetto decreto, i cui avvisi indicativi pubblicati prima della data del 31 gennaio 2005 non contengano quest'ultima indicazione espressa


18 In particolare, nel Capo VII delle conclusioni, rubricato “Analisi dei motivi di inadempimento”, alla lettera a), punto 68, si legge che “(…) la giurisprudenza esige di valutare la sussistenza dell’inadempimento in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi”. Nel successivo punto 69), la Commissione precisa che “Di conseguenza, nel procedimento in esame, occorre prendere come riferimento la normativa vigente all’epoca in cui è scaduto il termine di due mesi concesso nel parere motivato del 15 ottobre 2003 e non la legislazione approvata successivamente


19 In terminis: Consiglio di Stato, IV Sezione, sentenza n. 6456, del 31 ottobre 2006; cit


Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 30/11/2006

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