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PROJECT FINANCING: POTERE DI ANNULLAMENTO D’UFFICIO DELLA P.A. E ASPETTATIVA DEL POMOTORE.
GERARDO GUZZO*
La legge quadro sul procedimento amministrativo, com’è noto, ha subito nel corso
della passata stagione riformista delle sostanziali modifiche che ne hanno
sensibilmente cambiato architettura e contenuti. In particolare, la nuova
versione della legge n. 241/90, quale risulta dagli innesti compiuti nel 2005
dalle leggi n. 15 e n. 80, si apprezza per un condivisibile potenziamento delle
garanzie partecipative, inteso a equilibrare il rapporto tra P.A. e cittadino.
In questa direzione si muovono le integrazioni contenute nell’intero Capo III e
le norme costituenti il successivo Capo IV - bis, dedicato alla “efficacia ed
invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso”. Il messaggio
giuridico che attraversa le disposizioni dell’articolato in parola, per quanto
chiaro, non sembra, tuttavia, essere stato colto appieno dai magistrati del Tar
Campania, sezione di Napoli, i quali, con una “pericolosa” sentenza, resa in
tema di project financing, rubricata n. 6431, risalente allo scorso 2 novembre
2006, hanno sistematicamente disatteso il portato dell’art. 21-nonies,
annullando, ben tredici mesi dopo l’affidamento, la concessione di opere
pubbliche aggiudicata al promotore. Si tratta di una decisione che evidenzia lo
scarso peso riconosciuto dai giudici napoletani all’aspettativa creata nel
promoter/concessionario, la cui posizione in materia di finanza di progetto,
secondo il Tribunale campano, non sarebbe assimilabile a quella di un’impresa
che ha vinto una gara ad evidenza pubblica. Il caso segnalato, dunque, pone sul
tappeto il problema della tutela del privato nei confronti della P.A. e, più in
particolare, quello della tutela del promotore, una volta divenuto
concessionario, nei confronti della discrezionalità amministrativa che
attraversa l’esercizio del potere di autotutela della stazione appaltante. In
sostanza, il nodo gordiano da sciogliere è quello della definizione
dell’ampiezza e dell’estensione longitudinale della potestà di annullamento
d’ufficio che l’art. 21-nonies riserva alla P.A., in uno alla cristallizzazione
del concetto di termine ragionevole entro il quale tale potere può essere
esercitato. Lo spinoso problema verrà affrontato con specifico riferimento
proprio alle procedure di affidamento di concessione di opere pubbliche,
mediante l’impiego della tecnica del project financing, tenendo in debita
considerazione sia una interessante sentenza del Consiglio di Stato, IV sezione,
n. 6456, del 31 ottobre 2006, in materia di annullamento in sede di autotutela
del provvedimento di aggiudicazione definitiva di un appalto, che le conclusioni
da poco depositate dall’Avvocato generale della Corte di giustizia nella causa
C-412/04, promossa dalla Commissione europea contro lo Stato italiano, avente ad
oggetto la verifica della tenuta comunitaria della legge Merloni - quater (L.
166/02), limitando l’analisi, in questo caso, alla sola trattazione della
finanza di progetto.
2. L’art. 21 - nonies della legge n. 241 del 1990.
L’art. 21 - nonies1
, collocato all’interno del Capo IV - bis della legge n. 241 del 1990, dedicato
all’inefficacia e invalidità degli atti, è stato introdotto dalla legge n.
15/05. La rubrica dell’articolo in parola svela la ferma intenzione del
legislatore di codificare l’istituto dell’annullamento d’ufficio, da sempre
oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza amministrativa, nel
tentativo di “stabilizzare” i rapporti tra amministrazione e cittadino. La
struttura della norma evidenzia come la P.A., una volta riscontrato il vizio di
incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge di un provvedimento
amministrativo, sia tenuta a compiere una valutazione piuttosto stringente
dell’interesse privato che verrebbe inciso per effetto dell’adozione dell’atto
di secondo grado, tenendo conto del prevalente interesse pubblico. Tuttavia, il
legislatore non ha fornito alcun indizio in merito ai criteri da utilizzarsi per
la comparazione degli interessi configgenti né, tampoco, per la definizione del
concetto di ragionevole termine entro il quale la P.A. può ritirare l’atto
considerato illegittimo. Qualche elemento di chiarezza è rinvenibile nella
Direttiva F.P. del 17 ottobre 20052,
rubricata “Direttiva in materia di annullamento d’ufficio di provvedimenti
illegittimi, ai sensi dell’articolo 1, comma 136, della legge 30.12.2004, n. 311
e dell’articolo 21-nonies della legge 7.8.1990, n. 241, come introdotto dalla
legge 11.2.2005, n. 15”, resasi necessaria al fine di illuminare alcuni coni
d’ombra legati alla non pregevole fattura del precetto legislativo richiamato.
L’assunto trova una precisa conferma proprio nel punto 2) della Circolare dove è
possibile scorgere, claris verbis, che essa intende fornire alle pubbliche
amministrazioni prime indicazioni interpretative delle nuove norme in materia di
annullamento d’ufficio, individuando modalità e criteri di riferimento che
evitino incertezze sul piano applicativo, allo scopo di pervenire ad un
indirizzo amministrativo univoco. L’inciso evidenzia le difficoltà
ermeneutiche legate alla lettera dell’art. 21 - nonies che si atteggia a norma di non facile
inquadramento giurisprudenziale. In particolare, il documento ministeriale,
ripercorrendo i diversi approcci della giustizia amministrativa allo specifico
istituto dell’annullamento d’ufficio, avverte le P.A. che l’interesse pubblico,
che deve sempre orientare e determinare l’adozione di provvedimenti di secondo
grado, non può certo esaurirsi nel soddisfacimento del bisogno di ripristino
della legalità. In sostanza, la Direttiva mette in guardia le P.A. affinché non
facciano un uso indiscriminato del potere di autotutela, invitandole ad
assicurare il minor danno possibile agli interessi privati coinvolti e solo se
strettamente necessario, (…) a valutare - ai fini dell’annullamento d’ufficio -
sia la sussistenza di effetti giuridici ampliativi che il provvedimento ha
eventualmente prodotto nella sfera giuridica dei privati (nei quali potrebbe
essersi ingenerato un ragionevole affidamento in ordine alla definitività
dell’assetto delle posizioni di interesse o di diritto composte con il
provvedimento), sia gli eventuali effetti ampliativi conseguenti
dall’annullamento d’ufficio dell’atto. In questo modo, il Ministero della
Funzione Pubblica ha inteso limitare fortemente l’esercizio del potere di ritiro
della P.A. riconoscendo piena dignità giuridica alle posizioni del privato che
potrebbero essere compresse da un uso improprio dell’azione amministrativa in
sede di autotutela. In questa ottica si inquadra il richiamo operato nei
confronti del principio di proporzionalità, di derivazione comunitaria, e di
tutti i principi ispiratori dell’agere publico, disseminati all’interno all’art.1
della stessa legge quadro sul procedimento amministrativo, quali quello della
economicità, efficacia ed efficienza, diretta emanazione del generale principio
di buon andamento ed imparzialità della P.A., codificato dall’art. 97 della
Costituzione. In definitiva, si può dire che la Direttiva del 17 ottobre 2005
non ha fatto altro che ulteriormente specificare quanto già sufficientemente
chiarito dalla giurisprudenza amministrativa in tema di criteri di esercizio del
potere di annullamento d’ufficio, di motivazione e di ragionevole termine. In
questo solco si colloca la illuminante sentenza della III Sezione del Tar
Sicilia - Palermo - dello scorso 21 febbraio 20063,
rubricata n. 426. Con l’arresto segnalato, i Giudici siciliani hanno avuto modo
di riaffermare il consolidato principio a tenore del quale “(…) il mero
ripristino della legalità violata non è mai presupposto sufficiente per
giustificare il provvedimento (di natura discrezionale) di annullamento in autotutela, ostandovi, in particolare, il principio della certezza dei rapporti
giuridici (di valore primario nell’ordinamento) e la presunzione di legittimità
dei provvedimenti adottati dalla P.A. (cui non può non riconnettersi anche un
minimo di autoresponsabilità per le determinazioni adottate e gli affidamenti
suscitati).
Principi, questi, che oggi risultano espressamente codificati dal legislatore nella norma di cui all’art. 21 - nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241 (introdotto dalla L. n. 15/2005)”. Com’è facile cogliere dal brano della sentenza riportato, la stessa giurisprudenza amministrativa è pressoché unanimemente orientata nel ritenere indispensabile per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio la presenza di almeno tre elementi: a) la giuridica esistenza di un provvedimento amministrativo; b) la ricorrenza di uno dei vizi di legittimità del provvedimento (violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza); c) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico per l’annullamento d’ufficio. Tuttavia, le condizioni appena elencate non sono sufficienti a giustificare l’adozione di un atto di ritiro da parte della P.A. senza che questi sia sorretto da una adeguata comparazione tra l’interesse pubblico, che ne ispira l’azione, e quello privato, destinato ad essere conculcato. Infatti, gli stessi Giudici palermitani hanno severamente ammonito le P.A. affinché evitino motivazioni “di stile” che “(…) enunciano solamente in astratto l’interesse perseguito, senza tuttavia affrontare, in alcun modo, la dovuta comparazione tra l’interesse enunciato, il sacrificio imposto al privato e l’affidamento in questi suscitato (omissis) dal provvedimento abilitativo rilasciato (…)”. Si tratta di una presa di posizione graniticamente sostenuta dalla giurisprudenza amministrativa che riconosce ampia tutela alla consolidata posizione giuridica soggettiva del privato destinatario del provvedimento di autotutela, in specie in quei casi in cui l’azione “correttiva” della P.A. interviene dopo molto tempo4. Del resto, lo stesso Consiglio di Stato ha più volte ricordato che il provvedimento di autotutela non sfugge alla censura di illegittimità in tutti quei casi in cui la trama motivazionale appaia inconsistente ed inadeguata soprattutto con riferimento al rilievo dell’interesse pubblico da tutelarsi in danno delle posizioni giuridiche soggettive del privato destinatario del provvedimento di secondo grado5
3. La sentenza del Tar Campania - Napoli, I Sezione, n. 6431, del 2 novembre
2006.
La sentenza del Tar Campania, riportata in rubrica, sembra discostarsi dal
granitico orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di tutela del privato
nei confronti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio della P.A.. La
vicenda scrutinata dal Tribunale napoletano investe un provvedimento di ritiro,
in sede di autotutela, di una concessione per la costruzione e gestione di un
ospedale affidata mediante la procedura di project financing, disciplinata dagli
articoli 37-bis e seguenti della legge n. 109/94 e s. m. e integrazioni. Nel
caso esaminato dai Giudici campani, la stazione appaltante aveva annullato dopo
un anno gli atti della gara all’esito della quale aveva affidato la concessione
di costruzione e gestione dell’opera. I vizi di legittimità dell’atto venivano
individuati: a) nell’erronea valutazione del piano economico - finanziario; b)
nell’aver erroneamente indetto un pubblico incanto anziché una licitazione
privata, ai sensi dell’art. 37 - quater della legge n. 109/94 e s. m. e
integrazioni; c) nella sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria. La
stazione appaltante, un’Asl, nell’annullare d’ufficio tutti gli atti della
procedura non ha minimamente considerato l’aspettativa ingenerata nel privato
promotore, il quale, dopo undici mesi, si è visto spogliato della concessione
affidatagli. La trama motivazionale sviluppata dall’Azienda sanitaria non
convince sotto diversi profili, così come la sentenza dei Giudici campani. In
prima battuta, è facile gioco cogliere l’irragionevolezza del decisum
nella parte in cui dopo aver affidato la concessione al promotore ha rilevato, a
distanza di ben undici mesi, che il piano economico finanziario, da questi
presentato secondo quanto prescritto dall’art. 37 - bis della legge quadro sulle
opere pubbliche6 , risultava inadeguato.
Com’è noto, la valutazione del piano economico finanziario costituisce un
momento centrale nella procedura disciplinata dagli articoli 37 - bis e seguenti
della legge n. 109/94. Più nel dettaglio. La positiva valutazione del piano
economico finanziario, predisposto dal privato, rappresenta la condicio sine qua
non perché la P.A. possa ritenere idonea la proposta formulata dal promotore a
soddisfare l’interesse pubblico alla cui gestione e cura essa è preposta. Del
resto, lo stesso Consiglio di Stato, con arresto della V Sezione, risalente allo
scorso 10 novembre 2005, rubricato n. 6287, ha avuto modo di chiarire che “(…)
la proposta del promotore non può essere valutata indipendentemente dal piano
economico finanziario e se questo risulta incongruo, la proposta non può che
essere valutata inidonea allo scopo (…)” 7.
La irresponsabilità della stazione appaltante appare ancora più evidente se solo
si considera che l’interesse dell’aspirante promotore, seppur concettualmente
distinto dall’interesse alla concessione di eseguire l’opera, racchiude,
inevitabilmente, anche l’interesse all’aggiudicazione, nel quale va individuato
il bene della vita a cui aspira il presentatore del progetto8.
Pertanto, se l’interesse ad assumere il ruolo di promotore è funzionale alla
realizzazione del profitto, che discende dall’aggiudicazione della concessione,
ne consegue, a fortiori, la irragionevolezza della decisione nella parte in cui
essa ritiene che la posizione del promoter non sia assimilabile a quella di
un’impresa che ha partecipato ad una gara ad evidenza pubblica9.
La funzione assunta dal promotore all’interno della procedura di project financing, al contrario, avrebbe dovuto suggerire alla Asl una diversa e
maggiore considerazione delle consolidate aspettative venutesi a creare in capo
a quest’ultimo invece di stimolarne l’esercizio, in modo disinvolto, del potere
di autotutela. La condotta tenuta dalla stazione appaltante stride, infatti, con
quanto predicato dal Consiglio di Stato che riconosce una totale simmetria
funzionale tra la figura del promoter e quella dell’affidatario della
concessione, entrambi accomunati dallo stesso interesse all’aggiudicazione
dell’opera. Non convince, inoltre, lo snodo argomentativo seguito dai Giudici
partenopei nella parte in cui questi ritengono il promotore provvisoriamente
concessionario dell’opera per effetto di una gara per pubblico incanto andata
deserta. Si tratta di un passaggio che tradisce la stessa lettera dell’art.
37 - quater, oggi trasfuso nell’art. 155 del d.lgs. n. 163/06 e s. m. e integrazioni.
Il precetto richiamato, com’è noto, oltre a prevedere una seconda fase al
termine della quale approdare alla selezione di due sparring partners da mettere
in competizione con il promotore, dispone, altresì, al comma 2, che, qualora la
gara da tenersi mediante licitazione privata vada deserta, la concessione venga,
automaticamente, aggiudicata al promotore in ragione del carattere vincolante
della proposta da questi formulata10. Ne
consegue che il promotore dichiarato concessionario a seguito della gara di
evidenza pubblica andata deserta diventa definitivamente concessionario
dell’opera e non provvisoriamente, come, invece, erroneamente sostenuto
dal Tribunale partenopeo. Fatta questa premessa, risulta difficile condividere
la posizione dei Magistrati napoletani quando affermano che l’affidamento
ingenerato nel privato non ha una consistenza significativa rispetto
all’interesse pubblico sotteso alla decisione di secondo grado. Il che equivale
a dire che la posizione giuridica del promotore, concessionario a tutti gli
effetti dell’opera pubblica, in ragione della procedura concorsuale prevista
dall’art. 37 - quater andata deserta, è meno rilevante e, dunque, meno
“giustiziabile” di quella di un “normale” affidatario di concessione di
costruzione e gestione. L’assunto, del resto, è confortato anche da un recente
decisum della Sezione V del Consiglio di Stato, rubricato n. 6727, del 17
novembre scorso. In quella occasione i Magistrati del supremo Organo di
giustizia amministrativa hanno avuto modo di chiarire che la conclusione della
procedura di affidamento di una concessione di opera pubblica o di pubblica
utilità, mediante il meccanismo del project financing, si identifica con la
ultimazione della fase di comparazione dei due migliori progetti, selezionati
all’esito della licitazione privata o dell’appalto concorso, da porre a
confronto con quello del promotore, a sua volta posto a base della gara. Ne
consegue che, in tutti quei casi in cui la gara volta alla scelta dei due
sparring partners registri la presenza di nessun concorrente, si determina la
conclusione dell’intera procedura di affidamento della concessione. Non a caso,
infatti, i Magistrati di Palazzo Spada ritengono che una situazione di vantaggio
o pregiudizio di uno dei competitori, in danno dell’altro, o di entrambi, a
favore del promotore, ha luogo soltanto all’esito della fase negoziata che segna
la conclusione dell’intero procedimento di aggiudicazione della concessione11.
Ora, considerato che nel caso scrutinato dai Magistrati partenopei il sistema di
selezione dei due competitori, previsto dall’art. 37 - quater della legge n.
109/94 e s. m. e integrazioni, non ha avuto luogo, attesa l’assenza di
concorrenti, ne discende che la posizione del promotore doveva essere
considerata alla stessa stregua di quella di un concessionario “definitivo” e
non, come erroneamente ritenuto dal T.a.r. Napoli, “provvisorio”
12. I Giudici campani, inoltre, non sembrano
cogliere nel segno neppure quando considerano l’art. 37 - quater della legge n. 109/94, s. m. e integrazioni, norma di stretta
interpretazione, dal cui ambito di applicazione non residuerebbero ulteriori
ipotesi concorsuali, diverse da quelle tipizzate dal legislatore. Un approccio
siffatto alla norma viola apertamente il principio della effettività della
libera concorrenza, in questo caso applicabile a protezione della esigenza di
garantire la massima partecipazione alla gara e, in definitiva, a presidio del
principio di buon andamento dell’azione amministrativa, cristallizzato nell’art.
97 della Costituzione. La violazione in cui è incorsa l’Asl integrerebbe, al
più, una mera lesione formale della norma di legge, superabile dalla sostanziale
sovrapponibilità della dinamica procedurale della licitazione privata a quella
del pubblico incanto. Entrambi i meccanismi di selezione, notoriamente, negano
alla P.A. alcuna discrezionalità, dal momento che in tutte e due le ipotesi la
stazione appaltante è tenuta ad ammettere alla gara soltanto quei soggetti che
abbiano i requisiti fissati nel bando. L’unica differenza può essere colta nella
circostanza che, mentre nella licitazione privata i soggetti ammessi sono scelti
tra quelli che hanno fatto pervenire la lettera di invito, purché in possesso
dei requisiti richiesti dalla P.A., nel pubblico incanto, al contrario, sono
ammessi a partecipare alla gara indistintamente tutti coloro che possiedono i
requisiti indicati nella lex specialis. Pertanto, non sembra ragionevole e
conforme al principio comunitario di proporzionalità considerare un discrimen
meramente formale elemento sufficiente a giustificare un atto di ritiro,
adottato dopo ben undici mesi e senza alcuna considerazione delle aspettative
create nel promotore/concessionario. Questo aspetto rende la sentenza in parola
ancora meno condivisibile, dal momento che essa finisce, di fatto, per
introdurre una sorta di immunità a favore delle P.A. in tutti quei casi in cui
essa faccia un uso improprio del potere di annullamento d’ufficio codificato
dall’art. 21 - nonies L. n. 241/90 al fine di “correggere” sue precedenti
condotte colpose. In casi del genere si ritiene doveroso da parte della
Magistratura amministrativa l’impiego di ben altro metro di valutazione nei
confronti di tutte quelle stazioni appaltanti che compiono valutazioni in ordine
al PeF predisposto dal privato caratterizzate da estrema superficialità, proprio
al fine di evitare che si verifichino situazioni limite come quella scrutinata
dal Tribunale napoletano. Sarebbe opportuno, allora, che anche la giurisprudenza
del Consiglio di Stato cominci a guardare alla procedura di scelta del
promotore, disciplinata dall’art. 37 - ter, L. 109/94, come ad una vera sequenza
non espressione della discrezionalità amministrativa della P.A. quanto,
piuttosto, emanazione della discrezionalità tecnica, tanto in ragione del fatto
che il piano economico - finanziario approntato dal privato rappresenta momento
centrale nella futura scelta del concessionario13 Infine, la stessa motivazione
della sopravvenuta mancanza di fondi, quale elemento determinante nella scelta
della stazione appaltante di annullare tutti gli atti di gara, non pare immune
da vizi. Infatti, nella parabola motivazionale tracciata dalla sentenza del T.a.r. Napoli, non vi è alcuna traccia di una qualche spiegazione sul perché e
sul come le risorse finanziarie, appena un anno prima esistenti, siano svanite
nel nulla. Considerato il torno di tempo trascorso dall’affidamento della
concessione (undici mesi) e l’aspettativa creata nel privato sarebbe stato più
logico attendersi una congrua e stringente motivazione sul punto, in linea con
quanto sostenuto dalla costante giurisprudenza del Consiglio di Stato e di altri
T.a.r. regionali. Non appare accettabile, pertanto, la decisione dei Giudici
campani i quali hanno ritenuto sufficiente la giustificazione fornita dalla Asl,
che, laconicamente, si è limitata a precisare che “(…) l’amministrazione ha
interesse a non erogare finanziamenti di danaro pubblico cospicui per un
progetto che non appare vantaggioso (…)”, in ragione del fatto che il
procedimento di aggiudicazione della gara non si era concluso14. Al contrario, la
mancata stipulazione della convenzione finale tra la stazione appaltante e il
promotore/concessionario avrebbe legittimato quest’ultimo, proprio in ragione
del torno di tempo trascorso dall’affidamento della concessione (undici mesi), a
far valere una evidente responsabilità precontrattuale della P.A., determinata
dalla violazione dei principi di buona fede e correttezza, la cui osservanza è
prescritta dall’art. 1337 del c.c.. Tanto basta per ritenere che la condotta
complessivamente tenuta dall’Asl meritava ben altra valutazione.
4. La sentenza del Consiglio di Stato, IV Sezione, del 31 ottobre 2006, n. 6456.
L’arresto riportato in rubrica evidenzia, indirettamente, l’errore in cui è
incorso il T.a.r. Napoli con la sentenza commentata nel precedente paragrafo.
Infatti, il Consiglio di Stato con arresto della IV Sezione, n. 6456, del 31
ottobre 2006, nell’esaminare un caso di annullamento del provvedimento di
aggiudicazione di un appalto integrato di progettazione ed esecuzione di opere
pubbliche, ha affermato, mediante un obiter dictum, che l’aggiudicazione, in
quanto atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, costituisce il
momento in cui la volontà della P.A. e del privato si incontrano dando vita al
rapporto sinallagmatico. Ciò che in questa sede rileva è che i Magistrati di
Palazzo Spada, pur non negando alla stazione appaltante la possibilità di poter
annullare in sede di autotutela il provvedimento di aggiudicazione, ancorano
questa opzione ad una adeguata motivazione che dia contezza del concreto
interesse pubblico perseguito15. Non si può certo dire che il Tribunale campano
nel caso esaminato abbia condiviso la medesima posizione del Consiglio di Stato,
dal momento che ha ritenuto sufficiente a soddisfare l’obbligo motivazionale
gravante sulla P.A. la semplice enunciazione dell’interesse pubblico
compromesso. Di particolare interesse, poi, risulta la parte della sentenza
dedicata all’applicazione delle norme contenute nel Capo III della L. n. 241/90,
s. m. e integrazioni, alle ipotesi di esercizio del potere di ritiro da parte
dell’amministrazione aggiudicatrice. Si tratta di uno snodo per molti versi
significativo, dal momento che apre un varco nella direzione della
indispensabilità della comunicazione dell’atto di inizio del procedimento volto
all’adozione di un provvedimento di secondo grado, riduttivo della sfera
giuridica del destinatario. Traslando il principio in materia di project
financing ne consegue che ogni qual volta la P.A. intenda annullare d’ufficio il
provvedimento di aggiudicazione della concessione, affidata all’esito della gara
prevista dall’art. 37-quater, comma 1, e della successiva procedura negoziata -
norma oggi trasfusa nell’art. 155 del d.lgs. n. 163/06 - è tenuta a comunicare
l’inizio del relativo procedimento al privato divenuto concessionario16.
I termini della questione non mutano nell’ipotesi in cui si tratti di promotore
divenuto concessionario a seguito dell’esperimento della procedura di evidenza
pubblica andata deserta, giacché, ai sensi dell’art. 37 - quater, comma 2, tale
situazione integra gli estremi di una aggiudicazione definitiva e non certo
provvisoria, quale può essere considerata la scelta del promotore al termine
della valutazione delle proposte pervenute alla P.A., secondo quanto disposto
dall’art. 37 - ter, L. 109/94 ( recte: art. 154 del d.lgs. n. 163/06); segmento
procedimentale, questo, che chiude la fase precedente l’indizione della
procedura concorsuale. Diversamente opinando, si svuoterebbe di significato
proprio il precetto contenuto nel comma 2 dell’art. 37 - quater della legge
quadro sulle opere pubbliche che attribuisce natura vincolante alla proposta
nelle ipotesi in cui la gara pubblica vada deserta, con questo non riconoscendo
in capo alla P.A. alcuna discrezionalità nell’aggiudicazione della concessione.
Infine, la sentenza in commento si apprezza anche per aver fissato i criteri di
liquidazione del danno, sub specie di lucro cessante, derivante
dall’illegittimità della condotta tenuta dalla P.A.. Secondo i Magistrati di
Palazzo Spada, infatti, il danno dovrebbe essere risarcito nella misura del 10%
dell’utile d’impresa stimato, qualora il concorrente dimostri di non aver potuto
utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di
altri servizi, ovvero, nel caso in cui non sia possibile fornire tale prova,
nella diversa misura del 5%, determinata in via equitativa. Questo significa che
il promotore/concessionario, illegittimamente inciso da un atto di autotutela
adottato dalla stazione appaltante, avrebbe diritto a un risarcimento dei danni
da lucro cessante in un quantum che varia dal 5% al 10% dell’utile d’impresa
previsto nel piano economico finanziario, oltre, naturalmente, al rimborso di
tutte le spese sostenute e documentate per predisporre la proposta poi
positivamente valutata. Nella sentenza del T.a.r. Campania, invece, si è
preferita una miope difesa ad oltranza dell’interesse pubblico dichiarato, con
questo, paradossalmente, sacrificando proprio il principio di buon andamento
dell’azione amministrativa sul quale notoriamente si fonda il potere di
autotutela della P.A..
5. Le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia nella causa
C-412/04.
A margine del presente lavoro, dedicato in magna pars al project financing, pare
opportuno dedicare alcune righe alle conclusioni recentemente depositate
dall’Avvocato generale della Corte di giustizia, Damaso Ruiz-Jarabo Colomer,
presso il supremo Organo di giustizia europeo. Com’è noto, la causa C-412/04 è
stata promossa dalla Commissione europea innanzi ai Giudici comunitari contro lo
Stato Italiano, per sospetta incompatibilità con il diritto comunitario della
legge n. 166/02 (Merloni quater). Per quanto in questa sede rileva, giova
ricordare che il diritto di prelazione riconosciuto al promotore, così come
originariamente disciplinato dall’art. 37 - bis, cioè prima della modifica
apportata dalla legge n. 62/05, è stato considerato dall’Avvocato generale poco
aderente al dettato comunitario. In particolare, la Commissione ritiene che la
norma così strutturata integri una evidente violazione dei principi di
trasparenza e di parità di trattamento dal momento che i partecipanti non
sarebbero messi a conoscenza, già a partire dalla pubblicazione del bando, del
diritto di prelazione accordato dal legislatore al promotore17. Si tratta di un
precetto che, come cennato, è stato adattato ai principi comunitari
successivamente alla proposizione del ricorso. Ciononostante, a parere della
Commissione, l’intervento emendante dello Stato Italiano sarebbe tardivo e,
comunque, non esimerebbe la suprema Corte dal condannare lo Stato Italiano per
violazione degli articoli 43 e 49 del Trattato dell’Unione. L’assunto trova la
sua spiegazione nella circostanza che i Giudici devono considerare la situazione
dello Stato membro al tempo del radicamento della lite, essendo del tutto
irrilevante ogni eventuale successiva modifica del quadro normativo all’epoca
esistente. 18 Dunque, sulla scorta di quanto accaduto a Bruxelles, nonostante i
correttivi introdotti dalla legge n. 62/05, è molto probabile che i magistrati
europei infliggeranno una condanna allo Stato Italiano per non aver
tempestivamente “conformato” la disciplina interna, in materia di finanza di
progetto, alle vigenti prescrizioni comunitarie. Il problema di tenuta con il
diritto dell’Unione della disciplina nazionale del project financing
potrebbe riproporsi se l’interpretazione dell’art. 37 - quater, comma 2, fornita dal
T.a.r. Napoli diventasse il comune e consolidato parametro applicativo della
giurisprudenza amministrativa. In quel caso, bisognerà prepararsi ad un
ulteriore monito proveniente dal Governo di Bruxelles per violazione della norma
in parola dei principi di libera concorrenza, trasparenza, ragionevolezza e
imparzialità. Infatti, la procedura concorsuale, regolarmente indetta, una volta
andata deserta, finisce per dilatare l’originario interesse legittimo
“provvisorio” del promotore a vedersi affidata la concessione, consolidandone
gli effetti, proprio in ragione del riconoscimento da parte del legislatore
italiano del diritto di prelazione in suo favore, radicando, inoltre, in capo al
medesimo, un diritto soggettivo pieno e assoluto alla stipula della convenzione
con la stazione appaltante. Il modus agendi dell’Asl campana, ritenuto legittimo
dal Ta.r. Napoli con la sentenza in commento, pertanto, fornisce una
interpretazione dell’art. 37 - quater, comma 2, decisamente poco in linea con i
principi comunitari richiamati, esponendo lo Stato Italiano a nuove censure di
incompatibilità del diritto interno con le norme dell’Ue.
6. Considerazioni finali.
La disciplina del project financing nel corso degli ultimi dieci anni è stata
più volte oggetto di rivisitazione da parte del legislatore nazionale. Alcune
volte le modifiche legislative sono state “suggerite” dal bisogno di omologare
le norme interne al dettato comunitario, come nel caso della “correzione”
dell’art. 37-bis della legge quadro sulle opere pubbliche disposta attraverso
l’art. 24, comma 9, della legge n. 62/05. Ciononostante, si può affermare che
l’istituto della finanza di progetto non ha ancora trovato all’interno
dell’ordinamento italiano un assetto del tutto in linea con le coordinate
dettate dal diritto dell’Unione. Il punto dolente, a parere di chi scrive, è
rinvenibile proprio nella mancanza di un corretto bilanciamento tra l’esigenza
di garantire e, in qualche modo, ”premiare” il promotore e il bisogno
ineludibile di osservare i principi di derivazione comunitaria della parità di
trattamento, della trasparenza e della concorrenza, senza pregiudicare il buon
andamento dell’azione amministrativa. Sarebbe opportuno, allora, che lo stesso
art. 37 - bis, oggi art. 154 del d.lgs. n. 163/06 (T.U. delle opere pubbliche)
indicasse, per esempio, le linee guida nel rispetto delle quali le stazioni
appaltanti, in modo uniforme, fissino i criteri in base ai quali valutare
comparativamente le proposte pervenute. In questo modo, si eviterebbero
proteiformi meccanismi selettivi non sempre rispondenti all’interesse pubblico
da soddisfarsi. Inoltre, non si rischierebbe di alterare il libero gioco del
mercato, esposto a seri pericoli a causa di una procedura “bifasica” come quella
del project financing, caratterizzata da un sistema di selezione della
proposta più vantaggiosa per la P.A. - alla quale è agganciato il diritto di
prelazione - non governato dalle regole della evidenza pubblica, nonostante la
sostanziale omogeneità dell’intera procedura interessata da diversi fenomeni
concorsuali (art. 37 - quater). Altro tema spinoso riguarda la posizione
del promotore, una volta divenuto aggiudicatario della concessione a seguito
dell’espletamento della gara prevista dal citato art. 37 - quater della legge n. 109/94, oggi
trasfuso nell’art. 155 del d.lgs. n. 163/06. Al riguardo, non si ritiene affatto
condivisibile la soluzione fornita dal T.a.r. Campania, commentata nell’odierno
lavoro, per due ordini di motivi. In primo luogo, è la stessa lettera del comma
2 dell’art. 37 - quater a stabilire che qualora la procedura concorsuale,
finalizzata alla scelta dei due sparring partners, vada deserta la
proposta formulata dal promotore diventa vincolante. Dal che ne discende che la
stazione appaltante è tenuta ad aggiudicare la concessione al privato
selezionato all’esito della valutazione compiuta ai sensi dell’art. 37 - bis della legge n.
109/94, e s. m. e integrazioni. In secondo luogo, sarebbe illogico riconoscere
in capo al promotore il diritto di prelazione e poi, nell’ipotesi di gara andata
deserta, prevedere che l’aggiudicazione della concessione abbia un carattere
provvisorio e non definitivo. Al contrario, si ritiene che il promotore, nella
ipotesi descritta dall’art. 37 - quater, comma 2, sia titolare di una vera e
propria posizione giuridica di diritto soggettivo alla stipula della convenzione
con la P.A., proprio in quanto aggiudicatario definitivo della concessione. Ne
consegue che l’aspettativa del promoter,in casi di tal fatta, non può non avere
eguale consistenza giuridica di quella di un “normale” affidatario di
concessione di costruzione e gestione. Il comportamento tenuto dall’Asl campana,
dunque, ha finito per integrare gli estremi di un illecito civile, giustiziabile
ai sensi dell’art. 1337 del codice civile, per violazione delle più elementari
regole di correttezza e buona fede. Ancora. Il fatto che il promotore in casi
del genere debba essere considerato alla stregua di un aggiudicatario definitivo
e non provvisorio, come erroneamente ha ritenuto il Tribunale partenopeo, impone
alla P.A., che agisce in via di autotutela, di comunicare l’inizio del
procedimento volto a ritirare l’atto ampliativo della sfera giuridica del
destinatario, di guisa che, questi, interloquendo con la stazione appaltante,
possa prospettare osservazioni e valutazioni finalizzate alla migliore
individuazione dell’interesse pubblico, concreto e attuale alla cui cura deve
essere indirizzata la potestà pubblica19. A prescindere da quest’ultimo aspetto,
non sottoposto al vaglio del Giudice di prime cure, vi è da augurarsi che il
Consiglio di Stato, in sede di appello, faccia giustizia di una sentenza che
tradisce sostanzialmente lo spirito del principio di buon andamento della P.A.,
posto alla base dell’esercizio del potere di autotutela, restituendo alla figura
del promotore quella dignità giuridica riconosciutagli dal legislatore.
___________________________
* Professore di Organizzazione Aziendale presso l’Unical e partner dello studio legale Cristofano, Guzzo & Associates (e - mail: guzzo@cgaalaw.com).
1 La lettera della norma, rubricata annullamento
d'ufficio, così recita: 1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni
di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. 2. È fatta salva la
possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni
di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole".
2 Il punto 2) della Circolare del Ministero
della Funzione Pubblica, rubricato ” 2. L’annullamento d’ufficio nella legge
11.2.2005, n. 15 (articolo 21-nonies della legge 7.8.1990, n. 241)”,
espressamente prevede che “La presente circolare intende fornire alle pubbliche
amministrazioni prime indicazioni interpretative delle nuove norme in materia di
annullamento d’ufficio, individuando modalità e criteri di riferimento che
evitino incertezze sul piano applicativo, allo scopo di pervenire ad un
indirizzo amministrativo univoco. Pur essendo temporalmente successiva
all’intervento normativo operato dall’articolo 1, comma 136, della legge n.
311/2004, si ritiene opportuno chiarire preliminarmente i profili applicativi
della norma prevista dalla legge n. 15/2005, che ha introdotto nel nostro
ordinamento la disciplina “generale” dell’annullamento d’ufficio dei
provvedimenti illegittimi (articolo 21-nonies legge n. 241/1990). Nel contesto
normativo delineato in premessa, la nuova normativa generale sull’annullamento
d’ufficio, già soltanto per il fatto di rappresentare la legificazione di
principi ricostruiti in passato soltanto in via dottrinaria e giurisprudenziale,
fornisce un quadro compiuto in ordine alla materia dell’annullamento d’ufficio
del provvedimento illegittimo assicurando maggiore stabilità ad un istituto di
particolare rilevanza per la cura degli interessi dei cittadini.
L’annullamento d’ufficio è un provvedimento amministrativo di secondo grado la
cui emanazione comporta la perdita di efficacia, con effetto retroattivo, di un
provvedimento inficiato dalla presenza “originaria” di uno o più vizi di
legittimità.
Oggetto dell’annullamento d’ufficio è dunque un provvedimento che, pur constando
di tutti gli elementi essenziali per la sua giuridica esistenza, presenta uno
dei tradizionali vizi di legittimità delineati dall’articolo 26 del Testo Unico
26.6.1924, n. 1054 sul Consiglio di Stato.
La legge n. 15 del 2005, conformemente al predetto articolo 26 e all’unanime
dottrina e giurisprudenza, ha quindi specificato, introducendo l’articolo
21-octies nel corpo della legge n. 241/1990, che è annullabile il provvedimento
amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o
da incompetenza.
Il legislatore ha già da tempo previsto che la presenza di uno di tali vizi può
condurre di per sé all’annullamento dell’atto da parte dell’autorità giudiziaria
e da parte della stessa Pubblica amministrazione, anche se limitatamente ai casi
in cui è chiamata a conoscere in sede giustiziale dei ricorsi amministrativi.
Con l’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990 trova, invece, compiuta
disciplina legislativa la potestà dell’autorità amministrativa di provvedere di
propria iniziativa, nel perseguimento dell’interesse pubblico, all’annullamento
di atti che risultino inficiati da uno dei vizi di legittimità ricordati.
In particolare, l’articolo 21-nonies dispone che il provvedimento illegittimo
possa essere annullato d’ufficio dallo stesso organo che lo ha emanato, o da
altro organo previsto dalla legge, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati.
Per procedere, quindi, l’amministrazione competente all’annullamento d’ufficio
ha l’obbligo di verificare:
la giuridica esistenza di un provvedimento amministrativo;
la ricorrenza di uno di vizi di
legittimità del provvedimento (violazione di legge, eccesso di potere,
incompetenza);
la sussistenza di ragioni di interesse pubblico per l’annullamento d’ufficio
Nella valutazione della ricorrenza di ragioni di interesse pubblico
all’annullamento dovrà tenersi conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati.
Infine, ricorrendo tutte le altre condizioni previste dall’articolo 21-nonies,
la pubblica amministrazione competente potrà procedere all’annullamento
d’ufficio entro un termine ragionevole.
Il disposto dell’articolo 21-nonies, pur consolidando normativamente principi
giurisprudenziali non controversi, deve essere in ogni caso interpretato anche
in coerenza con i principi generali dell’azione amministrativa.
Elemento necessario per poter procedere all’annullamento dell’atto illegittimo
è, in prl o luogo, l’interesse pubblico.
L’interesse pubblico alla base del provvedimento di autotutela, come
costantemente precisato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, non può
esaurirsi nel mero interesse al ripristino della legalità violata.
Ai fini di una corretta valutazione dell’esistenza, nel caso concreto,
dell’interesse pubblico all’annullamento dell’atto, le Pubbliche Amministrazioni
dovranno tener conto anche della circostanza che la propria attività è
costituzionalmente orientata secondo i canoni dell’imparzialità e del buon
andamento (articolo 97 Cost.), ed è retta dai principi generali dell’azione
amministrativa sanciti dall’art. 1, comma 1, della legge n. 241/1990, così come
modificato dall’art. 1 della legge 11.2.2005, n. 15.
Risponde all’interesse pubblico l’annullamento d’ufficio improntato a criteri di
economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza, nonché di
“proporzionalità” dell’azione amministrativa.
Tale ultimo criterio, pur non essendo esplicitamente previsto dall’articolo 1
della legge n. 241/1990 tra i principi generali dell’attività amministrativa,
rientra nei “principi del diritto comunitario”, assolutamente consolidati anche
nella giurisprudenza italiana, di cui al medesimo articolo 1 della legge n.
241/1990, come modificato dalla legge n. 15/2005.
Il principio di proporzionalità va inteso come dovere in capo alla Pubblica
Amministrazione di non comprimere le situazioni giuridiche soggettive dei
privati, se non nei casi di stretta necessità ovvero di indispensabilità.
In ossequio al principio di proporzionalità, che obbliga ad assicurare il minor
danno possibile agli interessi privati coinvolti e solo se strettamente
necessario, l’amministrazione competente dovrà valutare sia la sussistenza di
effetti giuridici ampliativi che il provvedimento ha eventualmente prodotto
nella sfera giuridica dei privati (nei quali potrebbe essersi ingenerato un
ragionevole affidamento in ordine alla definitività dell’assetto delle posizioni
di interesse o di diritto composte con il provvedulento), sia gli eventuali
effetti ampliativi conseguenti dall’annullamento d’ufficio dell’atto.
Sempre nell’ottica della proporzionalità ,inoltre, dovranno essere valutati i
pregiudizi a carico dei privati derivanti dall’atto illegittimo.
L’amministrazione, pertanto, procederà al ritiro d’ufficio dell’atto illegittimo
una volta riscontrato che l’interesse pubblico all’annullamento è prevalente
rispetto a quello alla conservazione dell’atto, alla luce degli interessi
privati coinvolti, avendo riguardo, in particolare, al principio
dell’ordinamento comunitario della “proporzionalità”.
In altri termini, in considerazione del principio di proporzionalità,
l’amministrazione procederà all’annullamento d’ufficio quando ciò sia necessario
al fine di evitare un danno non proporzionato agli interessi dei privati
coinvolti nel procedimento.
Nella motivazione del provvedimento sarà poi necessario esplicitare
l’apprezzamento - anche sul piano comparativo - in merito al sacrificio imposto
al privato, ovvero circa la possibilità di ovviare all’errore commesso con
appositi strumenti giuridici (in questo senso, Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12 ottobre 2004, n. 6554).
Peraltro, se il vizio che inficia il provvedimento può essere rimosso senza
addivenire all’annullamento dell’atto, l’amministrazione dovrà procedere in tal
senso.
Nel caso di atti endoprocedimentali illegittimi, ivi compresi gli atti che
rappresentano il momento conclusivo di subprocedimenti che afferiscono a
procedimenti complessi, la potestas di adottare l’atto di ritiro è in primo
luogo in capo all’amministrazione che ha emesso l’atto endoprocedimentale.
In particolare, in fase endoprocedimentale, l’amministrazione competente
valuterà la ricorrenza dell’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio
dell’atto avendo riguardo al rispetto del principio di proporzionalità, come
sopra illustrato, nonché all’interesse ad evitare, in ossequio al principio di
economicità dell’azione amministrativa, che l’atto endoprocedimentale
illegittimo provochi l’illegittimità derivata del provvedimento conclusivo del
procedimento principale, con le prevedibili ricadute in termini di ampliamento
del contenzioso.
Altro elemento che l’amministrazione dovrà valutare è il trascorrere del tempo,
sia perché esso tende ad attenuare progressivamente l’interesse pubblico ad
annullare, riducendone l’attualità e la concretezza, sia perché favorisce il
consolidamento dell’assetto degli interessi privati creato dall’atto
annullabile.
La scelta operata in via generale dall’articolo 21-nonies è quella che consente
alle pubbliche amministrazioni di procedere all’annullamento d’ufficio “entro un
termine ragionevole”.
Pertanto, più tempo sarà trascorso dall’emanazione dell’atto illegittimo, più
dovrà essere approfondita la valutazione dell’amministrazione ed intenso lo
sforzo di motivazione circa l’esistenza dell’interesse pubblico all’annullamento
dell’atto.
Inoltre, la “ragionevolezza” del
termine dovrà essere valutata di volta in volta, oltre che in relazione al
tempo, anche in considerazione del grado di illegittimità del provvedimento,
della graduazione degli interessi pubblici e privati in gioco, ecc.”
3
In quella occasione i
Giudici peloritani, affrontando un caso di annullamento in sede di autotutela di
una concessione edilizia dopo ben 14 anni, annullarono il provvedimento di
secondo grado dell’amministrazione comunale per evidente violazione del
legittimo affidamento ingenerato dal comportamento inerte della p.a. per tutto
il torno di tempo considerato. In particolare, i Magistrati siciliani rilevarono
che, proprio a causa del legittimo affidamento ingenerato nel privato, “(…) il
provvedimento impugnato avrebbe richiesto una puntuale motivazione circa
l’interesse pubblico perseguito in relazione al sacrificio imposto al cittadino;
e ciò nell’ottica di un bilanciamento di interessi che, per costante dottrina e
giurisprudenza, deve connotare gli atti di ritiro allorché gli stessi
intervengano dopo un lungo lasso di tempo ed abbiano suscitato nei privati
affidamenti incolpevoli (…)”.
4
In terminis anche il Tar Abruzzo, sezione di Pescara, che con una recentissima
sentenza del 24 luglio 2006, ha affermato che incombe sulla P.A. l’onere di “(…)
valutare comparativamente l’interesse pubblico concreto e attuale
all’annullamento dell’atto con la qualificata posizione del privato,
consolidatasi nel tempo, dando prevalenza all’affidamento del privato ove non
sussistano particolari e pregnanti ragioni di interesse pubblico”.
Il Consiglio di Stato, VI Sezione, con una recente sentenza del febbraio 2006,
rubricata n. 671, ha stabilito che “(…) il provvedimento di autotutela non si
sottrae, “in parte qua”, alla censura di insufficienza ed inadeguatezza della
motivazione, ove si consideri che esso interviene a salvaguardia dell’interesse
di rilievo pubblico (omissis), la cui compromissione, prima di pervenire alla
statuizione di annullamento d’ufficio, va valutata sul piano dell’effettività,
in raffronto alle posizioni soggettive del privato beneficiario del
provvedimento autorizzatorio (…)”.
5 Il Consiglio di Stato, VI Sezione, con una recente
sentenza del febbraio 2006, rubricata n. 671, ha stabilito che “(…) il
provvedimento di autotutela non si sottrae, “in parte qua”, alla censura di
insufficienza ed inadeguatezza della motivazione, ove si consideri che esso
interviene a salvaguardia dell’interesse di rilievo pubblico (omissis), la cui
compromissione, prima di pervenire alla statuizione di annullamento d’ufficio,
va valutata sul piano dell’effettività, in raffronto alle posizioni soggettive
del privato beneficiario del provvedimento autorizzatorio (…)”.
6 L’art. 37 - ter così dispone:”Le amministrazioni
aggiudicatici valutano la fattibilità delle proposte presentate sotto il profilo
costruttivo, urbanistico e ambientale, nonché della qualità progettuale, della
funzionalità, della fruibilità dell’opera, dell’accessibilità al pubblico, del
rendimento, del costo di gestione e di manutenzione, della durata della
concessione, dei tempi di ultimazione dei lavori della concessione, delle
tariffe da applicare, della metodologia di aggiornamento delle stesse , del
valore economico e finanziario del piano e del contenuto della bozza di
convenzione, verificano l’assenza di elementi ostativi alla loro realizzazione
e, esaminate le proposte stesse anche comparativamente, sentiti i promotori che
ne facciano richiesta, provvedono ad individuare quelle che ritengono di
pubblico interesse. La pronuncia delle amministrazioni aggiudicatici deve
avvenire entro quattro mesi dalla ricezione della proposta del promotore. Ove
necessario, il responsabile del procedimento concorda per iscritto con il
promotore un più lungo programma di esame e valutazione. Nella procedura
negoziata di cui all’articolo 37 - quater il
promotore potrà adeguare la propria proposta a quella giudicata
dall’amministrazione più conveniente. In questo caso, il promotore risulterà
aggiudicatario della concessione
7 Cfr.
sull’argomento G. Guzzo: “Project financing: fu vera gloria?”, in Rivista
Trimestrale degli Appalti, n. 1/2006
8 In
terminis: Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza n. 142, del 25 gennaio 2005.
Per un ulteriore approfondimento si segnala G. Guzzo “Alcune riflessioni sul
project financing alla luce delle recenti pronunce del Consiglio di Stato, V
Sezione, n. 6287, del 10 novembre 2005, del CGA della Regione Sicilia, n. 974,
del 22 dicembre 2005 e della legge n. 266, del 23 dicembre 2005
(finanziaria 2006), in www.LexItalia.it, n. 2/2006. Il corollario che discende
dai principi riportati è che le regole dell’evidenza pubblica dovrebbero trovare
applicazione già nella fase della scelta del promotore (art. 37 - ter), e non a partire dalla
successiva procedura di evidenza pubblica, finalizzata alla scelta dei due sparring partners,
ex art. 37 -
quater. Tanto, proprio in ragione dell’affermata
unitarietà della procedura, certificata dalla perfetta sovrapponibilità
dell’interesse ad assumere la posizione di promotore a quello delle imprese che
partecipano alla procedura concorsuale
9 Più in
particolare, i Giudici del Tar Napoli hanno sostenuto che “(…) La posizione del
privato, nel caso di specie, non è certo assimilabile a quella di un’impresa che
ha vinto una gara ad evidenza pubblica, ma si avvicina piuttosto all’ipotesi in
cui vi è una situazione di provvisorietà (o se si vuole di non definitività)
nella quale l’affidamento ingenerato nel privato non ha una consistenza
significativa rispetto all’interesse pubblico sotteso alla decisione di secondo
grado
10
L’art. 155 del T.U. degli appalti (d.lgs. n. 163/06), stabilisce:”(Indizione
della gara) (art. 37 quater, l. n. 109/1994)
1. Entro tre mesi dalla pronuncia di cui all'articolo 154 di ogni anno le
amministrazioni aggiudicatrici, qualora fra le proposte presentate ne abbiano
individuate alcune di pubblico interesse, applicano, ove necessario, le
disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n.
327, e, al fine di aggiudicare mediante procedura negoziata la relativa
concessione di cui all'articolo 143, procedono, per ogni proposta individuata:
a) ad indire una gara da svolgere con il criterio dell'offerta economicamente
più vantaggiosa di cui all'articolo 83, comma 1, ponendo a base di gara il
progetto preliminare presentato dal promotore, eventualmente modificato sulla
base delle determinazioni delle amministrazioni stesse, nonché i valori degli
elementi necessari per la determinazione dell'offerta economicamente più
vantaggiosa nelle misure previste dal piano economico-finanziario presentato dal
promotore; si applica l’articolo 53, comma 2, lettera c);
b) ad aggiudicare la concessione mediante una procedura negoziata da svolgere
fra il promotore e i soggetti presentatori delle due migliori offerte nella gara
di cui alla lettera a); nel caso in cui alla gara abbia partecipato un unico
soggetto la procedura negoziata si svolge fra il promotore e questo unico
soggetto.
2. La proposta del promotore posta a base di gara è vincolante per lo stesso
qualora non vi siano altre offerte nella gara ed è garantita dalla cauzione di
cui all'articolo 75, comma 1, e da un’ulteriore cauzione pari all'importo di cui
all'articolo 153, comma 1, quinto periodo, da versare, su richiesta
dell'amministrazione aggiudicatrice, prima dell'indizione del bando di gara.
3. I partecipanti alla gara, oltre alla cauzione di cui all'articolo 75, comma
1, versano, mediante fideiussione bancaria o assicurativa, un'ulteriore cauzione
fissata dal bando in misura pari all'importo di cui all'articolo 153, comma 1,
quinto periodo.
4. Nel caso in cui nella procedura negoziata di cui al comma 1, lettera b), il
promotore non risulti aggiudicatario entro un congruo termine fissato
dall'amministrazione nel bando di gara, il soggetto promotore della proposta ha
diritto al pagamento, a carico dell'aggiudicatario, dell'importo di cui
all'articolo 153, comma 1, quinto periodo. Il pagamento è effettuato
dall'amministrazione aggiudicatrice prelevando tale importo dalla cauzione
versata dal soggetto aggiudicatario ai sensi del comma 3.
5. Nel caso in cui la gara sia esperita mediante appalto avente ad oggetto sia
l’esecuzione dei lavori che la presentazione del progetto in sede di offerta e
nella successiva procedura negoziata di cui al comma 1, lettera b), il promotore
risulti aggiudicatario, lo stesso è tenuto a versare all'altro soggetto, ovvero
agli altri due soggetti che abbiano partecipato alla procedura, il rimborso
delle spese sostenute e documentate nei limiti dell'importo di cui all'articolo
153, comma 1, quinto periodo. Il pagamento è effettuato dall'amministrazione
aggiudicatrice prelevando tale importo dalla cauzione versata
dall'aggiudicatario ai sensi del comma 3”.
11 Più
nel dettaglio, il Consiglio di Stato, con la sentenza della V Sezione, n. 6727,
ha chiarito che “(…) La conclusione della licitazione privata (o dell’appalto
concorso ex art. 37 - quater co. 1, lett. a), non determina una situazione di
vantaggio o pregiudizio di uno dei competitori a danno dell’altro. Questa
situazione si verifica solo all’esito del confronto finale, quando, cioè, nella
fase negoziata una delle due proposte ammesse prevale sull’altra o quella del
promotore prevale su ambedue (…)”
12 Del resto, i Giudici del Consiglio di Stato,
sempre con la sentenza della Sezione V, rubricata n. 6727, del 17 novembre 2006,
hanno indirettamente precisato che esiste una sostanziale identità tra la
posizione del promotore e quella dei partecipanti alla procedura concorsuale,
prevista dall’art. 37 - quater della
legge n. 109/94 e s. m. e i., in quanto, questi ultimi, sono da considerare,
alla stregua del primo, “(…) di aspiranti all’aggiudicazione, non essendo ancora
iniziata né conclusa la comparazione di ciascuno dei due migliori progetti con
quello del promotore posto a base della gara (…)”. Dal che ne discende che, una
volta esaurito il sub - procedimento costituito dalla gara prevista dall’art.
37- quater , a causa dell’assenza di concorrenti, il promotore deve essere
considerato alla stessa stregua di una normale impresa aggiudicataria, in via
definitiva, della concessione
13 Cfr.
G. Guzzo : “Alcune riflessioni sul project financing. (…)”; op. cit.
14 I
Giudici del T.a.r. Napoli hanno affermato che: “(…) diverso è l’onere
motivazionale minimo richiesto dalla giurisprudenza per procedere
all’annullamento degli atti di gara, a seconda della circostanza che sia
intervenuta l’aggiudicazione definitiva e la stipula del contratto, ovvero che
il procedimento di conclusione della gara non sia giunto completamente a
termine”, con questo ritenendo il promotore/concessionario non assimilabile ad
un vero e proprio aggiudicatario della concessione
15 In
particolare, il Consiglio di Stato ha stabilito che “(…) non è precluso
all’amministrazione di procedere, con atto successivo, purché adeguatamente
motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca
d’ufficio ovvero all’annullamento dell’aggiudicazione (ex multis, C.d.S., sez.
IV, 12 settembre 2000, n. 4973; C.d.S., sez. IV, 22 ottobre 2004, n. 6931)”.
16 Più
nel dettaglio i Giudici di seconde cure hanno precisato che “(…) in presenza di
un provvedimento di aggiudicazione definitivo l’esercizio del potere di
autotutela deve essere necessariamente preceduto, a pena illegittimità, dalla
comunicazione di inizio del procedimento, dovendosi darsi modo
all’aggiudicatario definitivo, titolare di una posizione giuridica evidentemente
qualificata, di poter interloquire con l’amministrazione, rappresentando fatti e
prospettando osservazioni e valutazioni finalizzate alla migliore individuazione
dell’interesse pubblico, concreto e attuale, alla cui unica cura deve essere
indirizzata la potestà pubblica”.
17 La
modifica al primitivo testo dell’art. 37 bis della legge n. 109/94 e s. m. e
integrazioni è stata apportata dall’art. 24, comma 9, della legge n. 62/05, così
strutturato:” 9. All'articolo 37-bis, comma 2-bis, della legge 11 febbraio 1994,
n. 109, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: "L'avviso deve contenere i
criteri, nell'ambito di quelli indicati dall'articolo 37-ter, in base ai quali
si procede alla valutazione comparativa tra le diverse proposte. L'avviso deve,
altresi', indicare espressamente che e' previsto il diritto a favore del
promotore ad essere preferito ai soggetti previsti dall'articolo 37-quater,
comma 1, lettera b) ove lo stesso intenda adeguare il proprio progetto alle
offerte economicamente piu' vantaggiose presentate dai predetti soggetti
offerenti. Con apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti sono disciplinati gli effetti sulle procedure in corso che non si
siano ancora chiuse a seguito di aggiudicazione alla data di adozione del
predetto decreto, i cui avvisi indicativi pubblicati prima della data del 31
gennaio 2005 non contengano quest'ultima indicazione espressa
18 In
particolare, nel Capo VII delle conclusioni, rubricato “Analisi dei motivi di
inadempimento”, alla lettera a), punto 68, si legge che “(…) la giurisprudenza
esige di valutare la sussistenza dell’inadempimento in relazione alla situazione
dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine fissato nel
parere motivato, e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi”.
Nel successivo punto 69), la Commissione precisa che “Di conseguenza, nel
procedimento in esame, occorre prendere come riferimento la normativa vigente
all’epoca in cui è scaduto il termine di due mesi concesso nel parere motivato
del 15 ottobre 2003 e non la legislazione approvata successivamente
19
In terminis: Consiglio di Stato, IV Sezione, sentenza n. 6456, del 31
ottobre 2006; cit
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 30/11/2006