AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Copyright © AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
La riscossione
coattiva dei crediti contributivi
PIETRO CAPURSO*
1. La legislazione in materia contributiva dell’ultimo decennio è fortemente
caratterizzata dalla tendenziale armonizzazione tra disciplina fiscale e
contributiva.
La manifestazione più evidente del fenomeno – oltre alla unificazione della base
imponibile -, è la riforma della riscossione coattiva dei contributi
previdenziali, attuata a seguito della delega di cui alla legge 28 settembre
1997, n. 337, che conteneva quale criterio direttivo “l’affidamento, mediante
procedure ad evidenza pubblica, ai concessionari della riscossione mediante
ruolo delle entrate dello Stato, degli enti territoriali e degli enti pubblici,
anche previdenziali (…)”.
In ossequio a tale principio il D. Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, nel quadro del
complessivo riordino della disciplina prevista per la riscossione mediante
ruolo, prevede – al capo II, relativo alla “estensione delle disposizioni sulla
riscossione mediante ruolo” – una particolare disciplina dedicata alla
iscrizione a ruolo dei crediti contributivi, che si aggiunge alla disposizione
di cui all’art. 21, che espressamente prevede che le altre entrate (diverse dai
contributi) aventi causa in rapporti di diritto privato sono iscritte a ruolo
quando risultano da titolo avente efficacia esecutiva.
Il titolo esecutivo è quindi costituito dal ruolo, atto interno informatico,
formato dallo stesso ente impositore e perfezionato con sottoscrizione
elettronica, che viene consegnato in via telematica all’agente della riscossione
per la successiva attività di competenza. Si tratta di atto amministrativo
plurimo, perché consiste in un elenco dei debitori e delle somme da essi dovute
formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo concessionario, e
rappresenta l’anello di congiunzione tra l’attività dell’ente creditore, che
attraverso il ruolo fa valere le proprie pretese in via di autotutela, e quella
del concessionario della riscossione, che - ricevuto l’elenco dal Consorzio
Nazionale tra Concessionari - avvia la riscossione coattiva procedendo alla
notifica della cartella unica di pagamento, che del ruolo è un estratto portante
i dati relativi al contribuente ed al credito vantato.
Il sistema appena ora brevemente esposto è profondamente inciso dall’ultima
riforma della riscossione – disciplinata dall’art. 3 della legge 2 dicembre
2005, n. 248 (Disposizioni in materia di servizio nazionale della riscossione)
con il quale si è previsto, a decorrere dal 1° settembre 2006, la soppressione
del sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della
riscossione e la costituzione, da parte dell’Agenzia delle Entrate e
dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, della Riscossione S.p.A.,
società che avrà il compito di effettuare, senza obbligo di cauzione, l’attività
di riscossione mediante ruolo degli enti pubblici.
La riforma, che prevede il trasferimento nei ruoli organici della costituenda
S.p.a. dei dipendenti delle attuali concessionarie per la riscossione, non
contiene però modifiche sostanziali del procedimento di riscossione, fondato –
com’è noto – sul principio di separazione tra titolarità del credito, di
competenza dell’ente creditore, e titolarità dell’azione esecutiva, che viene
appunto trasferita, dietro corrispettivo di un aggio, al concessionario della
riscossione (in futuro, Riscossione S.p.A.).
2. Dal principio di separazione tra titolarità del credito e dell’azione
esecutiva scaturisce anche l’importante conseguenza che mentre la fase diretta
alla riscossione appartiene alla competenza del concessionario, tutto ciò che
attiene al rapporto contributivo rimane nella gestione dell’ente creditore.
Sono dunque di competenza dell’ente previdenziale
i seguenti provvedimenti, che incidono sulla riscossione:
a) discarico sul ruolo, in caso di partite
erroneamente iscritte a ruolo e per le quali non è stata ancora notificata la
cartella al debitore;
b) sgravio, totale o parziale, della cartella,
nei casi in cui il credito iscritto sia stato oggetto di pagamento o comunque
sia stato accertato come non dovuto;
c) sospensione degli atti esecutivi da parte del
concessionario, nel caso cu sia dubbio sulla legittimità del credito, oppure il
debitore abbia presentato istanza di rateazione. Nella prima ipotesi si avvia un
sub-procedimento che può sfociare nello sgravio delle partite sospese oppure
nella revoca della sospensione con conseguente ripristino del carico iscritto a
ruolo, eventualmente aggravato dalle ulteriori sanzioni; nella seconda ipotesi
si provvede invece alla iscrizione a ruolo della rate.
d) rimborso su cartella, attraverso il quale si
restituisce al contribuente una somma indebitamente versata.
3. L’art. 24 pone alcune regole procedurali per gli Istituti previdenziali
nell’esercizio del potere di iscrizione a ruolo, che possono dare luogo alla
illegittimità dello stesso in quanto emesso in carenza di potere.
L’art. 24, co. 2, prevede, nella ipotesi in cui l’Ente solleciti l’adempimento
mediante avviso bonario al debitore, che non si proceda alla iscrizione a ruolo
se questi provvede a pagare le somme dovute entro trenta giorni dalla ricezione
dell’avviso stesso. Qualora, poi, ricevuto l’avviso, il debitore presenti
domanda di rateazione, e questa venga accolta, si procede alla iscrizione a
ruolo delle rate.
Il contribuente, tuttavia, non può contestare la lesione di alcun interesse nel
caso di mancato esercizio della facoltà da parte dell’Ente, puramente
discrezionale, né impugnare l’avviso bonario in sede giudiziaria.
Nel caso di gravame amministrativo contro l’accertamento effettuato dall’ufficio
si ha invece un differimento dell’iscrizione a ruolo, che viene eseguita dopo la
decisione del competente organo amministrativo e comunque entro i termini di
decadenza previsti dall’art. 25 (co. 4). E’ evidente qui la ratio
deflativa del contenzioso giudiziario nelle ipotesi in cui non sussista ancora
la definitività amministrativa della pretesa dell’ente, e quindi sia
ancora possibile il ritiro in sede di autocontrollo.
E’ opportuno però precisare che in materia di contributi il ricorso
amministrativo è facoltativo – e quindi, a differenza dei ricorsi per
prestazioni, non è condizione neanche di procedibilità – e deve essere proposto
entro un termine di legge comunque non perentorio, ai sensi dell’art. 8 della
legge n. 533 del 1973, che sancisce la irrilevanza dei vizi, delle preclusioni e
delle decadenze verificatisi nelle procedure amministrative riguardanti le
controversie previdenziali. Da ciò deriva che l’effetto sospensivo in esame deve
essere riconosciuto anche al ricorso amministrativo proposto oltre i termini.
Quanto poi alla interpretazione della locuzione “dopo la decisione del
competente organo amministrativo” si è correttamente
fatto rilevare che questa decisione non deve essere necessariamente esplicita,
poiché la legge dispone che, decorso inutilmente il termine previsto per la
decisione, il ricorso si intende respinto. Con la formazione del silenzio
rigetto viene quindi a cadere l’impedimento alla iscrizione al ruolo.
E’ comunque necessario non confondere l’effetto sospensivo del procedimento,
provocato dalla presentazione del ricorso amministrativo, con la possibilità,
per l’ente, di sospendere la riscossione in pendenza di gravame amministrativo.
Questa facoltà, espressamente prevista dall’art. 25 co. 2 del D. Lgs. n. 46 del
1999, regola la fattispecie, evidentemente diversa, di ricorso amministrativo
proposto dopo l’iscrizione a ruolo, per la quale ovviamente non opera la
preclusione di cui si è detto.
Ai sensi dell’art. 24 co. 3, inoltre, se l’accertamento effettuato dall’ufficio
è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è eseguita in
presenza di provvedimento esecutivo del giudice. In altri termini, l’iscrizione
a ruolo effettuata in data successiva al deposito presso la cancelleria del
tribunale del ricorso in accertamento negativo dell’obbligo contributivo deve
considerarsi illegittima, perché la legge inibisce la stessa possibilità per
l’ente di avanzare una pretesa ormai all’esame dell’organo giurisdizionale.
Diversamente, nella ipotesi di opposizione giudiziaria contro il ruolo è il giudice che può sospendere l’esecuzione in presenza di gravi motivi.
4. Un interrogativo di primaria importanza è se l’iscrizione a ruolo costituisca
l’unico strumento per procedere esecutivamente nei confronti dei contribuenti,
ovvero se permanga la possibilità di acquisire un titolo diverso, che consenta
poi di agire nelle forme di cui all’art. 474 e segg. c.p.c.
La dottrina sembra non avere dubbi sul fatto che l’iscrizione a ruolo non
esaurisca le forme di tutela del credito degli enti previdenziali, e richiama,
sul punto, la sentenza n. 5540 del 2000, con la quale la Corte di cassazione ha
precisato che dalla previsione, ancorché espressa, di un determinato
procedimento, non sia lecito argomentare – con carattere di necessità – il
divieto del ricorso ad un procedimento alternativo, e che la riscossione
mediante ruoli delle entrate non implichi, in ragione della sua stessa natura di
strumento agevolativo per l’ente creditore, l’obbligo di avvalersene
pregiudicando così la possibilità di far invece ricorso agli strumenti ordinari
di recupero.
Alcuni ritengono ancora possibile l’acquisizione di decreti ingiuntivi, non
essendo stato abrogato l’art. 635 comma 2° c.p.c., che espressamente attribuisce
efficacia di prova scritta per la ammissibilità della domanda di ingiunzione
agli accertamenti eseguiti dagli uffici ispettivi; altri osservano però che
l’art. 37 del d. lgs. n. 46 del 99 ha abrogato l’art. 35 della legge n. 689 del
1981, che consentiva agli enti previdenziali il ricorso al procedimento di
ingiunzione ex art. 633 e ss. C.p.c. e concludono pertanto per la ammissibilità
delle azioni ordinarie di accertamento e condanna.
Queste considerazioni sono da condividere, con la necessaria precisazione, però,
che non si tratta di vera e propria facoltatività nella individuazione dello
strumento di riscossione da parte dell’ente creditore, tipica del regime
previgente al d. lgs. n. 46, in quanto la scelta politico-gestionale di
affidamento al sistema esattoriale è oggi effettuata dallo stesso legislatore.
Da ciò consegue che gli enti sono tenuti normalmente ad avanzare le proprie
pretese attraverso lo strumento della riscossione mediante ruolo, pur potendo –
in una fase successiva, ad esempio a seguito di acquisizione di altro titolo
esecutivo, oppure nei casi in cui non possa più iscrivere a ruolo il credito per
intervenuta decadenza – procedere secondo le modalità ordinarie.
5. L’art. 25 del D. Lgs. n. 46 del 1999 fissa i termini decadenza per
l’iscrizione a ruolo dei crediti degli enti pubblici previdenziali, con il
duplice obiettivo di accelerare la fase della riscossione, ed al tempo stesso di
impedire che i debitori possano restare esposti a lungo al rischio di
aggressione da parte del creditore.
Si tratta anche in questo caso di un impedimento, ma che qui opera come
condizione risolutiva dell’esercizio della potestà di iscrizione a ruolo.
Più analiticamente, nel caso di crediti che scaturiscono da autodichiarazioni
dei contribuenti il termine è stabilito alla fine dell’anno successivo alla
scadenza del versamento, o dalla data di conoscenza da parte dell’ente se la
comunicazione è tardiva, mentre per i crediti accertati in sede ispettiva la
decadenza si compie alla fine dell’anno successivo alla notifica del verbale,
salvo che quest’ultimo sia stato impugnato con giudizio di accertamento
negativo, slittando in tal caso al 31 dicembre dell’anno successivo a quello in
cui il provvedimento è divenuto definitivo.
Occorre comunque ricordare che le continue proroghe alla entrata in vigore della
disciplina, fino alla attuale formulazione dell’art. 36 co. 6 del D. Lgs. n. 46
del 1999, come modificato da ultimo con l’art. 4 co. 25 della Legge n. 350 del
2003, secondo cui le disposizioni sulla decadenza si applicano ai contributi non
versati e agli accertamenti notificati successivamente alla data del 1° gennaio
2004, comportano che le prime ipotesi di decadenza possono venire in essere solo
dal 1° gennaio del 2006.
La dottrina ritiene che, stante anche l’inequivocabile titolo della rubrica
dell’art. 25, il decorso del termine determini una decadenza meramente
procedimentale, con preclusione dall’utilizzo dello strumento della riscossione,
e non con estinzione ex lege del diritto di credito, che può quindi
essere fatto valere nelle vie ordinarie. E’ questo un ulteriore profilo di
accentuato distacco dalla materia tributaria, nella quale la decadenza
dell’ufficio determina l’estinzione dell’obbligo.
Considerato che nella materia previdenziale le decadenze hanno natura
pubblicistica, sembra da preferire la tesi che inquadra il vizio di nullità
della iscrizione a ruolo tardiva come rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e
grado del giudizio.
6. Come si è visto, la previsione di termini di decadenza per l’iscrizione a
ruolo ha lo scopo di evitare che il debitore rimanga a lungo esposto all’azione
del creditore.
Si può però seriamente dubitare che questo obiettivo sia perseguito ponendo
limiti temporali solo alla iscrizione a ruolo e non anche alla notifica della
cartella di pagamento.
Questa problematica ha investito di recente la riscossione dei crediti
tributari, dando luogo alla importante pronuncia 4 maggio 2005 n. 280, con la
quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 25 co. 1 del d.p.r. n. 602 del 1973, nella parte in cui non prevede un
termine certo, fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario
deve notificare la cartella di pagamento.
Il legislatore – raccogliendo l’esortazione del giudice delle legge ad “un
sollecito intervento legislativo con il quale si colmi ragionevolmente la lacuna
che si va a creare”, ha modificato con il d. l. 17 giugno 2005, n. 106,
convertito in l. 31 luglio 2005, n. 156, il citato art. 25, prevedendo l’obbligo
per il concessionario di notificare la cartella entro termini certi,
differenziati in base al tipo di attività di controllo svolta dall’ufficio.
Secondo la dottrina questa nuova regolamentazione della attività del
concessionario, che la Corte di cassazione ritiene applicabile anche ai processi
in corso, riguarda esclusivamente i ruoli tributari, e non è pertanto
estensibile alla riscossione dei crediti contributivi, per i quali trova
applicazione, con riferimento ai ruoli resi esecutivi dopo il 1 luglio 2005, ai
sensi dell’art. 1 co. 417 della legge n. 311 del 2004, il termine di decadenza
dell’ultimo giorno del dodicesimo mese successivo a quello di consegna del
ruolo.
7. Il primo e fondamentale obbligo del concessionario è di portare a conoscenza
del contribuente l’iscrizione a ruolo attraverso la notifica della cartella
unica di pagamento, che contiene l’intimazione ad adempiere entro il termine di
sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che in mancanza si
procederà ad esecuzione forzata.
La cartella di pagamento riporta l’elenco analitico dei debiti iscritti a ruolo
a carico del singolo contribuente ed acquista efficacia di titolo esecutivo con
il decorso del termine di 60 giorni dalla notificazione.
La legge abilita alla notifica della cartella i seguenti soggetti:
a) ufficiali della riscossione
b) messi abilitati dal concessionario
c) messi comunali o agenti di polizia municipale, previa convenzione con i
Comuni.
d) Concessionario titolare del ruolo o delegato.
Nel procedimento di esecuzione forzata, regolato dalle norme del codice di
procedura civile, se non derogate dal d.p.r. n. 602 del 1973, gli ufficiali
della riscossione esercitano le medesime funzioni degli ufficiali giudiziari.
Una volta notificata la cartella, il ruolo acquista efficacia di titolo
esecutivo per un anno, decorso il quale senza che sia stata iniziata
l’espropriazione, il concessionario è tenuto a notificare un avviso contenente
una nuova intimazione ad adempiere entro i successivi cinque giorni.
La cartella di pagamento deve essere redatta in conformità al modello approvato
con decreto n. 321 del 3 settembre 1999 che elenca gli elementi necessari per la
sua emissione (ente creditore, la specie del ruolo, il codice fiscale e i dati
anagrafici dei debitori, il codice di ogni componente del credito, il periodo di
riferimento, l’importo di ogni articolo del ruolo, i totale degli importi
iscritti a ruolo, il numero delle rate in cui il ruolo deve essere riscosso e la
data di consegna al concessionario).
8. Per evidenti motivi di trasparenza e garanzia la cartella di pagamento deve
contenere le ragioni della pretesa.
L’art. 1 co. 2 prevede, al riguardo, che la cartella contenga “l’indicazione
sintetica degli elementi sulla base dei quali è stata
effettuata l’iscrizione a ruolo; nel caso in cui l’iscrizione a ruolo consegua
ad un atto precedentemente notificato, devono essere indicati gli estremi di
tale atto e la relativa data di notifica”.
E’ opportuno, sul punto, non confondere l’eccezione di carenza di motivazione
dell’atto con il difetto di prova del diritto.
Mentre la prova dei fatti dedotti a sostegno della pretesa è riservata alla fase
giurisdizionale, in caso di opposizione dell’ingiunto, l’attività di
accertamento della obbligazione contributiva non è oggetto di provvedimenti
discrezionali, in ordine ai quali l’amministrazione procedente è tenuta ad
esternare i criteri utilizzati per ponderare i diversi interessi, ma di atti
vincolati, per i quali l’onere motivazionale si risolve – in definitiva – nella
chiara individuazione del presupposto normativo.
In considerazione inoltre dell’interesse tutelato (la possibilità di esercitare
al meglio il diritto di difesa) deve ritenersi che un eventuale vizio
motivazionale debba ritenersi sanato in tutte le ipotesi in cui l’ingiunto abbia
comunque proposto opposizione nei termini contestando il merito della pretesa,
avendo comunque l’atto raggiunto lo scopo cui è stato destinato.
9. La peculiarità del modello previdenziale è che - fatta eccezione per il
giudizio di accertamento negativo, che invece è precluso nel processo
tributario, regolato dal principio della tassatività degli atti impugnabili – le
diverse forme di tutela del soggetto passivo dell’obbligazione contributiva
vengono tutte originate dal medesimo atto, la notificazione della cartella di
pagamento.
Mentre, di regola, la sequenza procedimentale della riscossione del credito
tributario è caratterizzata dalla successione di atti (avviso di accertamento,
avviso di mora, iscrizione a ruolo) che devono necessariamente essere impugnati
dal contribuente, non essendo poi più possibile la proposizione della
opposizione al ruolo che investa l’inesistenza della obbligazione, in mancanza
di tempestiva impugnazione degli atti presupposti, nelle opposizioni alle
iscrizioni a ruolo dei crediti contributivi il ruolo non è preceduto da atti
soggetti a consolidamento, ed i termini per l’opposizione sono posti non solo
per contestare i vizi propri del titolo esecutivo, ma anche la stessa
esistenza del credito.
Questo tuttavia non può comportare che la tutela del contribuente previdenziale
si esaurisca nel procedimento di opposizione alla iscrizione a ruolo di cui
all’art. 24, potendo questi proporre autonoma opposizione per contestare la
regolarità formale della cartella, nelle modalità della opposizione al precetto
o al pignoramento, come peraltro risulta dallo stesso decreto legislativo in
esame, che sub art. 29 prevede la possibilità di proporre, nelle forme
ordinarie, le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, mentre il
precedente art. 24 regola un giudizio di cognizione piena sul rapporto
contributivo in contestazione.
E’ quindi necessario distinguere in ragione delle eccezioni avanzate
dall’opponente, di tal ché quando egli contesti il diritto del concessionario di
procedere ad esecuzione forzata si tratta di opposizione all’esecuzione; laddove
il contrasto riguardi la regolarità formale degli atti del processo esecutivo, o
degli atti che lo preannunciano, si configura una opposizione agli atti
esecutivi; infine, allorquando il ricorso venga interposto al ruolo per motivi
inerenti il merito della pretesa, si è davanti ad un giudizio ordinario di
cognizione su diritti ed obblighi afferenti il rapporto contributivo.
Questa impostazione sembra trovare conferma nella giurisprudenza della Corte di
cassazione che, con riferimento ai diversi termini per la proposizione dei
ricorsi in opposizione, ha precisato che “nella disciplina della riscossione
mediante iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali, di cui al d. lgs. n. 46
del 1999, l'opposizione agli atti esecutivi è prevista dall'art. 29, secondo
comma, che per la relativa regolamentazione rinvia alle forme ordinarie, e non
dall' art. 24 dello stesso d. lgs., che si riferisce, invece, all'opposizione
sul merito della pretesa di riscossione. Ne consegue che l'opposizione agli atti
esecutivi prima dell'inizio dell'esecuzione deve proporsi entro cinque giorni
dalla notificazione del titolo esecutivo, che, ai sensi dell'art. 49 del d.p.r.
n. 602 del 1973, si identifica nella cartella esattoriale” (Cass. n.
21863/2004).
Dalla distinzione appena tracciata discendono alcune importanti conseguenze.
La prima è che questa tipologia di controversie – estranee, si ripete, alla
disciplina processuale di cui all’art. 24 - rientra nella competenza del giudice
del lavoro solo nei limiti della ripartizione operata dal combinato disposto
degli artt. 615, 617 e 618bis del c.p.c.
La seconda conseguenza è che nelle ipotesi – peraltro molto frequenti – in cui
vi sia cumulo di eccezioni, di merito e formali, la eventuale nullità della
cartella non esime il giudicante dall’affrontare il merito della controversia,
posto che l’impugnazione introduce una ordinaria causa di cognizione e non
riguarda solo la legittimità dell’atto impugnato.
La terza è che per le questioni che riguardino la sola attività esecutiva la
legittimazione passiva compete esclusivamente al
concessionario della riscossione. Molto precisa, sul punto, la giurisprudenza
tributaria, che ha avuto modo di precisare come “ (…) in caso di impugnazione di
cartella esattoriale, la legittimazione passiva del concessionario del servizio
di riscossione dei tributi sussiste se l’impugnazione concerne vizi propri della
cartella o del procedimento esecutivo, mentre va esclusa qualora i motivi di
ricorso attengano alla debenza del tributo” (Cass. n. 6450/2002).
Può tuttavia accadere – segnatamente nelle opposizioni all’esecuzione – che
l’oggetto del giudizio riguardi anche il merito della pretesa, come ad esempio
nel caso in cui il contribuente eccepisca l’estinzione dell’obbligo
patrimoniale, per adempimento o per prescrizione venute in essere dopo la
iscrizione a ruolo; oppure quando, nell’ambito di una procedura concorsuale,
venga contestata l’ammissione del credito.
In tali ipotesi, il concessionario, ai sensi dell’art. 39 del d. Lgs. n. 112 del
1999, è tenuto, per non rispondere delle conseguenze di una eventuale
soccombenza, a chiamare in causa l’ente creditore.
*
Il presente scritto, integrato delle
note e della bibliografia, costituisce uno stralcio del capitolo: L. Angelini –
G. Arenaccio – P. Capurso, Cessione e cartolarizzazione dei crediti
contributivi. Ricorsi amministrativi e riscossione coattiva, capitolo compreso
in AA. VV., La contribuzione previdenziale, a cura di F. Fonzo – A. Pandolfo –
A. Sgroi, Quaderni della rivista “Previdenza e Assistenza Pubblica e Privata”
edita per i tipi Giuffré.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 31/05/2006