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Non sussiste in capo al G.A. l’obbligo di conoscere della fondatezza dell’istanza del privato in caso di silenzio della P.A. (TAR Lazio, Sezione II bis n° 213/06)
Commento di ROBERTO MONTIXI
Il tema del silenzio
illegittimamente serbato dalla p.A. e dei poteri conferiti al Giudice
Amministrativo ai fini del vaglio della fondatezza dell’istanza dal nuovo testo
dell’art. 2, 5° comma della L. 241/90 viene ulteriormente esaminato dalla
giurisprudenza amministrativa di I° grado.
Questa volta è il TAR Lazio a concludere nel senso dell’esclusione in capo al
giudice amministrativo dell’obbligo di pronunciarsi anche nel merito della
pretesa sostanziale, salva l’ipotesi di pretesa palesemente fondata ovvero
infondata.
Il convincimento del Collegio si fonda sul tenore letterale della disposizione,
su considerazioni che attengono alla specialità del rito disegnato dal
legislatore nell’art. 21 bis della L. 1034/71 e sull’anomalo collocamento in un
corpo normativo avente ad oggetto il procedimento amministrativo di una
disposizione alla quale dovrebbe riconoscersi una dirompente rilevanza
processuale.
La pronuncia del TAR Lazio fornisce l’occasione per alcune considerazioni.
Come è noto, le incertezze interpretative attengono all’affermazione contenuta
nel 5° comma dell’art. 2 della novellata L. 241/90: “il giudice può
conoscere della fondatezza dell’istanza”
Ci si domanda, in particolare, se sia stata coniata una nuova giurisdizione di
merito, se la possibilità di conoscere la fondatezza dell’istanza riguardi i
soli atti vincolati (in considerazione del fatto che in questo caso la pronuncia
che statuisce l’obbligo a provvedere si prospetterebbe come satisfattiva
dell’interesse sostanziale del privato), se tale possibilità sia estesa ai casi
in cui residuino in capo alla P.A. dei margini di apprezzamento dell’interesse
pubblico, se –infine- laddove debba essere ancora attivato il procedimento,
debbano essere effettuati accertamenti anche tecnici complessi, operate
valutazioni, comparazioni di pubblici interessi, queste attività possano essere
effettuate in via sostitutiva dal giudice.
L’Ad. Plenaria del C.d.S. n° 1 del 2002, nel chiarire che il rito disegnato
dall’art. 21bis della Legge TAR, come modificata dalla L. 205/2000, garantisce
al privato in tempi brevi una risposta circa la sussistenza o meno in capo alla
p.A. dell’obbligo a provvedere, ha però anche precisato che il giudice non puo’
addentrarsi nei meandri dell’azione amministrativa sino ad indicare quale
provvedimento debba essere adottato.
Ciò, sia con riguardo all’attività discrezionale sia con riferimento a quella
vincolata.
Il Consiglio di Stato sottolinea, in particolare, che sarebbe paradossale che
l’istante debba augurarsi un comportamento inerte della p.A. piuttosto che un
provvedimento espresso, anche se negativo.
Nel primo caso, infatti, potrebbe ambire ad una pronuncia pienamente
satisfattiva anche del proprio interesse sostanziale in tempi estremamente
rapidi (utilizzando il rito ex art. 21 bis), mentre nel secondo caso il
provvedimento della p.A. dovrebbe seguire il normale iter e la tempistica
propria del rito ordinario.
La novità introdotta con il 5° comma dell’art. 2 della L. 241/2005 sembra
rappresentare un momento di chiara rottura con l’opzione interpretativa palesata
dalla citata Plenaria.
Si afferma, come detto, che “il Giudice può conoscere della fondatezza
dell’istanza”.
Ci si deve allora domandare cosa si intende con il termine “può”.
Infatti, con esso potrebbe essersi attribuito al Giudice un potere/dovere che
deve esercitare sempre e in ogni caso in cui sia possibile oppure potrebbe
intendersi che questo è investito della facoltà di conoscere della fondatezza in
base al suo prudente apprezzamento ed in relazione alla specifica fattispecie
sottoposta al suo esame.
Ad oggi non si intravede ancora un orientamento giurisprudenziale consolidato.
L’unica sentenza di secondo grado sulla questione è quella pronunciata dal
Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (n° 726 del
4.11.2005) che non esita ad affermare che i poteri attribuiti al giudice dal
rinnovato art. 2 della Legge 241/90 configurano un’ipotesi di “giurisdizione di
merito” e che prevede “l’obbligo del giudice di provvedere sostituendosi
all’amministrazione su istanza della parte”.
Nello stesso senso Tar Veneto sentenza 9.11.2005 4304/2005 che ha
precisato che la nuova disposizione normativa è “volta a rendere eccezionale
l’ipotesi di inerzia dell’amministrazione, sicchè si giustifica l’intromissione
del giudice anche in ambiti di discrezionalità, non limitando la norma ricordata
alle sole ipotesi di atti vincolati la possibilità di pregnante sindacato sulla
fondatezza dell’istanza, vale a dire sulla definizione del rapporto sottostante”
.
Sul punto i giudici Veneti precisano anche che “con l’espressione ordina
di provvedere è ammissibile anche l’indicazione del concreto atto da
adottarsi e non di un provvedimento qualsiasi, ma comunque idoneo a concludere
il procedimento: è altrettanto chiaro tuttavia, che laddove non sia possibile da
parte del giudice il vaglio della fondatezza, rimane pur sempre consentito che
questi adotti una pronuncia “del vecchio tipo” .
Molto più prudente il TAR Puglia (Bari, sez. II, 17.11.2005, n° 4905) che
ha affermato con riguardo all’ampiezza del potere riconosciuto al Giudice
Amministrativo a fronte dell’inerzia della P.A. “la locuzione può conoscere
della fondatezza dell’istanza deve essere interpretata nel senso che ciò in
effetti è consentito quando i profili di discrezionalità degli atti da emanare
siano ristretti e, in generale, non siano necessari accertamenti, anche tecnici,
e valutazioni di una certa complessità; altrimenti una pronuncia sul silenzio,
che affrontasse sempre (senza i limiti indicati) il nodo della fondatezza della
pretesa, risulterebbe del tutto inconciliabile con il rito assai concretato
delineato dall’art. 21 bis, evidentemente inadatto a tale scopo”.
Sulla stessa linea si sviluppa l’iter argomentativo del TAR Sicilia –sez
Catania- sentenza n° 1725 del 17.10.2005, nella quale si legge che “posto
che il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza non è
più possibile affermare che il rito speciale di cui all’art. 21 bis della Legge
1034/71 è finalizzato solo al fine precipuo di verificare l’esistenza di un
obbligo a provvedere ed il correlativo inadempimento.
Sempre che il ricorrente lo richieda (…) il giudice dovrà operare una duplice
valutazione, l’una volta ad indagare sull’esistenza dell’obbligo a provvedere ed
al suo effettivo inadempimento; l’altra (…) volta ad accertare la fondatezza
dell’istanza”.
E sin qui nulla questio: il tenore letterale dell’art. 2 comma 5° della nuova
241/90 non pone alcun dubbio circa l’intervenuto mutamento di rotta rispetto
all’orientamento tracciato dall’Adunanza Plenaria n° 1/02.
Si tratta di vedere quanto tale mutamento di rotta sia radicale.
E quindi fino a che punto può spingersi il sindacato del Giudice Amministrativo
nel valutare la fondatezza della pretesa sostanziale del privato.
Il Tar Sicilia procede nel suo argomentare sottolineando che la fondatezza della
domanda del privato è chiaramente apprezzabile dal giudice nel caso di silenzio
inadempimento (e quindi a fronte di una attività vincolata della p.A.).
Questo sulla base di una considerazione.
L’accertamento che il giudice opera al fine di verificare la sussistenza
dell’obbligo a provvedere postula la disamina di una norma che in sé racchiude
quegli elementi costitutivi posti a fondamento della legittimazione delle
pretese del privato e quei presupposti processuali (il decorso del termine per
provvedere), la cui acclarata sussistenza imponeva alla p.A. di agire in una
determinata direzione e precisamente quella direzione invocata dall’istante.
Pertanto, l’accertamento dell’obbligo di provvedere si traduce anche in un
accertamento della fondatezza dell’istanza, con possibile intervento del
commissario ad acta nel caso di ulteriore inerzia della p.A.
Diverso è invece il caso dell’attività discrezionale: qui il giudice dovrebbe
operare apprezzamenti complessi, valutazioni, espletamento di atti
procedimentali istruttori, comparazione di interessi e quant’altro.
In questo caso si dovrebbe veramente giungere ad uno sconfinamento di poteri con
il giudice che diventa amministratore.
Ci troveremmo, in definitiva, di fronte ad una giurisdizione di merito senza che
il legislatore l’abbia espressamente prevista.
L’interesse del ricorrente, nel caso di un procedimento da attivare, si
sostanzia quindi nella legittima pretesa a tale attivazione. E su l’acclaramento
di tale obbligo che ricadrà la pronuncia del giudice.
Mentre nel caso di attività vincolata, come detto, è la legge stessa che
contiene tutti gli elementi che legittimano il ricorrente ad ottenere una
pretesa satisfattiva del suo interesse sostanziale ed il giudice deve limitarsi
ad apprezzare la sussistenza di tali presupposti nel caso concreto (oltre al
decorso del termine per provvedere), nel caso di attività discrezionale una
pronuncia potrebbe configurarsi nel solo caso in cui la p.a. abbia già speso i
propri poteri discrezionali, autovincolandosi mediante atti di regolamentazione
puntuali, atti di programmazione etc, oppure qualora abbia –in via meramente
ipotetica- già effettuato le valutazioni, gli accertamenti abbia già ponderato
gli interessi, abbia in sostanza concluso l’istruttoria.
In tal caso è immaginabile una pronuncia del giudice che però, in questi
termini, incide su una attività anche in questo caso vincolata, non da parte
della legge, ma da parte della stessa p.A.
Su questa linea, pare inserirsi anche la pronuncia del TAR Lazio di seguito
riportata.
Qui peraltro, più che far dipendere l’incisività del sindacato dalla natura
vincolata o discrezionale del azione amministrativa, si riconduce alla palese
fondatezza o infondatezza della pretesa la possibilità di ottenere una pronuncia
che non si limiti all’accertamento dell’obbligo di provvedere ma giunga a
conoscere l’effettiva spettanza del bene della vita invocato.
A ben vedere, peraltro, anche in questo caso, i Giudici romani ritengono
necessario arrestare l’indagine allorquando sia necessario addentrarsi in
valutazioni (nella specie la disamina e l’idoneità delle integrazioni
documentali prodotte a supporto la domanda di rilascio di una concessione
edilizia) che attengono all’ambito del potere discrezionale della pubblica
amministrazione.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
Sezione Seconda bis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 6770/2005, proposto da HOWARD Caroline, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Renzo Cuonzo e Stefano Gattamelata ed elettivamente
domiciliata presso il loro studio in Roma, Via di Monte Fiore n. 22.
CONTRO
il COMUNE di SANTA MARINELLA (Roma), in persona del Sindaco pro tempore,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Ludovico D’Amico ed
elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Eugenio Tramonti in Roma,
Via Antonio Mordini n. 14.
PER L’ANNULLAMENTO
del silenzio rifiuto formatosi, ai sensi dell’art. 20, comma 9, del D.P.R.
6.6.2001 n. 380, sull’istanza inoltrata dalla ricorrente in data 9.3.2005,
diretta a riattivare il procedimento afferente la domanda di rilascio di
concessione edilizia presentata dal sig. Tommaso Perugini, dante causa
dell’odierna ricorrente, al Comune di Santa Marinella in data 27.3.2002 (prot.
30479) ed acquisita dall’Ufficio Urbanistica il successivo 29.3.2002 con il n.
prot. 731; nonché di ogni ulteriore atto e/o provvedimento ad esso connesso e/o
presupposto, nonché per il risarcimento del danno per l’ingiusto diniego.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto la memoria di costituzione in giudizio del Comune di Santa Marinella;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 24 novembre 2005 il consigliere Renzo CONTI;
Udit, altresì, .
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in trattazione, notificato l’11 luglio 2005 e depositato il
successivo 19 luglio, la ricorrente indicata in epigrafe espone:
• di aver acquistato, con rogito notarile del 5.2.2004, il terreno sito nel
Comune di Santa Marinella, in località Bocca di Lepre , individuato al catasto
al foglio 2, part. 148 e foglio 6, part. 2015;
• che il precedente proprietario Tommaso Perugini, con istanza del 27.3.2002 (prot.
n. 5047), chiedeva il rilascio di una concessione edilizia per la realizzazione
di una casa colonica sul predetto terreno;
• che l’Amministrazione comunale chiedeva con nota n. 7412 del 24.4.2002
ulteriori documenti tempestivamente depositati dal sig. Perugini e che, con
successiva nota n. 11396 del 27.6.2002 consentiva la realizzazione di una parte
dell’intervento, i cui lavori sono stati iniziati dalla ricorrente quale nuova
proprietaria;
• che con nota n. 2662 del 3.2.2004, tuttavia, l’Ufficio Urbanistica, richiamato
il parere della Commissione edilizia del 23.10.2003, comunicava che la pratica
era sospesa poiché in presunto contrasto con alcuni requisiti previsti dalla
legge regionale n. 38/1999;
• che la ricorrente, pur ritenendo che il procedimento si fosse ormai concluso
alla data del 30.6.2002, con lettera del 9.3.2005, trasmetteva al Comune la
documentazione richiesta e conseguentemente invitava il Comune a concludere il
procedimento concessorio;
• che l’Amministrazione, però, serbava il più assoluto silenzio.
Ciò esposto ha chiesto l’annullamento del silenzio rifiuto sulla predetta
istanza di riattivazione e conclusione del procedimento concessorio, deducendo
al riguardo i seguenti motivi di gravame, così dalla medesima ricorrente
paragrafati:
1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990 e dei
generali principi in tema di conclusione del procedimento amministrativo.
2. Violazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. e
dell’art. 1 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità,
contraddittorietà e manifesta ingiustizia. Disparità di trattamento. Violazione
dei principi di tutela dell’affidamento.
3. Violazione dell’art. 1 della legge n. 241/1990 sotto il profilo
dell’ingiustificato aggravamento del procedimento. Sviamento. Violazione e falsa
applicazione degli artt. 51,52 e 55 della legge regionale 22.12.1999 n. 38 e
dell’art. 1 della legge regionale 30.1.2002 n. 4.
Con un quarto motivo chiede il risarcimento del danno subito.
Si è costituito per resistere il Comune di Santa Marinella, il quale ha
diffusamente contrastato le tesi della ricorrente.
La causa è stata quindi chiamata e posta in decisione alla camera di consiglio
del 24.11.2005.
DIRITTO
Il ricorso è volto ad ottenere l’annullamento del silenzio rifiuto che si assume
formatosi sull’istanza di riattivazione del procedimento di concessione
edilizia, presentata dalla ricorrente il 9.3.2005 dopo che l’Amministrazione con
nota prot. n. 2662 del 3.2.2004 aveva comunicato che le domande di concessione
edilizia n. 5047 del 27.3.2002 e n. 7474 del 8.5.2002 per la realizzazione,
rispettivamente, di una casa colonica e di un magazzino agricolo erano state
sospese stante l’assenza della documentazione nella stessa indicata.
Giova preliminarmente precisare che, con detta nota del 3.2.2004,
l’Amministrazione ha sospeso il procedimento di rilascio, oltre che della
richiamata domanda di concessione edilizia n. 5047 del 27.3.2002 per la
realizzazione di una casa colonica, anche della domanda n. 7474 del 8.5.2002 per
la realizzazione di un magazzino agricolo, ma come sopra evidenziato
l’impugnativa riguarda unicamente la prima domanda di concessione edilizia e,
pertanto, il ricorso è limitato a tale domanda relativa alla casa colonica.
Va ulteriormente precisato che, contrariamente a quanto prospettato dalle parti,
il contenzioso così instaurato non investe la verifica della fondatezza della
pretesa sostanziale della medesima ricorrente al rilascio della concessione
edilizia richiesta – posto che al riguardo difetta un’esplicita determinazione
dell’amministrazione assistita da idonea motivazione, in ordine alla quale possa
utilmente instaurarsi il sindacato del giudice adito – ma unicamente
l’accertamento dei presupposti cui le norme riconducono l’obbligo della stessa
amministrazione di esprimersi sull’interesse del cittadino con un provvedimento
conclusivo ed espresso.
Ciò trova conferma nella considerazione che, come è dato rilevare dall’art. 21
bis della legge 6.12.1971 n. 1034 (introdotto dall’art. 2 della legge 21.7.2000
n. 205), detta norma prevede uno specifico procedimento processuale per i
ricorsi avverso il silenzio dell’amministrazione, caratterizzato dalla celerità
del medesimo (il quale deve essere deciso entro trenta giorni dalla scadenza del
termine per il suo deposito), dalla specialità del rito (in camera di
consiglio), dal contenuto della decisione (che deve essere “succintamente
motivata”) e dai poteri attribuiti al giudice amministrativo nell’ipotesi di
accoglimento del ricorso (il quale “ordina all’amministrazione di provvedere”
entro un certo termine).
Alla stregua di detta disciplina, pertanto, deve escludersi la possibilità, per
lo stesso giudice, di pronunciarsi anche nel merito della pretesa sostanziale e
cioè sul contenuto del provvedimento medesimo.
Tale disciplina non può ritenersi completamente modificata dal successivo art.
2, comma 5, della legge 7.8.1990 n. 241, nel testo sostituito dall’art. 3, comma
6 bis del D.L. 14.3.2005 n. 35, come convertito nella dalla legge 14.5.2005 n.
80, il quale prevede che “Il giudice amministrativi può conoscere della
fondatezza dell’istanza”.
Tale espressione, infatti, contrariamente a quanto sostenuto da parte della
giurisprudenza (cfr. C.G.A.R.S., 4.11.2005 n. 726), non può interpretarsi come
imposizione al giudice amministrativo dell’”obbligo” di provvedere, sempre e
comunque, sulla fondatezza della domanda, ma unicamente nel senso di una mera
“possibilità”, che alla luce della specifica disciplina dettata in materia di
impugnazione del silenzio rifiuto dal richiamato art. 21 bis della legge n.
1034/1971, deve essere ristretta alle sole ipotesi di manifesta fondatezza o
infondatezza della pretesa sostanziale.
A tale conclusione il collegio è indotto, in primo luogo, dal tenore letterale
dell’espressione utilizzata dal legislatore: “può conoscere della fondatezza
dell’istanza”, anziché di quella “conosce della fondatezza dell’istanza” e
simili utilizzata dal medesimo legislatore allorché ha voluto attribuire un
potere assoluto di cognizione (v. ad esempio l’art. 27comma 1, del R.D.
26.6.1924 n. 1054). In secondo luogo perché le specialità del rito processuale
sopra richiamate non si concilierebbero con una giurisdizione piena e di merito.
In terzo luogo perché apparirebbe singolare che la modificazione di una norma
processuale di tale rilevanza sia stata espressa in un corpo di norme aventi ad
oggetto il procedimento amministrativo (id est la legge n. 241/1990), anziché
nella sede propria delle norme sul processo amministrativo.
Per quanto sopra argomentato il collegio ritiene che, dalla combinata lettura
dei richiamati artt. 21 bis della legge 6.12.1971 n. 1034 e art. 2, comma 5,
della legge 7.8.1990 n. 241, nel giudizio avverso il silenzio rifiuto deve
escludersi la sussistenza dell’obbligo, per il giudice amministrativo, di
pronunciarsi anche nel merito della pretesa sostanziale e cioè sul contenuto del
provvedimento che avrebbe dovuto essere adottato dall’Amministrazione, salva
l’ipotesi di pretesa palesemente fondata ovvero infondata.
Diversamente opinando, si verificherebbe l’illogica conseguenza che, in presenza
di un provvedimento esplicito, adottato all’esito di una specifica istruttoria
nonché fornito di congrua motivazione, al relativo ricorso si applicherebbe il
rito ordinario, mentre in presenza di un mero comportamento inerte, e quindi di
una situazione di fatto e di diritto carente degli elementi di giudizio
derivante dall’istruttoria e dalla valutazione dell’amministrazione competente,
il giudice amministrativo dovrebbe decidere nel merito della pretesa del
ricorrente nei ristretti termine previsti dal rito speciale applicabile in caso
di silenzio-rifiuto.
Per quanto sopra argomentato risulta inammissibile il secondo motivo di gravame,
con il quale viene dedotta non tanto la mancata conclusione del procedimento, ma
la pretesa sostanziale al rilascio della richiesta concessione edilizia,
sull’assunto che a seguito dell’integrazione documentale prodotta
l’Amministrazione non avrebbe potuto fare altro che rilasciare la concessione.
Non si rinviene, infatti, nella specie quel carattere di palese fondatezza,
ovvero infondatezza. della pretesa della ricorrente, atteso che la stessa
presuppone la previa valutazione dell’integrazione documentale prodotta dalla
medesima al fine di pervenire alla conclusione del procedimento concessorio.
Parimenti inammissibile è il terzo motivo di gravame, con il quale viene
contestata la legittimità della richiesta di integrazione documentale di cui
alla nota del 3.2.2004, in quanto anche detta censura attiene alla pretesa
sostanziale che è estranea al procedimento impugnatorio del silenzio rifiuto.
Ciò premesso, il ricorso nei limiti sopra precisati è fondato, in accoglimento
del primo motivo di gravame nella parte in cui viene dedotta la violazione
dell’art. 2 della L. 7.8.1990 n. 241.
E’ noto, infatti, che detta ultima disposizione stabilisce che, sia nell’ipotesi
di procedimento iniziato d’ufficio, che in quello attivato su istanza di parte,
“la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo con un provvedimento
espresso”. Ciò comporta, sul piano processuale, la possibilità del privato di
tutelare l’interesse all’adozione dell’atto conclusivo del procedimento, al fine
di ottenere una pronuncia che accerti la violazione di tale dovere e che ponga a
carico all’Amministrazione l’obbligo specifico di pronunciarsi.
Nella specie, come in precedenza evidenziato, l’Amministrazione, con la nota
prot. n. 2662 del 3.2.2004 aveva disposto la sospensione del procedimento di
rilascio della concessione edilizia n. 5047 del 27.3.2002, sul presupposto di
una carenza documentale.
La ricorrente ha dato riscontro, a detta nota, con atto del 9.3.2005 (trasmesso
con raccomandata, ricevuta dall’Amministrazione l’11.3.2005), allegando al
medesimo la documentazione nello stesso indicata e chiedendo espressamente la
conclusione del procedimento.
A tale stregua, sussisteva l’obbligo dell’Amministrazione, in applicazione
dell’art. 2 della legge n. 241/1990, di pronunciarsi con un provvedimento
esplicito sulla predetta richiesta e concludere, quindi, il procedimento in
ordine alla richiesta di concessione edilizia n. n. 5047 del 27.3.2002.
Né hanno rilevanza, in relazione al predetto obbligo dell’Amministrazione, le
circostanze evidenziate dalla difesa comunale che la documentazione prodotta non
fosse completamente esaustiva rispetto alla carenza evidenziata nella nota del
3.2.2004 e che non sussisterebbero i presupposti per il suo rilascio, atteso che
dette circostanze potrebbe eventualmente legittimare un provvedimento esplicito
di diniego, ma non anche esonerare l’amministrazione dall’obbligo di concludere
il procedimento con un provvedimento esplicito, così come espressamente
stabilito dal citato art. 2 della legge n. 241/1990.
In conclusione e per quanto sopra argomentato, il ricorso va accolto nei limiti
di cui sopra e, per l’effetto, va annullato il silenzio-rifiuto impugnato, va
dichiarato l’obbligo del Comune intimato di pronunciarsi con un provvedimento
espresso in ordine alla richiesta di riattivazione e conclusione del
procedimento iniziato con la richiesta di concessione edilizia n. 5047 del
27.3.2002 (e sospeso dall’Amministrazione con nota prot. n. 2662 del 3.2.2004),
entro il termine di 30 (trenta) giorni dalla comunicazione in via amministrativa
della presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione se anteriore e va,
conseguentemente, ordinato allo stesso Comune di adempiere a tale obbligo.
Quanto, infine, alla domanda di condanna dell’amministrazione intimata al
risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dalla ricorrente, la stessa deve
essere disattesa in questa sede, in quanto il ricorso è stato proposto e deciso
con lo speciale rito di cui all’art. 21 bis della L. 6.12.1971 n. 1034, aggiunto
dall’art. 2 della L .21.6.2000 n. 205, nell’ambito del quale, come sopra
evidenziato, non possono essere introdotte domande diverse dalla declaratoria di
illegittimità del silenzio rifiuto e del conseguente obbligo di provvedere
dell’amministrazione.
Sussistono, giusti motivi, stante la parziale soccombenza, per compensare
integralmente tra le parti le spese di giudizio, ivi compresi diritti ed
onorari.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez.II bis, definitivamente
pronunciando sul ricorso n. 6770/2005 indicato in epigrafe, lo accoglie nei
limiti indicati in motivazione e, per l’effetto, annulla l’impugnato
silenzio-rifiuto, dichiara l’obbligo del Comune intimato di pronunciarsi con un
provvedimento espresso in ordine alla richiesta di riattivazione e conclusione
del procedimento iniziato con la richiesta di concessione edilizia n. 5047 del
27.3.2002, entro il termine di 30 (trenta) giorni dalla comunicazione in via
amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione se
anteriore e, conseguentemente, ordina allo stesso Comune di adempiere a tale
obbligo.
Spese, diritti e onorari, compensati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2005, in Camera di Consiglio, con
l'intervento dei signori magistrati:
Patrizio GIULIA - Presidente
Francesco GIORDANO - Consigliere
Renzo CONTI - Consigliere, estensore
IL PRESIDENTE IL CONSIGLIERE ESTENSORE
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 15/03/2006