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L’affidamento in house del servizio d’igiene ambientale: il caso Enna
Massimo Greco*
Accanto all’affidamento mediante gara, che la riforma attuata dall’art. 35
della L. n. 448/2001 aveva configurato come unico strumento per la gestione
esternalizzata dei servizi pubblici, l’art. 14 del D.L n. 269/2003 ha previsto
altri due modelli dei quali uno risponde allo schema dell’affidamento diretto in
house di estrazione comunitaria, mentre l’altro reintroduce lo strumento della
società mista, prevedendo l’affidamento diretto del servizio a fronte della
selezione mediante procedura ad evidenza pubblica del socio privato.
La società Enna-Euno, meglio conosciuta come ATO rifiuti, ha optato per la prima
soluzione affidando in house il servizio di gestione dell’intero ciclo dei
rifiuti alla Società Sicilia-Ambiente, dopo una mirata modifica statutaria
finalizzata a rendere totalmente pubblica la partecipazione azionaria dei soci.
Senza entrare nel merito dell'operazione di acquisto delle quote detenute dal
precedente socio privato a cura della società d'ambito, questione che
richiederebbe uno specifico approfondimento, proviamo a riflettere su ciò che
prevede la normativa attuale per rendere conforme alle norme statali e al
diritto comunitario l’affidamento in questione.
La Corte di Giustizia Europea, dopo aver affermato l’obbligatorietà della
procedura ad evidenza pubblica per la scelta del contraente di una fornitura
all’ente pubblico, ha stabilito che “Può avvenire diversamente solo nel caso in
cui, nel contempo, l’ente locale eserciti su tale soggetto un controllo analogo
a quello esercitato sui propri servizi e quest’ultimo realizzi la parte più
importante della propria attività, con l’ente o con gli enti locali detentori”
(sent. Teckal 18/11/99 causa C-107/98). La Corte di Giustizia ha riaffrontato il
problema del “controllo analogo” (sent. 11/01/2005, causa C-26/03) affermando
che “la partecipazione, anche minoritaria, di una impresa privata al capitale di
una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in
questione, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulle
detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri
servizi”. Infine, con la decisione 13/10/2005, nella causa C-458/03, la Corte
comunitaria ha stabilito per un verso che, il possesso dell’intero capitale
sociale da parte dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il
controllo analogo a quello esercitato sui sevizi interni, perde tale qualità se
lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria,
possa essere alienata a terzi e, per l’altro che, se il consiglio di
amministrazione “dispone della facoltà di adottare tutti gli atti ritenuti
necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale”, i poteri attribuiti alla
maggioranza dei soci dal diritto societario non sono sufficienti a consentire
all’ente di esercitare un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi.
“Segnatamente, il controllo analogo deve essere inteso come un rapporto
equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione
gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale
e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario”, (Giuseppe
Mullano, “Affidamento in house tra normativa nazionale e normativa comunitaria”,
Diritto.it, 21/06/2007).
Anche la giurisprudenza amministrativa ha ormai recepito le indicazioni della
Corte di Giustizia, infatti il Consiglio di Giustizia Amministrativa (sent. n.
719 del 4/09/2007) ha così argomentato: “La sussistenza del cosiddetto controllo
analogo, che secondo giurisprudenza comunitaria è necessario per l’affidamento
diretto di un servizio pubblico ad una società appositamente, richiede: a) il
possesso dell’intero capitale azionario (che tuttavia da solo è condizione
necessaria, ma non sufficiente a determinare il controllo analogo): b) il
controllo del bilancio; c) il controllo sulla qualità dell’amministrazione; d)
la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti, sino a giungere al potere
del controllante di visitare i luoghi di produzione; e) la totale dipendenza
dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali. E’ quindi
necessario a tal fine che si realizzi quello che è definito <<controllo
strutturale>>, e questo non può limitarsi agli aspetti formali relativi alla
nomina degli organi societari ed al possesso della totalità del capitale
azionario”. “Peraltro, la Corte di Giustizia ha affermato che i requisiti
dell’in house providing, costituendo un’eccezione alle regole generali del
diritto comunitario, devono essere interpretati restrittivamente (Corte di
Giustizia, 6 aprile 2006, C-410/04). Ciò significa che l’in house providing non
costituisce un principio generale, prevalente sulla normativa interna, ma è un
principio derogatorio di carattere eccezionale che consente, e non obblighi, i
legislatori nazionali a prevedere tale forma di affidamento. Affinché possa
esperirsi legittimamente un affidamento diretto occorre che vi sia una specifica
previsione normativa derogatoria al principio di concorsualità e concorrenza, e
che ricorrano tassativamente le condizioni dalla stessa previste”(TAR Lecce,
4/10/2007, n. 3436).
Alcune questioni rimangono ancora aperte in ordine alla praticabilità di tale
istituto in tutti gli ambiti del sistema di affidamento dei servizi pubblici,
soprattutto nel silenzio di alcune normative di settore, tant'è che la V°
Sezione del Consiglio di Stato (decisione 23/10/2007, n. 5587), ha rimesso la
questione all'Adunanza Plenaria, prospettando la possibilità che la stessa,
nell'esaminare complessivamente l'intera problematica, valuti la necessità di
deferire la questione alla Corte di Giustizia (Roberto Giovagnoli, “Gli
affidamenti in house tra lacune del Codice e recenti interventi legislativi,
Relazione al Convegno sul codice dei contratti pubblici del 19/10/2007, Palazzo
Spada”).
Tuttavia, in altre materie, come quella ambientale, la normativa più recente
sembra escludere espressamente la praticabilità del modello dell'in house. Il
Codice dell’ambiente, infatti, non prevede una normativa derogatoria, anzi.
L’art. 202, comma 1, del D.Lgs n. 152/2006, nello stabilire che l’Autorità
d’Ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante
“gara”, precisa che la stessa deve essere disciplinata dai principi e dalle
disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’art. 113, comma 7,
del D.Lgs 267/2000. Il Decreto Ministeriale 2 maggio 2006 pubblicato sulla G.U.
n. 108 dell’11 maggio 2006, anche se non produttivo di effetti giuridici in
forza della nota dello stesso Ministero del 26/06/2006 pubblicata nella G.U. n.
146 del 26/06/2006 (vedasi pure Tar Palermo, sez. I, sent. n. 2511, 05/11/2007),
all’art. 2, comma 2°, così recita: “La gestione del servizio di cui al
precedente comma 1 è aggiudicata mediante gara ad evidenza pubblica disciplinata
dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui
all’art. 113, comma 7, del decreto legislativo n. 152/2006, nel rispetto del
piano d’ambito e del principio di unicità della gestione per ciascun ATO”. Il
successivo art. 2, comma I°, così recita: “Le AATO sono soggetti aggiudicatari e
procedono all’affidamento della gestione del servizio mediante gara pubblica, da
espletarsi con il sistema della procedura aperta, adottando per l’aggiudicazione
il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata secondo le
modalità di cui al presente decreto”.
“E’ emersa fin da subito la scomparsa della possibilità di scelta tra diversi
modelli di gestione come consentito dal comma 5 dell’art. 113 del TUEL
sostituita dalla previsione della procedura ad evidenza pubblica per la scelta
del gestore. Il Codice, dunque, ammette una sola modalità di affidamento del
servizio, ritenendo che in questo settore esista un mercato dove operano
soggetti economici ed è quindi intervenuto a tutela di quel mercato, e, in
definitiva della concorrenza, creando per i rifiuti una disciplina di settore
diversa rispetto a quella ordinaria. Lo stesso comma 1 dell’art. 202 contiene
dei criteri di selezione del gestore (l’ammontare del corrispettivo offerto) che
non sono pertinenti ad un rapporto in house, ma lo sono se si tratta di
selezionare un soggetto terzo, pubblico o privato” (Carlo Rapicavoli, “La
gestione dei rifiuti urbani nel codice ambientale”, LexItalia.it, n. 10/2007).
Illuminante appare altresì il parere recentemente espresso dal Consiglio di
Stato n. 3838 del 5/11/2007 sullo schema di decreto legislativo concernente
“Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, recante norme in materia ambientale” che al punto 29 così recita: “La
modifica, mediante rinvio generalizzato all’art. 113, consente anche, in luogo
della gara, l’utilizzo del sistema in house che invece il decreto legislativo
aveva inteso, in questo settore, eliminare. Essa, pertanto, è di carattere
sostanziale ed esula, come tale, dai limiti del potere correttivo. Va aggiunto
che il ripristino del sistema in house non è in linea con il diritto
comunitario, secondo cui laddove vi è un mercato contendibile in cui gli
operatori privati sono in grado di assicurare il servizio pubblico, la riserva
del servizio pubblico all’amministrazione (mediante gestione diretta, o società
in house) non è giustificabile. Il sistema in house deve essere pertanto
considerato eccezionale, consentito laddove vi sono oggettive esigenze di
svolgimento di un servizio pubblico in regime di privativa……….Non sono
ammissibili deroghe alla concorrenza che non siano necessarie al perseguimento
della missione di carattere generale affidata al gestore del servizio. La
relazione, invece, nulla dice sulle ragioni oggettive ed eccezionali che rendono
ancora attuale l’in house”. A tal riguardo la Corte Costituzionale, con la
sentenza n. 206 del 2001, ha affermato che i decreti correttivi ed integrativi
devono avere lo stesso oggetto del decreto originario e seguire gli stessi
criteri direttivi ai quali quest'ultimo si è ispirato.
Alla luce dell'argomentato quadro normativo, il rapporto tra l’ATO rifiuti e
Sicilia Ambiente non sembra essere conforme alle novità apportate dal citato
Codice dell’ambiente e ai principi della giurisprudenza comunitaria ed
amministrativa, considerato che l’affidamento è datato dicembre 2006 e che il
Dlgs 152/2006, pubblicato nella G.U. del 18/05/2006, è diventato operativo ad
ottobre del 2006 in forza del termine di sei mesi dalla entrata in vigore della
parte IV dello stesso decreto. Sarà, comunque, il TAR di Catania a dirimere la
controversia il prossimo mese di dicembre, a seguito del ricorso promosso dall’Assoutenti.
* Funzionario Direttivo, Regione Siciliana
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
l'11/12/2007