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La compensazione nel diritto tributario. Ammissibilità della tipologia negoziale.
LUIGI THEODOSSIOU
1) Premessa, 2) Immediata operatività della compensazione ex art. 8 L. 212/2000, 3) La precettività delle norme giuridiche è un carattere generale delle disposizione dell’ordinamento e non vale solamente per le disposizioni di rilievo costituzionale, ma è valida per tutte le disposizioni giuridiche aventi carattere generale e di principio, come quelle contenute nello Statuto dei diritti del contribuente, 4) I regolamenti di attuazione dell’art. 8 L. 212/2000, 5) Questioni pratiche per la applicazione immediata della “compensazione generale” dello Statuto e riflessioni sulla “compensazione speciale” ex art. 17 D. Lgs. 241/1997, 6) L’attività negoziale della pubblica amministrazione in rapporto al dispiegarsi del fenomeno compensativo e all’applicazione del concordato o accertamento con adesione. Il ruolo della discrezionalità amministrativa e il suo rapporto con l’istituto compensativo.
1) Premessa. E’ recente la introduzione dell’istituto della compensazione
nell’ordinamento tributario ed è mio intento analizzarne la genesi normativa
ricostruendo il fenomeno compensativo per mezzo di una ricerca scientifica che
non si fermi al momento della genesi normativa di tale meccanismo estintivo, ma
lo segua nelle sue fasi evolutive fino a giungere all’odierna esigenza di
giustizia che ne rende, a mio parere, imprescindibile l’applicazione in ambito
tributario secondo consolidati schemi civilistici, operando una trasposizione
che ha il proprio asse normativo nell’articolo 8 dello Statuto dei diritti del
contribuente.
Quando sussistono reciproche pretese creditorie, le obbligazioni che ne sono
espressione si estinguono fino alla concorrenza dello stesso valore1
per il dispiegarsi della compensazione, che è legale ove tali crediti-debiti
siano omogenei, liquidi ed esigibili2.
La Suprema Corte ha recentemente affermato3
che l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente rinvia alla disciplina
civilistica, recependo i canoni del codice civile in tema di estinzione delle
obbligazioni con la modalità compensativa4.
La compensazione, dunque, in campo tributario è una possibile modalità estintiva
delle obbligazioni tributarie, solo nei casi espressamente contemplati dal
legislatore e la Corte di Cassazione ha affermato la necessaria previa
emanazione della disciplina di attuazione, per l’applicazione della
compensazione come modalità estintiva delle obbligazioni stabilita quale
principio generale dell’ordinamento tributario, così come previsto dall’art. 8
dello Statuto, ribadendo che tale modalità estintiva opera solamente nei casi in
cui essa sia espressamente prevista dal legislatore tributario5.
Il principio generale del codice civile sulla compensazione come modo di
estinzione dell’obbligazione è stato recepito dal legislatore tributario con la
Legge 27 Luglio 2000, n. 2126
e costituisce una novità significativa perché anteriormente l’obbligazione
tributaria non ammetteva tra i modi estintivi quello della compensazione:
l’ostacolo era ravvisato con chiarezza dalla dottrina7
nella indisponibilità del credito tributario, nell’art 225 del R.D. 22 maggio
1924, n. 8278
e nell’art. 1246 n. 3) del codice civile, in cui si fa divieto di compensare i
crediti impignorabili, come sono i crediti che derivano da rapporti di diritto
pubblico e quindi quelli di natura tributaria.
Nessun ostacolo invece, pare a me sia possibile ravvisare nella previsione del
legislatore costituzionale che all’art. 23 stabilisce che nessuna prestazione
personale o patrimoniale può essere imposta se non ha fondamento nella legge:
tale limite, il cd. principio di legalità, confina l’operatività delle
prestazioni patrimoniali (e anche personali) alle previsioni legislative (nullum
tributum sine lege; no taxation without representation)9.
L’obbligazione da compensare esiste già e anche nel caso della pretesa del
contribuente di opporre un credito in compensazione, non è l’esistenza delle
obbligazioni che viene in rilievo ma la sua modalità di estinzione.
Pare a me sia utile chiedersi se sia possibile parlare di attribuzione
nell’ordinamento tributario di diritto alla compensazione a favore del
contribuente, nonostante, come si dirà nel proseguo,anche indicando le sedi del
fenomeno compensativo, la compensazione come principio generale operante nel
fisco è sancita solamente come modalità generale di estinzione dell’obbligazione
tributaria diversa dall’adempimento, ma non è stata attuata con il regolamento
che ha il compito di disciplinarla dettagliatamente, così come sancito nello
stesso art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, che la fa assurgere a
principio generale dell’ordinamento tributario lasciandone però l’attuazione a
un regolamento ministeriale da emanare ex L. 400/1988.
Io credo che sia possibile compiere una riflessione analoga a quanto è accaduto
per le direttive della Unione Europea, nelle quali sono stabiliti obiettivi che
gli Stati membri perseguono scegliendo il mezzo che ritengono più opportuno,
autonomamente, e nelle quali, se è sancito un diritto al quale non è data
esecuzione dal legislatore ordinario, tale diritto sarà comunque ritenuto valido
e operante in capo al cittadino10.
Quindi, se come pare a me, la compensazione, pur garantita come principio,
nonostante le carenze organizzative del legislatore regolamentare11,
sia un diritto effettivo e valido del contribuente, restano da precisare le
modalità compensative, le sedi processuali e sostanziali e gli eventuali limiti
dell’istituto, che a mio avviso vanno ravvisati nei principi generali
dell’ordinamento, per quanto attiene la negoziazione del “patto compensativo”
tra contribuente e Amministrazione finanziaria, sanciti nell’art. 1322 del
codice civile, nel quale si prevede il riconoscimento giuridico agli interessi
meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, e quindi al di là dei
limiti stessi della disciplina civilistica degli artt. 1241 e segg. .
Pare a me che sia possibile tracciare l’evoluzione normativa della disciplina
tributaria in tema di compensazione e dei meccanismi ad essa riconducibili12,
in cinque fasi:
• Una prima forma di compensazione è stata prevista con
riferimento a debiti e crediti riguardanti la medesima imposta e con limiti
temporali (si tratta della cosiddetta “compensazione verticale” disciplinata
dall’art. 11, comma 3, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917).
• La seconda forma di compensazione è prevista nell’art. 17 del D. Lgs 9 Luglio
1997, n. 241, che estende la possibilità di estinguere le obbligazioni
attraverso la compensazione, ai tributi non omogenei e prevede la possibilità di
applicare l’istituto della compensazione al momento del versamento unitario di
diverse imposte e contributi (cosiddetta “compensazione speciale”).
• Il legislatore, modificando successivamente il suddetto art. 17 (ad es.,
tramite l’art. 28 legge 23 dicembre 2000, n. 388, artt. 4 ed 8 DPR 14 ottobre
1999,n. 542), ha reso sempre più amplia l’area di operatività della
compensazione facendovi rientrare il ravvedimento operoso del contribuente e
l’accertamento con adesione. Questa disciplina ha uno spazio operativo
nettamente maggiore rispetto a quello della compensazione descritta negli artt.
1241 e seguenti del codice civile, perché qui è possibile che vi sia diversità
delle posizioni soggettive nelle reciproche obbligazioni e che tale istituto
trovi addirittura applicazione con riferimento a debiti o crediti vantati dal
soggetto verso l’Erario e debiti o crediti di cui il soggetto è titolare nei
confronti di altri enti13,
mentre nella disciplina civilistica è requisito necessario delle obbligazioni da
estinguere con compensazione, la coincidenza dei soggetti nelle posizioni
debitorie e creditorie.
• Una profonda innovazione è stata introdotta con lo “Statuto dei diritti del
contribuente” in cui si afferma che “ l’obbligazione tributaria può essere
estinta anche per compensazione”. Il contribuente si vede riconosciuto il
diritto di utilizzare i propri crediti per compensare i debiti nei confronti
dello Stato. C’è un rinvio del legislatore tributario alla disciplina
codicistica, ma ciò non autorizza l’interprete a fare riferimento interamente
alla regolamentazione del diritto civile in campo tributario; sono ovviamente
esclusi dall’ambito di applicazione dell’istituto della compensazione
disciplinato dal diritto comune, i casi di compensazione contabile, la quale
riguarda un rapporto unitario ed è specificamente disciplinata.
• La quinta e ultima fase per la piena operatività dell’istituto di cui
trattasi, pare a me si debba ravvisare nell’apposito regolamento, ancora non
emanato, a cui è demandata la concreta disciplina della compensazione
tributaria. Parte della dottrina14
sostiene che, in attesa della emanazione del regolamento, ai sensi dell’art. 17,
comma 2 della L. 23 Agosto 1988, n. 400, la normativa statuaria non sia
applicabile; dovrà quindi continuarsi ad applicare, secondo tale orientamento,
la disciplina anteriore15,
in cui la compensazione è consentita solo ove espressamente prevista16.
Nell’ambito della
“Tutela dell’integrità patrimoniale”17
di cui si occupa l’art. 8 dello Statuto, è intervenuto il giudice di legittimità
con sentenza del 20 novembre 2001, n. 14579, in cui si afferma che la legge
speciale deroga lo Statuto medesimo in tema di Iva a causa della sua analiticità
e specificità, quindi l’istituto della compensazione può essere applicato solo
nei casi specificamente previsti dalla normativa tributaria.
L’art. 8 dello Statuto, all’ultimo comma merita attenta riflessione perché in
esso si esclude la delegificazione della disciplina codicistica di cui agli artt.
1241 ss., e la formula “in via transitoria” è una conferma dell’effetto
abrogativo della disciplina oggi in vigore quando saranno emanati i regolamenti
che la sostituiranno, ma fino a quel momento la disciplina mantiene il rango che
le è proprio nella gerarchia delle fonti e quindi deroga i principi generali
sanciti nel codice civile in tema di compensazione18.
Secondo autorevole dottrina19,
sussiste una violazione dell’art. 17, comma 2, legge n. 400/1988 perché manca
l’indicazione dei principi a cui dovranno ispirarsi i regolamenti che
sostituiranno le disposizioni vigenti; alcuni autori20,
si soffermano sulla possibilità che la compensazione operi tra soggetti
differenti, come avviene ex art. 17 del D.P.R. 241 cit., mentre atra
parte della dottrina afferma che21
occorre identificare i principi della futura regolamentazione della disciplina
in tema di compensazione, negli aspetti della disciplina in vigore che
differenziano la materia tributaria da quella civile: la possibile non
coincidenza fra soggetti creditori e debitori e la efficacia costitutiva
dell’opposizione del credito, anche se questo successivamente risulterà
insussistente.
Saranno proprio le disposizioni vigenti e transitorie a dettare i criteri guida
della futura disciplina della compensazione: la delegificazione non consentirà
modifiche sostanziali della disciplina che lo stesso legislatore definisce
transitoria e che va ricondotta all’art. 17 D. Lgs. N. 241/1997, quindi la
disciplina regolamentare ventura avrà sostanzialmente l’effetto “estensivo” ad
altri tributi della disciplina attualmente in vigore.
Le disposizioni contenute nell’art. 8, sembrano avere una funzione dichiarativa
piuttosto che di disciplina22,
ciò a causa della communis opinio secondo la quale sussistono ostacoli
alla applicazione, nel diritto tributario degli istituti del codice civile23,
di qui l’esigenza dell’intervento del legislatore tributario che esplicitamente
prevede l’applicazione di singoli istituti desunti dal diritto civile.
Mentre le regole, che in campo tributario disciplinano la struttura dei tributi
e il sistema nel suo complesso, sono proprie ed esclusive di tale ambito
dell’ordinamento giuridico, le singole vicende di attuazione dei tributi possono
essere ricondotte all’esclusiva area fiscale solo se in esse si ravvisa il
cosiddetto “interesse fiscale”24
nella accezione in cui dà vita a “particolarismi” fiscali come regole generali
del sistema, in caso contrario,e compatibilmente al principio costituzionale di
uguaglianza, le norme attuative dei tributi possono essere ricondotte al diritto
privato, amministrativo o processuale, a seconda della loro natura.
La Tutela della integrità patrimoniale del privato sancita nella rubrica
dell’art. 8 dello Statuto è configurata come una eccezione che però è ispirata a
principi generali del diritto privato che sanciscono la pari dignità giuridica
dei soggetti nell’ordinamento giuridico.
2) Immediata operatività della compensazione ex art. 8 L. 212/2000.
Lo Statuto dei diritti del contribuente ha introdotto una grande novità
nell’ordinamento tributario prevedendo come principio generale la compensazione
quale modalità estintiva dell’obbligazione, ma ha, sempre all’articolo 8 della
medesima legge, previsto l’emanazione di un regolamento, ai sensi della L. 23
Agosto 1988 n. 400, non ancora emanato, per la concreta disciplina della
compensazione tributaria.
Secondo parte della dottrina25
la mancata emanazione da parte del Ministero delle Finanze del regolamento de
quo, impedisce l’applicazione della compensazione , civilisticamente intesa,
e quindi si afferma che l’istituto della compensazione opera solamente ove
specificamente previsto dall’ordinamento tributario ed entro i limiti medesimi
della disciplina che lo consente, senza possibilità di applicazione analogica
dei profili normativi della disciplina di cui agli artt. 1241 e seguenti del
codice civile.
Altra parte della dottrina26
sostiene che vi è immediata applicazione del principio generale della
compensazione sancito nello Statuto e fa riferimento, in armonia e sostegno con
la propria tesi, a una costante giurisprudenza della Suprema Corte27
secondo la quale i tempi della burocrazia non possono incidere sui diritti che
lo stesso ordinamento tributario ha sancito a favore del contribuente, in nome
del principio di efficienza ed economia, e fa riferimento altresì al principio
di parità di diritti tra cittadino, che secondo la Cassazione è in ruolo di
uguaglianza nella dignità giuridica con la Amministrazione Finanziaria, non
essendone suddito, e la stessa Amministrazione finanziaria; inoltre non possono
neanche certamente incidere sui rapporti contribuente-Amministrazione
finanziaria, le carenze organizzative di questa ultima.
Gli autori che sostengono l’aspetto programmatico dell’articolo 8 dello Statuto28,
(mentre autorevolissima dottrina29
non pone tanto un problema di immediata applicazione del principio generale
della compensazione come modalità estintiva dell’obbligazione tributaria, ma ne
inquadra la portata innovativa differenziandola con la precedente compensazione
prevista dall’art. 17 del D. Lgs. 9 Luglio 1997, n. 241, nel quale è più
correttamente ravvisabile, secondo tale dottrina, la delegazione di debito)
fanno riferimento proprio al ruolo di mera affermazione del principio generale
operata dalla L. 212/2000, e quindi fanno riferimento alla letteratura giuridica
di stampo costituzionale che ha in Crisafulli30
uno dei suoi principali esponenti, nella quale dottrina si afferma che le
disposizioni costituzionali (di recente emanazione) non tutte sono suscettibili
di immediata applicazione, perché c’è la necessità che il legislatore ordinario
recepisca le norme costituzionali di principio rendendole, con una disciplina
dettagliata, precettive (si veda ad esempio veda la letteratura giuridica in
riferimento alla programmaticità/precettività delle disposizioni costituzionali
di cui agli artt. 3 e 37 della Carta Costituzionale sulla condizione giuridica
della donna e gli interventi della Corte Costituzionale con la necessità di un
intervento successivo, reputato necessario dalla dottrina, del legislatore
ordinario per la precettività del diritto di accesso delle donne nella
magistratura31);
altra dottrina, come sopra accennavo, ha spostato l’attenzione e la riflessione
non sulla precettività o meno del principio compensativo, ma sulla natura
innovativa rispetto all’antecedente compensazione dell’art. 17 del D. Lgs. 9
Luglio 1997, n. 241, in cui il legislatore tributario utilizzava il nomen
iuris di compensazione per indicare un insieme di istituti comprensivi non
solo della compensazione medesima, ma soprattutto della delegatio promittendi,
e quindi spostando l’asse di analisi sulle modalità stesse di applicazione del
richiamo della disciplina codicistica della compensazione, sul cui richiamo
esplicito, anche se stringato, non può certamente dubitarsi32.
La delegazione di debito avviene tra il contribuente (delegante) e l’ente
(delegato, in posizione debitoria verso il contribuente), avente ad oggetto
l’assunzione di un’obbligazione nei confronti di un altro ente (delegatario).
La questione delle norme costituzionali programmatiche e delle norme
costituzionali precettive è stata affrontata sin dalla emanazione del testo
Costituzionale e autorevole dottrina ha affermato la natura programmatica di
numerosi precetti dell’ordinamento giuridico costituzionale.
Questa distinzione può essere utilizzata come strumento per la comprensione
della natura precettiva o programmatica del principio della operatività
dell’istituto della compensazione nell’ordinamento tributario, sancito dall’art.
8 della Legge 212 del 2000.
Le norme si definiscono precettive quando sono di immediata applicazione, mentre
si dicono norme programmatiche quelle che rinviano o subordinano la loro
applicazione all’esistenza di altre norme (future).
Quindi la applicazione della norma programmatica è solamente differita nel
tempo.
Il problema sostanziale, che ci siamo posti nel redigere una Tesi sull’istituto
compensativo nell’ordinamento tributario, la cui applicazione è sancita
solamente come principio generale, senza mai essere stata attuata, è cosa
succede se il Legislatore non adempie alla norma programmatica (costituzionale o
interposta che sia, visto che pare a me che lo Statuto dei diritti del
contribuente abbia natura di legge interposta) non emanando la disciplina di
attuazione del principio generale.
Nel caso in cui il legislatore non emani la disciplina di attuazione di norme
programmatiche (costituzionali), che cosa si verifica? A che soluzione è giunta
la letteratura giuridica di più di mezzo secolo dopo la nascita della carta
costituzionale?
Di certo il mancato rispetto della Costituzione non può essere considerato privo
di qualsivoglia effetto. Interessanti sono le considerazioni di parte
minoritaria della dottrina33,
richiamate nella mia Tesi, con riferimento alle sentenze della Corte di
Cassazione in cui i ritardi amministrativi della attuazione dei diritti non
pregiudicano gli stessi, ed interessante è anche il paragone con le direttive
europee che conferiscono diritti in caso di mancata attuazione delle stesse e
ribadiscono comunque la valenza dei diritti e l’ operatività acquisita degli
stessi: pare a me di non poter considerare valida nessuna di queste due
”teorie”, la prima perché non ha valenza di principio generale dell’ordinamento
e quindi non è comprensibile perché questa parte della dottrina la debba
applicarle al diritto tributario e alla compensazione, la seconda perché fondata
su considerazioni di diritto comunitario (quindi sui trattati comunitari) e non
può certamente operare analogicamente nel diritto interno!34
Io considero la norma dell’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente,
precettiva, perché a mio parere la questione della distinzione delle norme in
precettive e programmatiche è ontologica e logica prima ancora che giuridica:
tutte le norme in quanto tali sono precettive, anche la programmaticità, intesa
come futura emanazione di norme conformi al dispositivo direttivo e intesa come
volta a sanzionare la carente disciplina, altro non è se non precettività
differita nel tempo: allora bisogna comprendere se è possibile sanzionare il
legislatore che non adempie al precetto apparentemente programmatico (per es.
come sostengono alcuni, e io non condivido, con il potere di scioglimento delle
camere de Presidente della Repubblica, nel caso di mancata attuazione di norme
costituzionali programmatiche, con legge ordinarie)35.
Nel caso di mancata attuazione del principio generale dell’art. 8 dello Statuto
dei diritti del contribuente nella parte in cui prevede la operatività (generale
e di principio) dell’istituto della compensazione, a mio parere la sanzione per
la (anzi, la conseguenza alla) mancata attuazione dei regolamenti attuativi, è
l’immediata operatività della disciplina civilistica, che opererà come istituto
autonomo del diritto tributario, nel senso che, c’è un rinvio fisso alla
disciplina codicistica, ma l’interpretazione sistematica andrà affrontata,
ovviamente, nell’ordinamento tributario, in questo senso è possibile considerare
autonomi istituti dell’ordinamento tributario, gli istituti civilisti a cui è
effettuato ( e solamente effettuato) un rinvio fisso.
Per quanto riguarda invece la pluridecennale questio sulle norme
costituzionali e precettive e programmatiche che siano state definite, va
abbandonata ogni concezione filocrisafulliana36
della programmaticità delle norme e va, a mio parere, considerata la generale
precettività delle norme di qualunque rango, anche quando stabiliscono principi,
e nel caso delle norme costituzionali tale precettività va temperata con il
principio di ragionevolezza e di bilanciamento degli interessi, principi ai
quali la nostra Corte Costituzionale (e anche quella francese) fa(nno) continuo
riferimento.
L’assetto normativo conseguente alla emanazione della L. 27 Luglio 2000, n. 212,
concernente disposizioni in materia di Statuto di diritti del contribuente, e
all’articolo 8 del medesimo, rubricato “Tutela dell’integrità patrimoniale”, con
la espressa previsione della estinzione dell’obbligazione tributaria tramite
compensazione, ha elevato la regola comune della estinzione della obbligazione
tributaria per compensazione al rango di principio generale del sistema fiscale,
poiché fino alla sua emanazione la compensazione aveva conosciuto, nel diritto
tributario, ambiti di applicazione ben più ristretti rispetti a quelli che
deriverebbero dalla applicazione, tramite rinvio, delle norme del codice civile37.
Il Problema che si pone è se la norme dell’articolo 8 faccia rinvio alla
disciplina della compensazione come prevista dall’art 17 del D. Lgs. 9 Luglio
1997, n. 241 oppure, come pare a me e alla dottrina dominante che su tale tema
si è pronunciata, il rinvio sia operato alla disciplina del codice civile di cui
agli artt. 1241 e seguenti, così innovando profondamente la antecedente
disciplina tributaria che la consentiva.
Il legislatore tributario, parlando di “obbligazione tributaria”, ha escluso da
tale ambito di applicazione la corrispondenza soggettiva tra titolari delle
diverse posizioni creditorie e debitorie, identità irrilevante nel citato
articolo 17. Se quindi si accoglie la tesi che vede nel rinvio alla disciplina
della compensazione, il richiamo all’istituto civilistico de quo, ci sarà
un aumento delle applicazioni pratiche di tale principio, al di fuori dei casi
espressamente previsti, da parte sia dei giudici sia dell’Amministrazione
finanziaria.
Una volta però individuata la portata di tale disciplina, si pone il problema
della sua individuazione temporanea, cioè del momento della efficacia delle
disposizioni in essa contenute. Il comma 6 del medesimo articolo 8 prevede
infatti una specifica disciplina di attuazione da emanare con decreto del
Ministero delle Finanze ai sensi del terzo comma dell’articolo 17 della legge
400 del 1988. Ritenere che la compensazione civilistica operi in campo
tributario immediatamente o meno, ha rilevanti riflessi pratici.
Se si ritiene che il principio generale dell’applicazione della compensazione
abbia una applicazione condizionata alla disciplina regolamentare di attuazione,
si deve necessariamente concludere che allo stato attuale non possa essere
applicato.
Se invece si ritiene tale norma immediatamente applicabile senza bisogno dei
decreti ministeriali di attuazione, si dovrà allora concludere che nello stato
attuale dell’ordinamento tributario i contribuenti possono opporre la
compensazione fuori dalle ipotesi tassativamente stabilite dalle leggi che
esplicitamente la consentono dettagliatamente, ipotesi definite da alcuni autori
come “speciali”38.
Secondo attenta dottrina39
la formula “in via transitoria” conferma solamente l’effetto abrogativo della
disciplina speciale oggi in vigore per effetto della futura abrogazione da parte
dei regolamenti ministeriali delegificanti; fino a quel momento la disciplina in
questione mantiene non solo il rango di legge ordinaria, ma in quanto legge
speciale deroga le disposizioni in tema di compensazione del codice civile.
Questa stessa natura derogatoria sussisterà anche ad opera dei futuri
regolamenti, in virtù dei meccanismi derogatori previsti dalla disciplina sulla
delegificazione operata dai regolamenti prevista nella legge 400/1988. Data la
mancanza di principi cui dovrà attenersi la disciplina regolamentare, si palesa
a parere di autorevole dottrina una violazione della legge 400/1988, ma poiché
il diritto vivente pare orientato ad accettarla senza conseguenze per i
successivi regolamenti, è necessario identificare i criteri a cui comunque dovrà
identificarsi la futura disciplina regolamentare. La disciplina oggi vigente in
tema di compensazione, indicata dall’ultimo comma dell’art. 8 dello Statuto, ha
per oggetto un meccanismo estintivo dell’obbligazione tributaria non
riconducibile ai principi civilistici perché non coincidono i soggetti creditori
e debitori e per la singolare efficacia “costitutiva” del credito quando viene
opposto, nonostante poi si riveli insussistente . I criteri direttivi ed i
principi ispiratori della futura disciplina della compensazione dovranno trarsi
dalle disposizioni vigenti definite transitorie. La delegificazione non dovrà
stravolgere l’odierna e transitoria disciplina, quindi l’intervento
regolamentare dovrà tradursi nella estensione ad altri tributi, della vigente
disciplina40.
La sezione tributaria della Suprema Corte, con sentenza del 20 novembre 2001, n.
1458841,
afferma che data la specificità della disciplina IVA, le generali disposizioni
codicistiche in tema si compensazione possono essere derogate solo da leggi
speciali, pertanto la compensazione del credito impositivo con la contrapposta
posizione creditoria del solvens, non è ammessa; la compensazione è
dunque ammessa alla stregua della normativa tributaria in vigore, solo nei casi
espressamente contemplati. In tema di Iva una ulteriore pronuncia della Suprema
Corte42
afferma che la legge speciale deroga le disposizioni codicistiche inerenti
all’estinzione del credito tramite compensazione, con la conseguenza che il
contribuente non può opporre alla Amministrazione in compensazione il proprio
credito. E’ importate osservare che non può assolutamente trarsi argomento a
contrario dalla disposizione dell’articolo 23 del D. Lgs. 18 dicembre 1997,
n. 472, che autorizza l’Amministrazione che abbia un debito restitutorio a
sospendere il rimborso, con la notifica di un atto di contestazione o
irrogazione della sanzione, poiché è una norma speciale, e come tale è in
suscettibile di interpretazione estensiva.
3) La precettività delle norme giuridiche è un carattere generale delle
disposizione dell’ordinamento e non vale solamente per le disposizioni di
rilievo costituzionale, ma è valida per tutte le disposizioni giuridiche aventi
carattere generale e di principio, come quelle contenute nello Statuto dei
diritti del contribuente.
Secondo autorevole dottrina, la Costituzione è il complesso di leggi che
rappresentano “le fondazioni dello Stato”43
e quindi sono ontologicamente destinate ad assumere la forma di principi
generali, senza, salvo rari (e contemporanei) casi44,
indicarne la disciplina di dettaglio, che è quindi demandata alla legge
ordinaria ( e quindi a norme di grado subordinato). La impossibilità di cambiare
la Costituzione con leggi ordinarie deriva dalla necessità di salvaguardare i
diritti e le conquiste civili in essa sanciti e ne delinea il carattere di cd.
rigidità.
La Costituzione, essendo il nucleo centrale dei principi di uno Stato, non può
essere subordinata alla leggi ordinarie ed anzi deve assumere caratteri di
imperatività direttamente proporzionali al rango formale che riveste
nell’ordinamento.
Se nel testo della Costituzione sono presenti richiami morali e filosofici che
non hanno in sé un minimo di concretezza e univocità, non devono considerarsi
programmatici, perché essi stessi non sono neanche precetti45.
Lo Statuto dei diritti del contribuente (L. 212 del 2000) è stato concepito come
atto normativo di equilibrio tra le posizioni del contribuente e quelle della
Amministrazione finanziaria e quindi non è assoggettabile a modifiche che
presentano una periodicità continua separata da brevi lassi di tempo46:
esso va considerato come norma giuridica in toto di diretta ed immediata
applicazione.
Già negli anni ’60 parte della letteratura giuridica rigettava la distinzione di
autorevole giurisprudenza e dottrina delle norme costituzionali programmatiche e
precettive e tale rigetto , a mio parere, può essere considerato una
argomentazione generale che vivifica la efficacia delle norma generali e dei
principi, restituendo loro la originaria e naturale precettività: nel caso dello
Statuto, una legge ordinaria, dichiarata dal Legislatore principio generale
dell’ordinamento tributario, non può essere considerata programmatica (con
riferimento all’art. 8 in cui ammette istituti di derivazione civilistica) nelle
more dell’emanazione del regolamento attuativo a cui la stessa rinvia, ma è da
considerare precettivo.
La Cassazione, nel 1948, a sezioni unite (le sezioni penali) ha affermato che
nella Costituzione sono presenti non solo norme precettive ma anche norme
meramente programmatiche in quanto non di immediata applicazione ed aventi come
destinatari non tutti i cittadini ma solamente il Legislatore che ad esse dovrà
dare attuazione, e i soggetti di diritto47.
Tale orientamento è stato sostanzialmente seguito anche dal Consiglio di Stato48.
Da tali orientamenti sembrava emergere una sorta di blocco alla operatività di
numerosi articoli della Costituzione: per esempio si ritenne programmatico
l’art. 25 della Costituzione perché non conteneva il principio della successione
delle leggi penali nel tempo e dovette essere riformulato (letteralmente)
nell’art. 2 del codice penale per la precettività: pensare che norme che
sanciscono principi siano inapplicabili in dipendenza della fonte da cui vengono
espressi ( Costituzionale nel caso di principi quali l’irretroattività della
legge penale e ordinaria nel caso della compensazione dello Statuto, a scapito
rispettivamente di codice penale e regolamento attuativo) è un paradosso logico
e giuridico che non può accogliersi.
I principi, siano essi dichiarati nella costituzione, siano essi dichiarati
nello Statuto dei diritti del contribuente, che attua (ed interpreta la
Costituzione) sono pienamente efficaci nell’ordinamento e sono quindi da
considerare precettivi.
La differenziazione in concreto tra norma programmatica e norma precettiva,
secondo gli orientamenti sopra esposti della Cassazione e del Consiglio di
Stato, è rintracciabile nel difetto di concretezza e compiutezza: tale carenza
sarebbe la prova della implicita volontà del Legislatore (in sede Costituente
oppure in sede ordinaria per la emanazione di Statuti o principi generali che
rinviano a regolamentazioni governative, e queste, per esempio, come nel caso
della compensazione, tardino ad essere emanate nonostante la scadenza indicata
dalla stessa legge ordinaria) di non dare immediata attuazione alle disposizioni
medesime. Ma in realtà tali criteri discretivi risultano fittizi perché tutte le
norme giuridiche, in quanto appunto dotate di giuridicità devono essere compiute
e concrete, altrimenti sono altra res: dichiarazioni religiose, morali, etc. .
Inoltre, come osservano alcuni autori49,
se manca la compiutezza affinché le norme vincolino i cittadini, come dovrebbero
vincolare il Legislatore?
Per altri autori la norma è giuridica quando compiutamente e concretamente
indica il comportamento da tenere per evitare la sanzione50.
I principi generali (e quindi anche le norme contenute nella L. 212 del 2000)
non difettano certamente di concretezza e non sono certamente degli sterili
programmi su cui un futuro legislatore, ordinario o regolamentare che sia,
decida la disciplina da applicare: non esiste una tipologia di disciplina ideale
che una sorta di Demiurgo deve plasmare per dare vita alla materia reale, ma
esiste, sin da quando viene emanato un principio giuridico, una norma giuridica
compiuta e concreta che ha nell’ordinamento giuridico piena efficacia.
Se esaminiamo il versante pratico possiamo con facilità comprendere che le
conseguenze di una bipartizione delle norme di principio in programmatiche e
precettive è inaccettabile: per quanto riguarda la disciplina della
compensazione, un regolamento che nei confronti della legge ordinaria statuaria
desse spazi così ristretti alla compensazione ( o addirittura eliminasse quasi
in toto le ipotesi di compensazione già consentite nell’ordinamento
fiscale) sarebbe certamente da dichiarare illegittimo perché contrario alla
legge stessa, che invece prevede, generalmente, la compensazione, come diritto
del contribuente: ma allora che senso avrebbe fare una tale constatazione per
affermare la illegittimità del regolamento ma non poter abrogare le norme sul
processo tributario che invece impediscono la compensazione tributaria?51
Il Consiglio di Stato, pur conformandosi sostanzialmente alla giurisprudenza
della Suprema Corte, se ne distingue affermando che le norme programmatiche
hanno capacità abrogativa perché orientano l’interprete ad una esegesi della
norma conforme al principio (programmatico) che però, per il collegio, resta
comunque privo di efficacia abrogativa di per sé: una posizione criticata da
parte considerevole della dottrina e ritenuta contraddittoria. Alcuni autori,
pur considerando la norma programmatica sempre capace di essere parametro per la
illegittimità di una norma, passata o futura, affermano che essa ha un oggetto
differente rispetto alle norme precettive, perché si riferisce ai “comportamenti
pubblici”52.
Le leggi nuove hanno una duplice efficacia:
1) efficacia abrogativa
2) efficacia costitutiva
che in realtà corrispondono alla unica capacità della legge di innovare
l’ordinamento giuridico, perché eliminando norme vecchie si innova l’ordinamento
e costituendo nome nuove se ne abrogano necessariamente di vecchie.
Quindi i principi generali incidono sulla regolamentazione passata e futura
perché sono pienamente efficaci e ove si privasse di efficacia parte dello
Statuto dei diritti del contribuente si inciderebbe illegittimamente sui
delicati equilibri che il legislatore tributario ha sancito con la L. 212 del
2000 tra posizioni vantate dall’Amministrazione finanziaria e diritti del
contribuente, così causando prevalenza dell’una o dell’altro in modo
illegittimo, perché contro la legge ordinaria, e irrazionale perché impedirebbe
il buon andamento della pubblica amministrazione che da quell’equilibrio traeva
parametri di comportamento, che nel caso della mancata compensazione del
contribuente, portano ad inefficienze per i ripetuti pagamenti, con conseguenti
ritardi.
Le norme dello Statuto dei diritti del contribuente non sono programmi, ma sono
norme giuridiche concrete ed effettive, pienamente efficaci, caratterizzate dal
fatto di impegnare anche il legislatore, sia in sede regolamentare ( e quindi
governo e ministro) sia in sede ordinaria nel caso di leggi che incidono su
principi fiscali sanciti nella stesso Statuto.
4) I regolamenti di attuazione dell’art. 8 L. 212/2000.
L’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, al comma 6, prevede la
emanazione, con decreto del Ministro delle Finanze, adottato ai sensi dell’art.
17, comma 3, della Legge 23 agosto del 1988, n. 400, relativo ai poteri
regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, di regolamenti che
attuino le disposizioni di attuazione per la operatività dell’istituto
compensativo. Nel successivo comma 8 dello stesso articolo 8 dello Statuto, il
legislatore ha disposto che, ferme restando le disposizioni già vigenti in tema
di compensazione, con regolamenti emanati ai sensi dell’art. 17, comma 2, della
Legge n. 400 del 1988, è disciplinata la estinzione della obbligazione
tributaria mediante compensazione, estendendo a decorrere dall’anno di imposta
2002, l’applicazione di tale istituto anche a tributi per i quali non è
previsto.
I regolamenti attuativi non sono mai stati emanati.
Pare a me che nonostante il richiamo esplicito a norme disciplinari, occorra
considerare l’art. 8 dello Statuto e la proclamazione del principio (generale)
della compensazione, pienamente operanti ed immediatamente precettivi (dall’anno
di imposta 2002) nell’ordinamento tributario.
La cosiddetta delegificazione è il fenomeno che avviene ex art. 17, comma
2, della Legge n. 400 del 1988, ad opera dei regolamenti emanati con decreto del
Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri,
sentito il Consiglio di Stato, non in materie di riserva assoluta di legge, i
quali (regolamenti) autorizzano l’esercizio della potestà regolamentare del
Governo, determinando le norme generali regolatrici della materia e disponendo
l’abrogazione delle norme vigenti, con l’effetto dell’entrata in vigore delle
stesse norme regolamentari53.
La carenza della emanazione dei regolamenti ministeriali attuativi non può
essere considerata impeditiva dell’applicazione del fenomeno compensativo nel
diritto tributario perché i decreti del Ministro delle Finanze che dovrebbero
delegificare e regolare la materia, in realtà sono a mio parere inquadrabili più
tra gli atti amministrativi che tra quelli normativi e di certo non possono
impedire l’entrata in vigore di una legge che indica applicabile un istituto
generale in un ramo del diritto in cui era originariamente vietato, inoltre,
anche a considerare normativo in senso stretto il regolamento, non ci sono
considerevoli ragioni per impedire che un atto secondario non emanato per
ritardi della Amministrazione dello Stato (nella specie il Ministero delle
Finanze), nonostante sia delegificante rispetto all’atto primario, dopo la sua
emanazione, prima della sua emanazione abbia la forza normativa di impedire la
entrata in vigore della legge ordinaria: tale forza impeditiva dunque non
sussiste e la norma che ha gerarchia ordinaria opera nonostante i regolamenti
non siano stati emanati per ritardi riferibili all’amministrazione stessa e a
decorrere dall’anno di imposta 2002 la compensazione è quindi da considerare
pienamente operativa nell’ordinamento tributario.
Il regolamento è un atto formalmente amministrativo ma sostanzialmente
normativo.
I decreti ministeriali sono subordinati dal punto di vista della gerarchia delle
fonti a quelli della Presidenza del Consiglio, inoltre ne seguono la medesima
procedura con la differenza che vengono prima comunicati alla Presidenza stessa.
La categoria dei regolamenti statali è stata a lungo regolata dalla legge n. 100
del 1926 e dalle disposizioni preliminari del codice civile, poi però c’è stata
una risistemazione con l’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, che ha
tacitamente abrogato il precedente assetto normativo, ridisciplinandolo54.
Tali regolamenti possono essere ricondotti a differenti tipologie: esecutivi,
organizzativi, delegati, o altre categorie che ne dilatano l’uso.
I regolamenti di esecuzione sono concepiti in relazione a una legge o a un
decreto legislativo, e ne specificano e ne integrano tutto ciò che riguarda gli
aspetti tecnici. Nella prassi si sono verificati numerosi casi in cui la
legislazione primaria, se non integrata dal regolamento (che è fonte
secondaria), è inapplicabile; pare a me che tale ruolo della disciplina
regolamentare sia inaccettabile ed illegittimo costituzionalmente perché degrada
a livello non solo secondario la legislazione primaria, ma addirittura la
costringe alla inefficacia.
La Legge n. 400 del 1988 ha contribuito al fenomeno della cd.
amministrativizzazione della legge: avvicinamento dell’organo governativo a
quello normativo, che ora, a differenza dell’ottocento, hanno entrambi base
democratica e formazione partitica.
Il primato del legislatore quindi ha subito una limitazione a favore del potere
esecutivo del governo, capace di emanare norme regolamentari più celermente e
tecnicamente più efficaci per la regolazione di una società complessa quale
quella post-moderna.
L’art. 17, comma 2, prevede la possibilità che il governo compia una
regolamentazione di ambiti da disciplinare per i quali la Costituzione non ha
previsto la riserva assoluta di legge, e a tal fine è comunque necessaria
l’emanazione di una legge da parte del parlamento.
La delegificazione è illegittima in materie coperte da riserva assoluta di
legge, è invece ammessa in materie per le quali è prevista una riserva relativa
di legge, a condizione che la legge autorizzatrice ne fissi i principi guida55.
La legge stessa dispone la abrogazione delle norme vigenti nella materia, con la
successiva e conseguente entrata in vigore dei regolamenti.
Il fenomeno abrogativo di tali regolamenti è senz’altro un aspetto interessante
e controverso56:
il nostro sistema indica nella costituzione (rigidamente) una gerarchia di fonti
e l’esercizio di un potere regolamentare che abroghi atti legislativi del
parlamento, come risulta dagli artt. 70, 76 e 77, i quali assegnano la funzione
normativa primaria al parlamento, conferma che la potestà secondaria può
sostituire quella ordinaria, su emanazione del potere governativo solo per
delega o con susseguente ratifica in caso necessità e di urgenza. Al di fuori di
tale casi il potere secondario normativo del governo non può abrogare norme
legislative primarie del parlamento, allora perché la dottrina maggioritaria
sostiene che l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente non può essere
applicato senza i regolamenti attuativi nonostante sia trascorso il termine
stabilito dalla stessa legge per emanarli?
Pare a me che occorra affermare la immediata operatività dell’art. 8 dello
Statuto senza attendere i regolamenti secondari, il cui tempo entro il quale
dovevano essere emanati è ormai trascorso e di certo non si può affermare che
una norma secondaria, la quale sarà emanata senza il rispetto di una scadenza
fissata dalla legge, possa impedire la applicazione, seppure come principio
generale, della compensazione, così come indicato dalla fonte legislativa
primaria.
Per giustificare la forza delegificante dei regolamenti si è detto che la legge
autorizzatrice degrada la stessa disciplina legislativa primaria, in disciplina
regolamentare secondaria57,
e si è parlato di abrogazione differita o condizionata, perché l’effetto
abrogativo opera solamente dopo l’entrata in vigore del regolamento58.
Se così fosse, in questo ultimo caso non si può certo limitare il dispiegarsi
degli effetti legislativi della fonte primaria condizionandolo alla mancata
emanazione delle fonti secondarie, nonostante un termine legislativamente
fissato non sia stato rispettato!
Pur riconoscendo quindi la capacità abrogativa dei regolamenti, sancita
dall’art. 17 cit., pare a me che vada affermato il Principio di preferenza
della legge59
e che quindi l’istituto compensativo vada considerato immediatamente applicabile
in virtù della disposizione contenuta nell’art. 8 dello Statuto.
5) Questioni pratiche per la applicazione immediata della “compensazione
generale” dello Statuto e riflessioni sulla “compensazione speciale” ex art. 17
D. Lgs. 241/1997.
Una volta affermato il problema teorico e di rapporto di fonti che si
risolve nella immediata applicabilità dell’art. 8 dello Statuto, occorre
affrontare le questioni pratiche per la operatività della compensazione nelle
sedi sostanziali e processuali dell’ordinamento tributario.
Secondo la Cassazione la compensazione a cui fa riferimento lo Statuto è quella
civilistica60,
ed è un orientamento condiviso da autorevole dottrina61,
e non alla compensazione già espressamente (ed esclusivamente) consentita nel
diritto tributario, di cui all’art. 17 del D. Lgs. 241 del 1997.
Potrebbe ravvisarsi un impedimento alla operatività pratica della compensazione
nell’ordinamento tributario, senza regolamenti attuativi, nel fatto che il
credito del contribuente opposto in compensazione dovrebbe essere certo, liquido
ed esigibile, o comunque di pronta e facile liquidazione: la certezza del
credito presupporrebbe che si sia seguito il procedimento legalmente e
tassativamente determinato per il riconoscimento di tale credito da parte
dell’Amministrazione finanziaria. Infatti il credito da addurre in compensazione
non scaturisce dalla mera denunzia effettuata dal contribuente, ma a seguito di
una istruttoria dell’Amministrazione finanziaria stessa.
E’ pacifico, per acquisizione giurisprudenziale, che quando non residuano dubbi
sul diritto del contribuente al rimborso di imposte, questo può essere fatto
valere anche presso la giurisdizione ordinaria, e quindi al di fuori della
riserva di giurisdizione speciale del giudice tributario: si tratterà di una
azione di indebito oggettivo62.
Un altro impedimento all’operare pratico dell’istituto compensativo potrebbe
essere individuato nel fatto che il credito risultante dalla dichiarazione
annuale, è unilateralmente espresso dal contribuente senza verifiche
dell’Amministrazione finanziaria.
Pare a me che considerare operante la giurisdizione “non tributaria” per i
crediti accertati e considerare non operante la compensazione per i crediti non
accertati, siano due estremi che possono (e devono) trovare contemperamento
estendendo la tecnica usata nella disciplina “speciale della compensazione”
prevista dall’art. 17 d. lgs. 241/1997, in cui la compensazione è operata
unilateralmente dal contribuente in sede di versamento periodico ed ha degli
effetti precari, perché carente del requisito della certezza – requisito
acquisito solo dopo apposito procedimento amministrativo di accertamento - e
l’A.F. può esigere dal contribuente maggiori somme a seguito di accertamenti
susseguenti alla dichiarazione medesima, alla disciplina Statuaria; una
estensione, quella della disciplina dell’art. 17 d. lgs. cit., alla disciplina
(generale ma immediatamente precettiva, a causa del depotenziamento del previsto
ma non emanato regolamento) dell’art. 8 dello Statuto, che rende possibile la
applicazione in concreto della disciplina della compensazione “generale, a cui
lo Statuto dei diritti del contribuente fa riferimento e che inoltre rende
autonoma e propria del diritto tributario, in quanto, pur richiamandosi a
principi civilistici, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, la
rende operativa tramite strumenti propri del diritto tributario, quindi
presentandosi autonoma nonostante il rinvio alla disciplina civilistica;
autonomia che trova ragione nel nuovo ordinamento in cui viene collocata e
interpretata, interagendo con la disciplina speciale prevista dall’art. 17 del
D. Lgs. 241/1997, che quindi è utilizzata per la applicazione in concreto del
fenomeno compensativo del diritto tributario nelle parti essenziali per la
operatività ma con i limiti della identità dei soggetti, limiti propri della
disciplina civilistica ma non di quella tributaria.
Il disconoscimento da parte dell’A.F. del credito del contribuente non riguarda
tanto la rettifica dell’imponibile quanto l’adempimento materiale del debito di
imposta a seguito di un controllo formale dell’ufficio (es. per titolo
totalmente fittizio con cui si supporta il credito da compensare): tale
disconoscimento potrebbe configurare come presupposto per la diretta iscrizione
a ruolo63.
6) L’attività negoziale della pubblica amministrazione in rapporto al
dispiegarsi del fenomeno compensativo e all’applicazione del concordato o
accertamento con adesione. Il ruolo della discrezionalità amministrativa e il
suo rapporto con l’istituto compensativo.
Spostando l’asse di ricerca con riguardo alla attività negoziale della p.a.,
la legittimazione ad essere parte nei negozi si concreta nella idoneità della
stessa p.a., a divenire soggetto del singolo rapporto giuridico che dovrebbe
scaturire dal negozio.
Si ritiene che l’amministrazione non sia legittimata a stipulare contratti che
esigono per loro stessa natura la partecipazione di una persona fisica, nonché
quelli che contrastano con interessi pubblici; non v’è legittimazione a
stipulare contratti aleatori, ad eccezione dei giuochi gestiti dal monopolio di
Stato e quindi disciplinati da speciale normativa.
Il binomio autonomia privata e amministrazione autoritativa segue tre criteri
nel nostro ordinamento:
1) autonomia privata controllata: allorché l’ente agisce mediante
provvedimenti autoritativi che condizionano l’autonomia privata
2) autonomia privata regolata: quando vi è un provvedimento dell’autorità
amministrativa di guida o controllo con l’indicazione delle clausole che il
negozio deve contenere.
3) autonomia privata piena: c’è un controllo successivo sul negozio
stipulato,che non colpisce il negozio stesso ma i titolari dell’ufficio
direttivo dell’amministrazione64.
Circa le tesi della
configurabilità di un contratto di diritto pubblico, si tratta di una teoria di
matrice tedesca, importata nella letteratura giuridica italiana da Ranelletti, è
da escludere una sua sussistenza perché quando l’amministrazione agisce come
soggetto autoritativo e non di diritto comune, non può fare contratti: il
contratto è un negozio tra parti in eguale posizione giuridica, non è certamente
possibile tra un ente autoritativo e un soggetto a lui sottoposto.
In sede di trasposizione di quanto è stato finora oggetto di riflessione, nel
campo del diritto tributario, va affermato con chiarezza che la compensazione
opera in una fase differente a quella della nascita della imposizione
patrimoniale di cui all’art. 23 della Costituzione, perché quando si compensano
reciproche posizioni di credito e debito, la imposizione patrimoniale è già
esistente e si discute la sua estinzione, non la sua instaurazione.
La possibile contrattazione delle modalità compensative, tra Amministrazione
finanziaria e privato contribuente è a mio parere possibile, sia nell’ottica di
una negoziazione inter pares, intesa nel senso che entrambi operano come
soggetti autonomi ed esprimenti valido consenso, per quanto concerne la
disposizione delle proprie sfere giuridiche, sia nella diversa ottica che vede
l’Amministrazione finanziaria come soggetto autoritativo, perché essa potrebbe
trasfondere il risultato dell’accordo in un provvedimento amministrativo65.
La prima via è a mio parere da preferire perché non v’è indisponibilità della
materia ad opera di Amministrazione finanziaria e contribuente operanti nella
propria sfera di autonomia, a ciò consentendo quanto previsto dall’art. 8 dello
Statuto dei diritti del contribuente.
La seconda via però, per le argomentazioni che si diranno nel proseguo, è
maggiormente aderente alle peculiarità de diritto tributario: il provvedimento
amministrativo della Finanza sarà quindi sostanzialmente bilatera ma formalmente
unilaterale66.
Nell’indagine che tende allo studio dell’operatività del modulo consensuale e
dell’applicazione degli istituti civilistici nell’ordinamento tributario, è
opportuno soffermarsi sull’istituto dell’accertamento con adesione, cioè il
concordato, introdotto dal D. Lgs. del 19 giugno 1997, n. 218, sulla scia del
D.L. 30 settembre 1994, n. 564; istituto che era già stato introdotto nel nostro
ordinamento dal testo unico del 1958, poi abolito quasi totalmente dalla riforma
tributaria degli anni settanta.
Dal punto di vista del procedimento, l’iniziativa può essere dell’ufficio, che
invia al contribuente un invito a comparire, o del contribuente, che chiede
all’ufficio la definizione dell’accertamento, oppure lo stesso contribuente può
formulare istanza in carta libera di accertamento con adesione, anteriormente
all’impugnazione dell’atto presso la commissione tributaria provinciale.
L’accertamento con adesione presenta la caratteristica della duplice redazione.
La definizione si perfezione con il versamento.
L’accertamento definito con adesione non è impugnabile né integrabile da parte
dell’ufficio. Nessuna indicazione è invece presente nella legge con riferimento
alle modalità di determinazione della base imponibile; secondo autorevolissima
dottrina la determinazione dell’imponibile andrà effettuata in via contabile o
extracontabile ( per redditi di impresa o di lavoro autonomo), oppure sulla base
di indici fissati in via generale o astratta67.
Un problema assai dibattuto nella letteratura giuridica, sia tributaria sia
amministrativa, è la natura giuridica dell’accertamento con adesione: nel 1997
il legislatore ha abbandonato i limiti fissati negli artt. 2-bis e 2-ter del
D.L. n. 218 del 1994, quindi l’accertamento con adesione può riguardare
potenzialmente qualsiasi questione68.
Non è possibile, come fa una parte della dottrina, ricondurre l’accertamento con
adesione agli accordi previsti dall’art. 11 della legge 7 agosto 1990 n. 241, di
riforma del procedimento amministrativo69
La bipartizione sulla quale la dottrina si è divisa è stata quella di
considerare il concordato un atto unilaterale della pubblica amministrazione,
oppure quella di considerarlo un atto bilaterale; pare a me, che seguendo le
valide argomentazioni di autorevole dottrina, sia opportuno inquadrare
l’accertamento con adesione tra gli atti bilaterali, perché:
a) è un atto sottoscritto da entrambe le parti.
b) è vietato all’ufficio integrare il concordato, salvo casi previsti dalla
legge
c) il perfezionamento avviene col pagamento delle somme da parte del
contribuente, in. caso contrario c’è una sorta di risoluzione simile a quella
che avviene nell’art. 1976 del codice civile che disciplina la transazione e il
suo inadempimento.
d) vi sono reciproche concessioni delle parti dovute all’incertezza
dell’effettiva realtà giuridica70.
La normativa che
prevede il concordato deroga la generale indisponibilità del credito tributario,
analogamente a come l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente deroga
alle norme sulla impignorabilità del credito tributario e ne consente la
compensazione.
Pare a me non sia possibile condividere le opinioni di chi, facendo riferimento
alla Legge 241 del 1990, parla del “superamento del dogma della
indisponibilità”, perché sono opinioni apodittiche e tautologiche non suffragate
dal diritto positivo tributario e perché non è ammissibile l’estensione alla
materia tributaria della Legge di riforma del procedimento amministravo. Io
credo che possa anche intravedersi, come affermano alcuni autori71,
una generale tendenza all’estensione degli istituti civilistici nell’area
tributaria, ma questo può avvenire, a mio parere, solamente ove siano presenti
precisi riferimenti normativi, anche solamente di principio, come l’art. 8 dello
Statuto dei diritti del contribuente, che consentono di comprimere la
indisponibilità del credito tributario, che non è rappresentata da opinioni
dottrinarie, ma sancita rigorosamente con precisione nella legislazione e nei
regolamenti contabili.
L’accertamento con adesione o concordato risponde a una esigenza che è da sempre
presente nell’ordinamento: porre fine alla (potenziale) lite senza che si
realizzi la tipica attività del giudice, che dunque lascia spazio alla
regolamentazione attuata tramite l’autonomia dei privati; anche nel diritto
tributario il concordato risponde a tale esigenza.
Il problema che si pone è quello della comprensione di come possa operare la
libertà negoziale dei contribuenti nell’ordinamento tributario, da sempre
caratterizzato dalla vincolatezza della potestà pubblica e da un rapporto
autorità-libertà, sbilanciato a favore della prima.
Il tema della compensazione è un chiaro esempio della utilizzazione di modelli
civilistici in via strumentale alla realizzazione di fini pubblicistici; secondo
alcuni è un segno di una attuale tendenza che delinea zone di “diritto
comune”72,
secondo me è semplicemente il soddisfacimento della tendenza alla parificazione
dei soggetti pubblici e privati, che prescinde dal diritto comune in sé, infatti
nel diritto privato sono tuttora presenti situazioni di disparità tra parti di
determinati rapporti contrattuali, e tali rapporti non trovano di certo
applicazione analogica nel diritto amministrativo o addirittura in quello
tributario, e quindi non è possibile affermare, come invece fa parte della
dottrina, che questa espansione di istituti di diritto comune risponda
all’esigenza di delineare non meglio precisate “zone di diritto comune” o ancora
a strani “abbattimenti di costrutti divisori” di cui parla il citato autore.
E ancora, non c’è un avvicinamento del diritto amministrativo a quello privato o
viceversa73,
ma solamente un utilizzo strumentale di istituti nati nel diritto civile, e
trapiantati strumentalmente nel diritto tributario per garantire la parità del
soggetto contribuente e dell’amministrazione tributaria, ove questa aveva poteri
autoritativi non strettamente necessari all’espletamento delle proprie funzioni,
come nel caso della operatività del fenomeno compensativo nell’ordinamento
tributario.
Non può affermarsi che c’è una caduta del mito o dogma dell’accertamento
contabile, ma ci sono solamente specifiche deroghe che permettono la
partecipazione consensuale del contribuente tramite il mero strumentale utilizzo
di istituti di origine civilistica, che una volta entrati nell’ordinamento
tributario assumono natura e connotati propri e indipendenti dagli istituti di
origine, e di certo non formano un’aria comune tra diritto amministrativo (e
nella specie, tributario) e diritto privato, ma solamente espansione di alcuni
istituti di un ramo del diritto ad un altro, per soddisfare peculiari esigenze,
che nel caso dell’accertamento con adesione sono rappresentate dalla
semplificazione dei procedimenti di accertamento, che non dovranno
necessariamente approdare al processo tributario, e parità tra le parti che
concorrono all’<<accordo>>; non alla Legge 241 del 1990 è dovuta la operatività
del concordato a scapito della inderogabilità della disciplina contabile, bensì
solamente grazie al d. lgs. 218 del 1997 che a questa disciplina comporta
precise deroghe, così come avviene con l’art. 8 dello Statuto dei diritti del
contribuente e l’art. 1246 del codice civile (nella parte in cui quest’ultimo
sancisce la impignorabilità di tutte le obbligazioni pubbliche, tra le quali
certamente rientrano le obbligazioni tributarie). .
I dibattiti della dottrina sulla discrezionalità della Pubblica Amministrazione
(e quelli della dottrina tributaristica sui poteri discrezionali
dell’Amministrazione Finanziaria) si sono, ormai da lungo tempo, incentrati a
sottrarre la discrezionalità dall’ambito interno dell’amministrazione e alla
necessità di sottoporla a un sindacato. Tale sindacato distingue la
discrezionalità dall’arbitrio e può essere non solo giurisdizionale ma, come
afferma autorevole dottrina, anche sostanziale e si esercita tramite l’eccesso
di potere74.
Tramite l’eccesso di potere viene sindacata quindi, in parte, anche la attività
discrezionale della pubblica amministrazione.
Per comprendere pienamente il carattere discrezionale dell’agire della pubblica
amministrazione è possibile paragonarlo all’autonomia del privato nei limiti in
cui essa risulta insindacabile dall’esterno.
Iniziamo col dare la definizione di discrezionalità: essa è il potere
dell’amministrazione di compiere una scelta tra una pluralità di scelte
possibili. Quando invece, in presenza di determinati presupposti,
l’amministrazione è obbligata ad una precisa scelta, il potere sarà vincolato.
Come si accennava poc’anzi il potere discrezionale è stato in passato paragonato
alla autonomia dei privati75,
ma c’è una differenza tra le due sfere perché la discrezionalità amministrativa,
a differenza di quella privata, ha un vincolo anche nella finalità di soddisfare
i bisogni sociali76.
Originariamente quando si riconosceva all’Amministrazione un potere
discrezionale, al privato non poteva attribuirsi, secondo la dottrina, un
diritto soggettivo77.
In seguito si ammise la presenza del potere discrezionale anche in presenza di
diritti soggettivi perfetti78
( anche nel caso della compensazione è un diritto soggettivo all’operare di tale
istituto, quello vantato dal contribuente nei confronti dell’Amministrazione
finanziaria, la quale opererà discrezionalmente circa modalità carenti di
disciplina regolamentare ministeriale di dettaglio, sullo specifico concretarsi
del fenomeno compensativo).
Autorevole dottrina ha messo in luce come per il buon andamento della Pubblica
Amministrazione e per l’imparzialità della stessa sia essenziale un buon uso del
potere discrezionale79:
per quanto riguarda il fenomeno compensativo nell’ordinamento fiscale, la stessa
operatività immediata dell’istituto è funzionale al buon andamento
dell’Amministrazione perché evita la reiterazione dei pagamenti,
semplificandoli, ed evitando potenziali, nonché diffusi nella prassi, ritardi.
In un ordinamento come il nostro, in cui vige il principio di legalità, la
discrezionalità deve essere legalmente determinata, per non sfociare in una
sorta di arbitrio insindacabile.
Il potere discrezionale, per essere esercitato deve essere il risultato di una
attenta comparazione di interessi: primari e secondari. L’interesse pubblico non
è un generico interesse, perché è specificamente individuato da una norma.
La più autorevole dottrina amministrativistica ha definito la discrezionalità
come:<< ponderazione comparativa di più interessi secondari in ordine ad un
interesse primario>>80.
Come ho precedentemente affermato, la discrezionalità, nell’accezione classica
del termine, è il potere di ponderazione comparativa di più interessi secondari,
siano essi pubblici o privati, nei confronti di un interesse primario attribuito
alla autorità amministrativa81.
Il dibattito sulla discrezionalità è caratterizzato dallo spostamento del
proprio oggetto nel tempo e nei luoghi82.
La problematica della discrezionalità amministrativa inizia a porsi con l’inizio
dell’affermazione dell’ <<atto amministrativo>>.
Le variazioni che intervengono sul concetto della discrezionalità dipendono da
mutamenti più ampi (la nascita dello Stato di diritto, l’affermarsi del
principio di legalità, etc.)83.
E’ inutile ricercare una definizione di discrezionalità che travalichi i confini
temporali e che sia valida sia per il diritto privato sia per il diritto
pubblico: una tale definizione non è concepibile. La discrezionalità
amministrativa per essere compresa necessità di essere oggetto di una
riflessione che la inquadri nell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale di
cui è stata oggetto.
L’evoluzione del diritto positivo in particolare ha visto l’attribuzione alla
Amministrazione di potestà discrezionali anche in materie che per tradizioni
erano incidenti su diritti soggettivi84.
Tralasciando le problematiche del sindacato giurisdizionale ( e quindi del suo
sconfinamento nel merito o della dilatazione della categoria dell’eccesso di
potere), la dottrina (soprattutto quella francese) ha avallato l’orientamento
secondo il quale l’attribuzione di potere discrezionale era indicativa del
limite dell’attribuzione giurisdizionale e conseguentemente sfuggiva
all’operatività del principio di legalità.
Anche l’ordinamento austriaco in cui vigeva un sistema di tutela giurisdizionale
amministrativa per la tutela dei diritti soggettivi ( del ‘75) prevedeva
l’esclusione dal sindacato giurisdizionale delle materie in cui
all’amministrazione spettassero poteri discrezionali.
Per assicurare la piena attuazione del principio di legalità e del principio di
azionabilità delle pretese del cittadino nei confronti dell’amministrazione, la
letteratura giuridica elaborò orientamenti che ridussero la discrezionalità a
mero fatto intellettivo e quindi le attività dei poteri pubblici vennero
giurisdizionalizzate.
In Francia85
iniziò a vacillare la categoria dell’Acte discretionnaire, ou de pure
administration ; agli atti discrezionali si sostituì il potere
discrezionale.
In realtà l’atto discrezionale non è mai completamente libero ma è sempre
sindacabile: una tale scoperta della dottrina francese ha aperto la via alla
considerazione della discrezionalità come entità positivizzata dal legislatore,
nella quale si esprime una libertà di scelta per gli atti non normativamente
vincolati.
Si respinse l’orientamento secondo il quale la discrezionalità andava ricercata
e compresa nella nozione di conformità allo scopo e si tentò invece di
ricondurre l’atto discrezionale al pubblico interesse posto alla base della sua
emanazione e normativamente determinato.
Il pubblico interesse è ontologicamente indeterminato perché si conforma alle
varie situazioni che si presentano nella “realtà effettuale delle cose”; però
così si dilatava eccessivamente l’area di operatività del carattere
discrezionale dell’atto, estendendolo ad ogni atto di tipo autoritativo.
La letteratura giuridica di lingua tedesca86
ha concentrato la propria riflessione su quattro idee:
1) idea della
discrezionalità come fatto puramente intellettivo.
2) idea secondo la quale la scelta della misura da adottare in presenza di una
misura predeterminata comporta sempre un margine di valutazione discrezionale
dei presupposti dell’azione amministrativa.
3) idea della discrezionalità come liberta di apprezzamento dei motivi
dell’atto.
4) idea dell’assoggettamento, nell’amministrazione, del “potere” alla
“funzione”.
Gli indirizzi della dottrina giuridica contemporanea invece, tendono a dilatare
il principio di effettiva tutelabilità delle pretese del cittadino avverso
l’amministrazione e il principio di legalità.
In Italia questi orientamenti trovano la base normativa nell’art. 113 della
Costituzione che conferisce alla giurisdizione la medesima possibilità di
tutelare sia interessi legittimi sia diritti soggettivi.
Il pubblico interesse è quell’interesse che riflette il soddisfacimento di un
bisogno che è già stato qualificato dall’ordinamento come pubblico ma va
precisato che esso concerne l’atto solamente indirettamente e tale relazione non
concerne i motivi o la causa della disposizione di volontà87.
La discrezionalità permette all’amministrazione di valutare gli interessi
soggiacenti alla scelta per esercitare i poteri conferiti dalla legge e vieta di
prescindere da una tale valutazione; il rapporto intercorrente tra pubblico
interesse e discrezionalità è la relazione che va assunta come oggetto di
riflessione per la comprensione della necessità di una valutazione di interessi,
dalla quale, come si è detto, non è possibile prescindere.
La discrezionalità attiene all’attività nel suo modo di essere funzionale (e si
manifesta anteriormente all’emanazione dell’atto, anche nel non agire).
La problematicità nell’esplicazione del concetto di funzione88
o nella definizione del margine libero dell’attribuzione, hanno caratterizzato
la dottrina giuridica italiana del secondo novecento.
La funzione è una entità qualificata dall’attribuzione, ed usando le categorie
dell’analitica di Aristotele, possiamo qualificarla come “specie” del “genere”
delle <<potestà>>.
La tematica della discrezionalità può quindi essere identificata entro i limiti
di cui si è detto, con quella della funzione89
e del procedimento, dato che la ponderazione degli interessi costituisce una
caratteristica essenziale dell’azione amministrativa. Non bisogna però negare
che il giudizio sugli interessi emergenti dalla situazione concreta è di tipo
politico perché non può certamente essere ridotto a preesistenti norme sociali o
regole empiriche.
Quando l’amministrazione esaurisce il potere di scelta (cioè esplica
l’attribuzione del potere discrezionale) essa crea una regola, vincolante sia
per sé sia per l’amministrato: questo è il cd. completamento soggettivo della
norma90.
Ma la regola per ponderare gli interessi va ricercata nella legge oppure viene
creata dall’amministrazione?
La dottrina tende ad avallare con convinzione questa ultima soluzione.
Per quanto riguarda invece la discrezionalità nel diritto tributario.
Nel diritto tributario assume rilievo centrale il binomio Vincolo-
Discrezionalità
E’ pacifico che la obbligazione tributaria sia indisponibile per
l’Amministrazione finanziaria, la cui attività è normativamente predeterminata e
vincolata. Essendo vincolata l’azione dell’Amministrazione finanziaria, la
posizione vantata dal contribuente è quella del diritto soggettivo e il
sindacato sugli atti dell’A. f. da parte del giudice tributario riguarda la
legittimità degli atti: violazione di legge e non eccesso di potere91.
Sono due le tesi che hanno evidenziato il carattere vincolato della attività
dell’A. f.:
1) La riserva di legge dell’art. 23 della Costituzione esclude la
discrezionalità degli uffici92.
2) Il carattere strumentale delle norme impositive esclude margini di
discrezionalità93.
Il fatto che ci sia nel diritto tributario il generale carattere del vincolo
dell’azione amministrativa, non esclude totalmente la possibilità di attività
discrezionali. Conseguenza di scelte discrezionali è la loro insindacabilità
giurisdizionale.
Per avere esercizio di attività discrezionale nel suo significato classico che
ho sopra precisato, occorre che gli interessi da ponderare siano sia pubblici
sia privati, perché una ponderazione di interessi esclusivamente pubblici non
può essere considerata “discrezionalità”.
Non è discrezionalità l’attività dell’ufficio che sceglie quali e quanti poteri
istruttori utilizzare tra quelli che la legge gli attribuisce, e/o sceglie i
contribuenti da accertare94.
La discrezionalità invece può sussistere nel caso in cui siano oggetto di
ponderazione da parte dell’Amministrazione finanziaria anche diritti del privato
e non solamente posizioni pubbliche: ad esempio con riferimento al diritto alla
riservatezza in attività ispettive.
Altre ipotesi di discrezionalità è quella considerata dai giudici della Suprema
corte95,
in cui la discrezionalità amministrativa consiste nel considerare i “gravi
indizi” per l’emissione dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica96.
E’ obbligatorio che una comparazione tra interessi ci sia, ma non c’è un obbligo
di determinare specifici criteri selettivi, tuttavia se questi vengono indicati,
dovranno essere seguiti, altrimenti si incorre in eccesso di potere97.
In sostanza l’autorità sceglierà il criterio comparativo da applicare con ampia
discrezione.
Il modo in cui l’autorità individua gli interessi secondari con i quali deve
comparare l’interesse primario è correlato al procedimento amministrativo.
Appare allora consequenziale che il procedimento amministrativo costituisca il
mezzo normale attraverso il quale si eserciti la discrezionalità amministrativa:
attraverso di esso e tramite la partecipazione dei soggetti interessati all’iter
per l’adozione del provvedimento, i differenti centri di interesse possono
essere comparati.
Siccome non c’è un procedimento amministrativo generale, saranno le norme che lo
regolano, caso per caso, a rappresentare il tramite per la operatività della
discrezionalità amministrativa; nel caso dell’applicazione dell’istituto
compensativo, invocato dal contribuente, nei confronti della pubblica
amministrazione, sarà la sede (processuale o sostanziale) in cui avviene ad
indicare procedimento e provvedimento amministrativo di estinzione
dell’obbligazione (o di rigetto della richiesta).
La discrezionalità consiste sia nell’atto volitivo, in cui la pubblica
amministrazione “vuole” e decide, sia nell’atto (o negli atti) di accertamento,
in cui la p.a. giudica e valuta i fatti98.
Gli atti inoltre non sono totalmente discrezionali, ma presentano profili di
discrezionalità e profili di vincolo, con riferimento al quid, al
quomodo e all’an; nel caso della decisione dell’Amministrazione
finanziaria di pervenire alla compensazione, questa dovrà essere rispettosa dei
limiti della disciplina civilistica sulla compensazione legale (crediti liquidi
ed esigibili) e su quella giudiziale, pur rimanendo la sua ammissibilità
problematica (è sufficiente che il credito sia di pronta e facile liquidazione);
per quanto concerne la compensazione volontaria risulta difficoltosa
all’interprete la limitazione della possibilità di compensare posizioni di
credito-debito, che comunque devono certamente rimanere confinate nella funzione
amministrativa di assicurare entrate per l’erario e risolvendosi in una modalità
estintiva della obbligazione, e non in eventi giuridici che invece la estinguano
o la originino ex se, va consentita.
La compensazione volontaria è stata esclusa dalla dottrina più autorevole, sia
prima sia dopo la emanazione dello Statuto dei diritti dei contribuenti99
che pur consentendo la compensazione e annoverandola tra i modi di estinzione
della obbligazione tributaria diversi dall’adempimento100,
non l’ha mai attuata con i regolamenti ministeriali, ivi previsti, e considerati
dalla dottrina essenziali per la immediata applicazione dell’istituto de quo,
nonostante il termine per la emanazione degli stessi sia ampiamente scaduto.
La natura del negozio giuridico in questione è di tipo “costitutivo” e la
dichiarazione di volontà delle parti modifica il contenuto e la modalità dei
rispettivi rapporti101.
Per altri autori102
occorre affermare la impossibilità del dispiegarsi della compensazione
volontaria nell’ordinamento tributario: la natura pubblicistica della funzione
della pretesa erariale e le conseguenti specifiche modalità di liquidazione
impediscono l’accertamento negoziale delle obbligazioni tributarie così come
avviene per le obbligazioni di diritto privato.
Si tratta di orientamenti autorevoli e maggioritari; è tuttavia possibile
affermare che la compensazione volontaria possa essere consentita
nell’ordinamento tributario, alla stregua di analoghe argomentazioni che
consentono il dispiegarsi della compensazione legale (ma che, invece, mantengono
problematico il dispiegarsi di quella giudiziale).
Concentriamo adesso la nostra indagine al campo della compensazione negoziale,
per comprendere gli orientamenti che la escludono nell’ordinamento tributario e
le argomentazioni che invece ne permettono la ammissibilità, per delineare i
margini di discrezionalità presenti nella fase dell’accertamento (con
riferimento alla possibile adesione contribuente) e quelli inerenti alla fase
della riscossione e, infine, indagando la natura unilaterale o bilaterale del
conseguente provvedimento che la contiene.
La compensazione volontaria è prevista dall’art. 1252 del codice civile ed è
suddivisa in due ipotesi:
1) le parti, dopo la consistenza di reciproci crediti, ne decidono la estinzione
tramite compensazione, anche in assenza delle condizioni stabilite dalla legge.
2) Le parti103
con un accordo anteriore alla consistenza dei crediti (cd. accordo preventivo)
stabiliscono la futura compensazione.104
La compensazione volontaria si caratterizza proprio per la possibilità di
derogare le condizioni indicate come essenziali per la compensazione legale: non
può però mancare la reciprocità delle obbligazioni; possono essere derogate sia
la esigibilità sia la fungibilità sia la omogeneità105.
Per alcuni autori quando è carente il requisito della liquidità c’è il rischio
che la funzione del negozio compiuto non sia quella corrispettiva tipica
dell’istituto compensativo: ci sarebbe in questo caso l’assunzione, a carico del
creditore, dell’alea del corrispettivo e c’è la possibilità delle parti di
manifestare in realtà una volontà finalizzata alla remissione del debito oppure
alla realizzazione di un negozio avente natura transattiva106.
Per altri autori, in caso di mancanza di omogeneità ci si troverebbe in presenza
di una datio in solutum107:
è celata in una tale visione, una confusione tra l’adempimento, che la
compensazione evita, e l’estinzione, che è presente in entrambi gli istituti108.
Al primo comma, l’art. 1252, nella seconda parte afferma la derogabilità delle
“condizioni previste dagli articoli precedenti”: è centrale per la tematica
della operatività dell’istituto compensativo nell’ordinamento tributario
comprendere se le condizioni alle quali è possibile derogare siano anche quelle
dell’art. 1246 del codice civile, che al comma secondo, numero tre, contempla il
divieto di compensazione per i crediti impignorabili ( crediti tra i quali
rientrano quelli di natura amministrativa e quindi anche quelli in capo
all’Amministrazione finanziaria)109.
In genere è possibile affermare che i divieti stabiliti dalla legge per la
compensazione sono invalicabili dalla volontà del singolo solamente quando
sottendono interessi di ordine pubblico110.
All’art. 1246 sono sanciti cinque divieti, dei quali in questa sede assume
particolare rilievo solamente il numero tre, sul credito dichiarato
impignorabile.
E’ possibile osservare che la impignorabilità sottrae solamente al titolare del
controcredito il diritto di compensare111.
L’Amministrazione finanziaria potrà, con un accordo sostanzialmente bilaterale,
trasfuso in un provvedimento (con forma di atto) unilaterale, compensare i
propri crediti con i crediti del contribuente, ma il contribuente non potrà
ottenere un rimborso se non a seguito della disciplina di liquidazione
tassativamente stabilita, a causa del limite della impignorabilità che opererà
in tal senso.
Quindi i margini entro i quali la compensazione negoziale è possibile
nell’ordinamento tributario sono ristretti rispetto al diritto civile: la
compensazione negoziale potrà avvenire solamente su decisione della
Amministrazione finanziaria, unica ad avere diritto alla compensazione, la quale
in carenza dei requisiti necessari alla compensazione legale, contrarrà con il
contribuente l’estinzione delle proprie obbligazioni tramite lo strumento
negoziale, che avrà sostanza di atto bilaterale, poiché alla sua redazione avrà
partecipato anche e su un piano di parità giuridica il contribuente (come
avviene, secondo dottrina consolidata per l’accertamento con adesione del
contribuente112),
ma sarà trasfuso in un atto unilaterale della Amministrazione finanziaria.
La compensazione volontaria (come definita dalla rubrica dell’art. 1256 cit.) o
compensazione convenzionale, può assumere la forma (in diritto civile) di un
contratto corrispettivo ad effetti estintivi.
Invece si ha un negozio unilaterale quando l’estinzione dipende da una sola
delle parti interessate113.
E’ interessante osservare come autorevole dottrina escluda la struttura
unilaterale per la compensazione volontaria114;
esclusione che invece non pare poter essere ragionevole in diritto tributario,
in cui la struttura unilaterale pare, dato il carattere autoritativo
dell’Amministrazione finanziaria, maggiormente idonea al soddisfacimento della
funzione di riscossione dei tributi.
In diritto tributario molti autori hanno negato l’operatività della
compensazione volontaria.
Per alcuni autori, l’accordo che si compie nella compensazione volontaria, dando
vita a un negozio bilaterale a forma libera in deroga alle condizioni ricorrenti
per la compensazione legale, non è possibile nell’ordinamento tributario, perché
è un << accordo che la Finanza non ha il potere di stipulare, stante la
tassatività e l’inderogabilità della procedura contemplata in tema di rimborso
dei crediti tributari del contribuente>>115.
Per altri autori <<la pretesa erariale, proprio per il carattere pubblicistico
della funzione che ne determina la nascita, non è altrimenti liquidabile che
secondo le specifiche, differenziate modalità determinative previste dalla
legge, con la conseguenza che va da sé esclusa, sia la possibilità che il
credito tributario dell’amministrazione possa essere accertato negozialmente
dalle parti alla stessa stregua delle obbligazioni nascenti da contratto […] sia
che al suo accertamento possa addivenirsi giudizialmente […] e cioè al di fuori
dei moduli di attuazione della pretesa erariale previsti dalla legge; o che la
contestazione possa promuoversi in forme diverse da quelle proprie
dell’impugnazione del provvedimento da cui la pretesa è sorta>>116.
Tali orientamenti possono dirsi non più condivisibili.
Possono essere senz’altro condivisibili, invece, gli orientamenti espressi da
alcuni autori117,
secondo i quali:<< il richiamo alla compensazione la subordina solo alle
condizioni previste in via generalissima dal codice civile, in primo luogo
ovviamente, alla coesistenza di crediti e debiti pecuniari liquidi ed esigibili.
La necessità di una previa liquidazione e dell’esigibilità dell’obbligazione
tributaria connettono, in qualche modo, la compensazione alle diverse fasi di
attuazione dei tributi. Risultano però sufficienti anche forme di
“autoliquidazione” da parte del privato, purché previste dalla legge e tali da
rendere possibile l’immediato pagamento delle somme liquidate>>.
I profili attinenti alla certezza e liquidità sono stati di recente oggetto di
intervento da parte del Legislatore, con riguardo alla disciplina delle c.d.
Attestazioni.
L’art. 10, rubricato “Attestazione dei crediti tributari” del D.L. del 2003, n.
269, collegato alla finanziaria del 2004, convertito e modificato con Legge del
2003, n. 326, prevede che:<< su richiesta dei creditori di imposta intestatari
del conto fiscale, l’Agenzia delle Entrate è autorizzata ad attestare la
certezza e la liquidità del credito, nonché la data indicativa di erogazione del
rimborso.
L’attestazione, che non è utilizzabile ai fini del processo di esecuzione e del
procedimento di ingiunzione, può avere ad oggetto anche importi da rimborsare
secondo modalità diverse da quelle previste dal Titolo II del Regolamento
adottato con decreto del Ministro delle Finanze di concerto con il Ministro del
Tesoro, 28 dicembre 1993 n. 567>>.
Alcuni autori hanno ravvisato nell’art 10 cit., un “riconoscimento” rientrante
nella ricognizione di debito di cui all’art. 1988118
del c.c.119.
Dalla considerazione dell’istituto de quo come dichiarazione di volontà o come
dichiarazione di scienza discendono diverse conseguenze processuali e
sostanziali120.
Occorre evidenziare che l’Attestazione in sé non consente al contribuente di
chiedere il rimborso (a tal fine infatti occorre o una sentenza passata in
giudicato e, in caso di persistente inottemperanza, è necessario un giudizio di
ottemperanza, oppure una fattispecie complessa121
costituita da attestazione, che rende certo e liquido il credito attestato, e
scadenza del termine ivi indicato per il rimborso, che rende esigibile il
credito e secondo la giurisprudenza della suprema Corte, per un credito certo,
liquido ed esigibile si può esperire presso il giudice ordinario azione per
indebito oggettivo122;
da notare, nel caso di realizzazione delle proprie pretese tramite sentenza
tributaria, che mentre per il soddisfacimento del contribuente occorre una
sentenza passata in giudicato, non può dirsi lo stesso per l’Amministrazione
finanziaria, la quale può usufruire dell’istituto della iscrizione provvisoria a
ruolo).
L’esigibilità del credito tributario dunque consegue alla scadenza del termine
indicato nell’Attestazione per il rimborso. L’Attestazione quindi non è
utilizzabile ai fini del processo di esecuzione e del procedimento di
ingiunzione (quest’ultimo non previsto nel processo tributario, mentre il primo
richiede la esigibilità, che in sé la sola attestazione non attribuisce al
credito).
Mentre l’Attestazione non può essere di per sé utile al creditore per la
restituzione di quanto ha diritto a pretendere dalla Amministrazione
finanziaria, essa rappresenta un utile strumento di accertamento del credito,
legalmente determinato.
Tramite l’Attestazione, l’Amministrazione finanziaria può determinare il credito
rendendolo certo e liquido e può disporre della esigibilità del medesimo, non
rimborsandolo, bensì compensandolo con altri crediti del contribuente sino
all’esaurimento dell’ammontare del proprio, o al previo esaurimento
dell’ammontare del credito del contribuente.
L’Attestazione è quindi un recente modo di accertamento delle obbligazioni,
previsto dalla legge; formalmente esso è un atto unilaterale, ma sostanzialmente
ha natura bilaterale perché potrà essere (anche) il contribuente a sollecitarlo
indicando il proprio credito da attestare, e sarà l’A.f. a procedere a tale
accertamento.
Inoltre è bene ricordare che l’Attestazione si ricollega a due importanti norme
di principio sancite dalla L. 212 del 2000: si tratta dell’art. 6 che prevede il
dovere dell’Amministrazione finanziaria di portare a conoscenza del contribuente
i fatti o atti che comportino mancati o parziali riconoscimenti di crediti e
dell’art. 10 che sancisce il principio di collaborazione123.
I limiti individuati da alcuni autori per la mancanza della operatività della
compensazione in diritto tributario possono dunque dirsi superati. Parte della
dottrina così si esprimeva:<< mentre non può condividersi la tesi elaborata in
dottrina rivolta ad individuare un limite alla compensazione nella natura dei
rapporti giuridici d’imposta, deve rilevarsi l’esistenza di un limite assai
significativo dipendente dal fatto che come si è visto, la concreta attuazione
dei debiti e crediti d’imposta risulta affidata a sequenze procedimentali,
ricomprese specificamente nella disciplina della riscossione e del rimborso, per
le quali è prevista una scansione in fasi connotate da una specifica evidenza
formale in ragione delle esigenze proprie della disciplina contabile di tutti i
flussi finanziari propri dello Stato124.
Con l’art. 10 del D.L. n. 269 del 2003125,
il Legislatore ha, tramite la disciplina delle Attestazioni, introdotto un nuovo
strumento di cui l’A.f. può usufruire per rendere certo e liquido il credito;
nonostante ciò non comporti la esigibilità (la quale, come rilevato
precedentemente, segue al compiersi della fattispecie complessa composta non
solo dall’Attestazione, ma anche dalla scadenza del termine ivi indicato per il
rimborso della somma spettante al contribuente), rende possibile la
compensazione negoziale, essendo una forma di “liquidazione” prevista dalla
legge.
Il provvedimento di compensazione negoziale renderà esigibile il credito, che
non sarà rimborsato (nel senso materiale del termine) ma concorrerà a elidere le
reciproche posizioni di credito-debito sino a lasciar sopravvivere un eventuale
credito per la parte che ha la titolarità del “maggior diritto”126.
Si tratterà di un provvedimento alla cui sostanziale formazione ha partecipato
il contribuente127,
quindi di natura bilaterale, ma formalmente unilaterale, perché proveniente
esclusivamente dagli organi della Amministrazione finanziaria (la quale è
l’unica a poter rendere esigibile il credito del contribuente prima che sia
scaduto il termine indicato nella Attestazione, poiché si tratta di crediti
ancora sub potestate, che possono essere modificati o integrati
dall’Amministrazione stessa).
La compensazione legale è pacificamente, direi quasi unanimemente, ammessa
nell’ordinamento fiscale, perché si considera derogato l’aspetto della
indisponibilità del credito tributario da parte dell’art. 8 dello Statuto, nei
confronti dell’art. 1246 del codice civile128;
tale funzione derogatoria, operata dallo Statuto sulle norme del sistema
fiscale, opera in modo diffuso, in carenza dello specifico regolamento
ministeriale, e garantisce, in conformità ai principi costituzionali di buon
andamento della pubblica amministrazione e imparzialità, di cui lo Statuto è
attuativo, la operatività del fenomeno compensativo (problematica nella forma
giudiziale) anche in quella negoziale, perché non è irragionevole considerare
che le norme dell’accertamento e della riscossione, laddove presentino
strutturali impedimenti alla operatività della compensazione, siano illegittime,
perché contrarie allo Statuto dei diritti del contribuente e ai principi
costituzionali che ivi vengono richiamati.
Infine può dirsi possibile la compensazione negoziale nell’ordinamento
tributario proprio con riferimento alle Attestazione come modalità
procedimentale eseguita per la certezza e liquidità del credito del
contribuente, a cui segue la compensazione, tramite la esigibilità che la stessa
Amministrazione attribuisce al credito, prima della scadenza per il rimborso
indicata nella attestazione stessa, su richiesta del contribuente.
Continuando la nostra riflessione sui rapporti della disciplina delle
Attestazioni129,
contenuta nella normativa emanata nel 2003, e la operatività, in diritto
tributario, della compensazione negoziale, è possibile effettuare ulteriori
considerazioni..
Nella compensazione negoziale, le parti derogano ai requisiti che occorrono per
l’operatività della compensazione legale: omogeneità, liquidità ed esigibilità
(nel caso della compensazione giudiziale è sufficiente che il credito sia di
pronta e facile liquidazione).
La Attestazione di un credito <<ex se attribuisce certezza e liquidità al
credito, ma non consolida un diritto di ripetizione>>130
(perché manca la esigibilità).
Per la esigibilità occorrerà attendere la scadenza del termine fissato nella
Attestazione medesima, dopo tale termine il contribuente potrà chiedere la
esecuzione forzata per il proprio soddisfacimento o ancora, potrà ricorrere al
procedimento di ingiunzione (e quindi, come si è già rilevato, potrà adire le
vie giurisdizionali ordinarie).
Mentre per la operatività della compensazione legale (ammessa dalla migliore
dottrina nel diritto tributario131)
il credito deve essere anche esigibile; tramite la compensazione negoziale si
può derogare (anche) a tale requisito.
Autorevole dottrina, con riferimento alla compensazione legale, così si
esprime:<< concentrando per ora l’attenzione sui controcrediti di natura
tributaria del contribuente, aventi di regola ad oggetto il rimborso di somme,
reputo che la compensazione- sub specie di compensazione legale- si renda
opponibile:
a) quando l’esistenza di tale credito sia stata accertata con sentenza passata
in giudicato
b) in tutti i casi di cosiddetto obbligo di ufficio per l’Amministrazione
finanziaria di procedere al rimborso, come si verifica allorché il rimborso del
contribuente viene accolto e risulti provvisoriamente riscosso un tributo
eccedente rispetto a quanto stabilito dalla commissione tributaria […]
c) allorché l’Amministrazione finanziaria abbia formalmente riconosciuto il
diritto del contribuente al rimborso delle imposte indebitamene pagate e il
quantum delle somme dovute; [ipotesi per le quali la giurisprudenza riconosce la
sussistenza dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. con le conseguente
competenza giurisdizionale del giudica ordinario]132>>.
Tale possibile operatività della compensazione sancita nell’art. 8 dello Statuto
è la conseguenza di una considerazione di base: <<se si assume il carattere di
impignorabilità del credito tributario, si deve ritenere che il predetto
legislatore abbia inteso apportare una deroga all’art. 1246 n. 3 del codice
civile, a meno di non porre completamente nel nulla la norma da lui stesso
introdotta>>133
e 134.
Possiamo osservare che quindi non esiste una limitazione generale alla
operatività della compensazione nel nostro ordinamento perché l’art. 8 cit., può
operare con una funzione derogatoria: occorrerà allora verificare caso per caso
se la trasposizione della disciplina civilistica è possibile in diritto
tributario135.
Tale dottrina ammette la compensazione legale, affermando che l’art. 8 dello
Statuto deroga alla impignorabilità delle obbligazioni pubbliche sancita al
codice civile nell’art. 1246, n. 3, ma non ammette la compensazione volontaria,
né quella giudiziale.
La stessa funzione derogatoria può giungere ad eliminare il limite che secondo
la dottrina impedisce la operatività della compensazione volontaria136.
Questa medesima funzione derogatoria non può però essere estesa sino a superare
i limiti che impediscono la compensazione giudiziale, la cui ammissibilità resta
problematica, perché il giudice tributario non ha competenza sull’an e
quantum della somma e quando si tratta di controcrediti non tributari, non
c’è neanche la giurisdizione tributaria: tali limiti certamente non sono
superabili tramite l’affermazione del principio contenuto nell’art. 8 cit., che
consente la compensazione (in genere, senza specificare se si tratti di mera
compensazione legale, o anche di compensazione volontaria e giudiziale, in
attesa del regolamento attuativo, il cui termine di emanazione è ampiamente
scaduto).
Sempre su tale funzione derogatoria, altra parte della letteratura giuridica
così si è espressa: << […]
l’esplicita previsione di cui all’art. 8 comma 1 potrebbe assumere efficacia
derogatoria della regola di cui al citato art. 1246 c. 3 c.c. . Invero tale
espressa previsione normativa vale comunque come deroga a discipline o regole
generali eventualmente limitative della compensazione, configurando, in
relazione al contenuto “permissivo” della norma, un assetto in cui la scelta del
privato è con riguardo alle “obbligazioni tributarie” in linea di principio
lecita ed efficace. Conseguentemente, l’efficacia della compensazione opposta
dal debitore, in via stragiudiziale o nel processo, può essere contestata solo
sulla base di puntuali incompatibilità con norme “speciali” o di caratteristiche
proprie dei singoli istituti, sostanziali o procedimentali […] >>137.
Dunque mentre le limitazioni che impedivano la compensazione volontaria possono
essere superate, non possono ritenersi superati i limiti alla operatività della
compensazione giudiziale: perché tali limitazioni attengono alla competenza e
non vengono di certo superate da una norma generale che sancisce il principio
compensativo, quale l’art. 8 dello Statuto.
La Attestazione è una nuova procedura che rende certo e liquido il credito su
richiesta del contribuente, ma per la esigibilità occorrerà che il contribuente
attenda la scadenza del termine ivi sancito per il rimborso : prima della
scadenza del termine la Amministrazione finanziaria potrà attuare, in accordo
con il contribuente, la compensazione negoziale sino all’esaurimento del proprio
controcredito, e se il credito del contribuente eccede, per il rimborso
occorrerà invece attendere la scadenza del termine indicato nell’Attestazione.
Tale disponibilità avviene proprio in virtù dell’art. 8 dello Statuto, che
consentirà, derogando la tassativa procedura di rimborso (per la quale occorre
attendere che sia decorso il termine indicato nella attestazione, affinché l’A.f.
possa rimborsare il credito ormai divenuto esigibile), in applicazione dei
valori, costituzionali e statuari, di buon andamento della pubblica
amministrazione138,
e del principio di collaborazione tra A.f. e contribuente139.
L’atto dell’amministrazione sarà sostanzialmente bilaterale, perché vi avrà
concorso la richiesta del contribuente, ma formalmente unilaterale (solo l’A.f.
può decidere la compensazione di un credito ancora sub potestate, in virtù della
funzione derogatoria dell’art. 8 dello Statuto sui limiti procedurali, e
utilizzando la procedura dell’Attestazione per la certezza e liquidità del
credito).
Dopo la scadenza del termine, il diritto di credito vantato dal contribuente
avrà anche il carattere dell’esigibilità: opererà la compensazione legale, e/o
(per l’eccedenza), sarà operativa la giurisdizione ordinaria (procedimento per
l’ esecuzione forzata oppure procedimento per ingiunzione).
_____________________________
1 Ragusa Maggiore, Enc. del dir. , voce Compensazione (dir. civ.),
pagine 17 e seguenti.
2 Petrone, La compensazione tra autotutela e autonomia, Giuffrè
Ed., Milano, 1997, pagine 43 e seguenti.
3 Sentenza della Cass. Sez. trib. 20 Novembre 2001 , n. 14579,
in Guida Normativa n. 12 del 2002, pagina 27.
4 art. 8 della L. 212 del 2000, pubblicata on line sul sito del
parlamento, link: www.parlamento.it/leggi/00212l.htm
5 Cass. Sez. trib. 20 Novembre 2001, n. 14579 , cit., pagina 27.
6 Legge n. 212 del 2000, <<Statuto dei diritti del
contribuente>>, in Tascabili, a cura di G. Caputi, allegato al Corr.Trib. n.
21/2001.
7 Russo , La compensazione in materia tributaria , in Rassegna
tributaria n. 6/2002, pagg. 1855 e seguenti, Mencarelli, Primi rilievi su
compensazione e Statuto del contribuente in Rivista di diritto tributario, 2001
fasc. 12, pag. 1231e segg., si veda pagina 1247, paragrafo 5, intitolato “la
compensazione e l’art. 225 del R.D. n. 827/1924”; Fedele, L’art. 8 dello Statuto
dei diritti del contribuente in Rivista di Diritto Tributario fasc. 10 del 2001,
pag. 883 e segg., si veda pagina 894 sulla possibile “efficacia derogatoria”
svolta dall’art. 8 dello Statuto, nei confronti dell’art. 1246 n. 3 del codice
civile.
8 Regolamento della contabilità di Stato secondo cui “Le entrate
dello Stato si riscuotono di regola in contanti”.
9 Per il limite indicato nell’art. 23 della Costituzione si veda
Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, volume 1, parte generale, ottava
edizione, Utet, Torino, 2003, pagine 14-20.
10 Riflessione analoga a quella di Cordeiro Guerra, che come si
argomenterà nel proseguo, non mi pare poter essere meritevole di condivisione.
(Mi riferisco all’articolo “ La compensazione ex art. 8 della L. 212 del 2000 ”,
pubblicato anche on line sul link: http://www.associazionetributaristi.it/files/Cordeiro%20Guerra%20-%20Relazione.pdf
).
Si veda inoltre la nota n. 48 di questa tesi.
11 Sulle carenze e i ritardi del Legislatore, si veda la
giurisprudenza della Suprema Corte citata da Buscema, Sulla spendibilità
dell’eccezione di compensazione nel processo tributario ed in particolare nel
giudizio di ottemperanza, in Il Fisco, n. 1 del 3 gennaio 2005, pag. 193.
12 Mi riferisco all’istituto della delegatio promittendi che il
Russo ravvisa nell’art. 17 del D. Lgs. N. 241/1997 fra il contribuente-delegante
e l’ente delegato. L’ orientamento di cui trattasi è esposto con chiarezza
nell’articolo “ La compensazione in materia tributaria “, in Rassegna tributaria
n. 6/2002, pagg. 1855 e seguenti.
13 Tale ampiezza è stata oggetto di attente riflessioni da
parte della dottrina, come quella del Russo, il quale ravvisa nell’articolo 17
del D. Lgs. 241/1997 non un istituto singolo, ma un insieme di istituti: sia la
compensazione civilistica, sia la delegatio promittendi.
14 A. Rossi, Atti impugnabili … estinzione della obbligazione
tributaria per compensazione, in “Quaderni” del Consiglio di Giustizia
tributaria n. 9/2004, pag. 50.
15 Anche la giurisprudenza della Suprema Corte ha avallato tale
orientamento dottrinale,nella fondamentale sentenza della Sez. Trib., 20
novembre 2001, n. 14579, in cui il ricorrente chiedeva la compensazione del
debito IVA con crediti IRPEF. Tale sentenza è pubblicata in Guida normativa n.
12 del 2002, pagina 27, con Commento critico di Salvini.
16 È interessante la riflessione sulla contrapposizione tra
norme programmatiche e norme precettive che per primo Crisafulli operò nel
diritto costituzionale (La Costituzione e le sue disposizioni di principio,
Milano, 1952) e che la Bruzzone (L’ estinzione dell’ obbligazione tributaria per
compensazione, in Corriere tributario approfondimenti n. 15/ 2002, pagg. 1297 e
segg. ) riprende inerentemente alla forza normativa del futuro regolamento da
attuare secondo l’art. 8, comma 6 della L. 212/2000, e il suo rapporto alla
disciplina stessa del vigente Statuto dei diritti del contribuente. La Suprema
Corte ha escluso l’immediata applicabilità del principio generale di estinzione
delle obbligazioni tributarie tramite compensazione, così riconoscendo alle
norme dello Statuto, efficacia programmatica e non precettiva, la stessa che
Crisafulli attribuiva a principi costituzionali come l’uguaglianza di cui
all’art. 3 Cost. .
17 Sugli aspetti di tutela della integrità patrimoniale dello
Statuto, si veda Fedele A., L’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente
in Rivista di Diritto Tributario fasc. 10 del 2001, pag. 883 e segg.., (
soprattutto pagina 883 e pagina 913).
18 Fedele A., op. cit., pagina 908, paragrafo 8, intitolato “
Delegificazione e delega regolamentare in materia di compensazione”.
19 Fedele, op. cit., pagina 909 .
20 Russo, con riferimento alla diversità (seppure apparente)
dei soggetti che compiono la compensazione ( debiti e crediti vantati verso
diverse agenzie delle entrate), op. cit., pagina 1858.
21 Fedele, op. cit., pagina 909 :<< […] la disciplina vigente
della “compensazione”, cui, come si è detto, si riferisce l’ultimo comma
dell’art. 8, ha ad oggetto un meccanismo estintivo dell’obbligazione tributaria
non riconducibile ai principi civilistici, soprattutto per la possibile non
coincidenza fra soggetti creditori e debitori […], poiché tuttavia sono proprio
questi aspetti della disciplina in vigore che hanno accentuato l’efficienza e la
rapidità dei procedimenti dei procedimenti attuativi dei tributi e delle entrate
[…], è da ritenere che essi debbano essere perpetuati ed estesi ad altri ed
estesi ad altri tributi secondo il disposto del medesimo comma 8 dell’art. 8>>.
22 Espressione usata da Fedele, op. cit., a pagina 910,
paragrafo 9, intitolato “Una proposta di interpretazione sistematica per l’art.
8 dello Statuto del contribuente”.
23 Russo, op. cit., pagina 1857, paragrafo 2.
24 Fedele, op. cit, pagina 912. .
25 Bruzzone M., op. cit. , pagina 1298, paragrafo intitolato:
“norme precettive e norme programmatiche”, e Buscema A., Sulla spendibilità
dell’eccezione di compensazione nel processo tributario ed in particolare nel
giudizio di ottemperanza, in Il fisco n. 1 del 3 gennaio 2005, pag. 193.
26 Zifaro A., L’estinzione dell’obbligazione tributaria nel
processo tributario, in Il fisco n. 13 del 28 marzo 2005 pag. 1956 e segg. .
27 Faccio riferimento alle sentenze della Cassazione n. 4760
del 2000 e n. 4860 del 2001, che sono utilizzate da una parte minoritaria della
dottrina, (nella specie Zifaro), per affermare che i principi in esse stabiliti
operano in tutto l’ordinamento, ergo anche nel diritto tributario e che quindi
la burocrazia non può ritardare la operatività dei diritti sanciti dalla legge;
ma questa senz’altro non può essere, a mio parere, una solida argomentazione su
cui basare la diretta applicazione dell’istituto compensativo con riferimento
all’art. 8 dello Statuto senza attendere i regolamenti attuativi ormai fuori
termine. L’autore di cui si parla, evade le obiezioni sostanziali che sostengono
la impossibilità di operatività dell’istituto compensativo nell’ordinamento
tributario e nulla dice sulle modalità tramite le quali questo dovrebbe
dispiegarsi: per esempio, cosa avviene nel caso di compensazione invocata dal
contribuente in dichiarazione, ovviamente al di fuori dei casi dell’art. 17 d.
lgs. n. 241 del 1997?
Su questo e su altri aspetti concreti di disciplina, parte minoritaria della
dottrina (Zifaro) nulla dice e anche le argomentazioni teoriche con le quali,
utilizzando un filone giurisprudenziale della Corte di Cassazione, consente la
immediata operatività dell’istituto compensativo nell’ordinamento tributario,
non possono essere considerate soddisfacenti, perché troppo generiche e per
niente specifiche nell’analizzare il rinvio all’art. 17 della legge n. 400 del
1988 che lo stesso art. 8 dello Statuto effettua.
28 Bruzzone, op. cit pagina 1298., Buscema, op. cit., pagina 94
(seconda colonna) .
29 Russo, La compensazione in materia tributaria, cit., pagina
1858 .
30 Crisafulli, La Costituzione e le sue disposizioni di
principio, Milano, 1952.
31 Questo è un chiarissimo esempio di come diritti sanciti
nella Costituzione repubblicana per essere applicati abbiano avuto bisogno, non
solo dell’intervento della Corte Costituzionale, ma del più penetrante
intervento del legislatore ordinario. Bellomo M., La condizione giuridica della
donna in Italia. Vicende antiche e moderne, Il Cigno Galileo Galilei, Roma,
1996. Allo stesso modo, pare a me che non possa non essere considerata l’ipotesi
che il diritto del contribuente per essere applicato necessiti, nonostante sia
già sancito nello Statuto dei diritti del contribuente, dell’intervento del
Ministero delle Finanze, con regolamento ex lege 400/1988.
32 Russo P., Manuale di diritto tributario, parte generale,
Giuffrè Editore, Milano, 2004, pagg. 144-147.
33 Zifaro, op. cit., pagina 1957 .
34 Con riferimento alle direttive comunitarie, anche Cordeiro
Guerra riflette e rileva “similitudini” rispetto al diritto tributario. Nel “ La
compensazione ex art. 8 della L. 212 del 2000” egli indica proprio come nella
applicazione immediata delle direttive a cui il Legislatore interno (italiano)
non ha dato esecuzione, vi sia una possibile argomentazione per sostenere la
immediata applicazione della compensazione dello Statuto , o meglio, vi
siano“spunti di riflessione e similitudini”.
Una tale posizione, pare a me essere non condivisibile.
La immediata applicazione delle direttive comunitarie è basata sulla
interpretazione dei trattatiti istitutivi degli organi comunitari e certamente
non può essere utilizzata per sostenere la immediata applicazione di una Legge
ordinaria a cui non seguono i regolamenti (delegificanti) di attuazione. E’
strano parlare di “similitudine” in un testo scientifico, perché pare che
l’autore trascuri il versante e il carattere scientifico del suo scritto per
riflessioni e spunti di carattere pseudo-letterario: argomentazioni fondate sui
trattati comunitari con riferimento alla normativa interna sono già state
chiaramente e più volte rigettate dalla Corte di Cassazione ( e anche dalla
Corte Costituzionale).
Con riferimento al Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica, la
giurisprudenza amministrativa, sia in primo grado, sia il Consiglio di Stato,
per la operatività del giudizio di ottemperanza sulla decisione del Presidente
della Repubblica, ha affermato che il Consiglio di Stato in sede di emissione
del parere durante il Ricorso Straordinario, ha funzione giurisdizionale: una
tale affermazione è stata la conseguenza di decisioni della Corte di Giustizia
della Comunità Europea che ha attribuito al Consiglio di Stato, in sede di
parere per il Ricorso Straordinario, natura di organo paragiurisdizionale,
attribuendogli il potere di sollevare questioni interpretative del diritto
comunitario dinanzi la Corte di Giustizia stessa.
La Cassazione ha, recentemente e meno di recente, costantemente respinto una
simile interpretazione dei Trattati, tale da influenzare norme di diritto
interno; un discorso analogo risulta evidente con riferimento alle
argomentazioni citate da parte della dottrina.
Per questo mi pare che le “similitudini” di cui si è parlato, senz’altro
logicamente evidenti, non possano essere di certo utilizzate per argomentare la
immediata operatività della compensazione dello Statuto, carente di regolamenti
attuativi.
L’articolo di Cordeiro Guerra è pubblicato on line sul link
http://www.associazionetributaristi.it/files/Cordeiro%20Guerra%20-%20Relazione.pdf
.
35 Secondo l’avvocato di New York Alberto Quartaroli, le
normative costituzionali degli articoli 48, 56 e 57 “sono norme programmatiche e
non precettive”, ciò significa che non hanno efficacia diretta nell’ordinamento
giuridico, bensì enunciano un principio che dovrà poi essere attuato da una
legge ordinaria. In mancanza di legge, la norma costituzionale non ha attuazione
immediata e quindi, senza la previsione legislativa dell’assegnazione dei seggi,
non si potranno eleggere i candidati all’estero”. Invece secondo l’analisi fatta
dall’avvocato romano Maurizio Cerchiara, anche le norme programmatiche devono
avere attuazione o per lo meno obbligare il legislatore a renderle precettive
con legge ordinaria. Infatti, il legislatore, “pur limitandosi semplicemente a
non applicarla, la applica in senso opposto”, e quindi diventa
anti-costituzionale. Il rimedio per poter ovviare a questo comportamento
anticostituzionale del legislatore é “il potere di scioglimento delle Camere da
parte del Presidente della Repubblica, quale tutore della Costituzione”.
(http://www.ilbarbieredellasera.com/article.php?sid=13852).
36 La classificazione di Crisafulli è stata rigettata anche
all’epoca in cui nacque, seppur da dottrina meno autorevole e non maggioritaria.
De Fina, op. cit. Janniti Piromallo, Applicazione delle norme della
Costituzione, in Foro Pad., 1948, IV. Stendardi, Conseguenze della mancata
attuazione di norme costituzionali, in Foro Pad., 1953, IV.
37 Mencarelli S., Primi rilievi su compensazione e Statuto del
contribuente in Rivista di diritto tributario, 2001 fasc. 12, pag. 1231e segg..
38 Mencarelli, op. cit., pagine 1253-1258 .
39 Fedele A., L’art. 8 dello Statuto dei diritti del
contribuente in Rivista di Diritto Tributario fasc. 10 del 2001, pag. 883 e segg..
40 Fedele, op. cit., pagina 886.
41 in Il Fisco n. 12/2002, fascicolo n. 1, pag. 1848, la Corte
di Cassazione afferma che:<< la stessa norma prende atto della applicabilità del
relativo istituto, alla stregua della normativa tributaria in vigore, solo nei
casi specificamente contemplati, rinviando gli effetti dell’innovazione a
decorrere dall’anno di imposta 2002, previa emanazione di apposita disciplina di
attuazione>>.
42 Mi riferisco alla sentenza della Cassazione del 20 novembre
2001, n. 14579, in Il Fisco, n. 22/2002, fascicolo n. 1, pag. 3481.
43 Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1940
44 si pensi alla riforma del Titolo V della Costituzione della
Repubblica Italiana, criticata dalla dottrina per l’indicazione di dettaglio
della disciplina, che ha reso il testo odierno più simile a quello di una legge
ordinaria piuttosto che alla precedente o ad altri articoli-principi sanciti
nella Carta Costituzionale.
45 Silvio De Fina, Natura ed efficacia delle norme
costituzionali, Foro It., 1953.
46 Russo, Manuale, cit, pagine 62-67 .
47 Sez. Un. Pen. Del 7 febbraio 1948, Foro it., 1948, II, 57.
48 Mi riferisco alla decisione: 21 dicembre 1951, n. 1613., con
nota di Crisafulli, in Foro it., 1952, III, pagina 205
49 De Fina, op. cit., pagine 29 e ss., in cui l’autore si pone
una serie di interrogativi retorici .
50 Carnelutti, op. cit., pagine 39 e 42.
51 una soluzione è proprio, come ho indicato in questa Tesi,
quella di attribuire una funzione derogatoria generale all’art. 8 dello Statuto,
nella parte in cui consente la compensazione e pone la stessa come principio
generale dell’ordinamento tributario, con la consapevolezza di dottrina e
giurisprudenza della mora del Legislatore regolamentare nella emanazione della
disciplina di dettaglio. Se così non fosse, sarebbe assurdo pensare che la
disapplicazione della compensazione dipenderebbe dalla sfortuna di essere stata
inserita in uno Statuto ( che è legge ordinaria, principio generale e per parte
della letteratura giuridica, legge interposta) anziché in un regolamento,
emanato perfino oltre i limiti della scadenza.
52 Ci sono due decisioni del Consiglio di Stato: 13 luglio
1951, n. 656; 21 dicembre 1951, n. 1613. Proprio a questa seconda sentenza
faccio riferimento e alla relativa nota di Crisafulli, in Foro it., 1952, III,
pagina 205.
53 Art. 17, commi 2 e 3, della Legge 23 agosto del 1988, n.
400. Per una esegesi letterale di tale fonte normativa e per gli sviluppi
dottrinali, si veda: Giannini, Regolamento (in generale), in Enc. dir. XXXIX,
Milano, 1988, Carlassare, Regolamento (diritto costituzionale), ibid. 1988 e si
veda altresì Cheli, Potere regolamentare e struttura costituzionale, Milano,
1967.
54 Iaconelli. , I regolamenti nel disordine delle fonti, in Jus,
2004, pagina 189.
55 Si veda Carlassare, Il ruolo del Capo dello Stato nella
gestione delle crisi di governo, in Le crisi di governo nell'ordinamento e
nell'esperienza costituzionale, a cura di L. Ventura, Torino,2001,119ss. .
56 si veda Cheli, Ruolo dell’esecutivo e sviluppi recenti del
potere regolamentare, in Quaderni Costituzionali, 1990, pagine 53 e ss. .
57 Cammeo, Della modificazione di volontà dello Stato nel campo
di diritto amministrativo. Legge e ordinanza (decreti e regolamenti), in Orlando
(a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo, III , Milano,
1901, pagg. 177 ss. .
58 Crisafulli, Gerarchia e competenza nel sistema
costituzionale delle fonti , in Riv. trim. dir. pubbl. , 1960, pag. 804.
59 Depuro, La delegificazione, Foro it., 1989, V, c. 360.
60 Cass. Sez. trib. 20 novembre 2001, n. 14588, in Corriere
tributario On line, su www.ipsoa.it , oppure sul Cd room della Ipsoa “i quattro
codici della riforma tributaria big”.
61 Russo, op. cit., pagina 1847, paragrafo 2, e Fedele, op. cit.,
pagina 887, paragrafo 2.4 .
62 Cass. Sez. unite, sent. del 22 luglio 2002 n. 10725,
pubblicata su Finanza e Fisco, on line, sul sito
http://www.finanzaefisco.it/sommari/2002/sommario39-02.htm .
63 E’ questo quanto afferma Rossi con riferimento alla sola
disciplina dell’art. 17 del D. Lgs 241/1997, poiché egli ritiene non operante la
compensazione dell’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente senza la
previa emanazione degli indispensabili, a suo avviso, regolamenti ivi previsti,
nonostante la scadenza; in Compensazione dei debiti tributari. Mancano i
regolamenti lo Statuto non si applica. Il Fisco, n. 37 del 2002, pag. 13715.
Nonostante Rossi abbia scritto questo articolo antecedentemente la scadenza del
termine previsto per la emanazione dei regolamenti, egli configura la
impossibilità di operare della disciplina dell’art. 8 cit., senza l’emanazione
di regolamenti, anche dopo tale scadenza.
64 Giannini M. S. , L’attività della pubblica amministrazione,
1960, pagine 22 e seguenti.
65 Giannini M. S., op. cit., pagina 30, lettera b, in cui così
si esprime l’autore:<< […] l’amministrazione si accorda con il privato, e
trasfonde il risultato dell’accordo in un provvedimento amministrativo>>.
66 per le argomentazioni che si svolgeranno più avanti, nel
capitolo i cui si ammette la possibilità di giungere alla compensazione
negoziale utilizzando lo strumento delle “Attestazioni” di cui alla legge 326
del 2003 ( che converte il Decreto Legge 269 del 2003, allegato alla Legge
Finanziaria 2004).
67 Russo, Manuale di diritto tributario (parte generale),
Milano, Giuffrè, 2003.
68 Russo, Manuale.., cit., pagine 322 e ss. .
69 Versiglioni Marco, Accordo e disposizione nel diritto
tributario, contributo allo studio dell’accertamento con adesione e della
conciliazione giudiziale, dott. Giuffrè editore, Milano, 2001, pagine 331 e
seguenti.
70 Russo, op. cit., pagina 325 .
71 mi riferisco a Versiglioni.
72 Versiglioni, op. cit. , pagina 47.
73 come invece afferma Versiglioni, op. cit. , pagina 542, ove
parla ancora di “aree comuni”.
74 Ottaviano, Merito, in Nuovissimo digesto italiano, X,
Torino, 1964, 575.
75 Accostamento che è possibile riscontrare, tra gli altri,
anche in Zonobini, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1958.
76 Mortati, Discrezionalità, in Novissimo digesto italiano, V,
Torino, 1960, 1098.
77 Cammeo, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1914.
78 Piras, Discrezionalità amministrativa, in Enciclopedia del
diritto, XIII Milano, 1911, pagina 68.
79 Ottaviano, op. cit., pagina 575.
80 Giannini Massimo Severo, Il potere discrezionale della
Pubblica Amministrazione, Milano, 1939, pagina 481.
81 Giannini Massimo Severo, Il potere discrezionale della
pubblica amministrazione, Milano, 1939.
82 Piras, Enciclopedia giuridica, voce discrezionalità., pagina
65.
83 Casetta, Attività ed atto amministrativo, in Rivista
trimestrale di diritto pubblico, 1956.
84 Piras, op. cit. , pagina 68.
85 per una visione completa della letteratura giuridica
francese si veda, Cormenin, Droit administratif, Paris, 1840. Dareste, La
justice administrative en france, Paris, 1898. Goldenberg, Le Conseil d’Etat
juge de fait, Paris, 1932. e bibliografia ivi citata.
86 Si veda Laband, Das Staatsrech des deutsschen reiches,
Tubingen, 1876. Johr, Die verlWaltungsgerichtliche Uberprufung des
administrativen Ermessens, Aarau, 1931.
87 Piras, op. cit., pagina 76 .
88 Benvenuti, Eccesso di potere amministrativo per vizio della
funzione, in Rassegna di diritto pubblico, 1950.
89 Il concetto di funzione è inscindibilmente legato a quello
di discrezionalità e ho deciso di trattare nel capitolo immediatamente seguente
proprio il concetto di funzione legato alla compensazione nell’ordinamento
tributario.
90 Piras, op. cit, pagine 77 e ss. .
91 Gallo, Enciclopedia Giuridica, voce Discrezionalità (diritto
tributario), pagina 536.
92 Liccardo, L’accertamento tributario, Napoli, 1956.
93 Micheli, Premesse per una teoria della potestà
d’imposizione, in Riv. Dir. fin., 1967, I, pagine 264 e seguenti.
94 Gallo, op. cit. , pagina 538.
95 Cass. Sez. un. 8 agosto 1990 n. 8062, in Boll. trib., 1990,.
pag. 1418.
96 Prevista dall’art. 52 commi 2 e 3 d.p.r. n. 633 del 1972 per
l’accesso in locali diversi da quello destinato all’esercizio di attività
commerciali e professionali.
97 Piras, op. cit., da pagina 82 in poi, sulla
“discrezionalità” in rapporto alla “valutazione degli interessi” .
98 Levi, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione,
Torino 1967; e Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione,
Milano, 1939.
99 Russo, Manuale…, cit., pagina 146 .
100 La L. 212 del 200 parla di compensazione, senza
specificare se tale istituto è richiamato in modo da comprendere anche la
compensazione giudiziale e quella negoziale: quest’ultima è in fondo una deroga
alla compensazione nelle altre due forme, perché la consente nonostante non vi
siano i requisiti che la legge richiede per compensazione legale e giudiziale.
101 Di Prisco, I modi di estinzione delle obbligazioni diversi
dall’adempimento, in Trattano di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 9,
Torino, 1987.
102 Randazzo, op. cit., pagina 272 .
103 Secondo comma dell’art. 1252 c.c. .
104 per una visione globale del fenomeno compensativo si veda
Ragusa-Maggiore, op. cit. .
105 in questo senso anche Perlingieri, Obbligazioni I, in
Commentario D’Amelio e Finzi, Firenze, Barbera, 1947.
106 Cass., 15 marzo 1969, n. 849, in Foro it., Rep., 1969,
voce Compensazione, 293, n. 21.
107 Cuturi, Trattato delle compensazioni nel diritto privato
italiano, Milano, Sel, 1909.
108 Perlingieri, op. cit. , pagina 268.
109 il limite della impignorabilità, come si è più volte, e in
altre parti di questo testo, approfonditamente detto, era già considerato non
impeditivo alla operatività della compensazione (legale) in diritto tributario
dalla giurisprudenza di commissioni tributarie e Cassazione ed è stato
definitivamente accantonato dalla dottrina in seguito all’entrata in vigore
dello Statuto dei diritti del contribuente che all’art. 8 sancisce la generale
operatività della compensazione (senza specificare di quale tipo di
compensazione si tratti).
In questa sede se ne fa cenno per delineare i limiti della operatività della
compensazione negoziale, per la quale è stata già argomentata la immediata
operatività (della compensazione, in genere) nell’ordinamento del fisco: limiti,
quelli della compensazione negoziale che saranno differenti da quelli indicati
dalla letteratura giuridica civilistica, in quanto i soggetti operanti in
diritto tributario non solo non sono su un piano di uguaglianza giuridica, ma
hanno ulteriori limiti scaturenti dalla non disponibilità delle obbligazioni
pubbliche, indisponibilità che caratterizza l’azione della stessa
Amministrazione finanziaria; dunque la operatività della compensazione negoziale
avrà uno spettro minore rispetto al diritto comune.
Per quanto riguarda i limiti sanciti agli artt. 1246 e 1247 c.c. , la dottrina
maggioritaria (in diritto civile) è favorevole alla loro inclusione tra le
“condizioni previste dagli articoli precedenti” di cui parla l’art. 1252 c.c. ,
e quindi è favorevole al loro superamento ad opera della volontà compensativa
delle parti. In questo senso si esprimono D’Avanzo, in Enc. forense, voce
Obbligazioni e Barassi, Teoria generale delle obbligazioni, III, cit. .
110 Relazione min. al codice civile, n. 575 .
111 si veda la sentenza della Cassazione del 15 aprile 1971,
n. 1061, in Giustizia civile del 1971, I, pagine 1424 e seguenti.
112 Russo, Manuale di diritto tributario (parte generale), cit.,
pagine 322 e ss. .
113 Perlingieri, Commentario.., cit. , pagine 381 e ss. , in
commento dell’art. 1252 del c.c. .
114 Ragusa Maggiore, op. cit., pagine 23.
115 Russo, La compensazione in materia tributaria, cit. ,
pagina 1861.
116 Randazzo, op. cit., pagine 272 e 273, in contrasto con la
sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia del 9 giugno,
1999 n. 100, in armonia con Florio (che commenta tale sentenza).
117 Fedele, op. cit., pagina 889.
118 Così recita l’art. 1988 del c.c. :<< Promessa di pagamento
e ricognizione di debito. La promessa di pagamento o la ricognizione di debito
(969, 1309, 1870) dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di
provare (2697) il rapporto fondamentale. L’esistenza di questo si presume fino a
prova contraria (2720, 2727, 2944, 2966)>>.
119 Miscali, Primi appunti sulla “attestazione” dei crediti di
imposta, Rivista di Diritto tributario, 2004, 1143.
120 Nella dichiarazione di scienza è possibile che il
dichiarante fornisca la prova contraria di quanto dichiarato in precedenza, in
quella di volontà, ciò non avviene. L’art. 1988 del c.c. provoca così una
inversione dell’onere probatorio: l’attore sarà dunque dispensato dall’onere
della prova. Gli effetti sostanziali invece riguardano l’interruzione della
prescrizione ex art. 2944 del c.c. , e l’impedimento della decadenza ex art.
2966 del c.c. . Miscali, op. cit., pagina 1144, nota n. 3.
121 delineata da Miscali, op. cit., pagina 1150 .
122 esperibile ex art. 2033 del c.c. .
123 per il richiamo di questi due principi in riferimento
all’art. 10 del decreto legge cit, si veda Miscali, op. cit., pagina 1143 e
pagina 1144. .
124 Russo, Manuale di diritto tributario (parte generale),
Milano, Giuffrè, 2003, pagina 400.
125 Allegato alla legge finanziaria dell’anno 2003, convertito
e modificato con/dalla L. n. 326/2003 (con la quale si è sostituito il
riferimento alla “liquidità ed esigibilità” con la sola “liquidità”.
126 Espressione usata da Ragusa Maggiore, op. cit., pagina 17
.
127 E’ principio generale dell’ordinamento tributario che in
tema di rimborsi, incombe sul titolare del relativo diritto l’onere di avanzare
apposita istanza ai competenti organi dell’Amministrazione finanziaria entro un
termine normalmente di decadenza sancito dalle singole leggi di imposta. Si veda
Russo, Manuale cit. , pagina 392.
128 In realtà già prima della emanazione dello Statuto
giurisprudenza e dottrina ammettevano la operatività della compensazione legale
la quale non operava sull’esistenza stessa dell’obbligazione ma solamente sulla
modalità estintiva e quindi non contravveniva di certo alla disciplina sulla
contabilità dello Stato (regio decreto n. 225 cit.).
129 Art. 10 del C.L. n. 269 del 2003 collegato alla
finanziaria per il 2004, convertito e modificato con la L. n. 326 del 2003, con
la quale si è tolto il riferimento alla esigibilità, lasciando la sola
caratteristica della liquidità, così occorrendo, per la esecuzione forzata o per
il procedimento d’ingiunzione (con riferimento al rito ordinario, ovviamente),
non la sola attestazione ma anche la scadenza del termine ivi indicato per il
rimborso, perché tale “fattispecie complessa” (come indicata da Miscali) rende
esigibile il debito, e il contribuente si potrò rivolgere alla giurisdizione
ordinaria.
130 Miscali, op. cit., pagina 1147, nota 7.
131 Russo, La compensazione in materia tributaria, cit.,
pagina 1860.
132 Russo, La compensazione in materia tributaria, cit.,
pagina 1860 e pagina 1861.
133 È un argomento del Russo, La compensazione in materia
tributaria, cit., pagina 1858.
134 Quello del Russo in questo caso è un argomento anagogico:
sarebbe irrazionale un legislatore che ponendo la compensazione come generale
modalità estintiva delle obbligazioni tributarie, diversa dall’adempimento, non
derogasse all’art. 1246 n. 3, perché se così non fosse, il principio non
troverebbe applicazione alcuna.
135 Russo, La compensazione, cit., pagina 1860, così si
esprime: << […] la trasposizione di siffatta disciplina nella nostra materia non
è agevole e deve essere operata tenendo conto di alcune peculiarità di questa
ultima che richiedono un’attenta analisi delle diverse e specifiche situazioni
comportanti determinati limiti al riguardo>>.
136 La compensazione volontaria non è ammessa nell’ordinamento
tributario perché il negozio in cui consiste è un <<accordo che la Finanza non
ha il potere di stipulare, stante la tassatività e l’inderogabilità della
procedura contemplata in tema di rimborso dei crediti tributari del
contribuente>>. Così ancora il Russo, La compensazione, cit., pagina 1861. Tale
procedura tassativa è derogata dall’art. 8 dello Statuto, così come l’art. 8 cit.,
può derogare, secondo il Russo, il limite della impignorabilità delle
obbligazioni pubbliche e quindi tributarie, sancito nell’art. 1246 n. 3 del
codice civile.
137 Fedele, L’art. 8 dello Statuto dei diritti del
contribuente, cit., pagina 894.
138 Ex art. 97 della Costituzione.
139 Ex art. 10 della L. 212 del 2000.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 5/2/2007