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LA DISCIPLINA CONDONISTICA DELLE AREE PROTETTE NELL'ATTUALE INTERPRETAZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO: DUBBI E INCERTEZZE
GERARDO GUZZO*
Sommario: 1.
Introduzione. 2. La sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato n. 6879 del
23 novembre 2006. 3. La sentenza della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 6072
del 12 ottobre 2006. 4. La decisione n. 20 dell’Adunanza plenaria del Consiglio
di Stato del 7 giugno 1999. 5. Considerazioni finali.
1. Introduzione.
Il problema della disciplina vincolistica da applicarsi in sede di rilascio
del provvedimento edilizio in sanatoria ha da sempre costituito un’autentica
vexata quaestio. La querelle, sorta negli anni scorsi tra le diverse
sezioni del Consiglio di Stato, sembrava avesse trovato la sua definitiva
composizione all’indomani della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 20,
risalente al 7 giugno 1999. Tuttavia, proprio di recente, si e’ avuto modo di
registrare un vero e proprio ritorno al passato caratterizzato da diverse e
contraddittorie prese di posizione dei magistrati di Palazzo Spada. In questo
solco si collocano sia la sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato, n.
6879, del 23 novembre 2006, in linea con quanto chiarito dall’Adunanza Plenaria
con la citata decisione n. 20/99, che il precedente arresto della VI Sezione, n.
6072, del 12 ottobre 2006, che, al contrario, sembra decisamente discostarsene.
Scopo dell’odierno lavoro, pertanto, e’ quello di analizzare il differente snodo
argomentativo seguito dai Magistrati amministrativi nei dicta segnalati
nel tentativo di coglierne gli specifici riferimenti di diritto positivo che ne
hanno ispirato la parte motiva, con un occhio rivolto ai principi scolpiti nella
“storica” decisione dell’Adunanza Plenaria n. 20/99.
2. la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 6879 del 23 novembre
2006.
Il Consiglio di Stato, con la decisione riportata in rubrica, ha respinto la
richiesta di riforma della sentenza del Tar Toscana – Firenze, Sezione III, n.
806, del 19 aprile 2006, con la quale i giudici fiorentini avevano rigettato i
ricorsi proposti “avverso il provvedimento di reiezione della domanda di
sanatoria, emesso su parere conforme della C.B.A., e il conseguente ordine di
demolizione di opere edilizie, costruite abusivamente in zona vincolata”1.
Il punto nodale del viatico logico argomentativo seguito dai magistrati toscani
investiva lo specifico problema del regime giuridico da applicarsi nel caso in
cui le opere abusive, oggetto di richiesta di condono edilizio, al tempo della
loro realizzazione, ricadevano in ambiti territoriali successivamente gravati
dalla disciplina vincolistica. La questione è stata risolta dal Tribunale
fiorentino in linea con il costante orientamento amministrativo tracciato
all’indomani della decisiva pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato n. 20, del 7 giugno 1999, di cui si dirà più approfonditamente nel
paragrafo 4 dell’odierno lavoro. La V Sezione del Consiglio di Stato, a sua
volta, in sede di appello, ha ritenuto che “( omissis) per costante
giurisprudenza, in sede di rilascio di concessione edilizia in sanatoria, ai
sensi della L. n. 47/85, si deve tener conto del vincolo esistente al momento in
cui viene esaminata la domanda di condono, a prescindere dall’epoca di
introduzione del vincolo stesso, e quindi della sua vigenza al momento della
commissione dell’abuso ( fra le tante, cfr. C.S., VI n. 6259/2003)”. Come
cennato, il Tar Toscana, prima, e il supremo consesso di giustizia
amministrativa, poi, si sono conformati al condivisibile approccio
giurisprudenziale definito dal plenum del Consiglio di Stato a tenore del quale
“(…) la cura del pubblico interesse, in che si concreta la pubblica funzione,
ha come sua qualità essenziale la legalità: è la legge che attribuisce la
funzione e ne definisce le modalità di esercizio, anche attraverso la
definizione dei limiti entro i quali possono ricevere attenzione gli altri
interessi, pubblici e privati, con i quali l’esercizio della funzione
interferisce. Compito, questo, per altro, che nessun’altra norma può svolgere se
non quella vigente al tempo in cui la funzione si esplica (“tempus regit actum”).
Ne consegue che la pubblica Amministrazione, sulla quale a norma dell’art. 97
Cost. incombe più pressante l’obbligo di osservare la legge, deve
necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e
delle qualificazioni giuridiche che essa impone (…)”. Applicando tali
principi, i giudici di Palazzo Spada non hanno fatto proprie le argomentazioni
svolte dal ricorrente che, al contrario, riteneva che le opere abusive “(…)
non sarebbero dovute essere sottoposte alla valutazione della C.B.A., perché
realizzate prima dell’apposizione del vincolo (…)”, mostrando di non
condividere, pertanto, quanto costantemente sostenuto dalla Sezione VI del
Consiglio di Stato che, a suo tempo, con l’ordinanza n. 103 dell’1 febbraio
1999, rimise la questione innanzi al plenum.
3. La Sentenza della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 6072, del 12
ottobre 2006.
L’arresto in commento si colloca su posizioni completamente diverse rispetto
a quanto codificato dalla decisione n. 20/99 dell’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato e dalla recente sentenza della V Sezione, n. 6879/06, dello
stesso supremo organo di giustizia amministrativa, commentata nel paragrafo
precedente. In particolare, i giudici di Palazzo Spada, esaminando il ricorso in
appello proposto per la riforma della sentenza del Tar Campania - Napoli, con la
quale i magistrati campani avevano accolto le doglianze articolate dai
ricorrenti avverso il decreto ministeriale di annullamento del nulla osta
paesaggistico emesso nel lontano 1993 dal Sindaco di Anacapri, hanno respinto il
gravame sulla base di una trama argomentativa che si discosta sensibilmente dai
principi cristallizzati nella decisione dell’Adunanza plenaria più volte
richiamata. Più in particolare, secondo i giudici di seconde cure lo stesso
richiamo agli “sbarramenti” temporali posti dal plenum del Consiglio di
Stato sarebbe inconferente, dal momento che nel caso di specie troverebbe
applicazione la disciplina vincolistica vigente al tempo della realizzazione
dell’abuso e non quella dell’epoca in cui la P.a. ha provveduto all’esame
dell’istanza di condono2.
Si tratta di una presa di posizione che, com’è evidente, stride con quanto
recentemente affermato dalla Sezione V dello stesso supremo organo di giustizia
amministrativa e che forse è destinata a stimolare un nuovo intervento
chiarificatore dell’Adunanza plenaria.
4. La decisione n. 20 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 7
giugno 1999.
L’intervento del Consiglio di Stato in seduta plenaria, sollecitato
dall’ordinanza di rimessione n. 103 dell’1 febbraio 1999 della VI Sezione, si
rese necessario per effetto del consolidarsi delle opposte posizioni assunte
dalle diverse Sezioni in merito alla individuazione della disciplina da
applicarsi nei casi di sopravvenienza di leggi nel tempo che introducevano
regimi vincolistici gravanti su determinati brani di territorio interessati da
abusi edilizi. Nel merito, giova ricordare i termini della questione per come
posti dalle due Sezioni del Consiglio di Stato, la V e la VI, prima della
“storica” sentenza n. 20/99 dell’Adunanza plenaria. Un primo orientamento,
facente capo alla Sezione V del supremo consesso di giustizia amministrativa,
allora come ora, riteneva obbligatoria l’acquisizione del parere dell’organo
preposto alla gestione del vincolo paesaggistico anche se le opere abusive da
condonarsi risalivano ad un periodo precedente l’apposizione del vincolo stesso3.
Con il che veniva riconosciuta l’applicabilità della disciplina vincolistica
sopravvenuta, vale a dire operante all’epoca in cui la P.a. procedeva all’esame
della domanda di condono. Per contro, un secondo orientamento giurisprudenziale,
riconducibile alla Sezione VI, riteneva superfluo il parere dell’organo deputato
alla gestione del vincolo paesaggistico, nell’ipotesi in cui quest’ultimo avesse
cominciato a gravare l’area interessata da fenomeni di abusivismo
successivamente all’esecuzione delle opere4.
L’assunto traeva origine dalla circostanza che l’inciso contenuto nell’art. 32
della legge n. 47/85 si riferiva ad una fatto già accaduto (l’imposizione del
vincolo), con la conseguenza che solo a partire da quel momento l’ambito
territoriale caratterizzato da illeciti edilizi assumeva una diversa qualitas
giuridica derivante dall’acquisito pregio paesaggistico. Sviluppando la propria
analisi, partendo dalla conoscenza dei citati orientamenti giurisprudenziali,
l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha risolto il conflitto sorto tra le
Sezioni applicando i principi generali in materia di azione amministrativa,
dando il giusto rilievo agli interessi coinvolti nell’applicazione della
disciplina vincolistica. In prima battuta, il plenum ha evidenziato il
carattere eccezionale della normativa sul condono edilizio, attesa la sua natura
derogatoria che, pertanto, costringe l’attento esegeta ad una lettura di
stretta interpretazione della norma5;
in secondo luogo, gli stessi giudici amministrativi hanno avuto cura di
precisare che l’art. 32, comma 1, della legge n. 47/85, non introduce alcuna
deroga al principio generale a tenore del quale, per effetto dell’art. 97 della
Costituzione, la P.a. deve necessariamente tenere conto delle previsioni di
legge vigenti al tempo in cui essa provvede e delle qualificazioni giuridiche
che queste impongono6.
In conclusione, secondo l’Adunanza plenaria un vincolo di inedificabilità
assoluta non può essere considerato inesistente soltanto perché è stato imposto
successivamente la realizzazione dell’opera abusiva. Una soluzione del genere,
infatti, finirebbe per svuotare di contenuto la previsione di tutela contenuta
nel vincolo ed esporre gli stessi valori paesaggistici protetti ad una
sistematica ed ingiustificata compromissione.
5. Considerazioni finali.
L’esame delle due recenti sentenze del Consiglio di Stato dimostra, senza
ombra di dubbio alcuno, che a distanza di circa otto anni dalla dirimente
decisione dell’Adunanza plenaria n. 20/99 i magistrati della VI Sezione del
supremo consesso amministrativo non hanno modificato affatto il proprio
convincimento maturato in tema di definizione del procedimento di condono
edilizio relativo ad abusi realizzati su aree protette. In particolare, la
Sezione VI, a tutt’oggi, ritiene costantemente applicabile ai casi in parola la
disciplina vincolistica vigente al tempo della commissione dell’abuso e non
quella operante all’epoca dell’esame della domanda di sanatoria. Si tratta di un
atteggiamento per certi versi “eversivo” che si scontra con i principi generali
dell’azione amministrativa, ben riassunti dalla euritmica decisione
dell’Adunanza plenaria. Il “teorema” ermeneutico, fondato essenzialmente su una
interpretazione letterale del dato di diritto positivo, elaborato dai magistrati
della Sezione VI per giustificare la non indispensabilità del parere
dell’amministrazione preposta alla gestione del vincolo paesaggistico,
nell’ipotesi in cui questi sia sopravvenuto all’esecuzione dell’abuso edilizio,
è stato punto per punto smontato dai giudici della plenaria. Infatti, secondo il
Consiglio di Stato non è affatto pacifico che l’espressione “aree sottoposte a
vincolo”, contenuta nell’art. 32, comma 1, della legge n. 47/85, si riferisca
inequivocabilmente a quei brani di territorio già gravati, al momento
dell’abuso, da specifica disciplina vincolistica, con la conseguenza che sarebbe
del tutto ininfluente un vincolo di inedificabilità assoluta per il solo fatto
che esso sia sopravvenuto alla attività edilizia illecita, attesa
l’assenza di una puntuale previsione normativa. In realtà, quest’ultima ipotesi,
seppur non espressamente codificata dal legislatore, trova la sua naturale e
logica disciplina proprio nell’art. 32, comma 1, della legge n. 47/85 che
regolamenta i casi di “Opere costruite su aree sottoposte a vincolo”. Solo così
ragionando, infatti, l’interpretazione delle due norme (artt. 32 e 33 della
legge n. 47/85) potrà sfuggire alla inesorabile censura di incongruenza
derivante dalla circostanza che opere eseguite su aree già sottoposte a vincolo
di inedificabilità relativa risulterebbero condonabili, previo parere
dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo stesso, mentre opere
eseguite su aree successivamente sottoposte a vincolo di inedificabilità
assoluta, parimenti condonabili, non richiederebbero, tuttavia, alcun
preventivo parere dell’organo soprintendizio. Una soluzione del genere, come può
facilmente immaginarsi, non può che apparire paradossale oltre che lesiva dei
principi di proporzionalità e di ragionevolezza. Non resta, pertanto, che
augurarsi che la VI Sezione del Consiglio di Stato decida di uniformarsi ai
principi dettati dalla decisione n. 20/99 dell’Adunanza plenaria alla quale,
giova ricordare, aveva Essa stessa rimesso la soluzione della questione con
l’ordinanza n. 103 dell’1 febbraio 1999, abbandonando un atteggiamento
giurisprudenziale che rischia di introdurre una sorta di guarentigia proprio in
favore di quei soggetti che con le loro condotte lesive dei valori protetti
hanno fatto scempio nel tempo di intere aree di particolare pregio paesaggistico
gravate, solo apparentemente, da vincoli di inedificabilità assoluta.
*Professore di Organizzazione Aziendale presso l’Unical e partner dello studio legale Cristofano, Guzzo & Associates (e-mail: guzzo@cgaalaw.com).
_____________________________
1
Cfr. sentenza del Consiglio di Stato, V sezione, n. 6879 del 3 novembre 2006.
2 In particolare i Giudici del Consiglio di Stato hanno chiarito
che “(…) L’asserita inedificabilità assoluta non è, quindi, di ostacolo alla
sanatoria dell’opera in esame, la cui realizzazione è antecedente al vincolo di
inedificabilità assoluta ex lege n. 431 del 1985. Ma nella specie deve aversi
riguardo al vincolo di inedificabilità relativa ex art. 7 della legge
“ordinaria” n. 1497/1939, secondo la quale sono consentiti interventi previo
rilascio della autorizzazione comunale, sottoposta al controllo ministeriale, il
che rende l’opera abusiva condonabile ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47/85
(…)”.
3 In terminis: Consiglio di Stato, Sezione V, decisione n. 326
del 23 marzo 1991; Consiglio di Stato, Sezione V, decisione n. 1574 del 22
dicembre 1994; Consiglio di Stato, Sezione V, decisione n. 696 del 4 maggio
1995; Consiglio di Stato, Sezione V, decisione n. 158 del 13 febbraio 1997.
4 In questo senso: Consiglio di Stato, Sezione VI, decisione n.
1030 del 30 settembre 1995; Consiglio di Stato, Sezione VI, decisione n. 356 del
5 marzo 1997.
5 Più in particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno chiarito
che “(…) va messa in evidenza la specialità della normativa sul condono
edilizio, attesa la sua natura derogatoria ed eccezionale, che ne impone una
lettura di stretta interpretazione (…)”.
6 Il Consiglio di Stato, riportando un precedente della Sezione
V, del 22 dicembre 1994, n. 1574, ha precisato che “(…)l'obbligo di pronuncia da
parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla
esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di
sanatoria, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo. E appare altresì
evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l'attuale
compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente (…)”.
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 16/1/2007