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La emergenza rifiuti in Campania: emergenza reale
o assenza di programmazione?
Le ultime decisioni contenute nel decreto legge 11 maggio 2007, n. 61
ADELE DE QUATTRO*
SOMMARIO: 1. Brevi cenni sulla storia dell’emergenza rifiuti in
Campania. – 2. Ingerenza della criminalità ambientale nella gestione dei
rifiuti. – 3. La disciplina dei rifiuti nel nuovo Testo Unico ambientale,
d. lgs. n. 152 del 2006. – 4. Decreto legge 11 maggio 2007, n. 61:
profili di legittimità costituzionale.
1. Brevi cenni sulla storia
dell’emergenza rifiuti in Campania.
In Campania, da circa quattordici anni, si ripete ciclicamente la vicenda
dell’emergenza rifiuti che crea un vero e proprio collasso dell’intera Regione,
sia dal punto di ambientale che istituzionale.
Per far fronte a questa tragica situazione entrano in scena soluzioni che se da
un lato sembrano opportune per risolvere l’attuale situazione, dall’altro lato
contrastano, comunque, con la normativa nazionale e comunitaria.
Ma, a ragion del vero, dietro i buoni propositi di chi vuole risolvere quello
che da sempre costituisce “il grande affare” dell’emergenza rifiuti, si nasconde
una storia ben più articolata e complessa, che vede coinvolte sia le istituzioni
politiche (che dovrebbero avere il dovere di tutelare la salute e la vivibilità
dei cittadini) sia la gestione del ciclo dei rifiuti da parte della criminalità
organizzata.
Ripercorrendo le lunghe tappe della situazione emergenziale in Campania, è
opportuno ricordare come la vicenda affonda le sue origini nel lontano 1994,
quando fu nominato, con un’ordinanza ad hoc della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, commissario straordinario per la situazione di emergenza nell’ambito
del settore dei rifiuti solidi urbani, il prefetto di Napoli, con l’impegno, da
parte della Regione di emanare un piano regionale di smaltimento.
In quel periodo, vigeva in Campania la legge regionale n. 10 del 10 febbraio del
1993, la quale tra i vari punti riguardanti la gestione dei rifiuti, aveva
previsto la riduzione fino al 50 % dell’utilizzo delle discariche, grazie alla
raccolta differenziata, al riciclo e al riuso dei materiali e alla compattazione
dei rifiuti.
La Regione Campania, nonostante l’impegno assunto nel definire il piano
regionale di smaltimento rifiuti, fallì nel suo intento e il Governo si vide
costretto ad un secondo commissariamento nel 1996, nominando come tale il
Presidente della Regione Campania, il quale aveva come compito fondamentale
quello di predisporre un piano di interventi di emergenza: cioè l’individuazione
di siti di smaltimento in attesa del piano regionale di emergenza.
Finalmente il tanto atteso piano d’emergenza venne promulgato il 31 dicembre
1996, e pubblicato nel luglio del 1997, in seguito alle modifiche previste dal
decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 19971.
A ben vedere, nulla è cambiato volgendo attenzione alle vicende attuali, neppure
la gravità della situazione che è rimasta costante nel tempo: uguali sono le
problematiche, uguali i tentativi di ripristino della situazione, uguale il
malcontento della popolazione, diverse le istituzioni politiche che sono ai
vertici della regione, ma uguale assenza di risoluzione delle problematiche di
emergenzialità: come mai tutto questo?
Ponendo attenzione ai cinque comuni capoluogo di provincia della regione, si può
notare come sebbene siano presenti vari consorzi che operano nelle poche
discariche presenti (che andavano comunque soppresse secondo la scansione
temporale prevista dal decreto legislativo 22/97), il quadro generale è davvero
sconfortante: in tutte le province sono sporadici i casi di città che operano la
raccolta differenziata, dato allarmante sia nella situazione passata, ma anche
nella situazione attuale2.
Successivamente, a seguito della nomina a commissario straordinario, il Prefetto
di Napoli, requisì alcune discariche private, con affidamento della gestione
all’ENEA: in questo senso si tentò di eliminare le discariche di gestione
privata anche al fine di evitare l’altro triste fenomeno della ingerenza
nell’emergenza rifiuti della criminalità organizzata, che aveva (o ha?)
trasformato la situazione della gestione dei rifiuti in un vero e proprio
affare, imponendo la propria ingerenza sulle discariche private ed abusive.
Fino al 1999 il Prefetto di Napoli aveva previsto la realizzazione di nuove
discariche per consentire l’autonomia di smaltimento della regione, in assenza
di una riduzione dei quantitativi di rifiuti. Nel contempo, viene nominato
accanto al Prefetto, il presidente della regione Campania, come commissario di
Governo per la predisposizione di un piano di emergenza per lo smaltimento dei
rifiuti (piano presentato nel luglio del 1997).
Il piano viene valutato dalla Commissione Bicamerale, la quale riscontra,
innanzitutto, l’assenza del rispetto del principio della riduzione della
produzione dei rifiuti, contenuto nel Decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997), ma
soprattutto l’assenza del consenso degli enti locali circa la localizzazione sul
territorio di impianti per lo smaltimento dei rifiuti3.
Il monitoraggio parlamentare della Commissione continua anche negli anni
successivi, ma ancora nel 2000, il nuovo Commissario per l’emergenza, pone
ancora in risalto le “immutate” problematiche inerenti ai rifiuti, con ulteriori
aggravi dal punto di vista igienico-ambientali e tecnici.
Furono, infatti, poste in evidenza alcune problematiche riguardo le discariche
ancora operanti sul territorio campano; innanzitutto il disagio e le proteste
degli abitanti e degli amministratori che chiedevano (e chiedono ancora)
l’immediata chiusura degli impianti, nonché l’assicurazione della messa in
sicurezza degli impianti con verifica, tra l’altro, della perfetta pendenza
delle scarpate, realizzate alle condizioni limite di stabilità, con la
predisposizione di idonei canali di scolo per il percolato e le acque
meteoriche.
In questo contesto, emerge(va) un’altra preoccupazione relativa ai progetti
varati dal presidente della regione, commissario per la costruzione degli
impianti di termovalorizzazione e degli impianti di produzione di combustibile
derivato da rifiuti (CDR), che sarebbero dovuti entrare in funzione nel 2000, ma
che ancora oggi non sono stati terminati ed in alcuni casi nemmeno iniziati i
lavori, non sempre a causa di ritardi per effetto di opposizioni e intralci sia
degli amministratori locali sia delle forze politiche e sociali.
Arriviamo adesso ai giorni nostri: stiamo ancora una volta assistendo ad un deja
vu: la tragedia dell’emergenza rifiuti, senza differenze rispetto al passato se
non per la maggiore gravità, con le stesse problematiche, ma soprattutto con
grave mancanza di soluzioni. Alla guida di questa incessante impresa è stato
nominato l’ennesimo commissario straordinario, capo della Protezione Civile
Nazionale, dott. Guido Bertolaso, che presentando - più volte - le sue
dimissioni, presto rientrate, ha evidenziato la gravità di una situazione già di
per sé tragica, derivante anche da una non perfetta sintonia con il potere di
governo dell’ambiente.
Il problema che si sta presentando in questi giorni, riguarda l’individuazione e
la ricerca di siti per lo smaltimento e lo stoccaggio dei rifiuti che
giornalmente ammontano a circa 8000 tonnellate; anche la diatriba attuale è la
stessa: dalla mancata programmazione delle scelte regionali e provinciali è
conseguita una rilevante litigiosità a livello locale. Sebbene siano state
indicate dalle amministrazioni locali dei siti4,
essi, a parere del commissario “del 2007”, risultano però inidonei
geologicamente.
Naturalmente, esistono altri luoghi per lo smaltimento, costituiti da aree
argillose, senza urbanizzazione o coltivazioni pregiate. Ma il problema che
permane è innanzitutto come gestire la produzione giornaliera delle 8000
tonnellate di rifiuti, e soprattutto come riuscire a far partire la raccolta
differenziata, che già altre regioni hanno avviato da molto tempo.
È inoltre, importante ricordare che nell’ottobre 2006, il Consiglio dei Ministri
approvò un decreto legge per risolvere l’emergenza relativa ai rifiuti; ma ciò
che davvero appare stupefacente in Campania, è che nonostante siano arrivati nel
corso degli anni ingenti fondi per risolvere la problematica, ancora oggi non si
trovano soluzioni definitive.
Puntualmente ogni anno, in estate, si presenta la stessa apocalisse: cittadini
stravolti per lo stato di deterioramento di rifiuti nei cassonetti sotto le loro
case; alcuni ormai stremati bruciano i rifiuti senza preoccuparsi della diossina
e altre sostanze velenose che si diffondono nell’aria.
La Regione e le Province omettono da anni le scelte politiche e di
responsabilità e così nessuno, ma proprio nessuno, vuole le discariche vicino
alle proprie case o nel territorio del proprio comune, spesso già deturpato da
anni di mal governo del territorio: insomma, questi rifiuti dove dovranno essere
smaltiti? E del riciclo tanto auspicato dalle politiche comunitarie e dai
proclami degli ambientalisti di governo nemmeno a parlarne!
Non sarebbe stato meglio investire questi fondi per creare e gestire i famosi
impianti CDR e produrre energia, così come dovrebbe essere, invece di sprecare
risorse economiche inutili?
La Campania appare essere, agli occhi delle altre regioni, l’unica che non
voglia imparare dagli errori del suo passato, non si ha il rispetto di nessuna
regola, eppure basterebbe semplicemente applicare alla lettera ciò che
chiaramente detta il Decreto Ronchi e le direttive comunitarie, così come da
anni fanno quasi tutte le altre regioni italiane.
E’ ben noto come il Decreto Ronchi detti chiaramente l’uso delle cosiddette
“quattro erre” (riduzione, riutilizzo, riciclo, recupero), così come è
altrettanto noto che in Campania nessuna di questa attività viene svolta,
eccetto in alcune aree virtuose (come avviene straordinariamente in penisola
sorrentina) .
2. Ingerenza della criminalità ambientale nella gestione dei rifiuti.
Come osservato, l’attuale crisi della Campania è il risultato di una lunga
vicenda che dura da ben quattordici anni e che, sebbene abbia impegnato ingenti
risorse sia fisiche che economiche, non accenna ad un punto di svolta, anzi
sembra aggravarsi.
Nonostante l’elaborazione del piano regionale del 1997 (tra l’altro mai
modificato in modo radicale), nonostante l’impegno di risorse finanziarie per
l’attuazione della raccolta differenziata, la situazione campana non riesce a
trovare vie d’uscite a causa di un problema, che appare essere ancora più grave:
la presenza delle organizzazioni ecomafiose, la camorra, che ha trasformato la
gestione dei rifiuti in un vero e proprio businnes, impedendo alla radice la
regolarità stessa del ciclo dei rifiuti5,
con ciò senza escludere la evidente responsabilità politica – ad ogni livello -
che lo ha permesso nel corso degli anni, proprio per la totale assenza di
strategie, scelte e programmazione.
Inoltre, richiamando le annuali cronache giudiziarie, il coinvolgimento della
criminalità organizzata nella gestione del ciclo dei rifiuti, ha evidenziato
stretti collegamenti non solo con le aziende, ma anche con le amministrazioni
pubbliche: le attività illecite si sono concretizzate non solo nella
individuazione dei siti da destinare a discariche clandestine, ma anche
nell’intromissione nelle gare d’appalto relative alla gestione dei flussi di
rifiuti dal nord (anche europeo) al mezzogiorno.
Dalle varie operazioni svolte, da parte delle forze dell’ordine, sono emersi
dati pressoché allarmanti: la criminalità organizzata nel gestire il fruttuoso
ciclo dei rifiuti si avvale di soggetti competenti in varie materie (chimica,
geologia, fisica, ecc.)6,
necessarie per realizzare i loro trattamenti ad ogni particolare rifiuto.
Quindi si parla di un’organizzazione di stampo mafioso che opera anche ad
elevati livelli culturali e politici.
Le conseguenze di queste attività sono gravemente dannose non solo per
l’ambiente, che è un bene comune da tutelare, ma soprattutto per la salute
umana, di cui ben poco interessa però alla camorra: gli scenari che
caratterizzano le campagne desolate della Campania sono roghi di rifiuti che
sprigionano nell’aria sostanze altamente tossiche come la diossina.
Nell’area vesuviana, la Guardia di Finanza ha sequestrato molteplici discariche
abusive, a loro volta cave illegali di sabbia e materiali per l’edilizia.
La procedura di scarico dei rifiuti consiste nel procedere, in ore notturne, nei
pressi delle cave che dopo essere riempite, vengono coperte; mentre i fanghi di
depurazione e i rifiuti industriali liquidi, formalmente destinati a inesistenti
impianti di depurazione e riciclaggio, vengono sversati direttamente sul
territorio.
Nelle zone campane, così come in altre regioni meridionali7,
il businnes dei rifiuti è apparso come un vero e proprio ciclo di guadagni: la
camorra ha prima guadagnato scavando illegalmente le cave, poi riempiendo con
rifiuti pericolosi e infine costruendoci le case sopra8.
Nel corso degli anni, si sono prospettate varie soluzioni, ma mai veramente
applicate: innanzitutto è necessario bonificare le discariche selvagge, mai
bonificate; in secondo luogo la costruzione degli impianti CDR; e infine la
costruzione degli inceneritori che continuano ad essere respinti dalle proteste
dei cittadini.
Ma un’ulteriore soluzione è stata proposta sia dagli ambientalisti che
dall’Unione Europea, cioè diminuire la quantità di rifiuti attraverso una
raccolta differenziata molto efficiente. Infatti già nel nolano è stata attuata
per il 60 % , un dato che fa pensare come la Campania potrebbe competere con le
regioni super ecologiste del nord Italia.
Con l’applicazione di semplici regole, che d’altronde già esistono nel nostro
paese, per attenuare l’emergenza che ogni anno si presenta nella regione
Campania, si potrebbe dare una speranza al superamento dell’emergenza stessa e
forse servirebbe a demotivare le attività malavitose nella speculazione sul
ciclo dei rifiuti.
Nel corso degli anni, si sono verificate in Campania varie operazioni che hanno
portato alla luce l’attività criminosa della camorra nel ridurre la Campania a
“pattumiera d’Italia”: gestendo un traffico di rifiuti speciali provenienti dal
Piemonte e dalla Lombardia (regioni in tal senso per nulla virtuose).
Infatti, il punto di forza delle organizzazioni criminali è costituito dal fatto
che le industrie del nord Italia produttrici di rifiuti sono legate alla
lavorazione dei metalli pesanti e per smaltire il materiale di scarto
(costituito da polveri di macinazione delle schiumature di alluminio e polveri
di abbattimento dei fumi) devono sopportare ingenti costi, poiché il reimpiego
di tali sostanze nella lavorazione, sarebbe svantaggioso rispetto alla quantità
di alluminio che si produrrebbe.
A questo punto interviene la malavita che offre un efficiente servizio di
smaltimento illegale delle sostanze, permettendo all’azienda di abbattere i
costi: tutto ciò ha permesso il trasporto, attraverso false certificazioni, di
questi rifiuti pericolosi soprattutto nelle province di Caserta, Benevento e
Salerno.
Altro problema collegato all’esistenza di discariche abusive è la vicenda delle
bonifiche delle stesse.
Sebbene il Decreto Ronchi, preveda chiaramente all’art. 17 la disciplina della
bonifica dei siti inquinati9,
e soprattutto l’obbligo di bonifica, in Campania tutto ciò non è mai
inspiegabilmente avvenuto nel decennio 1997_2007; spesso, le aree adibite a
discariche abusive sono state recintate in modo debole lasciando addirittura i
rifiuti a cielo aperto.
Inoltre, sempre a norma del Decreto Ronchi, la bonifica delle discariche spetta
sempre al responsabile o proprietario dell’area, a meno che il proprietario non
dimostri di non avere colpa nella gestione o realizzazione della discarica.
Il Comune, in ogni caso, deve provvedere, entro trenta giorni dalla segnalazione
all’emissione dell’ordinanza di sgombero e conferimento dei rifiuti, in mancanza
di tale termine deve provvedere a sue spese con successiva richiesta di
rimborso. Ovviamente, tale disciplina è applicabile anche in Campania, che però
di fatto non ha mai visto una discarica bonificata.
Sono tutte lì – immutate e perenni - con i loro rifiuti maleodoranti e tossici
che avvelenano la salute dei cittadini con deturpazione del paesaggio felix!
Ma si aveva, all’epoca, comunque la certezza che il Ministero dell’Ambiente, con
decreto 18 settembre 2001 sul Programma Nazionale di Bonifica, non solo aveva
individuato 40 siti da bonificare, ma aveva anche stanziato circa 550 milioni di
euro per attuare queste bonifiche.
Si assiste, allora, ad una ennesima infiltrazione della malavita nell’impiego di
queste risorse, o ad una cattiva gestione da parte delle istituzioni? Entrambe
le ipotesi sono deprecabili ed inspiegabile è anche l’assenza di ogni indagine,
certo opportune, delle magistrature competenti.
Altri dati sconcertanti si rinvengono nella relazione presentata dalla
Commissione Bicamerale sul ciclo dei Rifiuti, dalla quale emergono due dati
interessanti.
Da un lato si riscontra un’organizzazione criminosa senza pudore, che utilizza
il territorio campano senza alcuno scrupolo, trasformandolo palesemente in luogo
di abbandono di rifiuti: tutto senza il rispetto di nessuna regola e facendo sì
che la tossicità dei terreni o delle acque superi di milioni di volte i
parametri previsti dalle leggi.
Addirittura è emerso che, per aumentare il businnes questi rifiuti vengono
“spacciati” per fertilizzanti, e pertanto finiscono attraverso il terreno, nel
ciclo alimentare umano o animale provocando irreparabili conseguenze per la
salute dei cittadini.
Dall’altro lato, si assiste ad una malavita che finge di rispettare le normative
vigenti in tema di rifiuti, ma gestendo questi ultimi attraverso false
certificazioni che attestano la non pericolosità di rifiuti tossici.
Dalla relazione della Commissione emerge anche un’esplicita accusa nei confronti
della Pubblica Amministrazione, che si presenta disattenta e inefficiente
nell’attività di controllo, oltre ai casi in cui vi è una diretta partecipazione
della stessa P.A. nella gestione illecita dei rifiuti.
Pertanto, il problema della gestione malavitosa dei rifiuti in Campania (ma
anche in altre regioni d’Italia) è un problema che coinvolgendo i cittadini e le
istituzioni pubbliche, si presenta anche come un problema culturale.
3. La disciplina dei rifiuti nel nuovo Testo Unico ambientale, D.Lgs. n. 152
del 2006.
Il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante “Norme in materia
ambientale”, contiene una nuova disciplina dei diversi settori della materia
ambientale, finora oggetto di molteplici e contrastanti legislazioni. In
particolare, il nuovo testo unico in materia ambientale modifica e disciplina
la: gestione dei rifiuti; gestione degli imballaggi; gestione di particolari
categorie di rifiuti; tariffa per la gestione dei rifiuti urbani.
Il Testo unico ambientale (TUA) ha espressamente abrogato, con riferimento a
tale materia, il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 recante “Attuazione
delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e
94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”. Tra le novità più
importanti, rilevano, in particolare, quelle che riguardano le definizioni di
sottoprodotto e materie prime secondarie, la precisazione delle condizioni del
deposito temporaneo, la sostituzione dell’Albo nazionale dei gestori rifiuti con
l’Albo nazionale gestori ambientali, il venir meno dell’obbligo di comunicazione
annuale dei rifiuti, mediante il modello unico di dichiarazione ambientale (MUD),
per tutte le imprese e gli enti che producono solo rifiuti pericolosi qualora
conferiscano i medesimi al servizio pubblico di raccolta competente per
territorio, l’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti sia
per i soggetti che devono presentare il MUD sia per tutti coloro che producono
rifiuti non pericolosi provenienti da lavorazioni industriali, artigiane e
commerciali, l’obbligo del formulario di identificazione per il trasporto dei
rifiuti con la limitazione dell’esenzione solo per i rifiuti non pericolosi non
eccedenti i trenta chilogrammi o trenta litri, l’aumento dei tempi di
registrazione per le attività di carico e scarico dei rifiuti10.
Naturalmente, il processo di riordino della materia ambientale in tema di
rifiuti non si è arrestato con l’entrata in vigore del d.lgs. 152/2006 che ha,
infatti, subito una prima revisione ad opera del decreto legislativo 8 novembre
2006, n. 284 contenente disposizioni correttive e integrative del Testo unico
ambientale11.
Il decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 recante “Norme in materia
ambientale” dedica la parte quarta al riordino e alla regolamentazione della
gestione dei rifiuti e della bonifica dei siti inquinati e, più precisamente gli
articoli da 177 a 238, alla specifica disciplina della gestione dei rifiuti,
anche in attuazione delle direttive comunitarie sui rifiuti, sui rifiuti
pericolosi, sugli oli usati, sulle batterie esauste, sui rifiuti di imballaggio,
sui policlorobifenili (PCB), sulle discariche, sugli inceneritori, sui rifiuti
elettrici ed elettronici, sui rifiuti portuali, sui veicoli fuori uso, sui
rifiuti sanitari e sui rifiuti contenenti amianto.
Appare certamente fondamentale, ai fini della delimitazione del campo di
operatività della disciplina contenuta nel decreto legislativo, è la nozione di
gestione dei rifiuti, fornita dall’art. 183, c. 1, lett. d), del Testo unico
ambientale (TUA), ai sensi del quale tale attività si articola nella raccolta,
nel trasporto, nel recupero e nello smaltimento dei rifiuti, compreso il
controllo di queste operazioni, nonché il controllo delle discariche dopo la
chiusura.
Rispetto al concetto di gestione, già previsto dalla precedente disciplina sui
rifiuti - il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 recante “Attuazione
delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e
94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio” (cd. decreto Ronchi) -,
la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che esso non va inteso in senso
imprenditoriale, ovvero come esercizio professionale dell’attività tipicizzata,
ma in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo,
diretto a realizzare una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento,
commercio e intermediazione del rifiuto12.
L’art. 177 dispone che regioni e province autonome adeguino i rispettivi
ordinamenti alle disposizioni di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema
contenute nella parte quarta del decreto entro un anno dalla data di entrata in
vigore di quest’ultimo.
L’art. 178 qualifica la gestione dei rifiuti come un’attività di pubblico
interesse e contestualmente individua nell’elevata protezione dell’ambiente e in
controlli efficaci, in considerazione della specificità dei rifiuti pericolosi,
le finalità a cui la stessa attività è tenuta a informarsi.
Inoltre, riguardo ai criteri generali dell’attività di gestione, lo stesso art.
178 sancisce che i procedimenti e i metodi impiegati per il recupero o lo
smaltimento dei rifiuti non devono costituire pericolo per la salute dell’uomo
né recare pregiudizio all’ambiente. In particolare, per evitare all’ambiente una
serie di conseguenze negative, le attività di smaltimento o recupero dei rifiuti
devono avvenire senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonché
per la fauna
e la flora, senza causare inconvenienti da rumori o odori e senza danneggiare il
paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa
vigente.
Infatti, vengono esplicitamente enunciati i principi a cui deve conformarsi
l’attività di gestione dei rifiuti: oltre a quelli già previsti dal decreto
Ronchi - di responsabilizzazione13
e di cooperazione14
-, il Testo unico ambientale richiama anche i principi di precauzione15,
in base al quale vanno adottate tutte le misure necessarie per evitare danni
all’ambiente da parte di chi svolge attività che potrebbero causarli; di
prevenzione16,
finalizzato alla predisposizione di misure per limitare il rischio di danni
all’ambiente; di proporzionalità17,
volto al bilanciamento degli interessi dei singoli rispetto alle esigenze di
intervento pubblico; “chi inquina paga”18,
in base al quale chiunque causi un danno all’ambiente è tenuto a risarcirlo,
precisando che a tal fine le gestione dei rifiuti deve essere effettuata secondo
criteri di efficacia, efficienza, economicità e trasparenza.
Per giungere all’applicazione di tali principi, è stato anche stabilito che lo
Stato, le regioni, le province autonome e gli enti locali esercitino i poteri e
le funzioni di rispettiva competenza in materia di gestione dei rifiuti in
conformità alle disposizioni del decreto, adottando ogni opportuna azione e
avvalendosi, ove opportuno e mediante accordi, contratti di programma o
protocolli d’intesa anche sperimentali, di soggetti pubblici o privati.
Per il TUA, infatti, tali soggetti costituiscono un sistema compiuto e sinergico
che armonizza, in un contesto unitario, relativamente agli obiettivi da
perseguire, la redazione delle norme tecniche, i sistemi di accreditamento e i
sistemi di certificazione attinenti direttamente o indirettamente le materie
ambientali19.
Nell’art. 179 vengono individuati i criteri da rispettare nell’esercizio
dell’attività di gestione dei rifiuti, promuovendo in via prioritaria la
prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti.
A tale scopo, la norma citata prevede che le pubbliche amministrazioni
perseguano dette finalità attraverso: iniziative volte allo sviluppo di
tecnologie pulite, che permettano un uso più razionale e un maggiore risparmio
di risorse naturali; iniziative volte alla messa a punto tecnica e
all’immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da
contribuire il meno possibile, nelle fasi di fabbricazione, uso e smaltimento, a
incrementare la quantità o la nocività dei rifiuti e i rischi di inquinamento;
allo sviluppo di tecniche appropriate per l’eliminazione di sostanze pericolose
contenute nei rifiuti al fine di favorirne il recupero.
Devono, inoltre, essere adottate misure dirette: al recupero mediante riciclo,
reimpiego, riutilizzo o ogni altra azione intesa a ottenere materie prime
secondarie; all’uso di rifiuti come fonte di energia. Con riguardo a tali
misure, il decreto correttivo propone un criterio di preferenza, stabilendo che
le prime siano adottate con priorità rispetto all’uso dei rifiuti come fonte di
energia.
Attraverso l’art. 180, il Codice dell’Ambiente ha introdotto, al fine di
promuovere la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei
rifiuti, tutta una serie di iniziative mirate a: promuovere strumenti economici,
eco-bilanci, sistemi di certificazione ambientale, analisi del ciclo di vita dei
prodotti, azioni di informazione e di sensibilizzazione dei consumatori, l’uso
di sistemi di qualità, nonché lo sviluppo del sistema di marchio ecologico ai
fini della corretta valutazione dell’impatto di uno specifico prodotto
sull’ambiente durante l’intero ciclo di vita del medesimo; prevedere clausole di
gare d’appalto che valorizzino le capacità e le competenze tecniche in materia
di prevenzione della produzione di rifiuti; promuovere accordi e contratti di
programma o protocolli d’intesa, anche sperimentali, finalizzati alla
prevenzione e alla riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti;
dare attuazione al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (che concerne
la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento proveniente, tra l’altro, dalle
attività energetiche, di trasformazione dei metalli, di prodotti minerali, di
impianti chimici), e agli altri decreti di recepimento della direttiva 96/61/CE
in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento.
Ai sensi del vigente art. 183, c. 1, lett. h), il recupero consiste nelle
operazioni che utilizzano rifiuti per generare materie prime secondarie,
combustibili o prodotti, attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o
biologici, incluse la cernita o la selezione, e, in particolare, le operazioni
previste nell’Allegato C alla parte quarta del decreto (nella formulazione
del provvedimento correttivo, il recupero consiste unicamente nelle operazioni
espressamente elencate nell’Allegato C)20.
L’attività di recupero consente, pertanto, di ricavare dai rifiuti energia o
altre materie diversamente utilizzabili. Inoltre, in considerazione delle
finalità perseguite dalla normativa ambientale, la gestione dei rifiuti viene
disciplinata in modo da favorire il recupero e da contenere il più possibile lo
smaltimento.
Per ottenere una corretta gestione dei rifiuti, l’art. 181, che disciplina il
recupero, attribuisce alle pubbliche amministrazioni (nel decreto correttivo si
parla invece di autorità competenti, in ragione del ruolo ricoperto anche da
altri soggetti) il compito di promuovere la riduzione dello smaltimento finale
dei rifiuti attraverso: il riutilizzo, il reimpiego e il riciclaggio; le altre
forme di recupero per ottenere materia prima secondaria dai rifiuti; l’adozione
di misure economiche e la previsione di condizioni di appalto che prescrivano
l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato di
tali materiali; l’utilizzazione dei rifiuti come mezzo per produrre energia (il
decreto correttivo parla di utilizzazione dei rifiuti come combustibile o come
altro mezzo per produrre energia).
L’incremento delle attività di recupero è assicurato dalle pubbliche
amministrazioni (per il decreto correttivo, autorità competenti) e dai
produttori mediante: - l’adozione di analisi dei cicli di vita dei prodotti,
ecobilanci, campagne di informazione; - la concessione di agevolazioni alle
imprese che intendono modificare i propri cicli produttivi allo scopo di ridurre
la quantità e la pericolosità dei
rifiuti prodotti ovvero di favorire il recupero di materiali (previsione
abrogata dallo schema di decreto correttivo); - la promozione e la stipula, da
parte delle pubbliche amministrazioni (nello schema di decreto correttivo, le
autorità competenti, con l’eventuale ausilio tecnico dell’APAT, l’Agenzia per la
protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici), di accordi e contratti di
programma con i soggetti economici interessati (lo schema di decreto correttivo
aggiunge ai soggetti coinvolti le associazioni di categoria rappresentative dei
settori interessati), stabilendo agevolazioni in materia di adempimenti
amministrativi nel rispetto delle norme comunitarie e con l’eventuale ricorso a
strumenti economici.
Un limite all’attività è posto dalla previsione di specifiche caratteristiche
per i materiali recuperati, fissate con decreto interministeriale, e dal vincolo
del completamento delle operazioni di recupero, che si realizza quando non sono
necessari ulteriori trattamenti perché le sostanze, i materiali e gli oggetti
ottenuti possono essere usati in un processo industriale o commercializzati come
materia prima secondaria, combustibile o come prodotto da collocare, a
condizione che il detentore non se ne disfi o non abbia deciso, o non abbia
l’obbligo, di disfarsene.
Il completamento delle operazioni di recupero individua, dunque, il confine
entro il quale si applicano le disposizioni in materia di gestione dei rifiuti,
in quanto terminata tale attività si sono ottenuti materiali diversi. Il decreto
correttivo abroga parzialmente la previsione appena illustrata, disponendo
unicamente che la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino
al completamento delle operazioni di recupero, senza prevedere ulteriori
specificazioni.
Ai sensi del vigente art. 183, c. 1, lett. g), si intende per smaltimento dei
rifiuti ogni operazione finalizzata a sottrarre definitivamente una sostanza,
un materiale o un oggetto dal circuito economico e/o di raccolta23 e, in
particolare, le operazioni previste nell’Allegato B (nella versione del
provvedimento correttivo ai fini dello smaltimento si richiamano unicamente le
operazioni previste nell’Allegato B).
L’art. 182, che disciplina lo smaltimento, evidenzia la natura di fase residuale
di tale attività nell’ambito della gestione dei rifiuti, al quale andrebbero
destinati esclusivamente i rifiuti non più valorizzabili, e indica i criteri a
cui essa deve conformarsi. Più precisamente, lo smaltimento deve essere attuato:
- in condizioni di sicurezza; - quando sia stata preliminarmente verificata, da
parte della competente autorità, l’impossibilità tecnica ed economica di
esperire le operazioni di recupero; - riducendo il più possibile, sia in massa
che in volume, i rifiuti da avviare allo smaltimento finale, potenziando la
prevenzione e le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero; -
ricorrendo a una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento,
attraverso le migliori tecniche disponibili e tenuto conto del rapporto tra i
costi e i benefici complessivi. Il sistema così delineato persegue i principi di
autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi in
ambiti territoriali ottimali e di prossimità, attraverso l’impiego di
impianti appropriati vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di
ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o
della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti; -
utilizzando i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di
protezione dell’ambiente e della salute pubblica; - limitando le autorizzazioni
alla realizzazione e alla gestione di nuovi impianti di incenerimento solo ai
casi in cui il relativo processo di combustione sia accompagnato da un adeguato
recupero energetico; - vietando lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi
in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, escluse le frazioni
di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinate al recupero e
salvo casi particolari; - vietando lo smaltimento dei rifiuti, anche se
triturati, in fognatura, ad eccezione dei rifiuti organici provenienti dagli
scarti dell’alimentazione, misti ad acque provenienti da usi civili, trattati
mediante l’installazione, preventivamente comunicata all’ente gestore del
servizio idrico integrato, di apparecchi dissipatori di rifiuti alimentari che
ne riducano la massa in particelle sottili, previa verifica tecnica degli
impianti e delle reti da parte del gestore del servizio idrico integrato che è
responsabile del corretto funzionamento del sistema.
É ammesso, in ogni caso, lo smaltimento della frazione biodegradabile ottenuta
da trattamento di separazione fisica della frazione residua dei rifiuti solidi
urbani nell’ambito degli impianti di depurazione delle acque reflue, previa
verifica tecnica degli impianti da parte dell’ente gestore (il decreto
correttivo, al fine di adeguare la normativa nazionale a quella comunitaria,
abroga i commi contenenti entrambe le previsioni appena illustrate); -
richiamando, per lo smaltimento in discarica dei rifiuti, le disposizioni del
decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, recante “Attuazione della direttiva
1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”. Ai sensi dell’art. 2, c. 1,
lett. g), del citato d.lgs. 36/2003, la discarica è definita come l’area
adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o
nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita
allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché
qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un
anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono
scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto
di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di
recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale,
o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a
un anno.
Ai sensi dell’Allegato B alla parte quarta del d.lgs. 152/2006 sono considerate
operazioni di smaltimento: la distruzione (incenerimento a terra e in mare), il
confinamento (discarica) o la dispersione nell’ambiente dei rifiuti (lagunaggio,
scarico nell’ambiente idrico, immersione, compreso il seppellimento nel
sottosuolo marino, iniezioni in profondità), nonché le relative operazioni
preliminari (di trattamento in ambiente terrestre ovvero, in determinate
condizioni, di tipo biologico o chimico-fisico; raggruppamento,
ricondizionamento o deposito preliminare).
A differenza di quello permanente non costituisce operazione di smaltimento il
deposito temporaneo dei rifiuti nel luogo in cui sono prodotti. Lo è, invece, lo
stoccaggio, preliminare o provvisorio. Con il concetto di stoccaggio si
intendono due forme di deposito dei rifiuti distinte in base alla destinazione
successiva degli stessi. Le attività di stoccaggio sono, infatti, considerate,
anche a livello comunitario, attività di smaltimento o di recupero a seconda
della destinazione finale dei rifiuti in deposito. Ai sensi dell’art. 183, c. 1,
lett. l), lo stoccaggio ricomprende le attività di smaltimento consistenti nelle
operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell’Allegato
B alla parte quarta del decreto, nonché le attività di recupero consistenti
nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13
dell’Allegato C alla medesima parte quarta.
La definizione è rimasta inalterata rispetto alla formulazione del decreto
Ronchi, né il provvedimento correttivo è intervenuto per modificarla. La
realizzazione di un impianto di stoccaggio dei rifiuti e il relativo esercizio
presuppongono il rilascio di apposita autorizzazione. In luogo dei due separati
procedimenti e provvedimenti previsti dal d.lgs. 22/1997 per l’approvazione del
progetto e l’autorizzazione alla realizzazione dell’impianto di smaltimento e
l’autorizzazione al relativo esercizio, l’art. 208 del TUA prevede ora
un’autorizzazione unica per gli impianti di nuova creazione.
Dalla disciplina prevista dal Testo Unico, si evince chiaramente come il
legislatore abbia voluto dotare gli operatori delle amministrazioni locali, di
un corretto e dettagliato strumento per adeguata gestione dei rifiuti: e allora
come mai in Campania sembra quasi mancare una disciplina che eviti l’emergenza
in cui si trova puntualmente la Regione ogni anno? A ben vedere il Testo Unico
contiene anche una rilevante novità in materia di bonifica dei siti inquinati,
disciplina che appare essere direttamente applicabile in Campania, ma che
purtroppo non viene o non vuole essere applicata.
Nell’Allegato 1 del decreto, vengono indicati i criteri circa la determinazione
del rischio sanitario ambientale di un sito contaminato, attraverso due criteri
di soglia per la determinazione delle condizioni specifiche di pericolosità del
sito e l’eventuale intervento. Dalla verifica del superamento dei valori della
soglia tabellare di una sostanza considerata inquinante si va alla verifica dei
potenziali effetti generati dalla sostanza inquinante.
La novità introdotta dal decreto 152 del 2006 riguarda proprio il concetto di
soglia di inquinabilità : infatti esso viene definito Concentrazione
soglia di Contaminazione , superato il quale si ricorre alla specifica
analisi del rischio. Tutto ciò comporta non più il ricorso immediato alla
bonifica del sito, ma l’avvio di una procedura che si basa sui criteri
dell’analisi del rischio.
Il D.M. 471/99 prevedeva che bisognasse effettuare l’analisi di rischio nei casi
in cui il progetto preliminare avesse dimostrato l’impossibilità di riportare i
valori di concentrazione delle sostanze entro i limiti accettabili, verificando
il rischio connesso alla permanenza delle concentrazioni residue conseguenti
alla bonifica con misure di sicurezza e di messa in sicurezza permanente.
Pertanto, il nuovo concetto introdotto dal d. lgs. 152 del 2006 rappresenta i
livelli di concentrazione oltre i quali il sito è potenzialmente contaminato ed
è necessario procedere con l’analisi di rischio per la determinazione dei valori
della concentrazione soglia rischio coi quali confrontare le concentrazioni
rilevate.
Anche in questo senso, circa la bonifica dei siti contaminati, in Campania ci si
trova di fronte ad uno scenario pressoché sconfortante, poiché come già
precedentemente chiarito, i siti che vengono utilizzati come discariche (quasi
tutte abusive), vengono bonificate attraverso una “rude” copertura dei rifiuti,
senza pensare alle conseguenze che comporta una mancata bonifica secondo quanto
prescrivono le nostre leggi.
4. Il Decreto legge 11 maggio 2007, n. 61: profili di legittimità
costituzionale.
Per ottemperare alla tragica situazione che sta investendo la Campania riguardo
alla gestione dei rifiuti, il Governo ha varato un decreto legge che, se con
buone intenzioni si prepone la finalità di risolvere l’emergenza in atto,
dall’altro lato presenta evidenti discordanze sia con la legislazione ambientale
nazionale che con quella comunitaria: si tratta del decreto legge n. 61 dell’11
maggio 2007.
In Senato, il 14 giugno è stato avviato l’esame del suddetto decreto recante
“Interventi straordinari per superare l’emergenza nel settore dello smaltimento
dei rifiuti nella regione Campania”, con la relazione del sen. Confalonieri il
quale ha affermato che il Governo è pienamente impegnato nel cercare soluzioni
definitive a quanto sta accadendo. In effetti, ciò che viene evidenziato in
questa relazione è che la situazione di emergenza campana esige ancora di
interventi di straordinarietà e che un piano di gestione integrata del ciclo dei
rifiuti si pone come condizione necessaria per chiudere l’emergenza e per
superare definitivamente l’attuale situazione di degrado.
Si legge ancora nella relazione che il decreto legge salda il riconoscimento di
ampi poteri al Commissario delegato con la previsione di un piano di ritorno
all’ordinarietà e con la nomina dei Presidenti delle Province a sub commissari
per velocizzare la restituzione dei poteri agli enti competenti: pertanto uno
dei punti fondamentali del decreto sarebbe che l’urgenza di alcuni straordinari
interventi e il relativo accentramento di competenze sono correlati e
preordinati all’instaurazione dell’ordinarietà.
A ben vedere il decreto varato dal Governo, appare essere una vera e propria
“arma anti-ambiente”, non solo perché viola i fondamentali principi di tutela
dell’ambiente e della salute (sanciti rigorosamente dalla nostra Carta
costituzionale), deroga i vincoli paesaggistici e ambientali ponendosi in netta
violazione delle direttive comunitarie, ma addirittura impone ai cittadini
campani una sorta di punizione attraverso la disposizione che impone il
pagamento di maggiori tasse per lo smaltimento dei rifiuti: sebbene questa
incresciosa situazione investa la regione Campania, è opportuno ricordare che
l’ingolfamento della gestione dei rifiuti riguarda non solo i rifiuti campani ma
di tutto il Paese italiano.
Il d. l. n. 61 dell’11 maggio 2007, intitolato “Interventi straordinari per
superare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione
Campania e per garantire l’esercizio dei propri poteri agli enti ordinariamente
competenti” ha suscitato molteplici polemiche tanto da essere definito il
decreto legge della discordia.
Innanzitutto, all’art. 1 il d. l. dispone che “per lo smaltimento dei rifiuti
solidi urbani o speciali non pericolosi anche provenienti dalle attività di
selezione, trattamento e raccolta dei rifiuti solidi urbani nella regione
Campania, sono attivati i siti da destinare a discarica presso i seguenti
comuni: Serre in provincia di Salerno, Savignano Irpino in provincia di
Avellino, Lo Ettaro in provincia di Caserta, Terzigno in provincia di Napoli,
Sant’Arcangelo Trimonte in provincia di Benevento”.
Nel decreto si precisa tuttavia, che l’utilizzo del sito di Serre è limitato
fino alla data di realizzazione di un nuovo sito idoneo, mentre il sito di
Terzino verrà utilizzato fino al completamento del termovalorizzatore di Acerra.
La contraddizione che risalta palesemente riguarda il comma 4 dell’art. 1 che se
da un lato prevede la deroga delle specifiche disposizioni in materia
ambientale, del paesaggio e della pianificazione per la difesa del suolo,
dall’altro lato obbliga il commissario straordinario a tutelare la salute e
l’ambiente: a questo punto ci si chiede come sia possibile tutelare l’ambiente e
la salute dei cittadini se vengono celate e addirittura derogate le normative
nazionali e comunitarie che tutelano lo stesso ambiente e la stessa salute.
In questo senso emerge chiaramente la prima contraddizione, peraltro, ammessa
dallo stesso decreto governativo, che nel comma 4 dell’art. 1, sancisce: “l’utilizzo
dei siti di cui al presente articolo è disposto... in deroga alle specifiche
disposizioni vigenti in materia ambientale, paesaggistico territoriale, di
pianificazione della difesa del suolo, nonché igienico-sanitario”.
Inoltre, la strada intrapresa dal governo deroga i principi del Testo Unificato
della legge regionale n. 4 del 28 marzo 2007, “Norme in materia di gestione,
trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”, che nelle
disposizioni generali dice: “La presente legge considera la razionale,
programmata, integrata e partecipata gestione dei rifiuti quale condizione
ineludibile di tutela della salute e di salvaguardia dell’ambiente e del
territorio assicurando il rispetto dei principi di equità tra territori e
generazioni”.
La stessa norma individua direttamente i comuni sede delle nuove discariche da
attivare, ma non localizza puntualmente i siti né, soprattutto, approva
espressamente i progetti. Tale generica localizzazione/attivazione contrasta con
la direttiva 85/337 CEE del Consiglio Europeo come modificata dalla direttiva
97/11/CE, concernente “la valutazione dell’impatto ambientale di determinati
progetti pubblici e privati”.
La normativa comunitaria è stata recepita con la lettera n) dell’Allegato A
all’art. 1, comma 3, del DPR 12.4.1996 che sottopone a preventiva valutazione di
impatto ambientale regionale le “Discariche di rifiuti urbani non pericolosi con
capacità complessiva superiore a 100.000 m3”. I quattro siti di
discarica indicati all’art. 1, comma 1, del d. l. n. 61 dovevano essere pertanto
sottoposti a preventiva valutazione di impatto ambientale, o, almeno a verifica
di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale di cui all’art. 10 del
D.P.R. 12.4.1996.
Ma per la scelta dei siti, non sono state fatte “valutazioni di impatto
ambientale”, e il piano del governo risulta del tutto disinteressato alle
conseguenze negative dovute agli inceneritori. Va subito chiarito che, per come
è stata formulata la norma, i siti localizzati/attivati all’art. 1, comma 1, del
D.L. non possono sottrarsi alla disciplina prevista dalla direttiva 85/337/CE21.
Poiché la citata direttiva prevede che possono essere esclusi dalla sua
disciplina soltanto i progetti adottati nei dettagli attraverso atto legislativo
nazionale specifico, tesi peraltro avvalorata dalla Corte di Giustizia Europea,
il decreto legge in esame, non è individuabile come specifico in quanto è atto
del Governo e non è stato preceduto da dibattito pubblico: ciò vuol dire che i
casi previsti dall’art. 1 del d. l. n. 61 dell’11 maggio 2007, sono sottoposti
alla disciplina della direttiva 85/337/CE.
Va osservato, inoltre, che l’art. 1, comma 1, del D.L. nel disporre la
localizzazione/attivazione dei siti campani di discarica non può rientrare
nell’ipotesi di esenzione dalla valutazione di impatto ambientale in quanto non
riguarda un “progetto specifico” (bensì quattro generiche
localizzazioni/attivazioni comunali senza progetto approvato), né è stato
espletato alcuno dei preventivi adempimenti prescritti, anche in casi
eccezionali e di urgenza estrema, dalla direttiva comunitaria e dal suo
recepimento nazionale22.
Queste considerazioni sono valide per tutti e quattro i siti di discarica
genericamente indicati, la cui localizzazione/attivazione deve ritenersi
contrastante con la direttiva 85/337/CEE in quanto non preceduta dalla
prescritta preventiva valutazione di impatto ambientale, ovvero almeno da una
valutazione alternativa e dagli adempimenti obbligatoriamente richiesti anche in
caso di estrema urgenza.
Il decreto legge in esame si presenta anche in contrasto con le direttive
79/409/CEE e 92/43/CEE in quanto un altro dato allarmante che presenta, è
costituito dalla istituzione dei siti di smaltimento rifiuti nelle zone di Serre
e del Parco Nazionale del Vesuvio: discariche di rifiuti in aree protette?
Da questo punto vista appaiono giustificate le proteste dei cittadini che
abitano queste zone protette e di elevato valore naturalistico: ma anche questa
situazione non costituisce una novità poiché già dal 2006 i cittadini, invano,
attraverso i loro rappresentanti, avevano illustrato l’alto pregio di queste
zone e la pericolosità che avrebbero causato depositi di rifiuti, non solo per i
cittadini del presente, ma anche per le generazioni future.
Ad avvalorare tale tesi, è sopraggiunta la sentenza del Tribunale di Salerno,
del 28 aprile 2007, che ha riconosciuto la pericolosità per l’ambiente, per la
situazione socio-economica, dichiarando inidoneo il sito di Valle di Masseria23.
In effetti, Valle di Masseria, costituisce un’oasi di tutela di flora e fauna
che sarebbero certamente il bersaglio di predatori se venisse realizzata la
discarica proprio ai suoi margini, e in breve tempo si provocherebbe un impatto
talmente catastrofico sull’oasi e sulle acque del Sele, da non poter più trovare
alcuna soluzione.
Ma, poiché queste considerazioni sono di facile intuizione per chiunque abbia
una minima competenza in valutazioni ambientali, il decreto n. 61 del 2007
appare spregiudicatamente invasivo dei poteri non soltanto delle amministrazioni
locali (che si stanno opponendo con tutta la loro forza alla realizzazione di
questo scempio), ma anche dei poteri della magistratura e della Costituzione,
visto che anche la pronuncia del Tribunale di Salerno è stata “cestinata”.
Un altro dato allarmante è costituito dal fatto che il suddetto decreto legge,
vanificherà gli effetti dei molteplici interventi di riqualificazione ambientale
finanziati attraverso lo strumento del POR Campania posti in essere dall’Ente
Parco Nazionale del Vesuvio: anche per esso vale lo stesso discorso fatto per
Valle di Masseria, poiché anch’esso è stato oggetto di individuazione
territoriale per la realizzazione di una discarica. Da tutti questi problemi ne
derivano certamente altri consequenziali: l’apertura dei siti di stoccaggio dei
rifiuti aumenterà il traffico quotidiano mettendo a dura prova la già difficile
situazione della rete stradale; l’aumento del traffico di mezzi adibiti alla
raccolta dei rifiuti matterà a rischio i flussi turistici che si recano negli
scavi di Pompei, Ercolano, Oplonti e Stabia.
Prima di concludere l’analisi del decreto legge, è opportuno evidenziare un
altro dato rilevante: all’art. 7 è prevista un’imposizione ai Comuni di
aumentare la tassa sui rifiuti per la copertura integrale dei costi di gestione
del servizio di smaltimento, infatti recita così l’art. 7 “…in deroga all’art.
238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, i comuni della regione
Campania adottano immediatamente le iniziative urgenti per assicurare che, a
decorrere dal 1° gennaio 2008 e per un periodo di cinque anni, ai fini della
tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, siano applicate misure
tariffarie per garantire complessivamente la copertura integrale dei costi di
gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti”.
Si assiste, pertanto, ad una situazione ancora più grave per i cittadini, i
quali si sentono “traditi” dalle istituzioni, che invece dovrebbero tutelarli:
ci si ritrova, quindi, di fronte ad un aumento delle tasse ma ad un aumento
proporzionale della inefficienza dei servizi, l’immondizia che ormai occupa
intere carreggiate, infezioni che dilagano.
Questo problema non riguarda la distinzione di ideologia politica, perché
entrambi gli schieramenti politici che hanno governato il nostro Paese, non
hanno saputo o voluto trovare una vera soluzione, e chi afferma che dietro
questo grande “pasticcio” c’è l’impronta della camorra, non sbaglia; ma a questa
grande piaga va aggiunta anche una pessima amministrazione della regione
Campania, che ha dato adito alla stessa criminalità organizzata di gestire senza
controllo alcuno il grande businnes dei rifiuti.
Ancora in questi giorni è stata scoperta una discarica abusiva in provincia di
Salerno, e certamente non sarà l’ultima, ma la soluzione alla problematica
dell’emergenza rifiuti sta nel trovare il coraggio di mettere fine alle paure,
al clientelismo e al favoritismo tra politica e camorra: gestire onestamente i
fondi economici che il governo stanzia per far fronte alle emergenze;
organizzare una efficiente raccolta differenziata; redigere o rivedere il Piano
regionale per la gestione integrata dei rifiuti urbani e di quelli assimilati;
prevedere una stretta convergenza tra Comuni e Consorzi anche con riferimento
alle attitudini professionali dei lavoratori da occupare (e non come accade oggi
di assunzioni per uno scambio di voti); riordinare la normativa e i
provvedimenti emergenziali relativi anche alla raccolta differenziata, in
particolare alla luce della normativa regionale recentemente emanata in materia
di rifiuti (L.R. n. 4/2007); organizzare una campagna di sensibilizzazione, di
educazione per la formazione di una “coscienza ecologica al recupero ambientale”
tra i cittadini e le istituzioni; presentare una reale dimostrazione alla
popolazione che i rifiuti raccolti vengano effettivamente riciclati o
recuperati.
Questo e altro ancora rappresenta l’inizio per far sì che una regione piena di
ricchezze economiche e naturali possa risollevarsi e superare la crisi che ora
sta vivendo: con la sola speranza che le amministrazioni che governano possano
effettivamente governare per i loro cittadini e non per sé stessi.
* Dottoressa di
ricerca in Diritto dell'ambiente europeo e comparato, avvocato specialista in
diritto e gestione dell'ambiente
_____________
1 Il c.d. Decreto
Ronchi, recante “Attuazione delle direttive 91/156/Cee sui rifiuti, 91/689/Cee
sui rifiuti pericolosi e 94/62/Cee sugli imballaggi e sui rifiuti di
imballaggio”.
2 Nella provincia di Napoli operavano nel 1996, 5 consorzi di
smaltimento rifiuti dai quali non è mai arrivata nessuna proposta per la pratica
della raccolta differenziata; nella provincia di Caserta operavano (sempre nel
1996) 4 consorzi di smaltimento rifiuti dai quali non è emersa nessuna proposta
di raccolta differenziata; in provincia di Avellino, Benevento e Salerno operano
rispettivamente 2, 3 e 4 consorzi e la raccolta differenziata viene effettuata
in pochi comuni.
3 La Commissione Bicamerale nel 1998 redige il documento finale
sul piano di emergenza rifiuti in Campania così affermando: “l’insieme delle
problematiche affrontate offrono un quadro sicuramente grave per i diversi
profili: programmatorio, gestionale, sanitario e criminale. La Campania è
tuttora in una fase emergenziale per quanto concerne lo smaltimento dei propri
rifiuti, e gli interventi attuati sinora non hanno le caratteristiche necessarie
per poter superare tale fase…. Le scelte operative commissariali si scontrano
con l’indisponibilità di alcune amministrazioni comunali ad accogliere
l’insediamento di nuove discariche sul proprio territorio… il piano regionale
manca di individuare numerosi impianti di smaltimento e fornisce elementi di
previsione in materia di raccolta differenziata che non risultano basati su
alcuna politica effettiva…”
4 Sono stati individuati i siti di Dugenta, Eboli, Perdifumo, e
Serre di Persano.
5 L’attività delle associazioni malavitose si svolgeva, fino a
poco tempo fa, controllando tramite le società di trasporto ad esse collegate,
alcuni settori del flusso dei rifiuti smaltiti nelle cave e discariche
autorizzate. In seguito, la camorra ha stretto un vero e proprio rapporto di
connivenza imprenditoriale con alcuni addetti ai lavori, in modo tale da
esercitare il controllo sull’intero ciclo di smaltimento dei rifiuti.
6 Sono i c.d. criminali dal colletto bianco: amministratori,
chimici analisti, impiegati, che hanno escogitato un metodo molto semplice. Il
metodo consiste nel falsificare il modulo di identificazione dei rifiuti, il MUD;
formalmente essi sversano i rifiuti nelle discariche lecite, ma nella pratica,
essi scaricano nelle cave, fiumi e laghi. Da tutte le regioni verso la Campania,
tir pieni di rifiuti finivano il loro tragitto presso discariche non
autorizzate, ma soprattutto cave abusive, terreni scavati per l’occasione,
riempiti di rifiuti e poi ricoperti.
7 Ogni anno in Italia, su 108 mila tonnellate di rifiuti, 35
mila vengono smaltite attraverso modalità illecite dalle organizzazioni
criminali; Cosa Nostra in Sicilia, la ‘Ndrangheta in Calabria, la Sacra Corona
Unita in Puglia e la Camorra in Campania, le quali si occupano della raccolta,
lo stoccaggio e il riciclaggio.
8 Secondo la rivista medica “The Lancet Oncology”, contenente un
approfondito studio sull’incidenza tumorale in Campania, i materiali di risulta
degli scavi di fondamenta di edifici o quelli di smaltimento dei rifiuti vengono
utilizzati come compattamento per le strutture fondiarie, o come fondamenta di
altre strutture edilizie abusive. Tutto ciò, perché con questo materiale si
cementa tutto e in seguito non si può verificare la presenza della discarica,
tutto a danno della salute dei cittadini.
9 Il Decreto Ronchi all’art 17 così prevede: “Entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro dell'ambiente,
avvalendosi dell'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA), di
concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della
sanità, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni
e le Province autonome di Trento e Bolzano, definisce: a) i limiti di
accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle
acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti; b) le
procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni; c) i criteri
generali per la messa in sicurezza, la bonifica del ripristino ambientale dei
siti inquinati, nonché per la redazione dei progetti di bonifica. c-bis) tutte
le operazioni di bonifica di suoli e falde acquifere che facciano ricorso a
batteri, a ceppi batterici mutanti, a stimolanti di batteri naturalmente
presenti nel suolo al fine di evitare i rischi di contaminazione del suolo e
delle falde acquifere. 1 bis. I censimenti di cui al decreto del Ministro
dell'ambiente 16 maggio 1989, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 121 del 26
maggio 1989, sono estesi alle aree interne ai luoghi di produzione, raccolta,
smaltimento e recupero dei rifiuti, in particolare agli impianti a rischio di
incidente rilevante di cui al decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio
1988, n. 175, e successive modificazioni. Il Ministro dell'ambiente dispone,
eventualmente attraverso accordi di programma con gli enti provvisti delle
tecnologie di rilevazione piu' avanzate, la mappatura nazionale dei siti oggetto
dei censimenti e la loro verifica con le regioni. 2. Chiunque cagiona, anche in
maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a),
ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti
medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in
sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli
impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento…”.
10 Tuttavia, molteplici sono state le criticità evidenziate a
livello europeo, nonché dalla dottrina, dai soggetti pubblici e dagli operatori
di settore chiamati ad applicare la nuova disciplina in tema di gestione di
rifiuti. La riaffermazione di tendenze centralistiche, la scarsa adesione al
principio di sussidiarietà, le cospicue difformità rispetto alla normativa
comunitaria rappresentano le principali censure avanzate. Va, inoltre, ricordato
il parere negativo espresso nella seduta del 26 gennaio 2006 dalla Conferenza
unificata Stato-regioni autonomie locali sullo schema di decreto elaborato dal
Governo in forza della legge delega n. 308 del 2004: in esso la Conferenza
metteva in risalto il contrasto con le direttive comunitarie, la violazione, per
eccesso di delega, della citata legge delega nonché lo stravolgimento
dell’assetto delle competenze definite dal nuovo Titolo V della Costituzione e
consolidato da diverse pronunce della Corte Costituzionale.
11 Tale decreto dispone sia la proroga, nelle more della
costituzione dei distretti idrografici e della revisione della relativa
disciplina legislativa, dell’operatività delle Autorità di Bacino, sia la
soppressione dell’Autorità di Vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, con
conseguente ricostituzione del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse
idriche e dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti, sia la proroga da sei a
dodici mesi del termine per l’adeguamento dello Statuto del Consorzio nazionale
imballaggi (CONAI) ai principi contenuti nel decreto, in particolare a quelli di
trasparenza, efficacia, efficienza ed economicità, nonché a quelli di libera
concorrenza nelle attività di settore.
12 Cfr. Cass. Sez. III n. 2950 dell’11 gennaio 2005.
13 Il principio in parola accolla a tutti i protagonisti della
gestione dei rifiuti un dovere di controllo sulle fasi successive a quella
propriamente svolta, imponendo, pertanto, a chiunque sia coinvolto nel processo
di smaltimento dei rifiuti di accertarsi che il soggetto a cui vengono
consegnati i materiali per l’ulteriore fase di gestione sia fornito della
necessaria autorizzazione, in modo tale che in caso di omesso controllo egli ne
risponda penalmente a titolo di concorso.
14 Il suddetto principio sollecita alla collaborazione tutti i
soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel
consumo di beni da cui originano i rifiuti.
15 Detto principio sancisce, dunque, il dovere di ridurre le
emissioni inquinanti alla fonte anche in assenza di prove che dimostrino il
nesso causale tra le emissioni e gli effetti negativi.
16 Il principio di cui trattasi privilegia la prevenzione del
danno piuttosto che il tentativo di rimediare a esso e si traduce,
concretamente, in azioni anticipatorie volte a evitare o ridurre sia il volume
dei rifiuti sia i rischi associati alla loro produzione.
17 Secondo tale principio la sanzione comminata a chi ha
causato danni ambientali deve risultare proporzionata rispetto ai maggiori
vantaggi ottenibili dalla comunità con la tutela e il rispetto dell’ambiente.
18 Mediante l’applicazione del principio in parola il
finanziamento dei danni ambientali non grava più sullo Stato (e, dunque, sui
cittadini), risultando a carico degli stessi responsabili dell’inquinamento,
sempre che si riescano a identificare. Il principio si realizza grazie a una
duplice azione: la riparazione del danno cagionato, da un lato, e l’attuazione
di attività preventive dirette a eliminare la minaccia dell’inquinamento,
dall’altro. La suddetta azione presuppone, altresì, che il soggetto interessato
comunichi immediatamente all’autorità competente il verificarsi del danno
ovvero, se non si è ancora prodotto, adotti tutte le misure di prevenzione
necessarie a impedire che la situazione di pericolo si tramuti in danno.
19 Il Testo unico ambientale prevedeva nella sua stesura
originaria (all’art. 207) anche l’istituzione di un’apposita Autorità di
vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti per garantire e vigilare in merito
all’osservanza dei principi e al perseguimento delle finalità sopra illustrate.
Con decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284 avente ad oggetto “Disposizioni
correttive e integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante
norme in materia ambientale” è stata disposta l’abrogazione della citata norma
con conseguente soppressione dell’Autorità di vigilanza e la ricostituzione
dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti, già previsto dall’art. 26 del decreto
Ronchi, e delle relative funzioni.
20 Le operazioni di recupero indicate nell’allegato C al d.lgs.
152/2006 prevedono: l’utilizzazione principale come combustibile o altro mezzo
per produrre energia; la rigenerazione/recupero di solventi; il riciclo/recupero
delle sostanze organiche non utilizzate come solventi, dei metalli, dei composti
metallici o di altre sostanze inorganiche; la rigenerazione degli acidi o delle
basi; il recupero dei prodotti che servono a captare gli inquinanti e di quelli
che provengono dai catalizzatori; la rigenerazione o altri reimpieghi degli oli;
lo spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia;
l’utilizzazione dei rifiuti ottenuti da una delle operazioni sopra indicate; lo
scambio di rifiuti per sottoporli ad una delle operazioni precedentemente
indicate; la messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni
sopra indicate; il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui
sono prodotti i rifiuti qualora non vengano rispettate le condizioni stabilite
dalla normativa vigente.
21 Infatti, questa, all’art. 1, comma 1, esclude dal suo ambito
di applicazione solo i “progetti adottati nei dettagli mediante atto legislativo
nazionale specifico”, mentre l’art. 1, comma 1, del D.L., localizza più siti, ma
non ne adotta, né ne approva i progetti nei dettagli. Inoltre, va sottolineato
che la Corte di Giustizia C.E. ha precisato che «costituisce un atto legislativo
specifico, ai sensi della detta disposizione, una norma emanata da un Parlamento
a seguito di dibattimento parlamentare pubblico, quando la procedura legislativa
abbia consentito il conseguimento degli obiettivi perseguiti dalla direttiva
85/337, ivi compreso l'obiettivo della disponibilità di informazioni, e quando
le informazioni a disposizione del Parlamento, al momento dell'approvazione in
dettaglio del progetto, siano risultate equivalenti a quelle che avrebbero
dovuto essere sottoposte all'autorità competente nell'ambito di un'ordinaria
procedura di autorizzazione del progetto>> (Corte Giustizia 19 settembre 2000
causa C-287/98). A ciò si aggiunge che la recente legge regionale della Campania
in materia di ciclo dei rifiuti, varata nel mese di maggio 2007, espressamente
dispone il divieto di localizzazione di impianti di discariche e similari nelle
aree protette regionali e nazionali.
22 Valutazione dell’opportunità di una valutazione di impatto
ambientale alternativa, informazione del pubblico interessato, informazione
della Commissione europea, prima del rilascio dell’autorizzazione, circa i
motivi che giustificano l’esenzione e trasmissione delle informazioni per i
propri cittadini.
23 Le ricerche geologiche originali eseguite nell'ambito del
Comitato Paritetico istituito dal Commissario Delegato per l'Emergenza Rifiuti
nella Regione Campania, Ordinanza N. 81 del 20-03-07, per l'approfondimento
delle caratteristiche tecniche, geomorfologiche ed ambientali del sito di Valle
Masseria nel Comune di Serre, hanno messo in evidenza che nella zona in cui
andrebbe realizzata la discarica si trovano due faglie, appartenenti ad un
sistema di tettonica attiva caratterizzato da spostamenti verticali anche negli
ultimi 4000 anni. Dal momento che la stabilità geologica per la discarica deve
essere garantita per periodi plurisecolari e millenari considerato che vi
saranno accumulate sostanze altamente inquinanti come i metalli pesanti che non
decadono con il tempo, è stata subito evidenziata la pericolosità ed il rischio
connesso alla realizzazione del manufatto su due faglie che possono originare
spostamenti verticali in grado di danneggiarlo seriamente favorendo la
dispersione di percolato nelle acque del Sele.
La valutazione della franosità dei versanti, su scala temporale lunga, ha
evidenziato che i versanti incombenti sulla parte depressa di Valle Masseria,
cioè proprio nella zona dove potrebbe essere ubicata l'eventuale discarica,
sarebbero interessati da continui distacchi di materiali argillosi che
alimenterebbero continui dissesti che provocherebbero l'accumulo di ingenti
volumi di detriti argillosi nella zona depressa e andrebbero a determinare seri
problemi di stabilità al cumulo di rifiuti con evidenti catastrofiche
conseguenze connesse a fuoriuscita di liquidi inquinanti. Prof. Franco Ortolani
(Ordinario di Geologia, Direttore del Dipartimento di Pianificazione e Scienza
del Territorio, Università di Napoli Federico II).
Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it
il 05/07/2007